sabato 29 aprile 2017

Il blog "Studio Legale Mancino" è letto in 10 nazioni

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Italia
31756
Russia
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Germania
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1846
Slovacchia
1614
Ucraina
1328
Svezia
1271
Austria
922
Serbia
540

Tumore e cellulare aziendale: anche il tribunale di Firenze riconosce il nesso causale

Ancora una volta la giurisprudenza conferma il collegamento causale tra tumore al cervello e uso del cellulare. La prima sentenza storica della Cassazione, è datata 2012 (Cassazione Lavoro, sentenza 12 ottobre 2012, n. 17438), è seguita poi la pronuncia del Tribunale di Ivrea (sentenza 30 marzo 2017) e ora è il turno del Tribunale di Firenze con la sentenza pronunciata il 24 aprile scorso (si attendono le motivazioni).
La vicenda vede come protagonista Alessandro Maurri, addetto alle vendite presso società di import export. Fin dal 1994 ha sempre utilizzato i telefoni cellulari aziendali a causa dei frequenti viaggi in auto, riscontrando i primi sintomi nel 2005: perdita di udito, acufeni, cioè fischi nell’orecchio e altri disturbi. «Prima di capire che c’era qualcosa di più serio è passato un po’ di tempo. Nel 2008 sono arrivate anche le vertigini. Una risonanza ha rivelato che avevo un neurinoma, un tumore benigno ma intracranico, che cresce, e più cresce più è difficile toglierlo e più aumentano le conseguenze del dopo intervento. Mi sono operato nel 2011 nell’ospedale di Legnano. Praticamente ti aprono la testa in due come una anguria. Il tumore è stato rimosso. Io però non ci sento più dall’orecchio destro e anche l’equilibrio non va benissimo. Come il signore di Ivrea, io non demonizzo il cellulare, che è un utile strumento di lavoro. Dico però che dovremmo essere informati sui rischi connessi».
Nel 2013 Marri presenta domanda di indennizzo all’INAIL e a seguito del rifiuto inizia la causa civile.
L’Inail è stato condannato alla corresponsione di una rendita vitalizia riconoscendo un’invalidità del 16 per cento.
La perizia è stata redatta ancora una volta (come nei due casi precedenti) dal professor Angelo Levis, mentre il lavoratore è stato difeso dagli avvocati Maresca e Zangara dello studio Bonafede.
Occorre ora – nel caso di Ivrea e di Firenze – aspettare nuove decisioni da parte dela corte d’Appello e della Cassazione. La vicenda quindi non si conclude qui, perché saranno inevitabili i ricorsi da parte dell’INAIL e le reazioni delle compagnie telefoniche, giuridiche e non. Ma pare evidente che si stia avviando un nuovo, inevitabile, percorso di consapevolezza, nella comprensione (non solo giuridica) di un fenomeno che vede da decenni impegnato l’uomo in quella che è una battaglia contro uno dei mali più diffusi di questo secolo.

Fonte:www.altalex.com/Tumore e cellulare aziendale: anche il tribunale di Firenze riconosce il nesso causale | Altalex

Minori, la pena detentiva è extrema ratio

Illegittimo non consentire la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per alcuni reati. Lo stabilisce la Corte Costituzionale con la sentenza 90/2017, pubblicata ieri, pronunciando un giudizio, stimolato dalla Corte d’appello di Milano, sezione per i minorenni con due ordinanze, rispettivamente del 19/02/16 e del 13/05/16, sulla legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lettera a), cpc. In entrambi i casi i minori erano stati condannati per rapina aggravata, reato, previsto dall’4-bis, c. 1-ter, della l. 354/75, ostativo della sospensione dell’esecuzione. La Corte d’appello lamentava che la disposizione in questione nella parte in cui prevede il divieto di sospensione della pena detentiva anche per reati commessi da minorenni violasse gli articoli 27, c. 3, e 31, c. 2, della Costituzione che riconoscono uno scopo rieducativo alle pene e sanciscono la protezione dell’infanzia e della gioventù. Anche nel d.P.R. 448/1988, che detta la disciplina del processo penale minorile, si prescrive all’art. 19, c. 2 un processo il più aderente alle esigenze educative dell’imputato, e che quindi non precluda gli interventi di demarginalizzazione in corso.

Fonte:www.italiaoggi.it/Minori, la pena detentiva è extrema ratio - News - Italiaoggi

martedì 25 aprile 2017

Google cambia l’algoritmo del motore di ricerca per combattere fake news e violenze

Dopo il «bollino» per le notizie verificate e l’intelligenza artificiale che riconosce commenti violenti e offensivi, Google rafforza la sua lotta alle «fake news» e all’odio online dichiarando guerra a tutti i contenuti di bassa qualità, offensivi o fuorvianti, mostrati nei risultati del motore di ricerca. Per questo annuncia cambiamenti strutturali all’algoritmo che decide cosa mostrare: darà un peso maggiore all’autorevolezza delle pagine web e terrà sempre più in considerazione le segnalazioni delle persone.
«I nostri algoritmi aiutano a identificare fonti affidabili tra i miliardi e miliardi di pagine del nostro indice», spiega Ben Gomes, vice presidente di Google Search, ma «lo 0,25% del traffico giornaliero» restituisce comunque risultati «con contenuti offensivi o chiaramente ingannevoli». Per questo la compagnia sottolinea di aver migliorato i metodi di valutazione dell’indicizzazione delle pagine e di aggiornare continuamente i suoi algoritmi. Si tratta di miglioramenti che mettono al centro l’elemento umano, spiega Gomes, «perché la ricerca è fatta per le persone». L’intelligenza artificiale, insomma, non è una bacchetta magica.
Sono diverse le novità annunciate che vanno in questa direzione. Quella che coinvolge più direttamente gli utenti riguarda gli strumenti di feedback diretto su due funzioni di Google: il completamento automatico delle ricerche, finito sotto i riflettori per aver dato anche suggerimenti razzisti e sessisti, e gli «snippet», letteralmente «frammenti», che estrapolano dal motore di ricerca brevi informazioni non sempre da siti pertinenti o autorevoli. A partire da oggi, gli utenti potranno segnalare direttamente i contenuti che compaiono nei suggerimenti di ricerca e negli «snippet» indicando se li reputano violenti, offensivi, sessualmente espliciti, inutili, falsi o inaccurati. Questo nuovo tipo di feedback non avrà conseguenze immediate sui contenuti segnalati, ma servirà a Google per dare informazioni sempre più precise agli algoritmi, in modo da mostrare in futuro sempre meno suggerimenti simili.
Altri cambiamenti riguardano il sistema di posizionamento nel motore di ricerca. Questo tiene conto di centinaia di fattori, ad esempio di quanto è recente il contenuto o del numero di volte in cui il termine di ricerca compare nella pagine. D’ora in poi, spiega Gomes, su questo bilanciamento peserà di più il fattore dell’autorevolezza della pagina web. Un modo per «far retrocedere contenuti di scarsa qualità» e per evitare «problemi» come quello scoppiato a dicembre scorso sui risultati che negano l’Olocausto.
Quello delle bufale, ma anche dei contenuti violenti, offensivi e d’odio non è un problema solo del motore di ricerca di Google, ma anche dei social network, Facebook in testa. Proprio oggi il numero uno della compagnia di Menlo Park, Mark Zuckerberg, è stato chiamato in causa dalla presidente della Camera Laura Boldrini che ha lanciato un appello per la rimozione dalla piattaforma delle pagine che fanno apologia del fascismo.

Fonte:www.lastampa.it/Google cambia l’algoritmo del motore di ricerca per combattere fake news e violenze - La Stampa

Camere penali, l'Unione delibera nuova astensione dal 2 al 5 maggio

«Prosegue il silenzio del Governo in ordine alle richieste di non procedere oltre nella attuazione del dichiarato intento di porre la fiducia sul DDL giustizia anche davanti alla Camera, ovvero di procedere allo stralcio ed alla immediata approvazione della legge delega sull'esecuzione penale, e dunque lo stato di agitazione della avvocatura penale dovrà essere inevitabilmente mantenuto». La Giunta dell'Unione delle Camere Penali Italiane ha così deliberato l'astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale nei giorni 2, 3, 4, 5 maggio 2017, «invitando le Camere Penali territoriali ad organizzare manifestazioni dedicati ai temi della riforma e del denunciato contrasto con i principi costituzionali e convenzionali della immediatezza, del contraddittorio, della presunzione di innocenza e della ragionevole durata, mantenendo pertanto lo stato di agitazione dell'avvocatura penale ed attivando ogni strumento comunicativo ed ogni interlocuzione volta alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica e delle forze politiche sul metodo e sul merito della riforma».

