giovedì 27 febbraio 2014

Genitori paghino per i danni dei figli anche se quasi maggiorenni

I genitori sono chiamati a pagare i danni causati dai figli anche se i ragazzi sono prossimi alla maggiore età. Lo ha evidenziato la Cassazione, spiegando che il compito di «impartire insegnamenti adeguati e sufficienti ad affrontare correttamente la vita di relazione deve essere assolto con maggiore rigore proprio in ragione dei tempi in cui avviene l’emancipazione dal controllo diretto dei genitori». In particolare, la Suprema Corte si è occupata del caso di una sedicenne della capitale che ben 11 anni fa aveva attraversato il passaggio pedonale di piazzale Flaminio con il semaforo rosso per i pedoni mentre arrivava, con direzione Muro Torto, il centauro Stefano B..

 Se il Tribunale aveva dichiarato l’esclusiva responsabilità della sedicenne nell’incidente avvenuto il 30 ottobre del 2003, condannando la ragazza e i genitori a risarcire i danni al motociclista, la Corte d’appello della capitale aveva deciso per un concorso di colpe ritenendo però di liberare da responsabilità i genitori della minorenne, Gabriele e Giuliana D.M., sulla base del fatto che a sedici anni era da presupporre una «consapevolezza più che adeguata di circolare da sola» e che la violazione commessa dalla ragazza non potesse essere imputata ad una cattiva educazione di mamma e papà. Tanto più, è stato il ragionamento dei giudici di merito nel 2011, che l’attraversamento col rosso poteva essere giustificato da una difficoltà occasionale «come la pioggia, il ritardo a scuola o altro che non era riuscita a controllare». Contro questa decisione, il motociclista Stefano B. ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo, tra l’altro, che la corte d’appello ha motivato «in maniera incongrua allorché ha escluso la responsabilità dei genitori» cui spetta l’educazione. Piazza Cavour ha accolto la tesi difensiva e, allineandosi ad una precedente pronuncia, ha ricordato che «la responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 c.c., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico dall’art. 147 c.c. e alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti e a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito».

 In definitiva, i genitori, ha detto la Cassazione, possono liberarsi da ogni responsabilità soltanto se dimostrano, fatti concreti alla mano, di non avere avuto una colpa nell’educare il loro figlio, anche se ormai è prossimo alla maggiore età. D’altra parte, ha osservato ancora la Terza sezione civile presieduta da Giuseppe Maria Berruti, «se è vero che oggi è sempre più anticipato il momento in cui i minori si allontanano dalla sorveglianza diretta dei genitori, vanno a scuola da soli e se un quattordicenne può anche girare in motorino, è pur vero che l’obbligo di vigilanza dei genitori non può certo essere annullato, ma assume, piuttosto, contorni diversi». Dice a questo proposito la Cassazione che «il compito di impartire insegnamenti adeguati deve essere assolto anche con maggior rigore proprio in ragione dei tempi in cui avviene l’emancipazione dal controllo diretto dei genitori». Perciò, se anche sulla soglia dei 18 anni un ragazzo dimostra di non conoscere le regole della strada e del comune vivere civile, i genitori sono tenuti a pagare i danni causati dal figlio. Sarà ora la Corte d’appello di Roma a valutare (dopo oltre undici anni!) se dai genitori della ragazza oggi 27enne è stata «assolta la prova liberatoria» di averla educata bene.

 (Fonte: Adnkronos) /La Stampa - Genitori paghino per i danni dei figli anche se quasi maggiorenni

mercoledì 26 febbraio 2014

Al via gli sconti in autostrada per i pendolari

I pendolari che si registrano sul sito Telepass (www.telepass.it) oppure sui siti delle concessionarie autostradali possono ottenere lo sconto sui pedaggi quotidiani relativi al tragitto percorso per andare al lavoro, sconto che può arrivare anche al 20%. Nel caso in cui ci si registri entro la fine del mese, annuncia una nota del Ministero dei Trasporti, lo sconto sarà retroattivo e partirà dal primo di febbraio. I vincoli per poter avere accesso alle agevolazioni sono i seguenti: essere in possesso di Telepass (con contratti family, business e ricaricabili, abbinati a persone fisiche ed a veicoli di classe A); effettuare la registrazione, definendo il percorso che si utilizza abitualmente, indicando il casello di entrata e quello di uscita; utilizzare l’autostrada come pendolari tra due stazioni predefinite, con percorso massimo di 50 chilometri. La percentuale di sconto è proporzionale al numero dei viaggi e non alla loro lunghezza (dunque è identica per chi fa pochi chilometri e per chi ne percorre fino a 100 in un giorno tra andata e ritorno). Sino a 20 transiti mensili non viene applicato nessuno sconto. A partire dal 21° transito lo sconto (per tutti e 21 i viaggi effettuati) sarà pari all’1% e crescerà linearmente (2% del pedaggio complessivo per 22 transiti effettuati, 3% per 23 viaggi) fino al 20% del pedaggio complessivo che scatta dopo il 40° transito. Chi fa 41 viaggi, cioè, avrà su tutti e 41 e sino al 46° viaggio (i giorni lavorativi in un mese sono al massimo 23) lo sconto del 20%. Per i transiti successivi al 46° viaggio si paga la tariffa intera. Lo sconto è applicato per un massimo di due viaggi al giorno, compresi i festivi, e non è cumulabile con altre agevolazioni/iniziative di modulazione tariffaria.

