giovedì 31 marzo 2016

"Accuse generiche": imputazione da rifare


Dal Resto del Carlino - Ferrara...Cronache di commercialisti infedeli...

Per ingrandire clicca sull'immagine.

Per le Sezioni Unite è violenza alla persona non solo quella fisica ma anche quella morale

La recente sentenza delle Sezioni Unite penali n. 10959/2016 ha statuito che il dettato dell’art. 408, comma 3-bis, c.p.p., che dispone l’obbligo di notificare alla persona offesa la richiesta di archiviazione nel caso di delitti commessi con violenza alla persona, è riferibile ai reati di atti persecutori (art. 612-bis) e di maltrattamenti (art. 572 c.p.), dovendosi intendere la violenza alla persona alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle relative diposizioni del diritto internazionale recepite e del diritto comunitario: quindi comprensivo anche della minaccia.
Il caso ed il ricorso per Cassazione.Nell’ambito di un procedimento penale avente per oggetto il delitto di atti persecutori (il c.d. stalking) di cui all’art. 612-bis c.p., la parte offesa ricorreva per Cassazione, lamentando di non avere ricevuto avviso della relativa richiesta di archiviazione presentata dal p.m., e denunciando la violazione dell’art. 408, comma 3-bis, c.p.p., il quale impone tale notifica per i “delitti commessi con violenza sulla persona”, quale, per l’appunto, a suo avviso, il delitto in questione deve intendersi.
La Sezione Quinta della Suprema Corte, investita del ricorso, rilevava una situazione giuridica che si presta a due diverse e contrastanti interpretazioni. Premesso che la fattispecie dell’art. 612-bis c.p. contempla reiterate condotte di “minaccia”, si tratta di intendere se l’espressione “violenza alla persona” di cui al citato art. 408, comma 3-bis, c.p.p. debba interpretarsi nel senso della sola violenza fisica ovvero inclusivo anche di quella morale o psicologica, id est della minaccia, come inteso dal ricorrente.
Invero, la citata disposizione del codice rito è stata introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. G, del d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, con la legge 15 ottobre 2013, n. 119, (la c.d. legge sul “femminicidio”), la quale normativa ha anche introdotto (art. 2, comma 1, lett. H) nel codice di rito l’art. 415-bis, che sancisce l’obbligo di notificare alla persona offesa l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ove trattasi dei delitti di cui agli artt. 572 (maltrattamenti) e 612-bis (atti persecutori) c.p.
La rimessione alle Sezioni Unite. Pertanto, secondo una prima interpretazione, seguendo la ratio della normativa sul femminicidio, se nelle predette ipotesi delittuose deve notificarsi l’avviso di conclusione delle indagini, similmente, e a fortiori, dovrebbe notificarsi la richiesta di archiviazione. Tuttavia, una seconda interpretazione potrebbe addivenire ad una soluzione opposta: la mancata riproduzione nell’art. 408, comma 3-bis, delle norme elencate dall’art. 415-bis potrebbe significare la netta esclusione di tali fattispecie nella prima disposizione.
Donde la decisione di rimettere alle Sezioni Unite la risoluzione del quesito se l’espressione normativa “violenza alle persone”, di cui all’art. 408, comma 3-bis, c.p.p. comprenda le sole condotte di violenza fisica o includa anche quelle di minaccia, e se di conseguenza il reato di cui all’art. 612-bis, c.p. sia incluso fra quelli per i quali la citata disposizione prevede la necessaria notifica alla persona offesa dell’avviso della richiesta di archiviazione.
L’impostazione delle Sezioni Unite. Le Sezioni Unite prendono le mosse dal concetto di violenza quale espresso dagli atti internazionale o sovranazionali cogenti per il nostro ordinamento giuridico, alla stregua di un’ampia e dettagliata ricognizione che può sintetizzarsi nei punti a seguire.
1) L’art. 408, comma 3-bis, c.p.p. è stato introdotto, come cennato, dal d.l. n. 93/2013, convertito, con modificazioni nella l. n. 119/2013, il quale ha dato attuazione alla legge 27 giugno 2013, n. 77, di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011.
A tale proposito deve notarsi che il d.l. n. 93/2013 nell’introdurre il comma 3-bis nell’art. 408 c.p.p. disponeva la comunicazione alla persona offesa della richiesta di archiviazione “per il reato di cui all’art. 572 del codice penale”, così come introduceva, nell’art. 415 c.p.p. l’obbligo di dare avviso alla persona offesa della conclusione delle indagini preliminari “quando si procede per il reato di cui all’art. 572 c.p.”. È stato in sede di conversione che la comunicazione di cui all’art. 408 c.p.p. è stata estesa in ordine a tutti i delitti commessi con violenza alle persone, mentre in quella di cui all’art 415 c.p.p. è stato aggiunto il riferimento all’art. 612-bis c.p. Come dire che tali scansioni processuali sono state ampliate a favore di tutti i soggetti “deboli” vittime del reato in modo da informarli in ordine all’esercizio dell’azione penale.
Infatti, la Convenzione di Istanbul effettua in ordine al concetto di violenza le seguenti definizioni (art. 3): a) con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” intende designare tutti gli atti di violenza fondati sul genere suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti; b) l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner.
2) La direttiva 2912/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato è stata attuata con il d.lgs. 15 dicembre 2015, n. 212. Ebbene, nelle Premesse, nel definire la violenza di genere (n. 17), afferma che può provocare un danno fisico, sessuale o psicologico, o una perdita economica alla vittima. Parimenti, del definire la violenza nelle relazioni strette (n. 18) sottolinea che include la violenza fisica, sessuale, psicologica ed economica e provocare un danno fisico materiale o emotivo.
Vero è che tali definizioni non compaiono dei testi normativi di produzione interna, ma le SS.UU. evidenziano come, anche alla luce dell’art. 117, comma primo, Cost. sussiste l’obbligo di interpretazione conforme, che impone, ove la norma interna si presti a diverse interpretazioni o abbia margini di incertezza, di scegliere quella che consenta il rispetto degli obblighi internazionali.
3) La Direttiva 2011/36/UE per la prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e di protezione delle vittime, attuata con il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 24, ha indicato quali “violenze gravi alla persona” la tortura, l’uso forzato di droghe, lo stupro e altre forme di violenza psicologica, fisica o sessuale.
4) La Direttiva 2011/99/UE, volta ad istituire l’Ordine di protezione europeo (OPE), è stata attuata con il d.lgs. 11 febbraio 2015, n. 9. Deve sottolinearsi (n. 9 e 11 del Considerando) che i destinatari delle misure di protezione sono le vittime di reati che mettano in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la libertà personale, la sicurezza o l’integrità sessuale del soggetto da proteggere e che una posizione di particolare rilievo è attribuita alle vittime della violenza di genere, che si esprime con violenze fisiche, molestie, aggressioni sessuali, stalking, intimidazioni o altre forme indirette di coercizione.
Insomma, dalle lettura delle fonti sovranazionali emerge come l’espressione “violenza alla persona” sia sempre intesa in senso ampio, comprensiva non solo delle aggressioni fisiche, ma anche morali, psicologiche.
La decisione delle Sezioni Unite. Le SS.UU., pertanto, constatano, da un lato, come l’obbligo di avviso alla persona offesa dai reati commessi con violenza alla persona, di cui all’art. 408, comma 3-bis, c.p.p., è stato introdotto al fine di ampliare i diritti di partecipazione della vittima al procedimento penale, come testimoniato dall’emendamento che ha esteso la tutela oltre le fattispecie originariamente indicate; mentre, dall’altro lato, come la nozione di violenza adottata in ambito internazionale e comunitario sia più ampia di quella positivamente disciplinata dal codice penale, sicuramente comprensiva di ogni forma di violenza fisica o morale, tale da cagionare una sofferenza anche solo psicologica alla vittima del reato.
In conclusione le Sezioni Unite enunciano i seguente principio di diritto: “La disposizione dell’art. 408, comma 3-bis, c.p.p., che stabilisce l’obbligo di dare avviso alla persona offesa delle richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con violenza alla persona, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti, previsti rispettivamente dagli articoli 612-bis e 572 cod. pen., poiché l’espressione ‘violenza alla persona’ deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario”.
In definitiva, essendo fondato il ricorso, il provvedimento impugnato viene annullato senza rinvio, con trasmissione degli atti alla Procura competente per l’ulteriore corso.
Conclusione. La decisione è di particolare rilievo e di più ampia portata rispetto alla fattispecie in oggetto, in quanto riferibile a fattispecie similari penalmente rilevanti: si pensi, ad esempio, all’art. 649 c.p., il quale esclude la punibilità, ovvero la sottopone a querela di parte, nel caso di reati contro il patrimonio commessi nell’ambito familiare, tranne che nei casi (comma 3) nei quali il delitto sia commesso “con violenza alle persone”: ora da intendersi come violenza anche psichica (la minaccia) e non solo fisica.

Per leggere la sentenza clicca qui:Microsoft Word - Documento1

Fonte: www.quotidianogiuridico.it

mercoledì 30 marzo 2016

Il minore invia un selfie porno: diffonderlo non è reato

Se è il minore stesso a scattarsi foto pornografiche non è integrato il reato che punisce chi offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico (art. 600 ter, comma 4, Codice Penale). Per poter parlare di reato occorre che la produzione del materiale pornografico avvenga da parte di un soggetto altro e diverso dal minore utilizzato. Del tutto irrilevante è invece il fine e la presenza o meno del consenso da parte del minore “a farsi utilizzare” da altro soggetto essendo in tali ipotesi sempre configurato il reato. A stabilirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 11675 dello scorso 18 febbraio 2016.
Il caso. Nella vicenda all’esame della terza Sezione della Cassazione penale, gli autoscatti della minorenne erano stati dalla stessa volontariamente ceduti ad altri e da questi ceduti ad altri ancora ma sia i giudici di primo che di secondo grado, a differenza di quanto sostenuto dal procuratore della Repubblica, hanno ritenuto insussistente la condotta degli imputati, in quanto, non trattandosi di minorenne “utilizzata”, mancherebbe un elemento della fattispecie delittuosa.
D’accordo con i colleghi dei gradi inferiori, i giudici di Cassazione hanno ribadito che una diversa lettura della norma comporterebbe un’interpretazione analogica in malam partem.
La decisione. La Suprema Corte chiarisce che il fondamento dell’intera previsione contenuta nell’articolo 600 ter del Codice Penale (Pornografia minorile) deve essere rinvenuto nel primo comma, decisivo per l’interpretazione dei commi successivi, il cui contenuto è chiaro nel punire chi utilizza, recluta o induce il minore. Pertanto, tutte le condotte punite nei successivi commi, tra cui anche il 4° del caso di specie, hanno come presupposto l’esistenza di un soggetto a monte che abbia prodotto il materiale medesimo impiegando come mezzo il minore .

Fonte: www.ilpenalista.it/Il minore invia un selfie porno: diffonderlo non è reato - La Stampa

A caccia durante la malattia: recesso valido

È valido il licenziamento del dipendente che durante il periodo di malattia partecipa a una battuta di caccia all’estero, anche se la sua assenza sia giustificata da un regolare certificato di malattia oppure dalla fruizione di congedi parentali.
Questa condotta, infatti, a prescindere dalla veridicità dei certificati medici, si concretizza in una violazione dei doveri di correttezza e buona fede che impongono al dipendente di astenersi, durante la
malattia, dall’adozione di condotte stressanti per il fisico e, quindi, incompatibili con la necessità di guarire rapidamente.
Questi i principi giuridici posti alla base di un licenziamento convalidato in via definitiva dalla Corte di cassazione (sentenza 6054/16, pubblicata ieri).
Un lavoratore subordinato si era ripetutamente assentato dal lavoro per brevi periodi, talvolta immediatamente antecedenti a giorni festivi, per delle battute di caccia; in occasioni di tali battute, il lavoratore aveva sovente prolungato la propria assenza inviando dei certificati medici oppure utilizzando dei giorni di congedo parentale.
Il datore di lavoro aveva contestato questa condotta e al termine della procedura disciplinare aveva licenziato il dipendente.
La Corte d’appello di Firenze ha considerato valido ed efficace il licenziamento, rilevando che il dipendente, recandosi all’estero per le battute di caccia, , aveva gravemente violato il proprio dovere di evitare attività - come i viaggi e la caccia - capaci di ritardare la pronta e rapida guarigione.
Il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione contro questa decisione ma la Corte, con la sentenza sopra ricordata, ha rigettato il gravame, ritenendo pienamente legittima la scelta aziendale di contestare, da un lato, la violazione dell’obbligo di astenersi da condotte che ritardano la guarigione e, dall’altro, l’utilizzo improprio dei congedi parentali per finalità diverse da quelle tipiche dell’istituto.
La sentenza considera inoltre irrilevante ai fini della decisione il tema dell’effettiva validità della certificazione medica presentata dal dipendente, in quanto la contestazione aziendale aveva per oggetto una condotta complessiva articolata in diversi episodi, rispetto alla quale la validità di singole certificazioni mediche risultava irrilevante.