Fonte:www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoPenale/2017-04-13/camere-penali-unione-delibera-nuova-astensione-2-5-maggio--133255.php

Corte dei Conti Europea: sette migranti su dieci in Italia sbarcati fuori dagli hotspot

Sette migranti su dieci in Italia sono sbarcati fuori dagli hotspot almeno fino a tutta metà 2016, nonostante gli sforzi per la realizzazione e l’attivazione degli speciali centri concepiti per una migliore gestione del flusso dei migranti. Una criticità che ha pesato sulla registrazione delle persone in arrivo su suolo nazionale e che ha contribuito a far perdere le tracce di tanti individui. E’ quanto emerge dal rapporto della Corte dei Conti europea sugli hotspot in Italia e in Grecia. Il documento contiene la valutazione delle azioni intraprese dai Paesi Ue in prima linea nella crisi migratoria, e aggiornata fino all’estate scorsa. Possibile che nel frattempo le cose siano migliorate, ma per tutto il periodo considerato l’Italia appare in ritardo e non in grado di far fronte al problema.
Italia in ritardo
Innanzitutto l’Italia si è mossa a rilento. Entro fine 2015 dovevano essere operativi sei strutture per l’identificazione dei migranti, per quella data ne erano aperte solo due (Lampedusa e Pozzallo). Altre due hotspot (Trapani e Taranto) sono divenuti operativi nei primi mesi del 2016 ma al momento delle verifiche della Corte dei Conti (luglio 2016), la capienza totale dei quattro hotspot operativi era di 1.600 posti, «chiaramente non sufficienti a far fronte ai picchi periodici di 2 000 o più arrivi al giorno». Inoltre, secondo i dati forniti dalle autorità italiane, nei primi sette mesi del 2016 circa il 70 % dei migranti sbarcava ancora al di fuori dei siti hotspot esistenti, facendo crescere il rischio di una incompleta registrazione dei migranti in arrivo. «Ci sono tante persone che non hanno fatto domanda di asilo e che quindi dovrebbero essere rimandati indietro, ma i ritorni non sono semplici» da fare, ha ricordato Hans Gustaf Wessberg, membro della Corte dei Conti, durante la presentazione del documento. «Non abbiamo idea di quante persone si tratti, ma se guardiamo la dimensione dei numeri è facile immaginare che ci siano delle persone che si disperdano».
Troppi minori non accompagnati, nessuna struttura
Sempre per l’Italia «un grande problema» è il crescente numero di minori non accompagnati arrivati solo nel 2016: se ne contano più di 20mila, per cui non esistono – sempre sulla base di dati aggiornati a qualche mese fa – misure di ricezione adeguate. I minori «permangono troppo a lungo presso gli hotspot, che non sono adatti ai loro bisogni specifici». Non a caso la Corte dei Conti ha accompagnato il rapporto con cinque raccomandazioni, una delle quali prevede addetti per minori in ogni struttura di identificazione e spazi specifici per questa categoria di migranti.
Italia dipendente dai soldi stranieri
Sull’Italia pesa anche la questione delle risorse. Sebbene lo studio della Corte dei conti non intenda analizzare come e quanto i governi usino i fondi, nel caso dell’Italia si rileva comunque che il sostegno dalle Agenzie dell’Ue è stato notevole, ma dipende ancora fortemente dalla messa a disposizione di sufficienti risorse da parte degli Stati membri. Le operazioni di Frontex (l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne, ora guardia costiera dell’Ue) sono state finanziate al 65% dei costi dagli Stati membri, membre le attività dell’Easo (L’ufficio europeo per l’asilo) sono state coperte per il 57% delle spese sostenute. Il resto ricade sul’Italia.
Hotspot problema strutturale
«Gli hotspot serviranno per lungo tempo, perché non riesco a vedere una fine a questa situazione» di crisi migratoria, ha ammesso Hans Gustaf Wessberg. Se non si migliorano le capacità di ricezione e la gestione dei migranti, si rischia di avere tra le mani una bomba umanitaria. In Italia come in Grecia gli hotspot sono stati trasformati in punti di accoglienza di lungo periodo, e «questo ha creato problemi». Originariamente gli hotpost non era concepito per questo, erano pensati per velocizzare le registrazioni e poi smistare i migranti. Cosa che non è avvenuta. Gli hotspot sono destinati dunque a diventare centri operativi permanenti in Italia e in Grecia, e se non si interviene rischiano di tramutarsi in problemi strutturali. Fin qui gli hotspot hanno comunque migliorato la gestione dell’immigrazione, ma va fatto di più: la conclusione della conclusione della Corte dei conti è questa, e non poteva essere diversamente.

Fonte:www.lastampa.it/Sette migranti su dieci in Italia sbarcati fuori dagli hotspot - La Stampa

Overbooking: diritti dei passeggeri e doveri delle compagnie aeree

Il fenomeno dell’overbooking, pratica commerciale molto utilizzata dalle compagnie aeree, può letteralmente “lasciare a terra” chi abbia regolarmente acquistato un biglietto di volo e si sia presentato puntualmente in aeroporto, pronto a partire. Un comunicato dell’ADUC, però, aiuta a fa chiarezza sui diritti dei viaggiatori, che includono pasti e bevande, eventuali pernottamenti spesati e trasporti gratuiti verso gli hotel, nonché due telefonate, per avvertire i propri cari.
E’ rimbalzata in rete, qualche tempo fa, la notizia del viaggiatore costretto (con la forza) ad abbandonare l’abitacolo dell’aereo di una compagnia americana, in quanto vittima del fenomeno dell’overbooking.
L’overbooking. Si tratta di una pratica commerciale molto comune, adottata dalle compagnie aeree, che si può tradurre in italiano con il termine “sovraprenotazione”. Essa consiste nel vendere più biglietti di quanti siano gli effettivi posti a disposizione.
Ciò comporta un più facile riempimento dei posti in fase di prenotazione ed un conseguente aumento dei guadagni. Le compagnie possono permettersi questo rischio (calcolato) in quanto esiste la probabilità che alcuni passeggeri non si presentino al momento dell’imbarco, oppure annullino o cambino la loro prenotazione.
I diritti dei passeggeri e i doveri delle compagnie. Da marzo 2009 è in circolazione la “carta dei diritti del passeggero”, che funge da guida e riassunto aggiornato di tutte le normative italiane ed europee esistenti sull’argomento.
In un comunicato dell’ADUC si mettono in chiaro i diritti dei passeggeri, vittime del fenomeno di cui si sta parlando: «in caso di overbooking la compagnia aerea deve offrire al passeggero una delle seguenti scelte:
– rimborso del prezzo del biglietto per la parte di viaggio non usufruita oppure, in alternativa, ad un nuovo volo (riprotezione) con partenza il prima possibile o in data successiva più conveniente per il passeggero, a condizioni comparabili.
– assistenza, ovvero: pasti e bevande in relazione alla durata dell’attesa; adeguata sistemazione in albergo nel caso in cui siano necessari uno o più pernottamenti; trasferimento dall’aeroporto al luogo di sistemazione e viceversa; due chiamate telefoniche o messaggi via telex, fax o e-mail».
Oltre a ciò va prevista anche una compensazione pecuniaria, che varia a seconda della distanza del volo da percorrere:
– euro 250 per i voli, intracomunitari o internazionali, inferiori o pari a 1.500 km;
– euro 400 per i voli intracomunitari superiori a 1.500 km e per quelli internazionali tra i 1.500 e i 3.500 km;
– euro 600 per i voli internazionali superiori a 3.500 km.
«Ovviamente» conclude l’ADUC, «il pagamento della compensazione non impedisce al viaggiatore di avanzare una richiesta di rimborso del danno ulteriore, soggettivo, subito a causa del disservizio».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Overbooking: diritti dei passeggeri e doveri delle compagnie aeree - La Stampa