Fonte: http://fiscopiu.it/La Stampa - Al via gli sconti in autostrada per i pendolari

Guida in stato di ebbrezza: la confisca del mezzo non lede il comproprietario estraneo al reato

È legittimo il sequestro del veicolo utilizzato per la commissione del reato di guida in stato di ebbrezza, in vista della confisca della quota appartenente all’indagato/imputato. È quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza 47480/13.

Il caso

La quarta sezione penale della Cassazione annulla la sentenza del Tribunale di Trieste, la quale non aveva previsto la confisca del veicolo di un uomo, accusato per guida in stato di ebbrezza. Il giudice di primo grado aveva optato per tale scelta considerando che l’ applicazione della sanzione avrebbe colpito anche un soggetto estraneo al reato. Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Trieste ricorre in Cassazione e chiede l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato. La legittimità della confisca del veicolo con cui il reato è stato commesso è fuori discussione. L’art. 186, co. 2, lett. c, c.d.s. stabilisce che con la sentenza di condanna, ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato. La Corte Costituzionale, in particolare, ha stabilito la natura giuridica di sanzione amministrativa accessoria della confisca e la competenza del giudice penale ad infliggere anche tale tipo di sanzioni. Ciò porta a sostenere la legittimità del sequestro, per intero, di un veicolo, con cui è stato commesso il reato, in vista della confisca della quota appartenente all’indagato/imputato, mentre il comproprietario estraneo al reato conserva il diritto sulla quota parte del ricavato della vendita e non viene leso in alcun modo. Va considerato anche che il veicolo a mezzo del quale è stato commesso il reato contestato non è ex se una res tale da non poter restare in circolazione, prescindendo dal soggetto che ne aveva la disponibilità, ma una res da considerarsi pericolosa solo in relazione a quel soggetto trovato in grave stato di ebbrezza, a cui ne deve essere sottratta la disponibilità. Conseguentemente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Guida in stato di ebbrezza: la confisca del mezzo non lede il comproprietario estraneo al reato

Fatture false: concorso di reato per emissione ed inserimento in dichiarazione

La vicenda riguarda una persona fisica imputata del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti. A fronte di tale reato la Corte di Appello riformava parzialmente la sentenza del Tribunale riconoscendo il vincolo della continuazione tra i fatti oggetto del procedimento stesso e quelli oggetto di precedente sentenza, ormai irrevocabile, emessa dalla Corte d'Appello stessa. Si rideterminava la pena in tre anni e sei mesi di reclusione, pena che portava l'imputato a ricorrere in Cassazione. La Suprema Corte, Sezione penale, con la sentenza n. 7324 depositata il 17 febbraio 2014 , ha precisato che vi è concorso di reato per chi emette le fatture false e le utilizza nella propria dichiarazione dei redditi. Quanto stabilito si basa sulla corretta interpretazione dell'art. 9 del D.Lgs n. 74/2000 che recita “1. in deroga all'art. 110 del c.p.: a) l'emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'art. 2; b) chi si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto dall'art. 8”. Gli ermellini affermano che nel caso in cui lo stesso soggetto agente operi sotto una doppia e diversa veste, quella di amministratore del soggetto giuridico che emette le fatture e quella di amministratore che utilizza dette fatture, viene preclusa l'applicabilità dello speciale regime derogatorio dell'art. 9.