Fonte: www.ilsole24ore.com/GiampieroFalasca /A caccia durante la malattia: recesso valido - Il Sole 24 ORE

Ferrara: salti la visita medica o l'esame? Dai la disdetta o paghi la sanzione

I tempi per la visita o l’esame prenotati al Cup sono troppo lunghi e nel frattempo avete preferito rivolgervi a un ambulatorio privato? Un nuovo impegno subentrato in agenda vi costringerà a saltare l’appuntamento con la prestazione sanitaria pubblica o convenzionata?
In entrambi i casi vi converrà informare l’Asl o il Sant’Anna che nella data fissata non potrete essere presenti all’incontro col medico o col tecnico che eseguirà la prestazione diagnostica. Un atto oggi richiesto dalle aziende sanitarie come cortesia ma che a partire dal prossimo 4 aprile, se non sarà espletato, comporterà l’applicazione di una sanzione. «Chi non si presenterà a visite o esami senza aver disdetto la prenotazione dovrà pagare lo stesso il ticket previsto per le fasce di reddito più basse fino a un importo massimo per ricetta pari a 36,15 euro».
Questo prevede la disposizione regionale che sarà applicata a partire dalla prossima settimana. L’intento ribadito dalla stessa Regione è di migliorare ancora di più i tempi d’attesa «disincentivando anche l’atteggiamento di chi non si presenta senza disdire: una persona su 10 oggi, in Emilia-Romagna». Una “dimenticanza” dovuta a disattenzione, pigrizia o scarso rispetto per gli altri che impedisce alle aziende sanitarie di inserire negli orari tornati disponibili l’utenza in attesa. L’obiettivo che sta a cuore ai vertici della Regione e alle aziende sanitarie locali, come ha recentemente ribadito il presidente della giunta emiliano-romagnola, Stefano Bonaccini, è «di consolidare i risultati raggiunti col programma di riduzione delle liste d’attesa, anche attraverso una maggiore responsabilizzazione dei cittadini». Ancora più esplicito l’assessore regionale alle Politiche per la Salute, Sergio Venturi: «Se avere la prestazione sanitaria è un diritto esigibile, presentarsi all’esame è un dovere. Per questo, chi non si presenta senza una valida giustificazione, paga il ticket. Perché toglie il diritto a un altro cittadino».
Dal 4 aprile prossimo, quindi, se non sarà possibile presentarsi a una visita o a un esame diventerà obbligatorio disdire la prenotazione con almeno 2 giorni lavorativi di anticipo. Il provvedimento riguarda tutti i cittadini, comprese le persone che hanno diritto all’esenzione (per esempio, per reddito, patologia o invalidità). A Ferrara la disdetta può essere comunicata tramite gli sportelli Cup e le farmacie; contattando il numero verde 800 532 000; il sito web www.cupweb.it e, dal 4 aprile, con la nuova app “ER Salute”. È stato attivato per alcune prestazioni anche un servizio di recall che ricorda l’avvicinarsi di un appuntamento via sms.

Fonte: www.lanuovaferrara.gelocal.it//Salti la visita medica o l'esame? Dai la disdetta o paghi la sanzione - Cronaca - La Nuova Ferrara

martedì 29 marzo 2016

Emergenza meteo, ghiaccio sulla strada: brutta caduta per una donna. Niente risarcimento dal Comune

Respinta definitivamente la richiesta della donna nei confronti dell’ente pubblico. A lei, e solo a lei, è addebitabile il capitombolo: se avesse prestato maggiore attenzione alle condizioni della strada, avrebbe evitato la caduta. Alla luce delle particolari condizioni climatiche era impensabile per il Comune liberare il territorio urbano da ghiaccio e neve. A stabilirlo è stata la sentenza n. 5622 della Corte di Cassazione, depositata ieri.
Clima. Fatale un «attraversamento pedonale», reso scivoloso da una «lastra di ghiaccio» formatasi a causa dell’emergenza climatica che ha colpito la città – Torino, per la precisione –. Brutto capitombolo per una donna, che cita in giudizio il Comune, puntando ad un corposo «risarcimento dei danni» subiti.
Negativa la risposta dei giudici, sia in Tribunale che in Corte d’appello. E l’esclusione di ogni responsabilità del Comune viene sigillata ora dai magistrati della Cassazione.
Respinte, in terzo grado, le ulteriori lamentele della donna. Anzi, ella viene ritenuta colpevole della caduta subita: alla luce delle «condizioni della strada», frutto delle «particolari circostanze atmosferiche», la persona avrebbe dovuto essere più attenta e «guardare per terra» così da «evitare di calpestare visibili lastre di ghiaccio nell’impegnare l’attraversamento pedonale».
Per i Giudici di Cassazione è indiscutibile il fatto che «l’incidente si è verificato» perché la donna «non aveva osservato la necessaria prudenza, richiesta dalla situazione climatica eccezionale (ampiamente nota e riconoscibile)» così da non transitare «sulle lastre di ghiaccio che si erano formate sul manto stradale» e che erano «di non difficile individuazione».
Assolutamente non plausibile, quindi, chiamare in causa il Comune, che, secondo i Giudici, non avrebbe potuto mettere in atto un’opera «così imponente» da «liberare da neve e ghiaccio l’intero territorio» urbano.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Emergenza meteo, ghiaccio sulla strada: brutta caduta per una donna. Niente risarcimento dal Comune - La Stampa

Gli aspetti processuali più rilevanti della legge sull’omicidio stradale

La legge 23 marzo 2016, n. 41 che ha introdotto nel nostro ordinamento – e nel codice penale – i reati di omicidio e lesioni personali gravi o gravissime stradali, ha comportato una serie di modifiche, per lo più di coordinamento, al codice di procedura penale.
L’intervento di maggiore interesse in materia processuale è costituito senza dubbio dall’introduzione di un nuovo caso di prelievo biologico coattivo, sia in forma di perizia durante il dibattimento (art. 224-bis, comma 1c.p.p.), sia di accertamento tecnico durante le indagini preliminari (art. 359-bis, comma 3-bis c.p.p.).
Più nel dettaglio, la novella in commento è intervenuta direttamente sull’art. 224-bis c.p.p., introducendo il riferimento ai delitti, colposi, di cui agli artt. 589-bis c.p. (omicidio stradale) e 590-bis c.p. (lesioni personali stradali gravi o gravissime), in ordine ai quali è esperibile la perizia coattiva. Il legislatore ha così inteso rendere manifesta la volontà di applicare le garanzie apprestate dallo strumento della perizia biologica coattiva alle ipotesi dell’omicidio e delle lesioni stradali.
Ancor più rilevante è l’introduzione nell’art. 359-bis c.p.p. (“prelievo coattivo di campioni biologici su persone viventi”) di un nuovo comma 3-bis, che prevede un’ulteriore ipotesi di accertamento urgente. In caso di omicidio stradale e lesioni personali stradali (gravi o gravissime), se il conducente si rifiuta di sottoporsi agli accertamenti dello stato di ebbrezza alcolica o di alterazione da sostanze stupefacenti o psicotrope e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, il pubblico ministero può disporre lo svolgimento delle operazioni – nonché disporre l’accompagnamento coattivo dell’interessato presso il presidio ospedaliero più vicino e l’eventuale esecuzione coattiva delle operazioni – sia con decreto, sia con autorizzazione resa oralmente e successivamente confermata per iscritto.
Si ripropone lo schema procedurale del prelievo a fini di identificazione di cui all’art. 349, comma 2 bis c.p.p., ai sensi del quale la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero.
La ratio di tale opzione legislativa risiede nella necessità di preservare l’utilità pratica degli accertamenti in parola, destinata inevitabilmente a scemare con il passare del tempo. All’accompagnamento dell’interessato presso l’ospedale più vicino provvedono gli ufficiali di polizia giudiziaria. Del decreto e delle operazioni da compiersi è data tempestivamente notizia al difensore dell’interessato (che pare coincidere con il conducente), il quale ha facoltà di assistere. Il rinvio all’art. 365 c.p.p. sembra confermare la natura di atti irripetibili ex lege del prelievo e degli accertamenti in parola.
Entro le quarantotto ore successive allo svolgimento delle operazioni, il pubblico ministero chiede la convalida del decreto (e degli eventuali ulteriori provvedimenti adottati) al giudice per le indagini preliminari, che provvede al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive.
Le operazioni devono svolgersi nel rispetto dei commi 4 e 5 dell’art. 224-bis, e cioè non devono: contrastare con espressi divieti posti dalla legge; mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona ad esse sottoposta; lederne la dignità o il pudore. A presidio di tale precetto, tuttavia, non è prevista alcuna sanzione processuale espressa. In proposito, sembrerebbe trattarsi di veri e propri divieti probatori, con conseguente inutilizzabilità delle prove eventualmente acquisite, ai sensi dell’art. 191 c.p.p.
A differenza del precedente comma 3 dell’art. 359-bis, il nuovo comma 3-bis non opera alcun richiamo al comma 2 dell’art. 224-bis. Da ciò pare potersi dedurre che il provvedimento del pubblico ministero non dovrà avere il contenuto previsto a pena di nullità dalla norma richiamata. Tale scelta sembra trovare fondamento, ancora una volta, nelle peculiarità degli accertamenti in parola, nonché nel potere, spettante al pubblico ministero, di autorizzarne l’esecuzione in forma orale.
Ulteriore aspetto di sicura rilevanza processuale è la previsione di nuove ipotesi di arresto obbligatorio e facoltativo in flagranza.
Ai sensi della nuova lett. m-quater dell’art. 380, comma 2 c.p.p., gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria devono procedere all’arresto di chiunque è colto in flagranza del delitto di omicidio stradale aggravato ai sensi dei commi 2 e 3 dell’art. 589-bis c.p.
Si segnala l’eccentricità dell’intervento in parola, posto che, ai sensi del comma 2 dell’art. 380 c.p.p., si procede all’arresto obbligatorio in flagranza esclusivamente in caso di «delitti non colposi». Non del tutto congruo è da ritenere, dunque, l’inserimento nell’elenco di cui al comma 2 della norma in parola del delitto, espressamente definito come colposo dal legislatore, di omicidio stradale (ancorché aggravato).
La nuova lett. m-quinquies di cui all’art. 381, comma 2 c.p.p., poi, estende l’arresto facoltativo in flagranza ai casi di lesioni personali stradali aggravate ex art. 590-bis, commi 2, 3, 4 e 5.
Peraltro, è appena il caso di sottolineare che, giusta la pena edittale di sette anni nel massimo prevista per l’ipotesi non aggravata di omicidio stradale, di cui all’art. 589-bis, comma 1 c.p., anche tale fattispecie rientra tra i delitti per i quali l’arresto in flagranza è nella facoltà degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, ai sensi del comma 1 dell’art. 381 c.p.p.
In conclusione, si segnalano gli ulteriori interventi sul c.p.p.:
a) estensione del limite di una sola proroga del termine per la chiusura delle indagini preliminari (art. 406, comma 2-ter c.p.p., come modificato) ai delitti di omicidio e lesioni gravi o gravissime stradali;
b) estensione del limite di trenta giorni dalla scadenza del termine di chiusura delle indagini preliminari per la richiesta di rinvio a giudizio (art. 416, comma 2-bis c.p.p., come modificato) al delitto di omicidio stradale;
c) estensione del termine massimo di sessanta giorni tra emissione del decreto che dispone il giudizio e data fissata per il giudizio (art. 429, comma 3-bis c.p.p., come modificato) al delitto di omicidio stradale;
d) previsione di una nuova ipotesi di citazione diretta a giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica (art. 550, comma 2, lett. e-bis c.p.p.) in caso di lesioni personali stradali, anche se aggravate;
e) estensione del limite di trenta giorni dalla scadenza del termine di chiusura delle indagini preliminari per l’emissione del decreto di citazione a giudizio, nonché della fissazione dell’udienza di comparizione non oltre novanta giorni da tale data (art. 552, commi 1-bis e 1-ter c.p.p., come modificati) al delitto di lesioni personali stradali.