domenica 23 aprile 2017

Gli sms dell'amante giustificano la separazione con addebito al marito

La violazione dell’obbligo di fedeltà, desumibile da alcuni SMS amorosi pervenuti sul cellulare del marito, giustifica l’addebito quando si pone come causa della crisi coniugale (nel caso di specie, la scoperta della infedeltà era avvenuta nel 2007, cioè successivamente alla riconciliazione intervenuta nel 2002). A confermarlo è la corte di Cassazione con sentenza n. 5510 del 6 marzo 2017.
La Corte d'appello di Milano ha rigettato i gravami delle parti avverso l’impugnata sentenza del Tribunale della stessa città che, nel giudizio di separazione personale dei coniugi E. C. e F. V., aveva addebitato la separazione al marito, aveva affidato i figli minori M. e G. al Comune di Milano, li aveva collocati presso la madre e aveva posto a carico del C. un assegno di euro 2000,00 al mese in favore della moglie e un contributo di mantenimento per tre figli di euro 3000,00 mensili, oltre al pagamento della globalità delle spese straordinarie concordate tra le parti.
La Corte ha giustificato l'addebito per la violazione dell'obbligo di fedeltà, in ragione della scoperta, nel novembre 2007, di messaggi amorosi pervenuti sul cellulare di C..
Con riguardo alle statuizioni economiche, la Corte ha ritenuto giustificate l'attribuzione e la quantificazione dell'assegno in favore della V. e dei figli, in considerazione dell'elevato tenore di vita dei coniugi durante la vita matrimoniale e della sproporzione reddituale tra le parti, anche tenendo conto della capacità lavorativa della stessa V., non tale comunque da giustificare un incremento dei contributi economici a carico del marito; ha compensato le spese del grado di giudizio.
Avverso questa sentenza ricorrono per cassazione, in via principale, il C. e in via incidentale la V..
Preliminarmente, la Suprema Corte osserva che la sentenza di divorzio emessa dal Tribunale di Milano, passata in giudicato (la quale ha determinato in euro 1300,00 l'assegno divorzile a suo carico e in euro 2800,00 l'assegno di mantenimento per i figli, oltre alla metà delle spese straordinarie). Al riguardo si osserva che la pronuncia di divorzio, operando ex nunc dal momento del passaggio in giudicato, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale (o di modifica delle condizioni di separazione) iniziato anteriormente e ancora pendente, ove esista l'interesse di una delle parti all'operatività della pronuncia e dei conseguenti provvedimenti patrimoniali, che trovano il proprio limite temporale nel passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.
Con il primo motivo di ricorso principale, il C. denuncia la violazione dell'art. 151, comma 2, c.c., per avere dichiarato l'addebito come conseguenza automatica della violazione dell'obbligo di fedeltà, senza che tale violazione fosse stata causa diretta della crisi coniugale.
Il profilo in esame non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha giustificato l'addebito rilevando che la violazione dell'obbligo di fedeltà era stata causa della crisi coniugale, come evidenziato dal fatto che la scoperta della infedeltà era avvenuta nel 2007, cioè successivamente alla riconciliazione intervenuta nel 2002.
Il ricorrente chiede, in sostanza, una rivisitazione del giudizio di fatto concernente l'accertamento della responsabilità di uno o di entrambi i coniugi nel determinarsi della intollerabilità della convivenza, che è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità.
Il secondo motivo si articola in due profili connessi, entrambi inammissibili.
Il primo profilo denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, e 156, comma 2, c.c. e 111, comma 6, Cost., in ordine alla motivazione, ritenuta contraddittoria, sul riconoscimento dell'assegno di mantenimento in favore della V., per avere mal valutato la situazione reddituale delle parti e l'entità del patrimonio del C. e per avere omesso di considerare i documenti prodotti che dimostravano il peggioramento delle sue condizioni economiche.
Il secondo profilo denuncia la violazione dell'art. 156, comma1, c.c. per avere motivato in modo contraddittorio sulla capacità reddituale della V. e per avere dato rilievo a un fatto non previsto dalla legge, e non vero, come l'abitudine del marito in costanza di matrimonio di addossarsi le spese di famiglia in misura preponderante.
Entrambi i profili si risolvono in critiche all'accertamento dei redditi delle parti, ai fini della concreta determinazione dell'assegno di mantenimento, che è compito riservato al giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in sede di legittimità), in presenza di motivazione idonea a rivelare la ratio decidendi, dovendosi considerare in tali limiti ridotto il controllo di legittimità sulla motivazione, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.
Il motivo, pur prospettando violazione di norme di diritto, si risolve nella critica della sufficienza del ragionamento logico esposto dal giudice di merito e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli elementi probatori del processo, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibileIl terzo motivo denuncia la violazione dei suindicati parametri normativi, nonché dell'art. 337 ter, comma 4, c.c., per avere motivato sul quantum, ritenuto eccessivo, dell'assegno di mantenimento dei figli senza rispettare il parametro normativo da ultimo indicato che impone di valutare le risorse di entrambi i genitori; i giudici di merito avrebbero erroneamente considerato florida la situazione reddituale del C., senza confrontarsi con le produzioni documentali né considerare le ingenti disponibilità economiche della V..Il motivo è inammissibile, per ragioni analoghe a quelle poc'anzi esposte in ordine al precedente motivo.
Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per omessa pronuncia sul motivo di gravame riguardante la condanna del C., disposta dal primo giudice, al pagamento delle spese del giudizio di primo grado e per non avere considerato la sussistenza di giusti motivi di compensazione totale o parziale.
Il motivo è infondato, in ordine alla censura di omessa pronuncia: la sentenza impugnata, infatti, avendo confermato la soccombenza del C., ha implicitamente rigettato il motivo sulle spese; esso è inammissibile nella parte in cui invoca la compensazione delle spese del giudizio di primo grado.
Venendo al ricorso incidentale, il primo motivo denuncia omesso esame di un fatto discusso tra le parti e decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c., per avere condizionato l'operatività dell'obbligo del C. di farsi carico delle spese straordinarie al suo consenso, di fatto sempre negato, con l'effetto di sottrarre ai figli una parte del contributo di mantenimento posto a suo carico.Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una istanza di revisione del giudizio di congruità del contributo posto a carico di C. in relazione alle spese straordinarie per i figli.
Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per omessa pronuncia sul motivo di appello incidentale con cui la V. aveva chiesto di convertire in una misura fissa la parte variabile del contributo di mantenimento per i figli.
Il motivo è infondato, avendo i giudici di merito implicitamente pronunciato sul motivo respingendolo.La Suprema Corte ha così rigettato entrambi i ricorsi.
La sentenza che si annota merita di essere segnalata per due ordini di ragioni.
Anzitutto, viene ribadito l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la pronuncia di divorzio, operando ex nunc dal passaggio in giudicato, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione personale (o di modifica delle condizioni di separazione), ove esista un interesse di una parte all'operatività della pronuncia, con i conseguenti provvedimenti patrimoniali: l'obbligo di corresponsione dell'assegno di separazione trova infatti il proprio limite temporale nel passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.
Inoltre, si conferma il principio secondo cui, in tema di separazione personale dei coniugi, l'indagine sulla intollerabilità della convivenza e sulla sua addebitabilità - che è riservata al giudice del merito e, se sorretta da congrua e coerente motivazione, non è censurabile in sede di legittimità - non può basarsi sull'esame di singoli episodi di frattura o contrasto, ma deve derivare dalla valutazione globale dei reciproci comportamenti, quali emergono dal complesso delle emergenze processuali; con la conseguenza che la violazione del dovere di fedeltà non legittima, di per sé, la pronuncia di separazione con addebito al coniuge adultero, ma deve porsi in relazione causale con la rottura dell’unione matrimoniale. Il che è proprio quanto si è verificato, secondo i Giudici di merito, nella fattispecie in esame, nella quale la scoperta dei messaggi amorosi dell’amante del marito non ha affatto aggravato una crisi già in essere, ma si è posta come causa della crisi, essendo avvenuta successivamente alla riconciliazione tra i coniugi, avvenuta nel 2002.

Fonte:www.altalex.it/Gli sms dell'amante giustificano la separazione con addebito al marito | Altalex

In vigore la legge sui minori stranieri soli

È entrata in vigore la legge n. 47/2017, in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati, in seguito alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (precisamente la n. 93 del 21/4/2017). Stimolato da una indagine conoscitiva svolta della commissione bicamerale per l’infanzia e l’adolescenza che aveva evidenziato le criticità della disciplina preesistente, il provvedimento si applica sia ai soggetti di minore età non accompagnati cittadini di paesi dell’Unione europea che a quelli extracomunitari, offrendo varie forme di tutela al crescente numero di ragazzi che ogni anno arrivano in Italia, senza adulti di riferimento. Viene introdotto il divieto assoluto di respingimento degli under18 privi di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili. Modificando l’art. 19, comma 1, primo periodo, del dl 142/2015, la permanenza massima nelle strutture di prima accoglienza viene ridotta da 60 giorni a 30. La procedura al momento del primo contatto viene formalizzata: le autorità, con l’aiuto di un mediatore culturale, accertano l’identità e la storia famigliare del minore, che, successivamente, riceverà rifugio in spazi dedicati.

Fonte:www.italiaoggi.it/In vigore la legge sui minori stranieri soli - News - Italiaoggi

venerdì 21 aprile 2017

Acquisto prima casa: la guida delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate pubblica il vademecum delle principali regole da osservare per l’acquisto di un immobile. La guida va ad arricchire, con esempi pratici, la sezione “L’Agenzia informa” e si rivolge alle persone fisiche che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali.
Acquisto. L’Agenzia delle Entrate, al fine di offrire un valido vademecum dei passi da seguire per l’acquisto di una nuova casa, mette a disposizione dei cittadini alcuni servizi. Tra questi di particolare rilevanza per il contribuente risulta essere l’ispezione ipotecaria che può essere richiesta gratuitamente (dai titolari dei beni) presso gli uffici provinciali – Territorio oppure online. Una volta valutata la libertà del bene da eventuali vincoli è, inoltre, possibile procedere con la stipula del contratto preliminare (redatto in forma scritta e registrato entro 20 giorni dalla sottoscrizione).
Prima casa. L’Agenzia indica, poi, alcuni benefici riservati a coloro che acquistano una prima abitazione. Le agevolazioni “prima casa”, infatti, prevedono un’imposta di registro proporzionale del 2%, ed ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro, per i venditori privati ed imprenditori esenti da IVA. Per vendite soggette ad IVA sono dovute le imposte di registro, quella ipotecaria e quella catastale nelle misura fissa di 200 euro, con un’aliquota ridotta al 4%.
Al fine del calcolo dell’imposta da pagare è rilevante anche la situazione del venditore. Se, infatti, il soggetto è un privato o un’impresa, con vendita esente da IVA, l’acquirente dovrà pagare l’imposta di registro nella misura proporzionale del 9%, l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale nella misura fissa di 50 euro. Diversamente l’acquirente sarà tenuto a versare l’IVA al 10% oltre all’imposta di registro, ipotecaria e catastale, ciascuna con un importo di 200 euro.
Anche per coloro che siano già in possesso di un immobile acquistato con agevolazioni prima casa è previsto l’accesso ai benefici fiscali a condizione che entro un anno dall’acquisto del nuovo immobile vi sia la vendita del bene posseduto.
Si segnala, inoltre, la presenza nella guida di un elenco di quesiti posti dai contribuenti su alcune casistiche di maggior ricorrenza.

