Non sussiste alcuna responsabilità in capo ai medici, se l’errata diagnosi è dipesa, non tanto dall’inadeguatezza organizzativa, bensì dall’intrinseca limitatezza tecnica degli strumenti clinici dell’epoca. A sancirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 4540 dell’8 marzo scorso.
Il caso. Due coniugi agivano in giudizio contro i medici della struttura sanitaria a cui si erano rivolti durante la gravidanza della donna. In particolare chiedevano la condanna in solido dei sanitari al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della negligente ed imperita assistenza medica e per l’omessa informazione sull’esistenza di gravissime malformazioni fetali in capo al nascituro, ravvisate solamente alla 32° settimana, ovverosia in un momento in cui non era più possibile ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza.
Respinto il loro ricorso, i coniugi impugnavano la sentenza d’Appello davanti alla Suprema Corte, reputando errato ritenere i medici e la struttura sanitaria esonerati dall’obbligo di informare la gestante circa «la possibilità di più elevate percentuali di successo diagnostico ripetendo l’esame ecografico presso strutture più avanzate».
Possibilità di rivolgersi ad altra clinica. La Cassazione, nel decidere la questione, ricorda il principio ormai pacifico per cui «in tema di responsabilità medica, il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l’obbligo d’informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell’esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza, ricorrendone i presupposti», precisando che, tuttavia, tale principio «non impone un obbligo per ciascun ecografista (…) di rinviare sempre ad un centro maggiormente specializzato».
Deficit organizzativi. L’obbligo di informare la paziente di poter ricorrere a centri più specializzati – spiega la Cassazione – sorge in presenza dell’inadempimento della struttura sanitaria per aver assunto la prestazione diagnostica pur non disponendo di attrezzature adeguate, così da generare nella paziente l’affidamento circa il risultato diagnostico ottenuto come quello ragionevolmente definitivo.
Pertanto, l’obbligo protettivo di informazione del paziente, in capo ai sanitari, si concretizza solo quando vi sia stato l’inadempimento della struttura sanitaria dell’obbligo di adeguatezza organizzativa in rapporto all’assunzione della prestazione di spedalità in favore del paziente nonostante il deficit organizzativo.
Il contesto storico. In conclusione, «è corretta la decisione del giudice territoriale (l’Appello, ndr) che ha escluso l’assenza di inadempimento dell’obbligo di informare la gestante sulla presenza di altri centri specializzati e più idonei a rendere una diagnosi di morfologia fetale corretta e completa, giacché era del tutto arbitrario affermare che la difficoltà nella diagnosi dipendesse, quantomeno all’epoca, dalla mancata visione degli arti nella loro interezza e non dalla rudimentale tecnica dei macchinari in quel periodo utilizzabili». Nel caso di specie, non si può, quindi, parlare di inadeguatezza organizzativa, bensì di intrinseca limitatezza tecnica degli strumenti clinici dell’epoca (1986) in grado di assicurare una percentuale di successo assai contenuta pari al 18%.
Sulla base di tali argomenti la Cassazione ha rigettato il ricorso della coppia.
Fonte: www.ridare.it/Malformazione feto: strumenti limitati, il medico non ha colpa - La Stampa
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giovedì 17 marzo 2016
Malformazione feto: strumenti limitati, il medico non ha colpa
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