Fonte: www.quotidianogiuridico.it//Gli aspetti processuali più rilevanti della legge sull’omicidio stradale | Quotidiano Giuridico

domenica 27 marzo 2016

La Cassazione striglia i call center: stop alle telefonate mute

Stop alle telefonate mute: sono fuorilegge. Anche per la Cassazione, che con la sentenza n. 2196/16 del 15/1/2016, depositata il 4/2/2016, bacchetta i call center che utilizzano lo stratagemma dell’overbooking di chiamate telefoniche. Ossia, un sistema automatizzato chiama più numeri di quanti siano gli operatori disponibili, per evitare tempi morti. Così, a volte, c’è un utente in linea ma nessun addetto del call center pronto a parlare. Il risultato è un trattamento dei dati (il numero del chiamato) non corretto: perché disturbare qualcuno e farlo stare in attesa e nell’ansia di non sapere chi c’è all’altro capo del filo? Ma non si tratta solo di una scorrettezza, si tratta di una vera e propria illegittimità. Lo ha detto il Garante della privacy e lo ha confermato la Corte suprema, che ha convalidato una decisione del collegio presieduto da Antonello Soro.

La pronuncia ha rilevato l’effettuazione delle chiamate multiple attraverso un sistema, definito predictive. Esiste cioè un compositore numerico che connette gli operatori a quei numeri che danno risposta positiva. In caso di minor numero di operatori rispetto alle risposte positive, però, il destinatario, proprio in considerazione della prescelta modalità, è esposto al rischio di non ricevere risposta alla chiamata.

Fonte: www.italiaoggi.it//La Cassazione striglia i call center - News - Italiaoggi

sabato 26 marzo 2016

Legge 104, licenziamento legittimo se l'assistenza non copre tutti i periodi

E' legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore, il quale, fruendo dei permessi retribuiti previsti dalla legge 104/92 e anche in assenza di un comportamento elusivo, usufruisca solo parzialmente del tempo totale concesso per l'assistenza al parente. A dirlo è la sentenza 5574/16 della Cassazione, depositata lo scorso 22 marzo.
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul caso di un lavoratore licenziato dall'azienda presso cui era impiegato per essersi recato presso l'abitazione del parente assistito nei giorni 22, 26 e 28 novembre 2012 – per i quali aveva fruito dei permessi di cui alla legge 104/92 - soltanto per complessive 4 ore e 13 minuti, pari al 17,5% del tempo totale concesso. Una condotta di abuso secondo il Tribunale di Lanciano, a cui il lavoratore aveva fatto ricorso e che aveva considerato, quindi, legittimo il recesso datoriale per giusta causa.
La tesi del Giudice di primo grado era stata fatta poi propria anche dalla Corte d'appello di L'Aquila, a cui il lavoratore si era rivolto. Per il Giudice di secondo grado, in particolare, la sanzione irrogata doveva ritenersi “proporzionata all'evidente intenzionalità della condotta e alla natura della stessa, indicativa di un sostanziale e reiterato disinteresse del lavoratore rispetto alle esigenze aziendali e dei principi generali di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, senza che potesse rilevare in senso contrario, stante l'idoneità della condotta a ledere il rapporto fiduciario, la sussistenza di un marginale assolvimento dell'obbligo assistenziale”.
Nel valutare i motivi di ricorso del lavoratore licenziato, tutti respinti, la Cassazione si è concentrata in particolare sul rilievo secondo cui in appello sarebbe stato trascurato il fatto che il dipendente non aveva avuto alcuna intenzione di non prestare assistenza al familiare, essendosi anzi regolarmente recato da lui e non essendosi allontanato dalla propria abitazione per momenti di svago o per andare a svolgere altre attività lavorativa, con ciò violando il disposto degli articoli 1175, 1375 e 2119 del codice civile. Secondo il ricorrente, in buona sostanza, la condotta da lui posta in essere, qualora fosse “suscettibile, per ipotesi, di rilievo disciplinare, non poteva  certamente, in assenza di un consapevole intento elusivo, condurre all'applicazione della sanzione espulsiva”.
Una censura a cui per i giudici di legittimità la sentenza di appello si sottrae dal momento che la sussistenza dei requisiti per la concessione dei permessi e la valutazione della condotta successiva del tenuta del lavoratore che li ha ottenuti restano due elementi distinti, “ben potendo il datore di lavoro procedere a una propria autonoma valutazione di tale condotta nell'ottica del rispetto del canone di buona fede che presiede all'esecuzione del contratto di lavoro”. In questo contesto il fatto che il lavoratore abbia tenuta una condotta compatibile con le motivazioni assistenziali alla base delle legge 104/92 non incide sulla giusta causa di recesso datoriale, “risultando dagli indici di fatto accertati nella sentenza impugnata, sia relativi alla percentuale del tempo destinato all'attività di assistenza rispetto a quella totale dei permessi, sia relativi ad altre modalità temporali in cui tale attività risulta prestata” la presenza di “un evidente, quanto anch'essa incontestata irregolarità sia in termini di fascia oraria, sia in trermini di durata della permanenza”.

Fonte: www.ilsole24ore.com/Legge 104, licenziamento legittimo se l'assistenza non copre tutti i periodi di permesso - Il Sole 24 ORE

Tenuità del fatto: il vademecum della Cassazione

Dopo i primi arresti giurisprudenziali sulla causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, a seguito dell’introduzione dell’art. 131-bis c.p. da parte dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 28/2015, la Corte di Cassazione ha iniziato a perimetrare i confini applicativi dell’istituto, secondo il quale, nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, comma 1, c.p., l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Non si applica dinanzi al Giudice di Pace. L’art. 131-bis c.p. si affianca alle analoghe figure per irrilevanza del fatto già presenti nell’ordinamento minorile (art. 27 d.P.R. n. 448/1988) e in quello relativo alla competenza penale del Giudice di Pace (art. 34 d.lgs. n. 274/2000).
Proprio prendendo atto della specificità della disciplina configurata nel procedimento penale davanti al giudice di pace, la Suprema Corte ha espressamente escluso che, in tale sede, possa trovare applicazione la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, proprio perché prevista esclusivamente per il procedimento davanti al giudice ordinario (sezione IV, 14 luglio 2015, n. 31920).
“Offensività necessaria” del fatto lieve. Per la Sez. III, 7 luglio 2015, n. 38364, affrontando la questione della offensività in concreto della condotta di coltivazione di piante da sostanza stupefacente, solo dopo il vaglio positivo della offensività della condotta incriminata, è possibile porsi in presenza di un fatto di coltivazione “modesto” la questione della possibile applicabilità dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p., in presenza ovviamente dei relativi presupposti.
Si applica a tutti i reati. Per Sez. IV, 2 novembre 2015, n. 44132, il legislatore, avendo posto l'istituto in parola nel contesto della parte generale del codice penale, ha evidentemente inteso attribuirgli valenza non limitata a alcune fattispecie di reato; pertanto, non appare in dubbio che l'istituto possa e debba trovare applicazione in tutti i reati, anche quelli tradizionalmente indicati come “senza offesa”, tranne le eccezioni legate ai limiti di pena (detentiva superiore a cinque anni) o alle particolari modalità del fatto (crudeltà, sevizie o condotte causative di un danno grave come la morte o lesioni gravi) o del reato (abituale o fatto non occasionale).
La stessa Cassazione ha d'altronde già affermato in passato che la particolare tenuità del fatto, concretizzatasi nella nota causa di improcedibilità di cui all'art. 34, d.lgs. n. 274/2000, trova applicazione anche con riferimento a reati di pericolo astratto o presunto.
Anche quelli a diverse soglie di punibilità. La Suprema Corte ha ritenuto applicabile la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto al reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. b, d.lgs. n. 285/1992, in quanto l’incriminazione definisce la meritevolezza di astratte classe di fatti, laddove l’art. 131-bis c.p. si impegna sul diverso piano del singolo fatto concreto. Sicché che il legislatore abbia utilizzato la tecnica della soglia (come nel caso della guida in stato di ebbrezza alcolica) o meno per selezionare classi di ipotesi che, per essere in maggior grado offensive, impongono il dispiegarsi dell’armamentario penalistico, vi è in ogni caso la necessità di verificare se la manifestazione reale e concreta – il fatto unico ed irripetibile descritto dall’imputazione elevata nei confronti di un determinato soggetto – non presenti rispetto alla cornice astratta un ridottissimo grado di offensività (Sez. IV, 2 novembre 2015, n. 44132; 31 luglio 2015, n. n. 33821).
Che la previsione di più soglie di punibilità sia compatibile con il giudizio di tenuità del fatto considerato, in quanto essa manifesta un giudizio legislativo già ispirato ai principi di sussidiarietà e offensività della tutela penale, ai quali si ispira pure l’istituto descritto dall’art. 131-bis c.p., è stata affermato anche in relazione ai reati tributari (Sez. III, 15 aprile 2015, n. 15449, anche se Sez. III, con ordinanza del 20 maggio 2015, n. 21014, ha rimesso alle Sezioni Unite (tra le altre) la quaestio se sia possibile l’applicabilità della particolare tenuità del fatto per i reati tributali per i quali è prevista la soglia di punibilità.
In verità gli Ermellini ricordano che le due ipotesi non sono perfettamente coincidenti in quanto nell’art. 186, comma 2, CdS, la progressione dell’offensiva è scandita non soltanto dal passaggio dall’area delle sanzioni amministrative all’area del penalmente rilevante ma dal trascorrere di due fattispecie di reato diversamente punite.
Anche al reato permanente. Per Sez. III, 27 novembre 2015, n. 47039, il reato permanente è caratterizzato non tanto dalla reiterazione della condotta, quanto, piuttosto, da una condotta persistente (cui consegue la protrazione nel tempo dei suoi effetti e, pertanto, dell’offesa e del bene giuridico protetto) e non è quindi riconducibile nell’alveo del comportamento abituale come individuabile ai sensi dell’art. 131-bis c.p., sebbene possa essere certamente oggetto di valutazione con riferimento all’indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza sarà tanto più difficilmente rilevabile quanto più tardi sia cessata la permanenza.
Anche al reato formale di reati. Sempre per Sez. III, n. 47039/2015, essendo il concorso formale tra i reati (violazione di due o più distinte violazioni di legge, pacificamente tra loro concorrenti, stante la diversità del bene giuridico tutelato) caratterizzato da una unicità di azione od omissione, risulta impossibile collocarlo tra le ipotesi di “condotte plurime, abituale e reiterate” menzionate nel terzo comma dell’art. 131-bis c.p., mentre riguardo ai “reati della stessa indole”, il fatto che la disposizione rivolga l’attenzione al soggetto che abbia commesso più reati, va escluso il concorso formale  in quanto l’espressione va riferita all’unica azione od omissione che ha poi comportato la violazione di diverse disposizioni di legge.
Ma non al reato continuato. Invece, nel caso di commissione di più reati uniti dal vincolo della continuazione, Sez. III, 13 luglio 2015, n. 29897, ha affermato che la particolare tenuità del fatto è esclusa in presenza di reato continuato, che ricade tra le ipotesi di “condotta abituale” ostativa al riconoscimento del beneficio.
Sentenza predibattimentale: non opposizione dell’imputato e del P.M.. Per la sentenza di non doversi procedere, prevista dall’art. 469, comma 1-bis c.p.p., perché l’imputato non è punibile ai sensi dell’art.131-bis c.p., presume che l’imputato medesimo e il pubblico ministero non si oppongano alla declaratoria di improcedibilità, rinunciando alla verifica dibattimentale (Sez. III, n. 47039/2015).
Le parti potrebbero infatti avere interesse ad un diverso esito del procedimento. L’imputato potrebbe mirare all’assoluzione nel merito o ad una diversa formula di proscioglimento o mirare alla prescrizione (per sez. III, con la sentenza n. 27055 depositata il 26 giugno 2015, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p.), considerato che anche che la dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto comporta, quale conseguenza, l’iscrizione del relativo procedimento nel casellario giudiziale.
… la persona offesa non ha alcun veto ma va avvisata. La persona offesa che, diversamente dall’imputato e dal P.M., non ha alcun potere di veto (Sez. IV, n. 31920/2015), mancando una espressa previsione in tal senso, deve essere comunque messa in condizione di scegliere se comparire ed interloquire sulla questione della tenuità e deve ricevere avviso della fissazione dell’udienza in camera di consiglio, con l’espresso riferimento alla specifica procedura dell’art. 469, comma 1-bis, c.p.p., non potendovi sopperire la notifica del decreto di citazione a giudizio, effettuata quando tale particolare esito del procedimento non è neppure prevedibile (Sez. III, n. 47039/2015).
… appello o ricorso in Cassazione avverso pronuncia sulla tenuità? Se la pronuncia avviene in camera di consiglio, l’unico rimedio esperibile avverso la pronuncia che dichiara l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è il ricorso per cassazione.
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità è unanime nel ritenere che, indipendentemente dalla qualificazione datane dal giudice, la sentenza pronunciata in pubblica udienza (anche per una causa di improcedibilità dell’azione come la tenuità del fatto o di estinzione del reato), dopo la formalità di verifica della costituzione delle parti, deve considerarsi come sentenza dibattimentale ed è pertanto soggetta ad appello. In questi casi, il ricorso immediato in Cassazione per violazione di legge costituisce, quindi, ricorso per saltum, con la conseguenza che, se il suo accoglimento comporti l’annullamento con rinvio, il giudice del rinvio è individuato in quello che sarebbe competente per l’appello (ancora Sez. III, n. 47039/2015).