Fonte: www.fiscopiu.it/Acquisto prima casa: la guida delle Entrate - La Stampa

Utilizzare il parcheggio riservato a disabili non è solo incivile, è anche reato

Costituisce violenza privata la condotta di chi impedisce, ponendo la propria autovettura negli spazi riservati, all'avente diritto di parcheggiare la propria autovettura; ciò rappresenta una modalità di coartazione dell’altrui volontà peraltro realizzata con la piena consapevolezza dell’illiceità della propria condotta.
E' quanto stabilito dalla Cassazione penale, sentenza 7 aprile 2017, n. 17794.
Tale comportamento infatti non integra la violazione dell'art. 158, comma 2, Cod. Str., in quanto nel caso considerato lo spazio è espressamente riservato ad una determinata persona, per ragioni attinenti al suo stato di salute e quindi alla generica violazione della norma sulla circolazione stradale si aggiunge l'impedimento al singolo cittadino a cui è riservato lo stallo di parcheggiare lì dove solo a lui è consentito lasciare il mezzo.
Il fatto
Un automobilista veniva condannato in sede di merito per il reato di cui all’art. 610 c.p., per avere, il 25 maggio 2009, parcheggiato la propria autovettura in uno spazio riservato ad una persona affetta da gravi patologie, così impedendole di utilizzarlo fino alla rimozione della sua autovettura.
In sede di merito, l’istruttoria era consistita nelle dichiarazioni della persona offesa che aveva riferito di non avere potuto parcheggiare la propria autovettura nello spazio appositamente riservatole perché occupata da un'altra vettura e ciò fino al giorno successivo quando la Polizia municipale, più volte allertata, provvedeva alla rimozione del mezzo. L'auto era di proprietà dell'imputato che aveva però affermato che l'aveva affidata in uso al figlio ed alla nuora, ma tali dichiarazioni erano risultate mendaci.
Avverso la decisione era avanzata ricorso per cassazione, lamentandosi difetto di motivazione in ordine alla sussistenza della materialità dell'addebito, posto che il parcheggiare l'autovettura in uno spazio riservato non equivale ad impedire intenzionalmente la marcia ad una vettura (che è il caso in cui la Suprema Corte aveva ritenuto concretarsi il delitto di violenza privata), potendo il disabile cui il posto era riservato potuto parcheggiare l'auto in altro spazio; non vi era inoltre la prova che l'imputato avesse rifiutato di rimuovere l'autovettura, solo così potendo consumare il delitto ascrittogli.
La decisione
La Cassazione ha giudicato infondato il ricorso e lo ha rigettato.
Secondo la Suprema Corte, in sede di merito gli accertamenti avevano senz’altro consentito di concludere nel senso che il veicolo di proprietà dell'imputato era rimasto parcheggiato nel posto riservato alla persona offesa, disabile, da prima delle 10.40 del 24 maggio 2009 alle 2.20 del giorno successivo, il 25 maggio 2009 e ciò aveva impedito alla stessa persona offesa di parcheggiare la propria autovettura nello spazio vicino a casa, assegnatole a causa della sua disabilità.
Quando al motivo di ricorso – che rappresenta il profilo di interesse della decisione – secondo cui non sussisterebbero nei fatti come sopra ricostruiti gli elementi oggettivi del delitto contestato, i giudici di legittimità non condividono questa impostazione.
La giurisprudenza è infatti pacifica nel senso che costituisce violenza privata la condotta di chi impedisce la marcia di un'altra autovettura la quale quindi è immediatamente identificabile da chi ne ostacola la marcia, ma – a prescindere dalle diversità fra le fattispecie – anche impedire, ponendo la propria autovettura negli spazi riservati, all'avente diritto di parcheggiare la propria autovettura rappresenta una modalità di coartazione dell’altrui volontà peraltro realizzata con la piena consapevolezza dell’illiceità della propria condotta.
La Cassazione poi si sofferma sulla differenza fra l’ipotesi di reato di cui all’art. 610 c.p. realizzata secondo le modalità suddette e la violazione dell'art. 158, comma 2, Cod. Str., che punisce, appunto, con sanzione amministrativa, chi parcheggi il proprio veicolo negli spazi riservati alla fermata o alla sosta dei veicoli di persone invalide.
Quest’ultima fattispecie, secondo i giudici di legittimità, non ricorre quando – come appunto sussistenza nel caso di specie - lo spazio è espressamente riservato ad una determinata persona, per ragioni attinenti al suo stato di salute: in tale circostanza, infatti, alla generica violazione della norma sulla circolazione stradale si aggiunge l'impedimento al singolo cittadino a cui è riservato lo stallo di parcheggiare lì dove solo a lui è consentito lasciare il mezzo.
Nei fatti come accertati secondo la Suprema Corte ricorre anche l'elemento soggettivo del delitto contestato, in considerazione del fatto che l'imputato, avendo visto la segnaletica, era cosciente di lasciare l'autovettura in un posto riservato ad una specifica persona, così impedendole di parcheggiare nello stesso spazio e non l'aveva fatto per quei pochi minuti che avrebbero consentito di dubitare della sua volontà ma aveva parcheggiato l'autovettura la mattina, prima delle 10.40, lasciandovela fino alla notte e quindi impedendo al disabile, a cui era stato assegnato il posto, di parcheggiare il veicolo anche al suo ritorno serale nella propria abitazione.

Fonte:www.altalex.com/Utilizzare il parcheggio riservato a disabili non è solo incivile, è anche reato | Altalex

Consiglio di Stato: “Legittimo imporre le vaccinazioni ai bambini”

Il Consiglio di Stato si è pronunciato sull’obbligo di vaccinazione introdotto dal Comune di Trieste per l’accesso ai servizi educativi comunali da 0 a 6 anni (nido, scuola materna, spazi gioco, servizi integrativi, sperimentali e ricreativi). La legittimità di tale obbligo era stata contestata da alcuni genitori sulla base del cosiddetto principio di precauzione, non avendo avuto dalle autorità sanitarie una completa informazione sul rapporto costi/benefici delle vaccinazioni (inclusa la possibilità di eseguire preventivi accertamenti sanitari per poter escludere il rischio di reazioni avverse).
Il Consiglio di Stato ha rigettato la domanda cautelare dei ricorrenti (confermando la decisione assunta dal Tar Friuli Venezia Giulia, sede di Trieste, n. 20/17), evidenziando come l’obbligo di vaccinazione, oltre ad essere coerente con il sistema normativo generale in materia sanitaria e con le esigenze di profilassi imposte dai cambiamenti in atto (minore copertura vaccinale in Europa e aumento dell’esposizione al contatto con soggetti provenienti da Paesi in cui anche malattie debellate in Europa sono ancora presenti), non si ponga in conflitto con i principi di precauzione e proporzionalità.
In particolare, nell’ordinanza si rileva come il principio di precauzione (secondo cui in presenza di un’alternativa che presenti un rischio per la salute umana non dimostrato ma neppure smentito dal sapere scientifico, il decisore pubblico deve optare per la soluzione che neutralizzi o minimizzi il rischio), in questo caso, opera a tutela della salute pubblica ed in particolare della comunità in età prescolare, prevalendo sulle prerogative sottese alla responsabilità genitoriale.

Fonte:www.lastampa.it/Il Consiglio di Stato dà ragione al Comune di Trieste: “Legittimo imporre le vaccinazioni ai bambini” - La Stampa

Pedone ubriaco e drogato centrato da un’auto: colpevole l’automobilista

Deprecabili condizioni psico-fisiche per una donna che, sotto gli effetti di alcool e droga, attraversa la strada in modo azzardato, incurante di ogni norma di sicurezza, e viene centrata da una vettura. Per i giudici ci si trova di fronte a una condotta «pericolosa, anomala e autolesionistica». Essa, però, non è sufficiente a escludere la responsabilità dell’automobilista, condannato perciò per il reato di lesioni personali colpose (Corte di Cassazione, sentenza n. 18091/17, del 10 aprile 2017).
Comportamento del pedone. Nessuna ombra nella ricostruzione dell’episodio. Evidente l’assurda imprudenza compiuta dal pedone che, sotto gli effetti di alcool e sostanze stupefacenti, «ha attraversato una strada statale, di lunga percorrenza, in un tratto non illuminato, alle 2.30 di notte», piazzandosi «lungo la linea di mezzeria in attesa di percorrere la carreggiata», e, per giunta, «indossando abiti scuri».
Per il legale dell’automobilista va escluso la responsabilità per l’investimento del pedone. E in questa ottica vengono posti in evidenza due elementi: primo, il comportamento imprevedibile e imponderabile della donna; secondo, il buon senso dell’uomo alla guida, che «viaggiava ad una velocità di gran lunga inferiore al limite di 70 chilometri orari» e che «non aveva alcuna possibilità di evitare l’impatto, trovandosi nell’oggettiva impossibilità di avvistare il pedone o comunque di percepirne tempestivamente i movimenti».
Velocità. Queste obiezioni, però, non sono sufficienti, ribattono i magistrati della Cassazione, che mostrano di condividere le valutazioni compiute in appello, valutazioni che hanno condotto alla condanna dell’automobilista.
In sostanza, viene sottolineato che l’uomo alla guida «non regolò la velocità della vettura in misura tale da poter eseguire utilmente una frenata», e, soprattutto, «si avvicinò pericolosamente alla linea di mezzeria, tanto da urtare la donna con la parte sinistra della vettura, imprimendole una forte spinta e facendola volare sull’altra corsia».
Così, nonostante le precarie condizioni del pedone e il suo comportamento azzardato, l’automobilista è comunque ritenuto colpevole.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Pedone ubriaco e drogato centrato da un’auto: colpevole l’automobilista - La Stampa

Tribunale di Ivrea:“Il cellulare provoca il cancro”

