mercoledì 26 maggio 2021

Zona bianca rafforzata: coprifuoco e consumazioni nei locali

Il presidente Massimiliano Fedriga ha convocato in videoconferenza la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Il Dl Semplificazione e Dl Governance del Pnrr sono gli argomenti all’ordine del giorno, con una riflessione ulteriore sulle linee guida per la riapertura delle attività economiche e sociali, già licenziate dalla Conferenza delle Regioni. Soprattutto nella riunione verranno valutate le possibilità di «definire indicazioni e misure comuni per la zona bianca».
Che sarà una “zona bianca rafforzata” per evitare il rischio di una repentina retrocessione nel caso in cui l'incidenza settimanale dei contagi dovesse risalire, anche se di poco, oltre i 50 casi ogni 100mila abitanti. Le prime tre Regioni che dovrebbero essere promosse ad inizio della prossima settimana sono Friuli Venezia Giulia, Molise e Sardegna. L'idea è quella di introdurre nuovi meccanismi condivisi a livello nazionale affinché sia tutelata la continuità delle aperture nei territori che hanno la più bassa diffusione del virus. E allo stesso tempo scongiurare un nuovo “effetto Sardegna”, la regione che dopo essere finita in zona bianca a marzo ha registrato un notevole aumento dei contagi finendo in zona rossa. 
Una prima ipotesi è quella del coprifuoco alle 24. in zona bianca non sarebbe previsto, ma è una principali misure anti-assembramento sulla movida, come l'obbligo di consumare solo seduti ai tavolini di bar e ristoranti all'aperto senza sostare in piedi davanti ai locali. Certa, invece, la proposta di poter rientrare in zona bianca dopo un futuro passaggio in zona gialla senza dover aspettare necessariamente tre settimane consecutive di dati incoraggianti. 
Il trend in miglioramento dei dati spinge la possibilità di limitare le restrizioni: il tasso di positività oggi è crollato al 1,2% - mai così basso nel 2021 - con 3.224 contati nelle ultime 24 ore, ma ancora 166 vittime registrate. Un'altra questione ancora aperta è quella sulle vaccinazioni in vacanza. Nonostante il Commissario per l'Emergenza, Francesco Figliuolo, abbia invitato i cittadini ad una programmazione in funzione delle villeggiature escludendo altre ipotesi, c’è chi evidenzia difficoltà tecniche. Le 4 milioni e mezzo di dosi attese a fine maggio potranno essere la boccata di ossigeno per la ripresa.  Con Draghi che avrebbe proposto di chiedere all'Ema di pronunciarsi sulla possibilità di mescolare i vaccini tra prima e seconda dose anche perché, secondo alcuni studi, è più efficace fare il richiamo con un vaccino diverso piuttosto che con lo stesso della prima dose.
fonte:lastampa.it

Il Dl Sostegni bis in vigore da oggi

E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Dl Sostegni Bis. Il provvedimento, firmato ieri sera dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, entra in vigore oggi.
Il dl, approvato giovedì scorso, aveva avuto un rallentamento a causa della necessità, da parte del governo, di rivedere la norma sul blocco dei licenziamenti. Il testo definitivo prevede cassa integrazione gratuita dal primo luglio a patto di non licenziare nessun dipendente nel periodo di utilizzo dell'ammortizzatore e comunque non oltre il 31 dicembre 2021. Scompare così la misura anticipata dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, che prevedeva il divieto di licenziare fino al 28 agosto per le aziende intenzionate ad utilizzare la cassa Covid a giugno. L'articolo 40 del decreto Sostegni bis prevede, in particolare, che i datori di lavoro privati che, a decorrere dalla data del primo luglio 2021, sospendono o riducono l`attività lavorativa e presentano domanda di integrazione salariale siano esonerati dal pagamento del contributo addizionale fino al 31 dicembre 2021.La norma stanzia un massimo di 163,7 milioni di euro per l'anno 2021 a copertura del beneficio. L'Inps provvede al monitoraggio del rispetto del limite di spesa e "qualora dal monitoraggio emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto al predetto limite di spesa, non sono adottati altri provvedimenti concesso.
fonte:italiaoggi.it