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Tenuità del fatto: il vademecum della Cassazione - PENALE e PROCESSO | Diritto e Giustizia

venerdì 25 marzo 2016

La nuova disciplina dell’omicidio stradale in Gazzetta Ufficiale

Con l’art. 589 bis è stata introdotta nel codice penale la nuova fattispecie incriminatrice dell’omicidio stradale, caratterizzata da un rigore sanzionatorio senza precedenti. Il legislatore della novella mira a trattare in maniera organica tutti gli omicidi colposi che si verificano in seguito alla violazione delle norme sulla circolazione stradale, anche quando sono commessi da conducenti in stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica dovuta all’uso di sostanze stupefacenti.
Disciplina analoga dal punto di vista della ratio legis è prevista dall’art. 590 bis c. p. per le lesioni personali gravi o gravissime caratterizzate dall’essere state cagionate a seguito della violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e/o da conducente ebbro o stupefatto.
Nella Gazzetta Ufficiale n. 70 del 24 marzo 2016 è stata pubblicata la Legge 23 marzo 2016, n. 41 che introduce il reato di omicidio stradale e il reato di lesioni personali stradali.
Con l’introduzione dell’art. 589 bis c. p. il legislatore interviene in una materia, quella della circolazione stradale, che è stata oggetto negli ultimi anni di numerose novelle, sempre sull’onda dell’emergenza, con l’intento questa volta di offrire una disciplina organica in relazione a fatti omicidiari commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale ovvero da conducenti ebbri o in stato di alterazione psicofisica dovuta all’uso di sostanze stupefacenti (analoga disciplina è prevista per le lesioni personali gravi o gravissime di cui all’art. 590 bis c. p.).
Anche questo intervento - che tenta di dare una risposta al fenomeno cosiddetto della criminalità stradale, cioè di quel settore delinquenziale il cui tratto comune è costituito dalla violazione delle regole relative alla circolazione stradale - si caratterizza unicamente per l’inasprimento sanzionatorio, mezzo questo che si è già in passato dimostrato assolutamente inidoneo a prevenire la commissione di reati connessi alla guida di veicoli in stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica dovuta alla assunzione di sostanze stupefacenti. L’esperienza, infatti, insegna che soluzioni siffatte, oltre che portatrici di una significativa dose di irrazionalità nel sistema, si sono sempre rivelate sterili ed inadeguate dal punto di vista della politica criminale.
Tanto premesso, va evidenziato che la nuova fattispecie è costruita in termini di delitto colposo, per cui consente di superare l’annosa questione relativa all’elemento psicologico che caratterizza i reati aggravati dalla violazione delle regole della circolazione stradale (colpa con previsione o dolo eventuale) e la conseguente oscillazione giurisprudenziale: recita il comma 2 dell’art. 589 bis c. p.: Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope …, cagioni per colpa la morte di una persona ….
Dunque, la nuova norma cerca di racchiudere tutte le ipotesi di omicidio colposo in qualche maniera collegate alla circolazione stradale. In particolare, al comma 1 dell’art. 589 bis in commento, si punisce con la pena della reclusione da due a sette anni l’ipotesi per così dire base, vale a dire quella prima disciplinata dal comma 2 dell’art. 589 c. p. e relativa al fatto commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale (con la conseguenza che tale inciso è stato eliminato dal comma 2 dell’art. 589 c. p., che attualmente è relativo solo ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), lasciando immutata la cornice edittale.
Ai successivi commi sono previste, invece, le ipotesi aggravate: in particolare, al comma 2, si punisce con la pena della reclusione da otto a dodici anni l’omicidio stradale commesso dal conducente in stato di grave ebbrezza alcolica (oltre 1.5 g/l) o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti (tale previsione ha comportato l’abrogazione del comma 3 dell’art. 589 c. p., che prevedeva l’omicidio colposo aggravato dallo stato di ebbrezza o di alterazione psicofisica dovuta all’uso di sostanze stupefacenti del conducente); per i conducenti professionali, invece, il comma 3 dell’art. 589 bis c. p. ritiene sufficiente un tasso alcolico superiore a 0.8 g/l.
Al comma 4, si punisce con la pena della reclusione da cinque a dieci anni l’omicidio stradale commesso dal conducente in stato di ebbrezza alcolica media (tra 0.8 g/l e 1.5 g/l) ed al comma 5, dal conducente che ecceda i limiti di velocità (procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita) o che attraversi un’intersezione con il semaforo rosso o che circoli contromano o che inverta la marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua.
Sono poi previsti vari aumenti di pena:
- per il conducente che non abbia conseguito la patente di guida o abbia la patente sospesa o revocata o non abbia assicurato il proprio veicolo a motore (art. 589 bis, comma 6, c. p.);
- per il conducente che provochi la morte di più persone ovvero la morte di una o più persone e le lesioni di una o più persone: in tal caso è prevista l’applicazione della pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni aumentata fino al triplo, fissando il tetto massimo in diciotto anni (art. 589 bis, comma 8, c. p.);
- per il conducente che, dopo aver cagionato l’omicidio stradale, si dia alla fuga (art. 589 ter c. p.): in tal caso l’aumento previsto va da un terzo a due terzi e in ogni caso non può essere inferiore a cinque anni. A tale ultimo proposito, si rileva che l’espressione utilizzata dal legislatore - «la pena è aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a cinque anni» - risulta poco felice. Ed invero, è evidente che è l’aumento di pena a non poter essere inferiore a cinque anni e non la pena irroganda, altrimenti si creerebbe un ingiustificato trattamento di favore nei confronti del conducente in grave stato di ebbrezza che si dia alla fuga, nel senso che sarebbe punito con una pena inferiore a quella minima di otto anni prevista dal comma 2 dell’art. 589 bis c. p., che sicuramente è di minore gravità, non essendo l’omicidio seguito dalla fuga.
A tale ultimo proposito, va evidenziato che attualmente la fuga dopo un sinistro stradale è ipotesi criminosa che costituisce autonoma figura di reato, disciplinata dall’art. 189, comma 6, c.d.s. e punita con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni. Quella di cui all’art. 589 ter c. p. costituisce, dunque, una ipotesi speciale rispetto alla fattispecie generale disciplinata dal codice della strada.
Sempre nell’ottica della comminazione di una pena esemplare, il legislatore all’art. 590 quater c. p. ha previsto il divieto di equivalenza o prevalenza di eventuali circostanze attenuanti con le circostanze aggravanti di cui ai commi 2, 3, 4, 5 e 6 dell’art. 589 bis c. p. e di cui all’art. 589 ter c. p., per cui le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti. In tal modo ha evitato che il giudice possa bilanciare le circostanze ed addivenire all’irrogazione di una pena che possa scendere al di sotto del minimo edittale (un regime analogo - come si è visto - era stato adottato anche prima della novella in commento, posto che l’art. 590 bis c. p. prevedeva il divieto di equivalenza o prevalenza di eventuali circostanze attenuanti nel giudizio di bilanciamento con la circostanza aggravante della violazione delle norme della circolazione stradale).
È poi prevista una circostanza attenuante, per effetto della quale la pena è diminuita fino alla metà, quando l’evento, pur cagionato dalle condotte imprudenti sopra descritte, sia conseguenza anche di una condotta della vittima o di terzi («qualora l’evento non sia esclusiva conseguenza dell’azione o dell’omissione del colpevole», recita il comma 7 dell’art. 589 bis c. p.).
Anche le sanzioni accessorie sono particolarmente severe, sol che si consideri che è previsto che in caso di omicidio stradale - anche quando venga concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena - sia comunque disposta la revoca della patente di guida, con la previsione di tempi particolarmente lunghi per poterla conseguire nuovamente: nel caso di fuga in seguito ad omicidio stradale si arriva addirittura a trenta anni.
Solo un cenno, per concludere, a due delle più importante modifiche di natura processuale: è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza nelle ipotesi di omicidio stradale, limitatamente ai casi disciplinati dai commi 2 e 3 dell’art. 589 bis c. p. (è, altresì, previsto l’arresto facoltativo in flagranza nei casi di lesioni colpose stradali gravi o gravissime) e, quanto alla vocatio in ius, è prevista la citazione diretta a giudizio innanzi al tribunale in composizione monocratica (e la sottrazione alla competenza del giudice di pace delle lesioni personali).

Qui la Legge n. 41/2016:Microsoft Word - Documento3

Fonte: www.quotidianogiuridico.it

Ferrara: circa 50 clienti defraudati contro Il commercialista

Quasi 500mila euro di contributi, imposte e tasse mai versate per conto dei propri clienti. Per la precisione 497.800 euro. È questa la cifra di cui secondo la procura si sarebbe illegittimamente appropriato il ragioniere Riccardo Schincaglia, denunciato da una cinquantina di professionisti e attività che si affidavano al professionista per regolare i propri conti col fisco. Solo per poi scoprire, nel 2013, che nei 13 anni precedenti centinaia di migliaia di euro non erano mai arrivate nelle casse dell’erario. E dopo aver ricevuto decine di avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, hanno deciso di denunciare Schincaglia per chiedere la restituzione di tutte le somme mancanti, oltre ai risarcimenti per le sanzioni che si sono trovati costretti a pagare.

Per i circa 50 ex clienti del commercialista infatti al danno si è aggiunta una beffa non da poco: l’Agenzia delle Entrate ha infatti conteggiato pesanti rincari per chi negli anni dal 2000 al 2013 si affidò alle prestazioni del commercialista. In alcuni casi le contestazioni riguardano pochi anni, ma altri ricoprono tutti i 13 anni presi in esame dall’inchiesta del pm Nicola Proto, che ieri mattina è comparso davanti al gip Monica Bighetti per chiedere il rinvio a giudizio di Schincaglia, al fianco degli avvocati delle parti che si costituiranno parti civili: non solo gli ex clienti, ma anche l’Agenzia delle Entrate. I primi sarebbero vittime di appropriazione indebita, mentre l’ente tributario di truffa aggravata. L’udienza si è conclusa con un rinvio da parte del giudice, che ha chiesto a Proto di riformulare con alcune informazioni aggiuntive i capi di imputazione (elencando nel dettaglio le singole appropriazioni indebite).

A prescindere da quello che sarà l’esito dell’eventuale processo penale, traspare preoccupazione da parte dei legali delle parti lese, in particolare circa la possibilità di ottenere gli agognati risarcimenti: non è certo infatti che Schincaglia disponga delle risorse sufficienti ad appianare le centinaia di migliaia di euro che potrebbe essere condannato a versare in caso di sconfitta nel processo. Una cifra in cui i 497mila euro oggetto della presunta appropriazione indebita si sommeranno a ingenti richieste di danni morali. Molti ex clienti del commercialista si trovano infatti a dover pagare all’Agenzia delle Entrate tutte le cifre mai versate a causa delle presunte omissioni di Schincaglia e le uniche sospensioni nei pagamenti – dovute all’avvio dell’inchiesta – sono relative alle sanzioni aggiuntive disposte dall’ente.

“Auspico che la vicenda si risolverà per il meglio, ma nutro forti forti dubbi circa il completo ristoro economico dei danni patiti”, dichiara l’avvocato Emiliano Mancino, legale di due ex clienti del commercialista che chiederanno ciascuno circa 50mila euro di danni morali, oltre alla restituzione di tutte le somme mai versate al fisco. In seguito all’indagine, condotta dalla Guardia di Finanza, Schincaglia non subì il sequestro preventivo di proprietà o liquidità.