Il signor Roberto Romeo oggi ha ragione di sorridere. Lo fa perché nonostante quel tumore che lo ha reso sordo dall’orecchio destro, nonostante il fatto che abbia dovuto rivolgersi a uno studio legale perché un magistrato riconoscesse un suo diritto: ha vinto. E la sentenza emessa dal giudice del lavoro del Tribunale di Ivrea, è destinata a diventare storica. Perché, per la prima volta - «al mondo» come sottolinea l’avvocato Renato Ambrosio - un magistrato ha stabilito che esiste un «nesso di causalità» tra l’utilizzo dei telefoni cellulari e il tumore al cervello. Lo ha fatto supportato da perizie, scrivendolo in una sentenza di primo grado. E nesso di causalità vuol dire che una cosa è conseguenza dell’altra.
Ora, fa paura l’idea di dover collegare il cellulare a un tumore. E Roberto Romeo, 56 anni, dipendente Telecom non vuole spaventare nessuno quando racconta la sua storia di: «Ero responsabile di un gruppo di tecnici che intervenivano per riparare i guasti. Io li coordinavo con telefonate continue». Romeo insiste: «Io voglio soltanto stimolare a un uso corretto e consapevole del cellulare».
Ma quando lui ricopriva quell’incarico «moderazione» e «consapevolezza» erano termini che mal conosceva. Perché - per lavoro e per 15 anni - è stato costretto a stare anche 4 o 5 ore con il telefonino incollato all’orecchio. A parlare, spiegare, cercare soluzioni. E l’incubo che attanaglia migliaia di persone in tutto il mondo è diventato una realtà. Problemi all’udito, cure inutili e infine la diagnosi: tumore - benigno - seguito da un intervento chirurgico e dall’asportazione del nervo acustico.
Nel 2013 fa causa all’Inail. Vuole che gli venga riconosciuta la malattia professionale. Va a bussare alla porta di «Ambrosio e Commodo», studio legale specializzato nelle cause a tutela dei cittadini. La sua questione sta cuore anche a loro. E chiedono una perizia. Di parte. Poi vanno in Tribunale. Il giudice Luca Fadda è un magistrato attento a certi temi e ordina un accertamento tecnico al professor Paolo Crosignani. Che sentenzia: il «neurinoma» del signor Romeo è stato provocato da un uso prolungato del telefono cellulare. Stabilendo, così, un nesso tra le onde elettromagnetiche e le malattie oncologiche. Una tesi che già lo Iarc nel 2011 aveva sostenuto. Ma aveva inserito i cellulari soltanto nella categoria «2/B», ovvero «potenzialmente cancerogeni.
Il resto è storia di un processo normale con testimoni che sfilano in aula e spiegano di essere stati alle dipendenze di Romeo. Sono 15: ricordano che lo chiamavano ogni giorno almeno due volte, per un quarto d’ora alla volta o poco più. Una montagna di minuti di telefonate che hanno causato il neurinoma.
Renato Ambrosio e Stefano Bertone, che con la loro collega Chiara Ghibaudo si sono occupati di questa vicenda, non hanno dubbi: «Il Governo ora deve prendere provvedimenti». Come? «Ad esempio vietare nelle pubblicità immagini di persone che adoperano i telefonini» dice Ambrosio. Ma c’è molto altro: dallo scrivere sulle confezioni che un uso improprio degli apparecchi può causare danni alla salute, a una revisione del concetto di «potenzialmente cancerogeno», facendo migrare i telefonini nella categoria più alta degli apparato pericolosi. Insomma, un cambio epocale. Come la sentenza. Perché, spiega ancora l’avvocato Bertone: «Per anni ci hanno detto che non c’erano prove che l’uso improprio di un cellulare potesse causare un tumore.
E ci è stato detto che non si poteva neanche dire il contrario. Questa sentenza sancisce che c’è un nesso». Ed è davvero una piccola rivoluzione perché, se nel mondo ci sono 5 miliardi di persone che usano i telefonini, in Italia sono oltre 45 milioni i nostri connazionali che lo possiedono e moltissimi non ne possono fare a meno nemmeno al ristorante. Troppo. Un uso smodato. Bisogna reinventare come adoperarlo. O usarlo meno.
Il signor Romeo, oggi se ne serve soltanto con l’auricolare. Ma se potesse tornerebbe indietro e cambierebbe tutto. Perché, se è vero che ha vinto, è altrettanto vero che oggi è invalido. Al 23%. E l’Inail dovrà dargli 6 mila euro l’anno di pensione. Briciole, a confronto della salute che ha perduto.

Fonte:www.lastampa.it/“Il cellulare provoca il cancro” - La Stampa

martedì 18 aprile 2017

La PAS non è una malattia ma una condotta illecita

Il Tribunale di Milano, sez. IX civ., decreto 9-11 marzo 2017, torna a decidere su un caso di alienazione parentale, la così detta PAS (sindrome di alienazione parentale), ribadendo che non si tratta di una patologia da indagare clinicamente, ma di una serie di condotte rilevanti per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale.
L’accertamento in giudizio di queste condotte impone, inoltre, una pronuncia di condanna ex art. 96 comma II c.p.c., per grave abuso dello strumento processuale.
Il caso
Dopo una prima regolamentazione del tribunale sul diritto di frequentazione del padre con la figlia nata da una convivenza di fatto, la madre aveva depositato un ricorso ex art. 709 ter c.p.c., segnalando che, dopo la pronuncia del decreto giudiziale, sarebbero insorte complicazioni riguardanti i rapporti tra il padre e la figlia minore: in particolare, il disinteresse del padre e la conseguente reazione della figlia minore.
A fronte della relazione del Servizio sociale, dalla quale risultava che la bambina era del tutto contraria ad avere frequentazioni con il padre a causa  dell’idea di essere portata via dalla madre, il tribunale aveva disposto l’affidamento della minore al Comune, limitando la responsabilità genitoriale delle parti ma lasciando il collocamento presso la madre.
Il giudizio proseguiva con una CTU per l’esame diretto della bambina.
Dalla perizia risultava che la minore aderiva in maniera totale alla versione dei fatti narrati dalla madre, finendo per distorcere anche il dato reale. Al padre risultavano attribuite modalità comportamentali riferibili solo alla categoria dell’aggressività, nel tentativo della madre di renderlo inammissibile agli occhi della figlia piccola.
In conclusione, la consulente affermava: “finché la madre non darà il suo avallo, la figlia non potrà costruire una relazione buona e fiduciosa con il padre. Nel padre la madre vede solo negatività e non sa trovare nessun aspetto positivo o buono”.
Si ipotizzava, inoltre, un diverso collocamento: presso il padre oppure in affido etero familiare, che avrebbe consentito almeno un parziale recupero della relazione padre-figlia e la concreta disponibilità e possibilità del padre di farsi carico della bambina nella quotidianità.
Il provvedimento del tribunale.
La relazione tra figlia e papà è stata compromessa da comportamenti alienanti del genitore collocatario. Secondo il Tribunale milanese, il termine alienazione genitoriale – per la prevalente dottrina scientifica e per la migliore giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, ma un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale.
Tali condotte non richiedono l’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o l’origine patologia delle condotte.
I comportamenti della madre hanno causato uno stato di forte stress nel padre e anche una situazione di vulnerabilità per la figlia.
Un affido esclusivo al padre non è stato ritenuto applicabile a causa della sua fragilità emotiva, dovuta alla crisi degli affetti, e a causa del disagio della figlia di rifiuto del padre.
Il provvedimento contiene l’espressa previsione dell’utilizzo della sanzione prevista per la responsabilità processuale aggravata nei confronti del genitore alienante che abbia promosso la causa.
La madre che agisce in giudizio contro il padre per questioni relative ai figli, e risulti poi essere l’autrice di comportamenti alienanti, propone una azione che è da ritenere processualmente viziata da colpa grave e come tale meritevole di sanzione ex art. 96 comma III c.p.c.
L’art. 96 comma III c.p.c. risponde ad una funzione sanzionatoria delle condotte di chi, abusando del proprio diritto di azione e di difesa, si serve dello strumento processuale a fini dilatori, contribuendo così ad aggravare la mole del contenzioso e, conseguentemente, ad ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti.
La norma istituisce un’ipotesi di condanna di natura officiosa per l’offesa arrecata alla giurisdizione (Corte Cost., sentenza 23 giugno 2016, n. 152).
La madre è stata quindi condannata alle spese del processo e a una somma di uguale  misura, da quantificarsi sul valore delle spese di lite.
La giurisprudenza sul fenomeno PAS
Il Tribunale di Milano, con decreto del 13 ottobre 2014, aveva ritenuto inammissibile l’accertamento istruttorio relativo all’esistenza della sindrome da alienazione parentale poiché non è ancora riconosciuta sul piano scientifico.
Il comportamento “alienante” può rilevare sotto altri e diversi profili, ma non come “patologia” del minore, che quindi non può essere sottoposto ad accertamenti diagnostici.
Con la sentenza del 20 marzo 2013, n. 7041, la Corte di Cassazione, pur non negando espressamente l’esistenza del fenomeno, ha anche affermato che non può essere il solo ed essenziale elemento sulla cui base prendere decisioni particolarmente incisive nella vita dei minori coinvolti in ipotesi di crisi familiare. La tutela del minore deve assumere sempre valore primario e l'astratta presenza del disagio non può essere posta, in maniera automatica, a fondamento di un provvedimento di affidamento o di decadenza dalla potestà, essendo necessaria una scelta giudiziale ponderata e verificata anche alla luce di tutte le eventuali censure e contraddizioni mosse dalle parti processuali o rilevabili nella comunità scientifica.
Tuttavia, con un’altra sentenza dello stesso anno (Cass. Civ. 8 marzo 2013, n. 5847) la Cassazione ha riconosciuto l’esistenza della PAS, confermando la decisione assunta dal giudice territoriale che, riformando la sentenza di primo grado, aveva disposto l'affidamento esclusivo alla madre a causa dei comportamenti ostruzionistici del padre – risultanti da una relazione psichiatrica – volti a demolire la figura della madre, costretta a subire l'allontanamento ingiustificato dei figli.
Un nuovo cambio di rotta si è avuto di recente con la sentenza della Cassazione n. 6919 dell’8 aprile 2016, in cui la Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.