Fonte: http://fiscopiu.it/La Stampa - Fatture false: concorso di reato per emissione ed inserimento in dichiarazione

martedì 25 febbraio 2014

Genitori problematici e nessun attaccamento del bambino: addio potestà genitoriale

Problematiche psicopatologiche dei genitori, non risolvibili nel tempo, e mancanza di attaccamento del bambino alle figure genitoriali risultano inidonei a soddisfare le esigenze fondamentali di vita e il corretto compimento del processo evolutivo del bambino. La Cassazione, con la sentenza 26492/13, si è occupata dello stato di adottabilità di un minore e del relativo stato di abbandono. Nello specifico, i giudici di primo e secondo grado avevano dichiarato lo stato di adottabilità di un minore, sospendendo la potestà dei genitori sul bambino e procedendo con la nomina di un curatore speciale. Anche l’affidamento ai congiunti ha avuto esito negativo. Infatti, si denotava una situazione di abbandono morale e materiale del piccolo e, inoltre, anche la possibilità di affidamento ad altri congiunti – come gli zii materni – era stata scartata visto l’esito fallimentare dello stesso. Genitori problematici … E poi – come rilevato dai consulenti tecnici d’ufficio nominati nel giudizio di primo grado – sia «le problematiche psicopatologiche dei genitori del piccolo», non risolvibili nel tempo, sia «la mancanza di attaccamento del bambino alle figure genitoriali», risultano inidonei a soddisfare le esigenze fondamentali di vita e il corretto compimento del processo evolutivo del bambino. A parere della Consulta - che ha dichiarato inammissibile il ricorso dei genitori – la Corte di appello ha analiticamente e puntigliosamente esaminato le risultanze delle consulenze tecniche disposte e delle relazioni dei servizi sociali.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Genitori problematici e nessun attaccamento del bambino: addio potestà genitoriale

L’assegno divorzile ha carattere esclusivamente assistenziale e deve garantire il precedente tenore di vita

Nessuna funzione accessoria dell’assegno divorzile, ma solo una funzione assistenziale. Tuttavia, secondo un consolidato principio di legittimità, alla parte economicamente più debole deve essere garantito un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza 26491/13.

Il caso

Dopo la declaratoria della cessione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale stabiliva a favore della donna un assegno mensile pari a 1.000 euro. L’ex marito proponeva appello, rilevando che, in sede di separazione giudiziale, erano stati assegnati alla moglie alcuni beni immobili e la somma di 730mila euro, rendendola, insomma, autosufficiente sul piano economico. I giudici di secondo grado, da una parte avevano escluso la ricorrenza dei presupposti per la soddisfazione del criterio assistenziale, dall’altra, però, avevano affermato la necessità di tener conto delle residue funzioni, ancorché accessorie, dell’assegno divorzile, e quindi, «tenuto conto del presumibile, relativo sviluppo, in corso di tempo, dalla già ben avviata attività imprenditoriale dell’ex marito», stimava «conforme a giustizia riconoscere in favore della moglie un assegno divorzile limitato ad euro 280 mensili, rivalutabili annualmente su base ISTAT». L’assegno periodico di divorzio ha carattere esclusivamente assistenziale. L’uomo, non soddisfatto dal verdetto di appello, propone ricorso per cassazione. Ed è proprio in questa sede che le sue doglianze vengono accolte. Infatti, la Cassazione, rifacendosi ad un suo consolidato orientamento, afferma che l’assegno periodico di divorzio «ha carattere esclusivamente assistenziale, atteso che la sua attribuzione trova presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienze dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate». In conclusione, vista la palese violazione di tale principio da parte dei giudici territoriali, la Cassazione annulla con rinvio la sentenza impugnata.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - L’assegno divorzile ha carattere esclusivamente assistenziale e deve garantire il precedente tenore di vita

lunedì 24 febbraio 2014

Matrimonio bianco? Nessun addebito al marito che fugge con l'amante

La relazione extra coniugale e l’allontanamento dalla casa familiare non costituiscono di per sé motivi di addebito. Lo ha ribadito la Cassazione con la sentenza 5 febbraio 2014, n. 2539 che ha messo sul piatto della bilancia da una parte l’adulterio e l’abbandono da parte del marito e dall’altra il rifiuto di avere rapporti sessuali da parte della moglie.

Il Tribunale di Pescara aveva respinto la domanda di addebito della donna che non aveva avuto soddisfazione neppure in appello, nonostante il marito non avesse negato la relazione extra coniugale e di essersi allontanato da casa per andare a vivere con la nuova compagna.

Ma l’infedeltà del marito non era stata la causa dell’unione matrimoniale. Risultava provato, mediante testimonianza della sorella del marito, che dalla nascita del figlio avvenuta nell’anno 2000, la coppia non aveva più rapporti intimi e ciò avrebbe condotto all’intollerabilità della convivenza.