Fonte: www.estense.com/Circa 50 Clienti Defraudati Contro Il Commercialista | Estense.com Ferrara

giovedì 24 marzo 2016

Canone Rai, la dichiarazione per chi non ha la Tv

È stato firmato ieri dal direttore dell’agenzia delle Entrate il provvedimento che spiega come fare per evitare di pagare il canone nella bolletta elettrica quando non si possiede un apparecchio televisivo (o comunque adatto a ricevere le trasmissioni).
Si tratta (in esecuzione di quanto stabilisce la legge di Stabilità, articolo 1, comma 153, lettera a) di autocertificazioni da presentare all’agenzia delle Entrate entro il 10 maggio 2016, direttamente dal contribuente (o dall’erede) mediante una specifica applicazione web disponibile sul sito internet dell'Agenzia delle entrate, utilizzando le credenziali Fisconline o Entratel rilasciate dall'Agenzia delle entrate; oppure (cosa che avverrà nella maggior parte dei casi e ovviamente a pagamento) tramite gli «intermediari abilitati», appositamente delegati dal contribuente. Questa prima dichiarazione avrà effetto per tutto il 2016.L’autocertificazione consiste in una dichiarazione sostitutiva di «non detenzione di un apparecchio televisivo da parte di alcun componente della famiglia anagrafica in alcuna delle abitazioni per le quali il dichiarante è titolare di utenza di fornitura di energia elettrica».
Nei casi in cui non sia possibile la trasmissione telematica, l’autocertificazione potrà essere inviata entro il 30 aprile 2016, allegando una copia di un valido documento di riconoscimento, a mezzo del servizio postale in «plico raccomandato senza busta» al seguente indirizzo: Agenzia delle entrate, Ufficio di Torino 1, S.A.T. – Sportello abbonamenti TV - Casella Postale 22 - 10121 Torino. La dichiarazione si considera presentata nella data di spedizione risultante dal timbro postale.

Per scaricare il modello clicca qui: mod_RLI telem__AG IMM_modello

Fonte: www.ilsole24ore.com

Al via il Processo Amministrativo Telematico: pubblicate le regole tecnico-operative

È stato pubblicato sulla G.U. del 21/3/2016 il D.P.C.M. 16/2/2016 n. 40 recante "Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico".
Il predetto D.P.C.M. entra in vigore il 5/4/2016.
La pubblicazione del citato decreto era attesa da tempo e, proprio nell'ottica della digitalizzazione della giustizia, ci si aspettava il provvedimento sulle regole tecniche del processo amministrativo telematico (PAT), previsto dall'art. 13 delle disposizioni di attuazione del codice del processo amministrativo (CPA - Allegato 1 al D.Lgs. 2/7/2010,n. 104).
Dette regole tecnico-operative (così sono state definite perché racchiudono le regole e le specifiche tecniche) andranno coniugate, pertanto, con il CPA.
Gli articoli 1 sia delle regole tecniche sia delle specifiche forniscono le definizioni tra cui si segnalano le seguenti:
il SIGA che è il sistema informativo della giustizia amministrativa costituito dall'insieme delle risorse hardware e software, mediante le quali la giustizia amministrativa tratta in via automatizzata attività, dati, servizi, comunicazioni e procedure relative allo svolgimento dell'attività processuale;
il portale dei servizi telematici: struttura tecnologica-organizzativa che fornisce l'accesso ai servizi telematici resi disponibili dal SIGA, secondo le regole tecnico-operative;
il gestore dei servizi telematici: sistema informatico che consente l'interoperabilità tra i sistemi informatici utilizzati dai soggetti abilitati, il portale dei servizi telematici e il gestore di posta elettronica certificata della giustizia amministrativa;
Sito istituzionale: il sito internet della Giustizia amministrativa www.giustizia-amministrativa.it
È interessante notare come il predetto art. 1 delle regole tecniche (lett. i) fornisca anche la definizione di firma digitale mutuandola dal Codice dell'Amministrazione Digitale sebbene le due definizioni non siano identiche; ciò, tuttavia, dimostra come – pur essendo vicina la data di entrata in vigore del Regolamento EU n. 910/2014 (c.d. eIDAS) che riforma il sistema delle firme elettroniche – il Governo abbia comunque optato per la firma digitale.
Questa impostazione non è di poco conto, da un lato perché il nuovo Regolamento eIDAS non fornisce una definizione di firma digitale posto che la stessa è "un particolare tipo di firma elettronica avanzata" così come, peraltro, definita dal CAD (art. 1, lett. s) e quindi da considerare come firma elettronica. Le prossime modifiche che saranno apportate al CAD considerano ovviamente anche la firma digitale che, alla luce del citato Regolamento, sarà ricompresa nel novero delle firme elettroniche; nonostante ciò si è deciso di fare riferimento alla firma digitale.
Analogamente a quanto avviene nel PCT, anche nel PAT è previsto il fascicolo informatico che raccoglie e contiene tutte le informazioni del processo amministrativo. Anche i registri sono gestiti con modalità informatiche. I dati presenti nel fascicolo godono della conservazione per 5 anni e le specifiche tecniche presenti in allegato al DPCM si esprimono in termini di "caratteristiche di inalterabilità ed integrità" lasciando supporre che il sistema sia strutturato secondo i principi della conservazione documentale prevista dal CAD (art. 44).
Così come previsto per il PCT nel PAT i magistrati utilizzano il software denominato "scrivania del magistrato" per la gestione dei fascicoli e dei provvedimenti e comunque per tutte le attività di competenza.
Riguardo alle modalità di deposito del ricorso e degli atti successivi al ricorso l'art. 6, commi 1 e 2, delle specifiche tecniche (che richiama l'art. 9 del Regolamento) prevedono l'utilizzo di modelli in formato PDF denominati rispettivamente "ModuloDepositoRicorso" e "ModuloDepositoAtto", entrambi scaricabili dal Sito Istituzionale. Ciascuno dei preetti moduli saranno compilati producendo un documento informatico che dovrà essere sottoscritto con firma digitale PAdES.
Si vuole evidenziare che è stata effettuata una scelta tecnica nell'individuazione del formato di firma PAdES quale unica modalità di sottoscrizione digitale e, quindi, non sarà possibile sottoscrivere digitalmente i documenti informatici mediante il formato di firma CAdES, nonostante attualmente il CAD preveda entrami i formati di firma. Si ribadisce quanto già detto in ordine alla scelta della firma digitale in relazione al Regolamento UE 910/2014 (eIDAS) che dal luglio 2016 sarà efficace in ogni Stato membro e prevarrà rispetto alle norme del CAD se incompatibili.
Altro aspetto di rilievo riguarda il deposito telematico che potrà essere effettuato via PEC (art. 6, comma 7, delle specifiche tecniche), lasciando come soluzione residuale (si afferma testualmente "Nel caso in cui non sia possibile, per comprovate ragioni tecniche" oppure se "la dimensione del documento da depositare superi i 30 MB") il sistema dell'upload tramite il sito istituzionale.
Rispetto al PCT la novità per il PAT è relativa al momento del deposito, sia perché le ricevute sono tre invece di quattro e sia perché per la validità del deposito si considera la ricevuta di accettazione (la prima delle ricevute) ma soltanto successivamente alla ricezione da parte del depositante della terza ricevuta inviata dal S.I.G.A. che è denominata "registrazione di deposito". Sarebbe stato più corretto considerare effettuato il deposito alla ricezione, da parte del depositante, della seconda ricevuta di PEC, quella di consegna. Il sistema della validità del deposito a mezzo PEC condizionato dalla ricezione della terza ricevuta da parte del S.I.G.A. lascia perplessità posto che così vengono sminuite le funzioni e le caratteristiche della PEC. Del resto, ma ciò rileva marginalmente, nel PCT il deposito si considera effettuato proprio con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna.
È di estremo interesse, anche perché in linea con soluzioni analoghe utilizzate in altri sistemi giudiziari, il deposito tramite upload, con il limite che deve essere indicato il motivo del mancato deposito via PEC. Se il sistema consente questa soluzione sarebbe stato irrilevante depositare con l'una o con l'altra modalità. La prova del deposito è generata automaticamente dal S.I.G.A. Restando in tema di deposito telematico, le specifiche tecniche dispongono (art. 6, comma5) che "I documenti digitali da allegare ai moduli di cui ai commi 1 e 2, compreso il ricorso, sono inseriti in un unico contenitore. La firmadigitale PAdES, di cui al comma 4, si intende estesa a tutti i documenti in essi contenuti".
I formati dei file ammessi per l'atto del processo sono quelli con le seguenti estensioni: PDF-PDF/A-TXT-RTF-ZIP-RAR; per gli allegati e la procura sono esclusivamente utilizzabili le seguenti estensioni: PDF ottenuto da trasformazione di un documento testuale, TXT, XML, JPG, IPEG, GIF, TIF, TIFF, EML, MSG, ZIP, RAR.
Le comunicazioni avvengono tramite PEC.
Riguardo alle notificazioni l'art. 14 delle specifiche tecniche (che richiama gli artt. 8 e 14 del Regolamento) dispone che "Le notificazioni da parte dei difensori possono essere effettuate esclusivamente utilizzando l'indirizzo PEC risultante dai pubblici elenchi, nei confronti dei destinatari il cui indirizzo PEC risulti dai medesimi pubblici elenchi.
Le notificazioni nei confronti delle pubbliche amministrazioni non costituite in giudizio sono effettuate esclusivamente avvalendosi degli indirizzi PEC del Registro delle P.P. AA., fermo restando quanto previsto, anche in ordine alla domiciliazione delle stesse, dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato".
Il successivo comma 3 dell'art. 14 stabilisce che "Il difensore procede al deposito della copia per immagine della procura conferita su supporto cartaceo e ne attesta la conformità all'originale, ai sensi dell'articolo 22 del CAD, mediante sottoscrizione con firma digitale". È inutile precisare che l'attestazione di conformità della procura appare superflua nel momento in cui si appone alla stessa la firma digitale.
Riguardo alla richiesta di copie così come disciplinato dagli articoli 16 sia delle specifiche tecniche e del Regolamento non si è voluto attribuire all'avvocato il potere di autentica della conformità di atti e documenti lasciando che la formalità sia eseguita mediante regolare richiesta telematica e con il pagamento dei diritti.
In conclusione, considerata l'esperienza già maturata per il PCT, ci si aspettava francamente soluzioni giuridicamente e tecnicamente più evolute, mentre a parere d chi scrive l'intero sistema denota una sostanziale involuzione che non tiene affatto conto delle risorse tecnologiche e dei principi di diritto sia di natura processuale sia sostanziale.

Fonte: www.ilsole24ore.com//Al via il Processo Amministrativo Telematico: pubblicate le regole tecnico-operative

Lui impotente, lei consapevole: matrimonio nullo. Niente revocazione

‘Tempi supplementari’ in Cassazione. Obiettivo della richiesta presentata da una donna è rimettere in discussione l’efficacia della pronuncia del Tribunale ecclesiastico con cui è stata sancita la nullità del matrimonio a causa dell’impotenza dell’uomo.

Tutto inutile, però. Impossibile ottenere la revocazione della decisione ufficializzata dai Giudici di cassazione. Così ha deciso la Suprema Corte con l’ordinanza n. 5364/2016 del 17 marzo 2016.

Impotenza. Secondo il legale della donna, sono evidenti gli errori commessi dai Magistrati della Cassazione, errori che hanno condotto alla conferma della decisione emessa in Corte d’appello, cioè «la dichiarazione di efficacia ed esecutività nell’ordinamento italiano della pronuncia del Tribunale ecclesiastico» con cui è stato dichiarato «nullo il matrimonio concordatario» per l’«impotentia coeundi» dell’uomo.

Diverse le presunte lacune poste in evidenza. Complessivamente, in Cassazione, sostiene il legale, ci si sarebbe limitati ad una «acritica adesione alla motivazione fornita dal giudice di merito», motivazione che «non considerava prove acquisite agli atti e risultanze processuali», come, ad esempio, «gli esiti della consulenza medica espletata in sede ecclesiastica».

Obiettivo, come detto, è la «revocazione» della pronuncia della Cassazione, pronuncia che ha ritenuto riconoscibile la «nullità del matrimonio» a causa del problema fisico dell’uomo.

Ma le contestazioni mosse dalla donna – che, peraltro, ha anche presentato «atto di rinuncia» – sono generiche, fragili, non certo idonee a mettere in discussione la legittimità della decisione emessa nel 2014 sempre dalla Cassazione.