mercoledì 12 maggio 2021

Malfunzionamento del pannello di accesso alla ZTL: annullata la multa

Annullata la sanzione amministrativa per accesso abusivo alla Z.T.L. se il pannello segnaletico che indica l'attivazione o meno del varco non funziona: è quanto stabilito dal Giudice di Pace di Roma con la sentenza n. 21746/2020.
La questione definita dalla sentenza in commento è relativa all'applicabilità dell'esimente della buona fede incolpevole ex art. 3, comma 2, l. n. 689/1981.
Il ricorrente, pare di intendere, richiedeva l'applicazione di tale esimente in ragione di una serie di circostanze che, di fatto, lo avevano indotto in errore circa l'illiceità della propria condotta.In particolare, e questo è l'elemento che si potrebbe rivelare di maggiore interesse anche in altre ipotesi, il ricorrente deduceva il malfunzionamento del pannello di accesso alla ZTL. In sostanza, non era visibile la nota dicitura "VARCO ATTIVO/VARCO NON ATTIVO".
Ipotizziamo fosse spento ovvero ci fosse un messaggio generico (come, ad esempio, asterischi ***). E, dunque, il ricorrente maturava il convincimento di poter accedere alla ZTL senza alcuna violazione di legge. Il Giudice, poi, osservava come il pannello elettronico di accesso costituisca una forma di segnaletica alternativa ma rilevava altresì la mancata dimostrazione dell'esistenza della segnaletica verticale, indicata dall'Amministrazione quale segnaletica principale.
La prova circa l'esistenza della segnaletica principale, infatti, gravava esclusivamente sull'Amministrazione comunale.
In assenza di tale prova contraria, dunque, il Giudice, unitamente ad altri elementi di fatto, riteneva doveroso applicare l'esimente della buona fede incolpevole ex art. 3, comma 2, l. n. 689/1981.
L'applicabilità dell'esimente della buona fede incolpevole ex art. 3, comma 2, l. n. 689/1981 viene a costituire un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione.
Nel caso di specie, pare di intendere, il ricorrente deduceva di non risiedere a Roma e di aver appreso da fonti giornalistiche di ritardi nell'attivazione della ZTL A1.
Tali circostanze, in sostanza, unitamente al malfunzionamento del pannello di accesso alla ZTL sono state ritenute idonee dal Giudice quale motivo di errore sul fatto tale da ingenerare nel soggetto il convincimento incolpevole di agire secondo la legge.
fonte: ilsole24ore.com