Nella valutazione delle condotte reciproche, anche la Corte d’Appello aveva escluso il nesso di causalità tra la violazione del dovere di fedeltà e l’intollerabilità della convivenza.

La Corte di Cassazione chiarisce che l'obbligo di fedeltà coniugale costituisce oggetto di una norma di condotta imperativa, la cui violazione, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, determina normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza e la separazione personale, con addebito al coniuge infedele.

Se però risulti, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, in una situazione caratterizzato da una convivenza meramente formale, la violazione diventa irrilevante ai fini dell’addebito (Cass. Civ. n. 13592 del 12 giugno 2006).

Anche l'abbandono della casa familiare di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale e, conseguentemente, causa di addebito della separazione, in quanto impedisce la convivenza, a meno che l’allontanamento non sia stato causato dal comportamento dell’altro coniuge o se la convivenza fosse già divenuta intollerabile. (Cass. civ. n. 10719 dell’8 maggio 2013 e n. 12373 del 10 giugno 2005).

In un altro caso esaminato dalla Cassazione, si era affermato che l’intimità sessuale è uno dei fini essenziali del matrimonio. Quando il rifiuto del sesso diventa perdurante nel tempo, si tramuta in rifiuto della persona in toto e reca una grave offesa personale al partner.

Se pertanto l’astensione dai rapporti sessuali, non è frutto di un accordo più o meno tacito o più o meno subito, ma è espressione di repulsione e totale disinteresse nei confronti del coniuge e sintomo di mancanza di comunione di affetti, allora è addirittura fonte di addebito per il coniuge che opponga il rifiuto (Cass. Civ. sentenza 6 novembre 2012, n. 19112).

fonte: Altalex.com/Matrimonio bianco? Nessun addebito al marito che fugge con l'amante

Privacy violata: casi in cui sono configurabili danno morale ed esistenziale

Ai fini della configurazione della responsabilità civile conseguente ad un illegittimo trattamento di dati personali l’individualità della persona offesa o di cui sono stati resi pubblici dati sensibili non ne postula l’esplicita indicazione del nominativo, essendo sufficiente che essa possa venire individuata anche per esclusione in via deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che in concreto tale individuazione avvenga nell’ambito di un ristretto numero di persone.

La sentenza della Suprema Corte, III sez. civile, n. 1608/2014 affronta il delicato argomento del risarcimento del danno conseguente alla lesione del diritto alla riservatezza, danno che non è da intendere meramente patrimoniale, ma morale ed esistenziale.

Come è noto, difatti, l’art. 15 del Codice per la protezione dei dati personali disciplina il tema della responsabilità civile per i danni procurati dal trattamento di dati personali e nello specifico già la Direttiva 95/46/CE dedica all’argomento della responsabilità l’art. 23 il quale sancisce che “Gli Stati membri dispongono che chiunque subisca un danno cagionato da un trattamento illecito o da qualsiasi altro atto incompatibile con le disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva abbia il diritto di ottenere il risarcimento del pregiudizio subito dal responsabile del trattamento”. Inoltre specifica al 2° comma che “il responsabile del trattamento può essere esonerato in tutto o in parte da tale responsabilità se prova che l’evento dannoso non gli è imputabile”.

Quindi in base a quanto prescritto dall'art. 15 chi ritiene di essere stato leso a seguito dell'attività di trattamento dei dati personali che lo riguardano può ottenere, in sede giudiziaria, il risarcimento dei danni senza dover provare la "colpa" del titolare che ha trattato i suoi dati. Resta ovviamente a carico dell'interessato l'onere di provare eventuali danni derivanti dal trattamento dei dati.

Tanto in sede comunitaria quanto in quella nazionale, è stato ben chiaro che i rischi maggiori sono connessi all’uso “tecnologico” dei dati, ma, valutato che l’angolo visuale è, in ultima analisi, il valore della riservatezza e dei diritti della personalità, è prevalsa la posizione che la tutela della privacy debba estendersi a tutte le specie di dati personali. Certo, non può negarsi che la prevalente portata dell’art. 15 è da ricondurre al trattamento automatizzato dei dati.

