Dopo i primi arresti giurisprudenziali sulla causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, a seguito dell’introduzione dell’art. 131-bis c.p. da parte dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 28/2015, la Corte di Cassazione ha iniziato a perimetrare i confini applicativi dell’istituto, secondo il quale, nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, comma 1, c.p., l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
Non si applica dinanzi al Giudice di Pace. L’art. 131-bis c.p. si affianca alle analoghe figure per irrilevanza del fatto già presenti nell’ordinamento minorile (art. 27 d.P.R. n. 448/1988) e in quello relativo alla competenza penale del Giudice di Pace (art. 34 d.lgs. n. 274/2000).
Proprio prendendo atto della specificità della disciplina configurata nel procedimento penale davanti al giudice di pace, la Suprema Corte ha espressamente escluso che, in tale sede, possa trovare applicazione la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, proprio perché prevista esclusivamente per il procedimento davanti al giudice ordinario (sezione IV, 14 luglio 2015, n. 31920).
“Offensività necessaria” del fatto lieve. Per la Sez. III, 7 luglio 2015, n. 38364, affrontando la questione della offensività in concreto della condotta di coltivazione di piante da sostanza stupefacente, solo dopo il vaglio positivo della offensività della condotta incriminata, è possibile porsi in presenza di un fatto di coltivazione “modesto” la questione della possibile applicabilità dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p., in presenza ovviamente dei relativi presupposti.
Si applica a tutti i reati. Per Sez. IV, 2 novembre 2015, n. 44132, il legislatore, avendo posto l'istituto in parola nel contesto della parte generale del codice penale, ha evidentemente inteso attribuirgli valenza non limitata a alcune fattispecie di reato; pertanto, non appare in dubbio che l'istituto possa e debba trovare applicazione in tutti i reati, anche quelli tradizionalmente indicati come “senza offesa”, tranne le eccezioni legate ai limiti di pena (detentiva superiore a cinque anni) o alle particolari modalità del fatto (crudeltà, sevizie o condotte causative di un danno grave come la morte o lesioni gravi) o del reato (abituale o fatto non occasionale).
La stessa Cassazione ha d'altronde già affermato in passato che la particolare tenuità del fatto, concretizzatasi nella nota causa di improcedibilità di cui all'art. 34, d.lgs. n. 274/2000, trova applicazione anche con riferimento a reati di pericolo astratto o presunto.
Anche quelli a diverse soglie di punibilità. La Suprema Corte ha ritenuto applicabile la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto al reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. b, d.lgs. n. 285/1992, in quanto l’incriminazione definisce la meritevolezza di astratte classe di fatti, laddove l’art. 131-bis c.p. si impegna sul diverso piano del singolo fatto concreto. Sicché che il legislatore abbia utilizzato la tecnica della soglia (come nel caso della guida in stato di ebbrezza alcolica) o meno per selezionare classi di ipotesi che, per essere in maggior grado offensive, impongono il dispiegarsi dell’armamentario penalistico, vi è in ogni caso la necessità di verificare se la manifestazione reale e concreta – il fatto unico ed irripetibile descritto dall’imputazione elevata nei confronti di un determinato soggetto – non presenti rispetto alla cornice astratta un ridottissimo grado di offensività (Sez. IV, 2 novembre 2015, n. 44132; 31 luglio 2015, n. n. 33821).
Che la previsione di più soglie di punibilità sia compatibile con il giudizio di tenuità del fatto considerato, in quanto essa manifesta un giudizio legislativo già ispirato ai principi di sussidiarietà e offensività della tutela penale, ai quali si ispira pure l’istituto descritto dall’art. 131-bis c.p., è stata affermato anche in relazione ai reati tributari (Sez. III, 15 aprile 2015, n. 15449, anche se Sez. III, con ordinanza del 20 maggio 2015, n. 21014, ha rimesso alle Sezioni Unite (tra le altre) la quaestio se sia possibile l’applicabilità della particolare tenuità del fatto per i reati tributali per i quali è prevista la soglia di punibilità.
In verità gli Ermellini ricordano che le due ipotesi non sono perfettamente coincidenti in quanto nell’art. 186, comma 2, CdS, la progressione dell’offensiva è scandita non soltanto dal passaggio dall’area delle sanzioni amministrative all’area del penalmente rilevante ma dal trascorrere di due fattispecie di reato diversamente punite.