Non più discutibile, quindi, la «nullità» del rapporto matrimoniale a causa dell’«impotenza» dell’uomo, impotenza facilmente conoscibile dalla donna. Su questo fronte, in particolare, si era fatto riferimento alle «occasioni di intimità» per la coppia durante il «lungo fidanzamento».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it  /Lui impotente, lei consapevole: matrimonio nullo. Niente revocazione - La Stampa

Albergo non all’altezza, vacanza non soddisfacente: risarcimento ai turisti

Confermata la somma riconosciuta alla coppia tornata insoddisfatta dal viaggio: quasi mille e trecento euro. Proteste soprattutto per la struttura alberghiera: su questo fronte si parla di informazioni incomplete e non completamente corrispondenti alla realtà. Fragili le contestazioni mosse da una delle società che ha organizzato la vacanza. Consequenziale, per i giudici di Cassazione, il risarcimento dei danni (Cassazione, sentenza n. 5683/2016, sezione Terza Civile, depositata il 22 marzo 2016).

Hotel. A finire nel mirino sono le due aziende che hanno organizzato la vacanza estiva –ad agosto del 2007 – per la coppia. E secondo i giudici del Tribunale, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di pace, è evidente una carenza a livello informativo nella presentazione del ‘pacchetto’ turistico. Più precisamente, si parla di violazione delle «norme poste a tutela dei viaggiatori, anche con riferimento all’obbligo di informazione» e di «falsa rappresentazione della realtà».

Riflettori puntati, in particolare, sull’hotel che ha ospitato la coppia, e che ha provocato diverse lamentele. E proprio su questo tasto provano a battere i legali di una delle due aziende chiamate in causa, riproducendo addirittura «un brano» della «pubblicizzazione, sul proprio sito internet, dei servizi relativi» alla struttura alberghiera dove i due turisti «sono stati alloggiati nell’ambito del contratto di viaggio».

Ma le obiezioni difensive, caratterizzate anche dal riferimento a due documenti – «un voucher ed un depliant» –, sono troppo generiche e superficiali per poter mettere in discussione le valutazioni compiute in Tribunale.

Confermato, quindi, il «risarcimento» alla coppia, quantificato in «1.251,42 euro». E non più discutibile neanche la «condanna alle spese», pari a «4.478 euro».

Fonte: www.dirittoegiustzia.it/Albergo non all’altezza, vacanza non soddisfacente: risarcimento ai turisti - La Stampa

martedì 22 marzo 2016

Straining: il danno deve comunque essere risarcito dal datore di lavoro anche se non sussistono i parametri del mobbing

È ormai noto in Italia che la fattispecie di "mobbing" sia priva di una disciplina chiara ed unitaria.

A tale carenza ha tentato di sopperire la Corte di Cassazione che nel tempo, attraverso i suoi provvedimenti, ha interpretato e delineato le caratteristiche ed i punti essenziali della fattispecie di mobbing. In particolare, in una sentenza del 2012 n.87, gli ermellini forniscono una chiara definizione di mobbing quale: "una condotta del datore di lavoro sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente negli ambienti di lavoro che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del lavoratore, con effetto lesivo del suo equilibrio fisio-psichico e della sua personalità".

Attraverso tale definizione si evincono tutti i parametri che devono sussistere poiché possa verificarsi all'interno di una fattispecie un danno da "mobbing".

Cosa accade però quando non ricorrono tutte le condotte appena citate ma solo alcune di queste? Quale tipo di richiesta di risarcimento del danno potrà avanzare la vittima?

A tale domanda fornisce una risposta la Corte di Cassazione Civile attraverso la recente sentenza n. 3291 del 19 febbraio 2016.

Il caso da cui traeva origine la pronuncia degli Ermellini concerneva proprio una richiesta di risarcimento del danno da mobbing e demansionamento che una dottoressa, dipendente di un'azienda ospedaliera, riteneva di aver subito sul posto di lavoro.

Volendosi soffermare in questa sede sulla configurazione o meno del danno da mobbing, preme sottolineare che la vittima in questione dava risalto, in particolare, a due episodi specifici in cui si sarebbero palesati atti vessatori da parte del suo superiore nei suoi confronti. Il primo risalente al momento in cui la dottoressa aveva effettuato una consulenza all'interno del reparto in cui lavorava "senza il consenso del primario, cui il primario aveva reagito con un atteggiamento aggressivo culminato con il gesto di stracciare la relazione di consulenza della vittima che avrebbe dovuto essere allegata alla cartella clinica del paziente interessato...". Il secondo episodio facente riferimento " alla mancata consegna da parte dello stesso primario della scheda di valutazione della dottoressa". Gli ermellini nel giudicare tali vicende, confermavano quanto statuito dai giudici di secondo grado, ovvero l'esclusione della configurazione di un danno da mobbing derivante dai due episodi in questione. Invero, nelle due vicende, mancava " ..l'elemento della oggettiva frequenza della condotta ostile, al di là della soggettiva percezione da parte della vittima di una situazione di costante emarginazione" e pertanto tali episodi non sarebbero stati da soli sufficienti ad integrare la fattispecie di mobbing e determinarne il risarcimento. In tal senso la Cassazione affermava che il danno subito dalla dottoressa dovesse invece rientrare nella fattispecie di Straining ( dall'inglese « forzatura » o « mettere sotto pressione ») ovvero : "… una situazione lavorativa conflittuale di stress forzato, in cui la vittima subisce azioni ostili limitate nel numero e/o distanziate nel tempo ( quindi non rientranti nei parametri di mobbing) ma tale da provocarle una modificazione in negativo, costante e permanente, della condizione lavorativa…". Lo straining può essere quindi definito quale forma più attenuata di mobbing in cui la vittima è soggetta ad atti di discriminazione isolati ed a una condizione lavorativa stressante. Invero, la vittima di straining si ritrova in una situazione di stress forzato con conseguenze psicofisiche e/o esistenziali ( nel caso di specie " alla dottoressa era stato rilevato un danno biologico del 10% in relazione ad un disturbo di adattamento con ansia e umore depresso poi cronicizzato, a causa della situazione disagevole nella quale la danneggiata era stata mandata ad operare.).

Concludendo, nel caso in analisi, gli ermellini confermavano quanto già statuito dai giudici di merito e riconoscevano alla vittima un risarcimento del danno da straining e non da mobbing mantenendo comunque inviolato il principio tra il chiesto ed il pronunciato. Invero, le due fattispecie di reato erano, tra l'altro, entrambe riconducibili alla condotta contraria all'articolo 2087 c.c.

Tale norma sancisce espressamente che: "L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".

Nel caso di specie il primario, seppur saltuariamente, aveva comunque posto in essere una condotta contraria a quella prevista dalla norma appena citata e pertanto ciò legittimava la vittima ad essere risarcita conformemente ai parametri dello straining.

Fonte: www.ilsole24ore.com//Straining: il danno deve comunque essere risarcito dal datore di lavoro anche se non sussistono i parametri del mobbing

venerdì 18 marzo 2016

Dà del “mongolo” allo zio: condannato per un ‘sms’

“Mongolo” e “ladro”. Così, tramite messaggio, il nipote apostrofa lo zio. Logica, e non discutibile, la condanna per il reato di ingiuria: è evidente la carica offensiva delle parole utilizzate dall’uomo nei confronti del familiare. Così ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11416/16, del 17 marzo scorso.
Volgarità. La linea difensiva utilizzata dal nipote davanti alla Cassazione è stata finalizzata a sminuire il valore negativo dei termini adoperati nei confronti dello zio.
Riferimento decisivo, secondo il legale, è l’«evoluzione dei costumi sociali».
Ma tale visione modernista viene respinta in modo netto dai Giudici di Cassazione. Ciò perché pare lapalissiana, secondo i Magistrati, la «carica offensiva del messaggio» inviato dall’uomo al telefonino dello zio.
Non discutibile il «carattere oggettivamente ingiurioso» delle parole utilizzate, cioè “mongolo di m...a” e “ladro”: ci si trova di fronte, spiegano i Giudici, a «gratuiti e volgari insulti», assolutamente inaccettabili a prescindere dal contesto.
Tutto ciò conduce alla conferma della condanna per il nipote.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Dà del “mongolo” allo zio: condannato per un ‘sms’ - La Stampa

Lo stalking è violenza alla persona

Lo stalking rientra tra i delitti commessi con violenza sulla persona e la vittima deve essere informata sulla richiesta di archiviazione. Le Sezioni unite della Cassazione, con la sentenza 10959 depositata ieri, dirimono il contrasto in merito all'interpretazione dell'espressione «delitti commessi con violenza alla persona». Secondo un primo orientamento la disciplina di favore sarebbe limitata ai soli casi di violenza fisica, mentre per la tesi opposta va estesa anche alle ipotesi di violenza morale. Le Sezioni unite scelgono questa seconda via.

Un'interpretazione estensiva imposta da un'attenta lettura sia della normativa interna sia delle fonti sovranazionali.

I giudici ricordano che da tempo è in atto un fenomeno di emersione e di nuova considerazione della posizione della persona offesa, negli strumenti internazionali generalmente indicata come “vittima” all'interno del processo penale. Attenzione sollecitata dai sempre più frequenti casi di violenza di genere e nei confronti dei soggetti deboli. Tra gli strumenti più significativi i giudici indicano la direttiva 2012/29 Ue in materia di diritti, assistenza e protezione della vittima di reato, attuata nell'ordinamento interno con il Dlgs 212/2015. Una direttiva, corredata da provvedimenti satellite, che va certamente nella direzione di un rafforzamento nella tutela delle vittime di reati attraverso una chiara posizione dell'offeso.

Fonte: www.ilsole24ore.com//Lo stalking è violenza alla persona

giovedì 17 marzo 2016

“Non cliccate su quel link”, i consigli per evitare di farsi svaligiare conti e carte di credito