Fonte:www.altalex.com/La PAS non è una malattia ma una condotta illecita | Altalex

Addio al pianoforte per un incidente stradale: risarcita la musicista

Riconosciute le ripercussioni subite dalla donna a livello esistenziale e lavorativo. Lei aveva dedicato sé stessa a una passione diventata col tempo una carriera e ha dovuto dire addio a tutto. Il ristoro economico è però di soli 53mila euro.
Cambio di vita e di prospettive in pochi, drammatici secondi. Una macchina che sbanda, un terribile incidente e una donna che riporta lesioni fisiche così serie da dover dire addio al sogno di conquistare onori e fama suonando un pianoforte. Legittimo un ristoro economico per quella carriera stroncata sul nascere: la cifra riconosciuta è però di soli 53mila euro (Cassazione, sentenza n. 9246).
Carriera fermata. Terribili le conseguenze riportate da una donna, a seguito del terribile incidente stradale di cui è rimasta vittima: «una frattura multipla del braccio destro» con relativa «paralisi della mano». Ciò le ha impedito di portare avanti la carriera di pianista a cui aveva dedicato tutta sé stessa. E questo dato, riconoscono i giudici, non può essere trascurato, poiché ella «ha indirizzato la propria vita e i propri interessi verso la musica, e in particolare verso il pianoforte, in cui aveva investito tutte le proprie energie, anche lavorative».
In sostanza, «l’incidente stradale» ha causato alla donna «un grave peggioramento della qualità della sua vita», una volta preso atto della «perdita della possibilità di suonare il piano con la scioltezza e l’abilità precedenti».
Evidente, quindi, la «componente esistenziale» del danno. Consequenziale la decisione con cui in Appello i giudici portano la cifra del risarcimento, aggiungendo 15mila euro ai 38mila euro stabiliti in Tribunale.
Ulteriori aumenti, però, non sono possibili, sanciscono ora i magistrati della Cassazione, respingendo definitivamente la ulteriore richiesta presentata dalla oramai ex pianista.
Per i giudici del “Palazzaccio”, difatti, la quantificazione del risarcimento non è irrisoria, anzi è adeguata, alla luce del peggioramento subito dalla donna a livello di «qualità della vita» e della «perdita di chance» registrata sul fronte lavorativo.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Addio al pianoforte per un incidente stradale: risarcita la musicista - La Stampa

Patente sospesa da uno a tre mesi per chi guida usando il telefonino

Guidi utilizzando il cellulare? Patente sospesa, per un periodo che va da un mese a tre, già alla prima violazione. Il governo accelera e il viceministro dei Trasporti Riccardo Nencini annuncia la linea dura, con un provvedimento che arriverà in tempi strettissimi. «Il cammino del nuovo codice della strada - annuncia Nencini - è finalmente ripreso al Senato, dov’era rimasto fermo per la mancata copertura finanziaria di alcune voci. Ora è ripartito, ma abbiamo fatto una considerazione: potremmo intervenire con un decreto già a maggio, per anticipare quelle che sono le due grandi emergenze da affrontare il più rapidamente possibile». Utilizzando così il metodo inaugurato con l’omicidio stradale: anche questo era compreso nel nuovo codice, ma le lungaggini nell’approvazione hanno convinto il precedente governo a introdurlo con un decreto legge.
La prima emergenza è, appunto, quella di chi usa il cellulare alla guida. Per telefonare senza bluetooth, per mandare e ricevere sms, per chattare su WhatsApp, per consultare internet. Persino per farsi gli autoscatti al volante e mandarli agli amici. L’accordo trovato tra Trasporti e Interno parla di un inasprimento delle multe e delle sanzioni: oggi l’ammenda è compresa tra i 160 e 646 euro (ma solo 112 se si paga entro 5 giorni) più la decurtazione di 5 punti dalla patente. Se il progetto dell’esecutivo diventerà presto legge, la sospensione del documento di guida scatterà già alla prima violazione, mentre oggi è prevista come sanzione accessoria solo nel caso in cui il cattivo comportamento sia ripetuto nel tempo. Vietato sgarrare, sempre, stop a ogni tolleranza.
Il governo ha accolto il suggerimento del direttore nazionale della polizia stradale Giuseppe Bisogno, che spiega: «Siamo di fronte a una vera e propria emergenza, c’è un’intera generazione che arriva alla guida abituata a usare il cellulare da quando aveva 11, 12 anni e continua a farlo anche al volante, senza alcuna cautela». Secondo i dati della stessa stradale e dell’Ania la percentuale degli incidenti provocati dall’uso di smartphone è cresciuta negli ultimi anni, fino ad arrivare a causare il 20,1 per cento del totale degli schianti. Nel 2015, ultimo dato disponibile, le multe sono state 50 mila, in crescita del 20,9 per cento rispetto all’anno precedente. Il micidiale mix tra velocità e guida, però, alza ancora i numeri, tanto che il ministro Graziano Delrio è arrivato a ipotizzare che «l’ottanta per cento degli incidenti stradali gravi deriva dall’uso del cellulare alla guida». Insiste Nencini: «È un fenomeno in continua crescita, bisogna intervenire in tempi molto brevi per stroncarlo».
Il secondo provvedimento che potrebbe arrivare a maggio riguarda i mezzi pesanti, soprattutto quelli provenienti dall’estero. Il fresco precedente della tragedia di Celle Ligure del 26 marzo scorso, dove due operai sono stati schiacciati da un Tir proveniente dalla Spagna, che si è ribaltato travolgendoli in autostrada, ha indotto il ministero ad annunciare interventi rapidi. Aumenterà il numero di tutor installati sulle tratte a maggior rischio, come appunto sull’A10, Genova-Ventimiglia. Più controlli «ma saranno anche modificate - dice ancora Nencini - le norme che regolano la circolazione dei veicoli stranieri e a chi non rispetta le convenzioni internazionali cui l’Italia aderisce sarà interdetto all’ingresso nel Paese. Aumenteranno poi le sanzioni».

Fonte:www.lastampa.it/Patente sospesa da uno a tre mesi per chi guida usando il telefonino - La Stampa

sabato 15 aprile 2017

Nella manovra arriva la stretta per chi non paga il biglietto dell’autobus: multa fino a 200 euro

Stretta sui “portoghesi” dei mezzi pubblici. In una bozza della manovra-bis arrivano «misure urgenti per la lotta all’evasione tariffaria» con multe fino a 200 euro per chi è senza biglietto. «I gestori dei servizi di trasporto pubblico - è scritto nel testo - possono affidare la prevenzione, l’accertamento e la contestazione delle violazioni anche a soggetti non appartenenti agli organici del gestore, qualificabili come agenti accertatori». Le telecamere interne ai mezzi di trasporto o sulle banchine possono fornire prove dell’evasione.
La manovra-bis riprende quindi uno dei decreti attuativi della riforma Madia, rimasti in sospeso dopo la bocciatura della Corte Costituzionale.
«Gli utenti dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale, in qualsiasi modalità esercitati, sono tenuti a munirsi di valido titolo di viaggio, a convalidarlo all’inizio del viaggio e ad ogni singola uscita, se prevista, in conformità alle apposite prescrizioni previste dal gestore, a conservarlo per la durata del percorso e a esibirlo su richiesta degli agenti accertatori. Per i titoli di viaggio la convalida deve essere effettuata, in conformità alle apposite prescrizioni previste dal gestore, in occasione di ogni singolo accesso ai mezzi di trasporto utilizzati», specifica il testo.
La violazione degli obblighi «comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria da definirsi con legge regionale. In assenza di legge regionale, la sanzione è pari a sessanta volte il valore del biglietto ordinario e comunque non superiore a 200 euro».