Anche al reato permanente. Per Sez. III, 27 novembre 2015, n. 47039, il reato permanente è caratterizzato non tanto dalla reiterazione della condotta, quanto, piuttosto, da una condotta persistente (cui consegue la protrazione nel tempo dei suoi effetti e, pertanto, dell’offesa e del bene giuridico protetto) e non è quindi riconducibile nell’alveo del comportamento abituale come individuabile ai sensi dell’art. 131-bis c.p., sebbene possa essere certamente oggetto di valutazione con riferimento all’indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza sarà tanto più difficilmente rilevabile quanto più tardi sia cessata la permanenza.
Anche al reato formale di reati. Sempre per Sez. III, n. 47039/2015, essendo il concorso formale tra i reati (violazione di due o più distinte violazioni di legge, pacificamente tra loro concorrenti, stante la diversità del bene giuridico tutelato) caratterizzato da una unicità di azione od omissione, risulta impossibile collocarlo tra le ipotesi di “condotte plurime, abituale e reiterate” menzionate nel terzo comma dell’art. 131-bis c.p., mentre riguardo ai “reati della stessa indole”, il fatto che la disposizione rivolga l’attenzione al soggetto che abbia commesso più reati, va escluso il concorso formale in quanto l’espressione va riferita all’unica azione od omissione che ha poi comportato la violazione di diverse disposizioni di legge.
Ma non al reato continuato. Invece, nel caso di commissione di più reati uniti dal vincolo della continuazione, Sez. III, 13 luglio 2015, n. 29897, ha affermato che la particolare tenuità del fatto è esclusa in presenza di reato continuato, che ricade tra le ipotesi di “condotta abituale” ostativa al riconoscimento del beneficio.
Sentenza predibattimentale: non opposizione dell’imputato e del P.M.. Per la sentenza di non doversi procedere, prevista dall’art. 469, comma 1-bis c.p.p., perché l’imputato non è punibile ai sensi dell’art.131-bis c.p., presume che l’imputato medesimo e il pubblico ministero non si oppongano alla declaratoria di improcedibilità, rinunciando alla verifica dibattimentale (Sez. III, n. 47039/2015).
Le parti potrebbero infatti avere interesse ad un diverso esito del procedimento. L’imputato potrebbe mirare all’assoluzione nel merito o ad una diversa formula di proscioglimento o mirare alla prescrizione (per sez. III, con la sentenza n. 27055 depositata il 26 giugno 2015, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevale sulla esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p.), considerato che anche che la dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto comporta, quale conseguenza, l’iscrizione del relativo procedimento nel casellario giudiziale.
… la persona offesa non ha alcun veto ma va avvisata. La persona offesa che, diversamente dall’imputato e dal P.M., non ha alcun potere di veto (Sez. IV, n. 31920/2015), mancando una espressa previsione in tal senso, deve essere comunque messa in condizione di scegliere se comparire ed interloquire sulla questione della tenuità e deve ricevere avviso della fissazione dell’udienza in camera di consiglio, con l’espresso riferimento alla specifica procedura dell’art. 469, comma 1-bis, c.p.p., non potendovi sopperire la notifica del decreto di citazione a giudizio, effettuata quando tale particolare esito del procedimento non è neppure prevedibile (Sez. III, n. 47039/2015).
… appello o ricorso in Cassazione avverso pronuncia sulla tenuità? Se la pronuncia avviene in camera di consiglio, l’unico rimedio esperibile avverso la pronuncia che dichiara l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è il ricorso per cassazione.
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità è unanime nel ritenere che, indipendentemente dalla qualificazione datane dal giudice, la sentenza pronunciata in pubblica udienza (anche per una causa di improcedibilità dell’azione come la tenuità del fatto o di estinzione del reato), dopo la formalità di verifica della costituzione delle parti, deve considerarsi come sentenza dibattimentale ed è pertanto soggetta ad appello. In questi casi, il ricorso immediato in Cassazione per violazione di legge costituisce, quindi, ricorso per saltum, con la conseguenza che, se il suo accoglimento comporti l’annullamento con rinvio, il giudice del rinvio è individuato in quello che sarebbe competente per l’appello (ancora Sez. III, n. 47039/2015).
Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Tenuità del fatto: il vademecum della Cassazione - PENALE e PROCESSO | Diritto e Giustizia
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sabato 26 marzo 2016
Tenuità del fatto: il vademecum della Cassazione
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