Era stato ribattezzato il Celebgate, il Watergate delle celebrità e delle loro foto più intime. Quasi due anni fa, nell’estate 2014, erano apparse online, su vari siti e forum, centinaia di immagini rubate ad attrici e modelle americane. Gli scatti più personali, e spesso svestiti, di decine e decine di star e starlette - a partire da Jennifer Lawrence, Kate Upton, Kim Kardashian, Rihanna - erano finiti in Rete. Molti di questi erano stati prelevati dagli account iCloud delle vittime. Ma in che modo? La Apple all’epoca aveva smentito che la causa potesse essere una falla del proprio servizio di backup online, ma i dettagli di come avessero agito i ladri di foto erano rimasti oscuri.
Ora invece abbiamo almeno due notizie. La prima è che è stato arrestato - e a quanto pare reo confesso - il responsabile del furto. Si tratta di Ryan Collins, 36 anni, di Lancaster (Pennsylvania). L’uomo avrebbe sottratto le foto dagli account ma ancora non è stato chiarito se a diffonderle online sia stato sempre lui o altri.
La seconda notizia riguarda invece le modalità con cui Collins si sarebbe impadronito delle immagini. Ovvero con un attacco di phishing mirato alle celebrità di Hollywood, come riporta la testata Fusion.
In pratica Collins avrebbe violato gli account personali delle oltre cento vittime inviando loro delle email fraudolente. Le mail sembravano provenire da Apple o da Google e arrivavano da indirizzi come e-mail.protection318@icloud.com, secure.helpdesk0019@gmail.com e così via. Collins chiedeva alle vittime di reinserire le loro credenziali Gmail o iCloud con una scusa e queste evidentemente hanno abboccato in massa, credendo che la mail arrivasse dal loro legittimo fornitore di posta o da Apple. In questo modo, facendo incetta di credenziali, Collins sarebbe entrato in 50 account iCloud e 72 account Gmail, quasi tutti appartenenti a Vip. Non solo: in alcuni casi l’uomo è riuscito a scaricare l’intero backup delle vittime, usando probabilmente uno dei programmi - come Elcomsoft Phone Password Breaker - impiegati anche dalle forze dell’ordine per acquisire prove dai telefoni.
NON SOLO APPLE E VIP: MA BANCHE, SUPERMERCATI, TELEFONIA
Ma il phishing non colpisce solo le celebrità di Hollywood. È una tecnica versatile usata contro molti target diversi. A cominciare da utenti e consumatori, che non sono presi di mira in genere per le loro foto ma per i loro conti bancari e le carte di credito. “Il phishing nei confronti di utenti Apple si è molto diffuso negli ultimi due anni anche in Italia”, spiega a La Stampa Denis Frati, che dal 2009 esamina campagne di email fraudolente e relativi siti posticci, e che con la sua azienda D3Lab lavora con le imprese colpite da tali attacchi. La Stampa ha visitato due siti di phishing italiani mirati a clienti Apple. Le varie schermate di accesso e la grafica sono riprodotte bene. Anche se ovviamente l’indirizzo del sito è diverso da quello originale.
In genere funziona così: i cybercriminali mandano finte email di Apple, in cui dicono che ci sono dei problemi sull’account del cliente, o che questo è stato bloccato e vanno reinseriti i dati per sbloccarlo; mettono un link che manda a un sito clone della casa di Cupertino con una finta pagina di login; e si rubano sia l’accesso a iCloud sia i dati della carta di credito.
A finire oggetto di questi attacchi, sempre di più anche in Italia, non sono ovviamente solo utenti Apple (o di altre aziende tech come WhatsApp). Ma anche i clienti di operatori telefonici, supermercati e perfino distributori di carburante, oltre alle banche. Con le banche, come vedremo, anche chi utilizza dei token, le chiavette con cui si generano codici al volo per entrare nei propri account, non è più al sicuro.
OCCHIO ALL’OFFERTA VIA SMS
Gli attacchi di phishing via Sms si sono intensificati in Italia negli ultimi due anni. Come funzionano? Arrivano dei messaggi di testo sui cellulari degli utenti con l’invito ad aderire a una qualche offerta, ad esempio l’acquisto scontato di carburante al costo di un solo euro al litro. A inviarli, apparentemente, una noto fornitore di gas. Nel messaggio c’è il link a un sito web per poter accedere e usufruire dello sconto. Ma quel sito è un falso, è un clone di quello vero, e quando l’utente inserirà i dati della propria carta di credito per acquistare il carburante a buon prezzo, questi andranno in mano ai truffatori. Oppure si tratta di un’offerta imperdibile inviata, apparentemente, da un centro commerciale o un supermercato. Anche qui stesso percorso su sito clone, inserimento dati, furto.
«L’uso degli Sms come veicolo di attacco risulta molto insidioso anche perché rende più complessa l’attività di monitoraggio. L’Sms transita al di fuori dei canali di ascolto delle società impegnate nel controllo di spam e frodi, con la conseguente difficoltà a identificare la truffa e a procedere con la messa offline del sito clone», prosegue Frati. Anche per questo motivo, la reazione migliore di una società colpita da campagne di phishing sarebbe quella «di avvisare i clienti sul web e sui social network, spiegando di essere sotto tiro di cybercriminali, ricevendo in risposta dai visitatori le segnalazioni dei siti cloni contro cui intervenire. Purtroppo non è una reazione così scontata». A volte sono proprio gli stessi utenti a segnalare online per primi la campagna d’attacco.
Tornando al phishing via Sms, come funziona lato criminali? Basta procurarsi un certo numero di schede sim (pagando qualche poveraccio incontrato in stazioni e luoghi simili perché se le intesti), ricaricarle con carte di credito già frodate, metterle in dispositivi con uno script per l’invio di massa di Sms. In alternativa ci sono molti servizi online di invio di messaggini a costi irrisori. «In Italia ci sono diversi siti che non prevedono controlli molto restrittivi sull’identità di chi usa il servizio. Per cui puoi inviare messaggi in cui il nome del mittente sia una certa banca o chi vuoi tu», commenta Frati. «All’estero mi è capitato di trovare analoghi servizi che vogliono invece verificare che tu sia davvero quello che dici di essere negli Sms».
I TOKEN E L’INTERNET BANKING
Nel caso degli attacchi all’online banking, i sistemi che usano token OTP (One Time Password) aggiungono ovviamente uno strato di protezione aggiuntiva, perché per loggarsi nel proprio account l’utente deve inserire, oltre a una password, un codice generato all’istante da una chiavetta fornita dalla stessa banca. Tuttavia negli ultimi anni alcuni truffatori hanno affinato le loro tecniche, sottraendo in tempo reale anche questi codici. «Usano dei pannelli di gestione nel sito clone che permettono di interagire con le azioni della vittima», spiega ancora Frati. «Quando questa inserisce i suoi dati, il criminale viene avvisato da un suono, corre a vedere i dati inseriti e li usa per loggarsi nel profilo della banca, mentre al contempo manda avanti l’utente sul sito finto». È anche possibile mandare messaggi di errore e far reinserire un’altra volta il codice se alla prima non si riesce. Tutto ciò accade molto rapidamente: il criminale procede così sul sito reale usando le credenziali prese all’utente, mentre questo continua a muoversi sul sito fasullo.
Ad ogni modo, le regole per difendersi sono uguali sia per le star di Hollywood che per gli utenti italiani. Gli esperti raccomandano di non cliccare mai su link di email (o di Sms) che sembrano arrivare da servizi su cui abbiamo aperto dei profili; o che promettono offerte speciali chiedendo dei dati personali o peggio quelli della carta di credito. Nel dubbio, meglio andare in modo autonomo sul sito dell’azienda e verificare l’esistenza della promozione. E controllare sempre bene l’indirizzo del sito in questione.

Fonte: www.lastampa.it//“Non cliccate su quel link”, i consigli per evitare di farsi svaligiare conti e carte di credito - La Stampa

Malformazione feto: strumenti limitati, il medico non ha colpa

Non sussiste alcuna responsabilità in capo ai medici, se l’errata diagnosi è dipesa, non tanto dall’inadeguatezza organizzativa, bensì dall’intrinseca limitatezza tecnica degli strumenti clinici dell’epoca. A sancirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 4540 dell’8 marzo scorso.

Il caso. Due coniugi agivano in giudizio contro i medici della struttura sanitaria a cui si erano rivolti durante la gravidanza della donna. In particolare chiedevano la condanna in solido dei sanitari al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della negligente ed imperita assistenza medica e per l’omessa informazione sull’esistenza di gravissime malformazioni fetali in capo al nascituro, ravvisate solamente alla 32° settimana, ovverosia in un momento in cui non era più possibile ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza.

Respinto il loro ricorso, i coniugi impugnavano la sentenza d’Appello davanti alla Suprema Corte, reputando errato ritenere i medici e la struttura sanitaria esonerati dall’obbligo di informare la gestante circa «la possibilità di più elevate percentuali di successo diagnostico ripetendo l’esame ecografico presso strutture più avanzate».

Possibilità di rivolgersi ad altra clinica. La Cassazione, nel decidere la questione, ricorda il principio ormai pacifico per cui «in tema di responsabilità medica, il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l’obbligo d’informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell’esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti», precisando che, tuttavia, tale principio «non impone un obbligo per ciascun ecografista (…) di rinviare sempre ad un centro maggiormente specializzato».

Deficit organizzativi. L’obbligo di informare la paziente di poter ricorrere a centri più specializzati – spiega la Cassazione – sorge in presenza dell’inadempimento della struttura sanitaria per aver assunto la prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature adeguate, così da generare nella paziente l’affidamento circa il risultato diagnostico ottenuto come quello ragionevolmente definitivo.

Pertanto, l’obbligo protettivo di informazione del paziente, in capo ai sanitari, si concretizza solo quando vi sia stato l’inadempimento della struttura sanitaria dell’obbligo di adeguatezza organizzativa in rapporto all’assunzione della prestazione di spedalità in favore del paziente nonostante il deficit organizzativo.

Il contesto storico. In conclusione, «è corretta la decisione del giudice territoriale (l’Appello, ndr) che ha escluso l’assenza di inadempimento dell’obbligo di informare la gestante sulla presenza di altri centri specializzati e più idonei a rendere una diagnosi di morfologia fetale corretta e completa, giacché  era del tutto arbitrario affermare che la difficoltà nella diagnosi dipendesse, quantomeno all’epoca, dalla mancata visione degli arti nella loro interezza e non dalla rudimentale tecnica dei macchinari in quel periodo utilizzabili». Nel caso di specie, non si può, quindi, parlare di inadeguatezza organizzativa, bensì di intrinseca limitatezza tecnica degli strumenti clinici dell’epoca (1986) in grado di assicurare una percentuale di successo assai contenuta pari al 18%.

Sulla base di tali argomenti la Cassazione ha rigettato il ricorso della coppia.

Fonte: www.ridare.it/Malformazione feto: strumenti limitati, il medico non ha colpa - La Stampa

sabato 12 marzo 2016

Risarcito il danno da mancato apporto in futuro dell’attività di casalinga

In caso di morte in un incidente stradale della madre-moglie di famiglia il giudice può liquidare il pregiudizio patrimoniale circa il mancato apporto in futuro dell’attività di casalinga della defunta, apporto che verrà sostituito dall'impiego di una colf. Ad affermarlo è stato il Tribunale di Milano nella sentenza n. 1845 dello scorso 11 febbraio.
ll caso. Una donna veniva investita da un'auto mentre transitava lungo le strisce pedonali. A causa delle gravi lesioni riportate la donna moriva. I congiunti della vittima richiedevano il risarcimento dei danni patrimoniali e non patiti.
Nessuna responsabilità del pedone. Il Tribunale, ricostruita la vicenda sulla base del verbale della polizia stradale e delle conclusioni contenute nella Ctu, ascrive il sinistro in via esclusiva alla condotta gravemente colpevole del conducente dell’autovettura, a causa dello stato di ebbrezza alcolica nel quale versava.
Danni non patrimoniali. Pertanto, vengono riconosciuti i danni agli attori a titolo di perdita del rapporto parentale. In particolare, il giudice milanese ha liquidato il danno in modo diverso, ossia tenendo conto di un’equa graduazione con riferimento ai singoli soggetti:al marito si riconosce il danno per la morte della moglie e quindi l’irrimediabile compromissione della possibilità di godersi la congiunta e di trascorrere con la stessa presumibilmente la propria intera vita, venendo a mancare ogni possibilità di progetto comune, liquidato in € 200.000;ai figli minori si riconosce il danno per la tragica scomparsa della mamma in tenera età, ovvero in un’età adolescenziale in cui la figura della mamma è indispensabile e preponderante nella vita quotidiana, liquidato in 250.000 ciascuno;ai genitori e alla sorella della defunta si riconosce il danno per la perdita rispettivamente della figlia e della sorella, sui quali ricade anche il compito di aiutare la famiglia a superare il tragico momento, liquidato per i primi in € 150.000 ciascuno e € 50.000 per la seconda;nessuna somma può essere riconosciuta a favore delle nonne della defunta, il cui danno soggiace alle comuni regole probatorie che devono evidenziare la sussistenza di un particolare legame affettivo tra la nipote e le anziane nonne, che vada al di là di una generica allegazione circa la sussistenza di affetto e dedizione nei confronti di persone anziane della famiglia e senza poter fare riferimento a criteri presuntivi.
Danni patrimoniali. Il giudice infine accoglie il lamentato pregiudizio patrimoniale circa «il mancato apporto in futuro dell’attività di casalinga della defunta», dovendosi ritenere «che indubbiamente può riconoscersi tale pregiudizio con riferimento all’apporto della figura della defunta quale madre e moglie nel compendio familiare, senza alcun svilimento di tale figura e con riferimento alle incombenze di natura prettamente materiale quali la cura e la pulizia della casa che debbono essere svolte con l’impiego di una colf». Aggiunge poi il giudice che tale pregiudizio «sia limitato nel tempo, stante il prevedibile raggiungimento di autonomia dei figli in corrispondenza della fine del periodo di studi». Preso come parametro l’assunzione di una colf, il Tribunale di Milano ha liquidato a tale titolo la somma di € 50.000.

Fonte: www.ridare.it/Risarcito il danno da mancato apporto in futuro dell’attività di casalinga - La Stampa

Niente sponsor su atti pubblici

Tutto da rifare sulla sponsorizzazione dei documenti comunali. L’innovativa chance, che consente ai municipi di dare visibilità (su comunicati, brochure, volantini, depliant, opuscoli, cataloghi, manifesti e locandine) alle aziende private che finanzino la cura del verde urbano favorendo l’assorbimento di anidride carbonica nell’atmosfera, è destinata a restare ancora in naftalina. E questo, nonostante sia stata prevista da una legge del 1997, riformulata dalla legge n.10/2013 sullo sviluppo degli spazi urbani. Il provvedimento del ministero dell’ambiente, contenente la disciplina dei contratti di sponsorizzazione (su cui la conferenza unificata aveva dato l’ok lo scorso 17 dicembre) è stato infatti bocciato senza appello dal Consiglio di stato. Nel parere n.558/2016 i giudici della sezione consultiva per gli atti normativi hanno smontato punto per punto lo schema di regolamento. Non solo sul piano sostanziale, ma anche su quello formale.

Sotto il primo aspetto, palazzo Spada ha stigmatizzato l’inserimento di una clausola, «senza copertura legislativa», che avrebbe consentito di destinare all’amministrazione comunale una quota «eventuale» (quindi frutto dell’accordo tra l’ente e l’azienda), pari o non superiore al 5% del valore della sponsorizzazione, da destinare a copertura delle spese sostenute per il controllo e la vigilanza degli spazi verdi urbani.

fonte: www.italiaoggi.it/Niente sponsor su atti pubblici - News - Italiaoggi

giovedì 10 marzo 2016

Prima casa, nel calcolo della superficie anche i vani di porte e finestre

I vani di porte e finestre non possono essere esclusi dal computo della superficie utile per la qualifica dell’immobile di lusso, parametro discriminante per l’ottenimento del beneficio prima casa. Lo affermano i Giudici della Corte di Cassazione nella sentenza depositata il 4 marzo 2016, n. 4333, con cui viene accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, e, dunque, confermato l’avviso di liquidazione nei confronti di un contribuente che aveva acquistato un immobile ritenuto dal Fisco come abitazione di lusso, perché con una superficie utile superiore al limite di 240 mq.