Fonte:www.lastampa.it/Nella manovra arriva la stretta per chi non paga il biglietto dell’autobus: multa fino a 200 euro - La Stampa

Bimbo cade durante la lezione di sci: responsabile l’istruttrice

Essendo insito nell’apprendimento della disciplina sciistica il rischio di cadute, il maestro ha il dovere di non esporre ad ulteriori rischi il minore che gli sia stato affidato. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7417 del 23 marzo scorso.
Il caso. Un bambino, durante una lezione di sci collettiva, cade, riportando lesioni per le quali i suoi genitori chiedono il risarcimento del danno. Il giudice accoglie la domanda ma la Corte d’appello di Trento la rigetta, considerando diligente l’operato della maestra ed assente la colpa della Scuola di Sci cui la professionista appartiene. I genitori del danneggiato ricorrono ora in Cassazione.
Responsabilità contrattuale della maestra di sci. La Suprema Corte premette che la responsabilità della maestra e della scuola di sci si riconnette al contratto stipulato con i clienti e sottolinea poi i due «errori clamorosi» della sentenza impugnata.
Dinamica della caduta. La Corte d’appello ha infatti errato nel ritenere non contestata la circostanza che l’allievo avesse già percorso la pista nei giorni precedenti l’incidente: un testimone aveva infatti negato la circostanza. Inoltre è da escludere che la dinamica del sinistro descritta in primo grado dalla Scuola, ossia che l’allievo sia caduto incrociando quasi da fermo le punte degli sci, «possa dirsi acquisita alle risultanze processuali perché non contestata».
Pista inadeguata e pessime condizioni meteo. La Corte ritiene comunque che le allegazioni sulla conoscenza o meno della pista da parte dell’allievo, anche qualora provate, non possono considerarsi decisive rispetto all’adempimento delle obbligazioni gravanti sulla maestra e sulla scuola di sci. Proprio perché è insito nell’apprendimento della disciplina sciistica il rischio di cadute, la Cassazione ricorda che il maestro ha il dovere di non esporre ad ulteriori rischi il minore che gli sia stato affidato. Il minore aveva dedotto la responsabilità della scuola e della maestra di sci perché l’incidente era avvenuto su pista tortuosa ed inadeguata, anche a causa delle condizioni meteorologiche avverse nel giorno dell’evento: vi era stata un’abbondante nevicata ed il sentiero non era stato battuto. Il fatto che egli avesse già percorso la pista non dimostra che, in quelle specifiche condizioni, la stessa fosse adeguata alle sue capacità. Ed anche la circostanza che egli abbia effettivamente incrociato le punte degli sci non deve essere automaticamente ricondotta alla sua disattenzione, ben potendosi ascrivere invero alla scelta imprudente della maestra di far percorrere ai suoi allievi un sentiero non ancora battuto.
Non riscontrando dunque valenza risolutiva nelle allegazioni della Scuola di Sci, stante l’incertezza e insussistenza degli elementi di prova utilizzati, la Suprema Corte cassa con rinvio la sentenza impugnata, ricordando che «Nel caso di danno alla persona subito dall’allievo di una scuola di sci a seguito di caduta, la responsabilità della scuola ha natura contrattuale e pertanto, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., al creditore danneggiato spetta solo allegare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre grava sulla controparte provare l’esatto adempimento della propria obbligazione, ossia l’aver vigilato sulla sicurezza ed incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruiva della prestazione scolastica, dimostrando che le lesioni subite siano state conseguenza di circostanze autonome e non imputabili alla scuola. Tale prova può essere data anche a mezzo di presunzioni e solo se la causa resta ignota il sistema impone che le conseguenze patrimoniali negative restino a carico di chi ha oggettivamente assunto la posizione di inadempiente».

Fonte: www.ridare.it/Bimbo cade durante la lezione di sci: responsabile l’istruttrice - La Stampa

venerdì 14 aprile 2017

Documenti richiesti alla PA: la marca da bollo è online

È operativo il servizio @e.bollo, sviluppato dall’Agenzia delle Entrate con la collaborazione dell’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), che consente tramite il Sistema pagoPA di versare l’imposta di bollo con modalità telematiche sulle richieste trasmesse alle PA e relativi atti. A renderlo noto un Comunicato stampa congiunto di Agenzia delle Entrate e AgID pubblicato oggi.
Pagamento online. La marca da bollo per i documenti rilasciati dalle pubbliche amministrazioni potrà essere pagata direttamente online, con addebito in conto, carta di debito o prepagata attraverso i servizi di pagamento del Sistema pagoPA.
L’acquisto della marca da bollo digitale sarà possibile, tramite gli strumenti messi a disposizione dai Prestatori di Servizi di Pagamento, attraverso i servizi presenti su pagoPA raggiungibili esclusivamente dai siti internet delle pubbliche amministrazioni che offrono servizi per il rilascio dei documenti elettronici e che hanno aderito al sistema pagoPA dell’Agenzia per l’Italia Digitale.
Modalità. Per acquistare online la marca da bollo digitale, i cittadini potranno scegliere il PSP tra coloro che hanno aderito al sistema pagoPA e hanno stipulato un’apposita convenzione con l’Agenzia delle Entrate.
L’elenco dei PSP, insieme ad informazioni utili, è disponibile nella pagina dedicata (Home – Documentazione – Servizio @e.bollo), sul sito internet delle Entrate.
Il primo Prestatore di Servizi di Pagamento (PSP) ad essere abilitato è l’Istituto di Pagamento del sistema camerale (www.iconto.infocamere.it) tramite cui, con addebito diretto per i titolari di conto corrente dell’Istituto di InfoCamere (e a seguire anche con carta di credito anche per chi non è correntista), è possibile acquistare con pochi click la marca da bollo digitale.
Sperimentazione. Il nuovo servizio è da oggi disponibile in via sperimentale per alcuni comuni della Lombardia (Legnano, Monza, Pavia, Rho e Voghera) e del Veneto (Treviso, e Vicenza). In seguito il servizio verrà esteso ai 750 comuni accreditati al servizio pagoPA e riguarderà in futuro anche altre amministrazioni e istituti.

Fonte: www.fiscopiu.it/Documenti richiesti alla PA: la marca da bollo è online - La Stampa

martedì 11 aprile 2017

Il demonio non c’entra: la crisi coniugale non è imputabile alla donna

La separazione dei coniugi può essere addebitata ad uno di essi solo qualora i comportamenti contrari ai doveri del matrimonio, causa dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, siano stati assunti in maniera consapevole; consapevolezza che deve ritenersi esclusa qualora proprio il coniuge abbia sostenuto trattarsi di comportamenti effettivamente non voluti da chi li ha posti in essere.
Il caso. Due coniugi formulano reciproche domande di addebito nel giudizio di separazione. Lei assume di aver subito «violenza economica, avendo il marito gestito in modo autoritario ed esclusivo le risorse di casa», nonché «violenze morale, psicologiche o fisiche». Dal canto suo, il marito chiede l’addebito alla moglie perchè, a partire dal 2007, avrebbe posto in essere «devastanti comportamenti compulsivi, frutto di ossessione religiosa».
Nel corso del processo, venivano effettivamente accertati continui comportamenti della moglie «caratterizzati da violenta convulsione motoria, ore e ore di preghiera, frequentazione sistematica di un frate cappuccino, uso di saio anche per occupazioni domestiche». Il Tribunale ha però respinto entrambe le domande.
Comportamenti contrari al matrimonio e consapevolezza. Il Tribunale ha respinto la domanda di addebito del marito, ribadendo un principio costante: «la dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio». Nel caso di specie, per i giudici milanesi, non vi era alcun dubbio che i comportamenti della donna, assolutamente provati, fossero «difficilmente compatibili con i doveri nascenti dal matrimonio» e che avessero causato la frattura coniugale; pur tuttavia si trattava di comportamenti che lo stesso marito aveva affermato non essere stati volontariamente posti in essere dalla donna, in mancanza di consapevolezza e, dunque, di imputabilità, la richiesta di addebito non poteva che essere respinta.
Inaccoglibile anche la domanda di addebito formulata dalla donna giacché: i) l’asserita violenza economica era, in realtà, inesistente; ii) gli episodi rubricati come “violenza morale o psicologica” tali non potevano qualificarsi; iii) gli episodi di violenza fisica non risultavano provati e, in ogni caso, erano collocati successivamente alla crisi coniugale, così difettando il nesso di causalità.

Fonte: www.ilfamiliarista.it/Il demonio non c’entra: la crisi coniugale non è imputabile alla donna - La Stampa

Moglie obbligata a fare sesso: marito condannato

I racconti fatti dalla donna sono ritenuti attendibili e inchiodano il coniuge: è stata costretta anche a sopportare umiliazioni, offese e percosse, oltre a sottostare agli istinti sessuali del marito.
La parola di lei contro la parola di lui. Per i Giudici il racconto fatto dalla donna però è sicuramente attendibile, e ciò è sufficiente per condannare il marito, colpevole di avere maltrattato per anni la moglie, umiliandola, offendendola e costringendola ad avere rapporti sessuali (Cassazione, sentenza n. 16608/17, sez. III Penale, depositata il 4 aprile scorso).
Ribellione. Ricostruita la vicenda, sono emersi in modo chiaro i comportamenti violenti tenuti per lungo tempo dall’uomo nei confronti della coniuge. Solo dopo anni di sopportazione, difatti, la donna ha trovato il coraggio di ribellarsi, denunciando quel marito che per lei è stato un aguzzino.
Il quadro da lei tracciato non lascia spazio a dubbi: il marito l’ha «maltrattata, imponendole condotte umilianti, ingiuriandola con espressioni offensive e volgari», anche «in pubblico», e «percuotendola in modo da provocarle lesioni serie», e, in diverse occasioni, «l’ha costretta, con la minaccia ed usando la forza, ad avere rapporti sessuali con lui».
Consequenziale la condanna, prima in Tribunale e poi in Appello, per l’uomo, che, però, vede mitigata la pena: da «7 anni di reclusione» è scesa a «4 anni e 3 mesi».
Violenza. La riduzione del tempo da trascorrere in carcere resta però l’unica vittoria per il marito violento. In Cassazione, difatti, vengono respinte le obiezioni proposte dal difensore dell’uomo, e finalizzate a sostenere che le «dichiarazioni» della donna siano state frutto della «elevatissima conflittualità esistente fra i due coniugi».
Per i magistrati non è in discussione l’attendibilità della donna. Ciò vale innanzitutto sul fronte dei «maltrattamenti», confermati da «certificazioni mediche» e da «dichiarazioni testimoniali». E identica ottica si applica anche agli «abusi sessuali» compiuti dall’uomo, con la moglie «costretta, anche con atti di violenza fisica di fronte al suo rifiuto, ad avere rapporti intimi con lui».
Da confermare in toto, quindi, la condanna a 4 anni e 3 mesi di reclusione decisa in Appello.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Moglie obbligata a fare sesso: marito condannato - La Stampa