Facebook non è gratis: l’utente “paga” il servizio con i propri dati personali

Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 29 marzo 2021 n. 2631, ha deciso una vicenda che vede come protagonista Facebook (per l’esattezza, Facebook Inc e Facebook Ireland Ltd) pesantemente sanzionato, nel 2018, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato per pratiche commerciali scorrette. I giudici amministrativi confermano il provvedimento sanzionatorio solo in relazione alla pratica commerciale ingannevole. Infatti, il social, al momento dell’attivazione dell’account, informa l’utente solo della gratuità dell’iscrizione, ma non che i dati personali ceduti vengano usati a fini commerciali, per la cosiddetta profilazione. Secondo, l’AGCM, la cessione dei dati integra una controprestazione, atteso che il 98% del fatturato della società deriva dalla pubblicità on line basata proprio sulla profilazione degli utenti.
La decisione è lunga e articolata, per brevità espositiva, si commentano solo i passaggi più rilevanti.
La vicenda
L’AGCM (Autorità garante della concorrenza e del mercato), nel 2018, condannava Facebook Inc e Facebook Ireland Ltd (di seguito, per brevità, solo Facebook) per pratica ingannevole e per pratica aggressiva, irrogando due sanzioni amministrative pecuniarie di 5 milioni di euro ciascuna. Inoltre, ingiungeva a Facebook di pubblicare una dichiarazione rettificativa. Avverso tale provvedimento, Facebook proponeva ricorso al TAR Lazio, il quale accoglieva parzialmente le doglianze della società e annullava uno dei due provvedimenti sanzionatori. Infatti, non veniva riconosciuta la sussistenza della pratica aggressiva, mentre era confermata quella ingannevole. La sentenza viene impugnata sia da Facebook che dall’AGCM e si giunge, così, al Consiglio di Stato.
Premessa: cosa sono le pratiche commerciali scorrette
Le pratiche commerciali sono i comportamenti posti in essere dai professionisti in ordine alla promozione, vendita o fornitura di beni o servizi ai consumatori.
L’art. 20 Codice del Consumo considera scorretta una pratica se:
- è contraria alla diligenza professionale,
- è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio.
Quanto sopra, si riferisce alla nozione generale di pratica scorretta, che si declina in due ulteriori categorie:
- le pratiche ingannevoli (art. 21 e 22 Codice del Consumo),
- le pratiche aggressive (art. 24 e 25 Codice del Consumo).
Esistono, poi, le liste nere, ossia una serie di pratiche commerciali considerate ingannevoli e aggressive, in ogni caso (art. 23 e 26, art. 21 c. 3 e 4, 22 bis).
Le pratiche scorrette contestate a Facebook
L’AGCM contesta a Facebook due distinte pratiche commerciali scorrette:
pratica ingannevole in violazione degli artt. 20, 21, 22 del Codice del Consumo
pratica aggressiva in violazione degli artt. 20, 24, 25 del Codice del Consumo
Viene, quindi, applicata la disciplina consumeristica (d.lgs. 206/2005), a mente della quale Facebook riveste il ruolo di professionista, mentre l’utente del sito è il consumatore.
La pratica ingannevole, secondo l’Autorità, consiste nel fatto che il professionista (Facebook) non informi subito l’utente che i suoi dati sono raccolti e utilizzati per finalità informative e/o commerciali. In buona sostanza, in fase di attivazione dell’account, l’utente viene reso consapevole solo della gratuità del servizio (ossia che registrarsi a Facebook è gratis), in tal modo viene indotto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
La pratica aggressiva, contestata dall’AGCM, consiste nel fatto che l’utente ceda i propri dati tramite un sistema di preselezione operato da Facebook, in tal modo, secondo l’Autorità, i consumatori, in cambio dell'utilizzo del sito, verrebbero costretti a consentire alla piattaforma social e a terzi la raccolta e l'utilizzo, per finalità informative e/o commerciali, dei dati che li riguardano.
La pratica commerciale ingannevole: Facebook non è gratis
Secondo l’AGCM, lo slogan della società – poi modificato – secondo cui “iscriviti è gratis e lo sarà per sempre” rappresenta un’informazione ingannevole, in quanto lascia intendere che non vi sia alcuna controprestazione richiesta al consumatore. Invece, l’utente cede i suoi dati, i quali vengono impiegati a fini remunerativi dal professionista (ossia Facebook), che persegue finalità commerciali. L’utente non è consapevole della profilazione ad uso commerciale. Inoltre, nessun pregio ha l’argomentazione secondo cui l’iscritto potrebbe deselezionare la propria scelta. Infatti, in tal modo, egli perderebbe il servizio offerto come gratuito ma che, invece, ha come corrispettivo la messa a disposizione dei dati. Quindi, Facebook ha condizionato la consapevolezza dell’utente che, per ottenere i benefici promessi come gratuiti, deve cedere i propri dati personali, i quali vengono usati come strumento di profilazione a fini commerciali, senza un’adeguata informazione del consumatore. Le informazioni fornite da Facebook, nella pagina di accesso, sono incomplete e tale incompletezza non è stata mitigata dall’inserimento del “banner cookie”. Al contrario, qualora il consumatore intenda deselezionare alcuni dati, viene avvisato di tutti gli svantaggi che una tale scelta comporterebbe. Pertanto, una condotta siffatta integra una pratica commerciale ingannevole.
L’obbligo di chiarezza informativa a tutela del consumatore
Secondo il Codice del Consumo, il consumatore ha diritto ad un’adeguata informazione e ad una corretta pubblicità (art. 2 c. 2 lett. c), c-bis) e), inoltre, le informazioni al consumatore devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile (art. 5 c. 3). La giurisprudenza costante ritiene che “l'obbligo di estrema chiarezza gravante sul professionista deve essere da costui assolto sin dal primo contatto, attraverso il quale debbono essere messi a disposizione del consumatore gli elementi essenziali per un'immediata percezione della offerta pubblicizzata” (Cons. Stato, Sez. VI, 6984/2019, sent. 4976/2019 e sent. 3347/2019). L’obbligo di chiarezza, nel caso di specie, non è stato rispettato. L’utente non è stato informato, dal primo contatto, che a fronte della gratuità del servizio consegue una profilazione dei suoi dati, messi a disposizione per fini commerciali. Inoltre, la gratuità del servizio è condizionata dal fatto che i dati siano resi disponibili a soggetti commerciali non definibili anticipatamente ed operanti in settori anch’essi non preindicati.
La pratica aggressiva: opt-in (consenso) e opt-out (rinuncia)
L’AGCM lamenta che il TAR Lazio non abbia riconosciuto la sussistenza di una pratica commerciale aggressiva e che abbia annullato il relativo provvedimento sanzionatorio. Secondo la ricostruzione dell’Autorità, Facebook adopera un sistema di preselezione, che costringe l’utente all’opt-out. Con questa espressione inglese, si fa riferimento alla possibilità, per l’utente, di rinunciare ad una determinata opzione, già preselezionata. Quindi, l’utente non è messo in condizione di operare un consenso consapevole (opt-in) alla condivisione dei dati, ma solo di rinunciare alla loro cessione (opt-out), opzione che è preselezionata da Facebook.
La pratica commerciale è aggressiva quando “tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso” (art. 24 d.lgs. 206/2005). Secondo il Consiglio di Stato, la pratica adottata da Facebook, non può considerarsi aggressiva perché difetta di un quid pluris che conduca all’effettiva manipolazione dell’utente. Infatti, “la “pre-attivazione” della piattaforma Facebook (vale a dire la “preselezione” delle opzioni a disposizioni) non solo non comporta alcuna trasmissione di dati in modo diretto ed immediato dalla piattaforma di FB a quella di soggetti terzi, ma è seguita da una ulteriore serie di passaggi necessitati, in cui l’utente è chiamato a decidere se e quali dei suoi dati intende condividere al fine di consentire l’integrazione tra le piattaforme”.
Conclusioni
In conclusione, il Consiglio di Stato respinge sia il ricorso di Facebook che dell’AGCM e conferma la sentenza del TAR Lazio. Inoltre, afferma l’applicabilità della disciplina consumeristica nel caso di sfruttamento dei dati personali ad uso commerciale.
Pertanto:
- viene ravvisata una pratica commerciale ingannevole nell’asserita gratuità del servizio, a cui, invece, segue la cessione dei dati personali,
- è confermata la sanzione pecuniaria di 5 milioni di euro per pratica ingannevole, così come l’obbligo di una dichiarazione rettificativa,
- è annullata la sanzione di 5 milioni di euro per pratica aggressiva, in quanto ritenuta insussistente
fonte:altalex.coc

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