In precedenza, tuttavia, l’avviso di liquidazione in questione era stato annullato in Appello in quanto, secondo i Giudici regionali, dal computo della superficie utile andavano stralciati i metri quadri di vani di porte e finestre, ritenuti non abitabili. La Cassazione ha però riformulato tale tesi: secondo i Supremi Giudici i vani di porte e finestre rientrano nel calcolo della superficie utile; restando esclusi solo i balconi, le cantine, le terrazze, le soffitte, le scale e il posto macchine.

Nella sentenza, la Corte ha inoltre rinnovato il concetto che le norme di agevolazione fiscale, in quanto di carattere eccezionale, sono “di stretta interpretazione […] non essendo consentito all’interprete il ricorso al criterio analogico per estenderne l’applicazione oltre i casi e le condizioni delle stesse espressamente considerati”. Il calcolo della superficie utile, inoltre, è dettagliato esplicitamente dalla legge, senza dunque che sia necessario ricorrere a nozioni o elementi interpretativi definiti “extratestuali”.

fonte: www.fiscopiù.it/Prima casa, nel calcolo della superficie anche i vani di porte e finestre - La Stampa

Processo civile: via libera Camera a ddl, ora passa al Senato

Via libera della Camera al ddl delega al governo in materia di efficienza del processo civile. I voti favorevoli sono 261, quelli contrari 134, 29 gli astenuti. Il ddl passa ora all'esame del Senato.
La riforma del processo civile "segna indubbiamente un cambio di passo nella direzione di una giustizia veloce, efficiente e al servizio dei cittadini, una riforma essenziale per la competitivita' del Paese". Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia della Camera, e Giuseppe Berretta e Franco Vazio, relatori del provvedimento, commentano cosi' il voto dell'aula: "Quella approvata oggi è una riforma che garantira' processi dai tempi certi e prevedibili semplificando i riti e puntando sempre piu' sulla specializzazione dei magistrati. In commissione, in sinergia con il governo, abbiamo arricchito e migliorato il testo e abbiamo raggiunto un equilibrio ottimale tra le garanzie di un processo giusto e le esigenze di un processo rapido". L'auspicio, sottolineano i tre esponenti del Pd, e' che "al Senato il ddl possa ora procedere con celerità, insieme alla riforma del processo penale e della prescrizione gia' da tempo approvata dalla Camera. Sono tutti interventi strutturali - concludono - che rientrano in un disegno riformatore coerente e coraggioso, un disegno riformatore che punta a una giustizia di qualita' ed efficace".
Ecco, in pillole, cosa prevede.
PIU' COMPETENZE A TRIBUNALE IMPRESE
Le sezioni specializzate in materia di impresa, ridenominate sezioni specializzate per l'impresa e il mercato, ampliano le competenze. Oltre alle cause attuali, si occuperanno tra l'altro di concorrenza sleale e pubblicità ingannevole, class action e controversie societarie anche se relative a società di persone.
Le piante organiche saranno rideterminate riorganizzando e razionalizzando i tribunali.
RIORGANIZZAZIONE TRIBUNALI MINORI
Tribunale e procura dei minori saranno riorganizzati nei tribunali di giustizia ordinaria in sezioni e gruppi specializzati per la persona, la famiglia e i minori, con particolare attenzione anche alle vittime vulnerabili. La delega prevede non la soppressione tout court dei tribunali minorili ma l'accorpamento e la sostanziale razionalizzazione del sistema: in sede distrettuale il tribunale dei minori farà parte della sezione specializzata costituita secondo il modello delle sezioni lavoro, con funzioni esclusive in materia di persone, famiglia e minori (e in particolare adozioni, revoca e sospensione della responsabilità genitoriale e penale minorile). In sede circondariale (e ugualmente presso le corti d'appello) si creeranno apposite sezioni specializzate con funzioni prevalenti.
Presso le procure distrettuali (o ogni sede di corte d'appello), dove confluiranno le procure minorili, verrà istituito un gruppo specializzato secondo il modello previsto per la Dda e il procuratore aggiunto titolare sarà nominato dal Csm. Viene espressamente mantenuta la specializzazione del giudice e del pm minorile e la composizione mista in sede distrettuale del collegio (togati ed esperti in psicologia) per le decisioni sui minori in materia di adozioni e responsabilità genitoriale.
L'attività riguardante i minori deve essere comunque svolta in locali specifici e adeguati. Al processo penale minorile, di competenza della sezione specializzata distrettuale, potrà partecipare la persona offesa, mentre verranno ridefiniti gli altri riti civili riguardanti la famiglia, la persona e i minori secondo criteri di uniformità, speditezza e semplificazione, con specifica attenzione alla garanzia del contraddittorio. Si rafforza, infine, l'obbligatorietà dell'ascolto videoregistrato e diretto del minore da parte del giudice.
PROCESSO PIÙ SNELLO IN PRIMO GRADO
Ferma restando la garanzia del contraddittorio, si crea una sorta di doppio binario a seconda della complessità giuridica delle controversie e della loro rilevanza economica. Le più semplici saranno decise dal giudice monocratico esclusivamente con rito semplificato di cognizione (prima udienza entro 3 mesi, termini perentori per eccezioni, conclusioni e mezzi di prova, sentenza concisa). Le altre dal tribunale collegiale secondo il rito ordinario. Anche il collegio, comunque, potrà ricorrere alla decisione a seguito di trattazione orale della causa. Inoltre, se dopo la prima udienza la causa è matura per la decisione, il giudice istruttore dovrà rimetterla al collegio anche senza assunzione di prove. Si valorizza, infine, la proposta di conciliazione del giudice prevedendo che sia valutabile ai fini del giudizio la mancata comparizione delle parti o il rifiuto ingiustificato della transazione. Nell'ambito dei procedimenti speciali, è potenziato l'istituto dell'arbitrato.
NEGOZIAZIONE ASSISTITA PER CAUSE DI LAVORO
Ferma restando la conciliazione in sede sindacale, nelle controversie individuali di lavoro sarà possibile la negoziazione assistita tramite avvocati. Una facoltà e non un obbligo, che comunque non costituisce condizione di procedibilità. Viene poi abrogato il 'rito Fornero' per le controversie sui licenziamenti illegittimi ex art. 18 prevedendo per tali cause una corsia preferenziale.
STOP A TERMINE LUNGO IMPUGNAZIONI
I termini per l'appello o il ricorso per cassazione (30 e 60 giorni) decorrono esclusivamente dalla comunicazione di regola per via telematica del provvedimento. Scompare dunque il termine lungo di 6 mesi che oggi, in mancanza di notifica di parte, decorre dalla pubblicazione della sentenza.
PIÙ FILTRI IN APPELLO
Anche in appello sarà il giudice monocratico a decidere le controversie di ridotta complessità giuridica e di contenuta rilevanza economico-sociale. Nei casi di competenza del collegio, invece, le cause saranno trattate e istruite dal consigliere relatore, anche ammettendo eventualmente i nuovi mezzi di prova.
Il filtro in appello, poi, viene rafforzato, prevedendo che il contraddittorio prima della decisione di inammissibilità sia in forma scritta e soprattutto applicandolo anche ai provvedimenti che definiscono il procedimento semplificato di cognizione. Si introducono, infine, criteri di maggior rigore per ciò che riguarda eccepibilità o rilevabilità delle questioni pregiudiziali di rito, come per esempio il difetto di legittimazione processuale o di una delle condizioni dell'azione.
GIUDIZIO CAMERALE IN CASSAZIONE
Si supera la farraginosità dell'attuale filtro in cassazione (inammissibilità e manifesta fondatezza o infondatezza) ampliando, sul modello della cassazione penale, l'ambito operativo del giudizio camerale al fine di limitare la necessità di udienze pubbliche. In camera di consiglio non è obbligatorio l'intervento del pg ed è possibile la requisitoria in forma scritta e non partecipano gli avvocati che potranno interloquire solo per iscritto. Si favorisce poi la funzione nomofilattica della corte razionalizzando tra l'altro la formazione dei ruoli anche sulla base della rilevanza delle questioni. Le decisioni inoltre, a meno che le questioni non richiedano forme più estese, devono essere motivate sinteticamente (se del caso mediante rinvio a precedenti). I magistrati del Massimario con più anni di servizio potranno far parte come applicati dei collegi giudicanti. I giovani laureati, infine, potranno effettuare il tirocinio valevole per l'accesso alla magistratura anche in cassazione.
ESECUZIONE FORZATA PIÙ SEMPLICE
A meno che non sia di pregiudizio ai creditori, i beni immobili saranno venduti con modalità telematiche e il giudice può dichiarare la chiusura anticipata del processo esecutivo nel caso in cui non sia possibile liquidarli a un prezzo non inferiore alla metà di quello iniziale. Si prevede poi l'impignorabilità dei beni di uso quotidiano di modesto valore nonché degli animali d'affezione, l'informatizzazione dei veicoli pignorati, la penale per violazione dell'ordine di esecuzione a fronte di qualunque provvedimento di condanna, la liberazione degli immobili pignorati (salvo si tratti di prima casa di abitazione) anticipata al momento della nomina del custode.
Nell'espropriazione di beni indivisi, inoltre, più tutele al comproprietario non debitore: se infatti il pignoramento riguarda un bene in comunione legale, si procede per l'intero (e non pro quota) con restituzione al coniuge non debitore di quanto gli spetta.
UFFICIALI GIUDIZIARI A ROTAZIONE
Il ruolo dell'ufficiale giudiziario quale agente dell'esecuzione viene rideterminato prevedendo la rotazione obbligatoria degli incarichi nell'ufficio e l'impiego di modalità telematiche.
L'ufficiale giudiziario potrà attestare stato e condizione di cose, luoghi o persone e ricevere dichiarazione giurata del debitore sulla composizione del patrimonio.
DECRETO INGIUNTIVO PIÙ EFFICACE
Sarà possibile ottenere l'ingiunzione di pagamento anche sulla base di fatture accompagnate dalla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà che sono annotate nelle scritture contabili. Il giudice inoltre, per quello che riguarda le somme non contestate, è obbligato in pendenza di opposizione a concedere l'esecuzione provvisoria parziale del decreto in ogni caso, anche se l'opposizione è per vizi procedurali.
ATTI PIÙ SINTETICI
E' introdotto nel codice, sull'esempio del processo amministrativo, il principio della sinteticità degli atti, che vale tanto per le parti quanto per il giudice. Si prevedono poi limiti temporali alla possibilità di rilevare e eccepire difetti di giurisdizione.
RAFFORZAMENTO PROCESSO TELEMATICO
Le norme processuali saranno definitivamente adeguate al processo telematico. Oltre a una serie di principi delega di tipo tecnico, si prevedono in particolare sistemi di riconoscimento vocale per la verbalizzazione e attrezzature informatiche per la partecipazione all'udienza a distanza. Gli avvocati dovranno notificare gli atti esclusivamente per via telematica alla Pa e alle imprese o professionisti obbligati a dotarsi di Pec e a mezzo posta negli altri casi.
STRETTA SU LITI TEMERARIE
Rischia sanzioni più salate chi agisce o resiste in giudizio in mala fede, se perde dovrà pagare in più una somma alla controparte tra il doppio e il quintuplo delle spese legali. Se in mala fede o colpa grave, è comunque condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.
INCENTIVI A TRIBUNALI VIRTUOSI
Ai tribunali che smaltiscono l'arretrato andranno più risorse.
Nell'ambito dei fondi per l'incentivazione del personale, il 40 per cento delle risorse andrà infatti agli uffici senza più pendenze ultradecennali, il 35 per cento agli uffici dalle pendenze ultratriennali (in primo grado) e ultrabiennali (in appello) inferiori a un quinto dei procedimenti iscritti e il resto agli uffici che abbiano ridotto le pendenze del 10 per cento.

fonte: www.italiaoggi.it//Processo civile: via libera Camera a ddl, ora passa al Senato - News - Italiaoggi

Violenza sessuale: costituisce ''induzione'' qualsiasi forma di sopraffazione della vittima

 L’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale non si identifica solo con la persuasione subdola ma si...