Amministrazione di sostegno: il beneficiario può accettare tacitamente l’eredità

Il Tribunale di Vercelli è stato chiamato a pronunciarsi sulla questione relativa alla possibilità, per il beneficiario dell’amministrazione di sostegno ex art. 405, comma 5, n. 4, c.c., di accettare tacitamente l’eredità.
Nel caso sottoposto all’attenzione del Giudice tutelare, infatti, la beneficiaria dell’amministrazione di sostegno, alla morte della madre, risultava essere l’unica chiamata all’eredità secondo le regole della successione ab intestato.
Nell’asse ereditario, scevro da passività come si evinceva nella dichiarazione di successione, figuravano sia beni mobili che immobili, uno dei quali abitato dalla stessa.
Pertanto, sia l’erede che l’amministratrice di sostegno adivano il Tribunale di Vercelli, nella persona del Giudice tutelare, al fine di chiedere l’autorizzazione alla riscossione dei valori mobiliari, presupponendo l’accettazione tacita all’eredità, che, come noto, secondo il disposto dell’art. 476 c.c., consiste nel compimento di un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare, e che non potrebbe essere compiuto se non in qualità di erede.
Le istanti chiedevano l’autorizzazione alla riscossione dei beni mobili, precisando che trattasi di accettazione tacita in assenza, inoltre, di passività.
Secondo il Giudice tutelare di Vercelli: “non vi sono ragioni per escludere, in capo ai beneficiari di amministrazione di sostegno, la capacità, in linea generale, di procedere all’accettazione tacita dell’eredità”.
Tuttavia, il Giudice precisa che “laddove al beneficiario sia imposto di accettare l’eredità solo previa autorizzazione del Giudice tutelare (art. 374, comma 1, nr. 3 c.c.) – o in ogni caso gli sia precluso di negoziare validamente atti concernenti la straordinaria amministrazione patrimoniale – dovrà essere sottoposta alla relativa autorizzazione proprio l’atto il cui compimento importerà accettazione ereditaria”.
In caso contrario, l’accettazione dell’eredità potrà dirsi compiuta ma non validamente, trattandosi di atto annullabile ex art. 412 c.c.
I beneficiari possono, quindi, accettare l’eredità cui sono chiamati, a patto che si muniscano, per il tramite dell’amministratore di sostegno, dell’autorizzazione di cui all’art. 374 comma 1, nr. 3 c.c.. Ciò consente di evitare ai chiamati all’eredità di evitare i costi, i tempi e gli effetti dell’accettazione con beneficio di inventario.
Dal punto di vista formale nel caso in esame deve parlarsi di accettazione tacita, dal momento l’istanza è prodromica all’atto di acquisizione dell’eredità mentre la sottoscrizione dell’istanza da parte della beneficiaria costituisce un’ “esplicazione di deferimento di poteri concorrenti” che non è idonea a mutare la natura dell’atto in scrittura privata rilevante per l’accettazione espressa, mancando l’atto sia della dichiarazione di accettazione quanto dell’assunzione della qualità di erede.
Pertanto, il Giudice tutelare ha autorizzato la riscossione dei beni caduti nel compendio ereditario e, per l’effetto, ha autorizzato l’accettazione tacita dello stesso, ritenendo l’istanza presentata condicio juris sia del valido compimento dell’atto espresso, quanto della valida accettazione tacita dell’asse ereditario.

Fonte:www.altalex.com/Amministrazione di sostegno: il beneficiario può accettare tacitamente l’eredità | Altalex

domenica 9 aprile 2017

Riforma del processo: nuovo sciopero dei penalisti dal 10 al 14 aprile

L’Unione delle Camere Penali ha proclamato un’ulteriore astensione dalle udienze nei giorni dal 10 al 14 aprile 2017, a poca distanza dal precedente sciopero svoltosi dal 20 al 24 marzo scorso,.
E’ quanto deciso dalla Giunta dell’UCPI con delibera del 17 marzo 2017.
I motivi della protesta riguardano, com'é noto, il metodo e il merito della riforma del codice penale e di procedura recentemente approvata dal Senato lo scorso 15 marzo: i penalisti contestano fermamente la “modalità autoritaria ed antidemocratica” con la quale si è deciso di approvare, sostanzialmente senza alcun dibattito parlamentare, una riforma che incide su temi sensibili quali la disciplina della prescrizione e del cd. processo a distanza; questioni che “incidono in maniera diretta e penetrante sulla natura stessa del processo penale, distorcendo gravemente il modello accusatorio del giusto ed equo processo”.
La Giunta invita inoltre le singole camere penali territoriali ad organizzare in quei giorni manifestazioni ed eventi dedicati ai temi della riforma e delle garanzie di difesa dei cittadini, con la possibilità di indire ulteriori manifestazioni nazionali.
Si ricorda inoltre che anche dei giudici di pace hanno proclamato uno sciopero unitario per i giorni dal 19 al 21 aprile 2017.

Fonte:Riforma del processo: nuovo sciopero dei penalisti dal 10 al 14 aprile | Altalex

Il tribunale di Torino: vietato copiare Vespa, è come un'opera d'arte

Il Tribunale di Torino, con una storica sentenza, ha dichiarato la piena validita' del marchio tridimensionale dello scooter Vespa e riconosciuto il carattere creativo e il valore artistico propri della sua forma che caratterizza lo scooter fin dalla prima produzione risalente al 1946.

La sentenza giunge alla conclusione di una vicenda iniziata nel 2013, quando in concomitanza con l'apertura al pubblico del salone milanese delle due ruote EICMA, la Guardia di Finanza, Compagnia di Rho - Nucleo Mobile, sequestro' 11 scooter esposti e appartenenti a 7 espositori differenti, le cui forme costituivano un'imitazione di Vespa. La Guardia di Finanza ha proceduto al sequestro dopo aver rilevato che i prodotti violavano il diritto di esclusiva del Gruppo Piaggio costituito dal cosiddetto "marchio tridimensionale" registrato da Piaggio, che protegge la forma distintiva di Vespa. Un titolo che rappresenta un fondamentale elemento di difesa delle linee uniche e caratterizzanti di Vespa, ed e' il piu' completo strumento di tutela dell'iconica forma di questo prodotto globale.

Una delle societa' coinvolte nel sequestro, la cinese Taizhou Zhongneng, ha citato a sua volta Piaggio davanti al Tribunale di Torino richiedendo l'annullamento del marchio costituito dalla forma tridimensionale dello scooter, nonche' una pronuncia che escludesse la configurabilita' della contraffazione del marchio stesso rispetto allo scooter "Ves" sequestrato all'EICMA, ma la sentenza di ieri ha rigettato le richieste e messo fine alla causa.

Fonte:www.italiaoggi.it/Il tribunale di Torino: vietato copiare Vespa, è come un'opera d'arte - News - Italiaoggi

Pugno durante la partita di basket: nessun risarcimento

Il comportamento dell’avversario è fuori dall’ambito della responsabilità civile in virtù dello stretto collegamento esistente tra l’attività sportiva e l’evento lesivo. Infatti, ogni qual volta le lesioni siano la conseguenza di un atto privo dalla volontà di ledere, senza che vi sia una violazione delle regole dell’attività sportiva in corso, non può sussistere alcuna responsabilità per colui che mette in atto il comportamento lesivo.
Così si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza n. 8553/17 depositata il 31 marzo.
Il caso. La Corte d’appello di Milano, in completa riforma della decisione di primo grado, rigettava la richiesta di risarcimento danni proposta dal giocatore (minorenne) di pallacanestro nei confronti dell’associazione sportiva, per essersi infortunato durante una partita di allenamento, essendo stato colpito da un pugno sul setto nasale che gli aveva causato una frattura alle ossa. Il ragazzo deduce l’omessa prova da parte dell’associazione della predisposizione di tutte le misure idonee ad evitare il fatto ed impugna la sentenza per cassazione.
Il risarcimento del danno nell’ambito dell’attività sportiva. Gli Ermellini, a tal proposito, ripercorrono la disciplina relativa alla responsabilità per il danno cagionato nello svolgimento di attività sportiva sotto la vigilanza dell’insegnante o precettore. In particolare, essi affermano che il criterio per individuare quando «il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo». Tale collegamento, proseguono i giudici, deve essere escluso ogni qual volta «l’atto sia stato compiuto allo scopo di ledere», ovvero con «una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco».
Al contrario, la responsabilità non sussiste quando le lesioni siano la conseguenza di un atto scevro dalla volontà di ledere e senza che vi sia violazione delle regole dell’attività e, neppure quando, tale violazione sussista ma l’atto sia funzionalmente connesso all’attività svolta. Ciò nonostante, «il nesso funzionale con l’attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte in cui venga impiegata violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l’attività si svolge in concreto o, ancora, con la qualità delle persone che vi partecipano.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha compatibilmente deciso con quanto sostenuto dalla Cassazione, pertanto, il Collegio rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Pugno durante la partita di basket: nessun risarcimento - La Stampa

Violenza sessuale: costituisce ''induzione'' qualsiasi forma di sopraffazione della vittima

 L’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale non si identifica solo con la persuasione subdola ma si...