Il 2° comma della disposizione in esame riprende l’annosa questione relativa alla categoria del danno non patrimoniale. È noto, difatti, come frequenti dispute dottrinali e giurisprudenziali abbiano riguardato la nozione in sè di “danno non patrimoniale”. Secondo taluni essa viene a coincidere con la sofferenza psico-fisica del soggetto e meglio vi si attaglia la definizione di danno morale (SCOGNAMIGLIO), ma non manca chi tende a circoscrivere nell’area del danno morale i pregiudizi non suscettibili di valutazione economica mediante criteri obiettivi (BUSNELLI). Non bisogna dimenticare, inoltre, un altro indirizzo dottrinale che determina, in negativo, la figura del danno non patrimoniale, facendola coincidere con una serie di fenomeni eterogenei accomunati dalla non patrimonialità dell’interesse leso o dalla non valutabilità in denaro della lesione (DE CUPIS).

Da un punto di vista giurisprudenziale si ricorda che più volte la Suprema Corte ha chiarito che il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; nè tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti (v. Cass. n. 20292/2012).

Ad ogni modo è plausibile, comunque, affermare che l’art. 15 del Codice finisce per contenere una sorta di principio di “indemnisation integrale del danno non patrimoniale da trattamento dei dati personali”. Invero, è difficile scorgere una fattispecie che resti fuori dalla previsione dell’art. 11 e, dunque, non rilevi, ai fini riparatori, come violazione di detto articolo.

Nel caso di specie, in particolare, una mamma ed un figlio lamentano la straordinaria e devastante esplosione mediatica di un articolo giornalistico, che pur non riportando i loro nomi evidenziava una serie di particolari che avevano permesso ad un nutrito pubblico la concreta individuazione. In considerazione, quindi, del grave disagio arrecato ai soggetti offesi, la Corte di Cassazione ha condannato il direttore e l’editore del giornale al risarcimento dei danni morali ed esistenziali a favore sia della mamma che del figlio minore.

Nella motivazione della sentenza la Suprema Corte sottolinea che l’individualità della persona offesa o di cui sono stati resi pubblici dati sensibili non ne postula l’esplicita indicazione del nominativo, essendo sufficiente che essa possa venire individuata anche per esclusione in via deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che in concreto tale individuazione avvenga nell’ambito di un ristretto numero di persone. D’altro canto, sostiene l’organo giudicante, che negare l’applicazione della normativa citata alle ipotesi di persona immediatamente riconoscibile pur in assenza delle indicazioni delle generalità, equivale a negare concreta efficacia alla normativa stessa e a renderla agevolmente aggirabile.

fonte: Altalex.com/Privacy violata: casi in cui sono configurabili danno morale ed esistenziale

Famiglia fondata sul matrimonio e famiglia di fatto: c’è differenza

Dopo la fine della storia d’amore, il convivente non ha ottenuto la condanna della sua ex al pagamento della metà del valore dell’immobile acquistato, ma l’uomo ha comunque contribuito all’acquisto. È il caso affrontato dalla Cassazione con la sentenza 26424/13. 
IL CASO
Un uomo citava in tribunale la sua ex, con cui aveva convissuto more uxorio per 9 anni e generato 2 figli. Il Tribunale aveva dichiarato l’intervenuta costituzione tra le parti di una famiglia di fatto, osservando che anche l’uomo aveva contribuito all’acquisto dell’immobile, ma aveva respinto, però, la domanda, fondata sulla equiparazione della famiglia di fatto a quella legittima, ritenendo le 2 situazioni non assimilabili e conseguentemente non applicabile la normativa della comunione legale (art. 177 e ss. c.c.). A non poter essere accolte, secondo lo stesso Tribunale, erano le domande restitutorie dell’attore, «inquadrabili nello schema dell’azione generale di arricchimento delineata dall’art. 2041 c.c.». È la Corte di appello che, in parziale accoglimento del gravame dell’uomo, condannava la controparte a pagare poco meno di 74mila euro. La stessa Corte, tuttavia, riteneva che non potessero essere accolte le domande volte ad ottenere la condanna della convenuta al pagamento della metà del valore dell’immobile acquistato nel 1999 o, in subordine, della metà della somma erogata per l’acquisto del medesimo bene, «in quanto presupponevano l’applicabilità del regime patrimoniale legale proprio della famiglia fondata sul matrimonio e non estensibile alla famiglia di fatto, segnatamente in relazione alla normativa della comunione legale». L’uomo aveva contribuito all’acquisto dell’abitazione. È la donna a proporre ricorso per cassazione. Ma la Cassazione ha osservato che – come già accertato - l’uomo aveva contribuito all’acquisto della nuova abitazione, intestata solo a lei. Infatti, è stata ritenuta provata l’ingente entità della dazione attuata dall’uomo, nonché esclusa la relativa spontaneità e, quindi, pure la sua riconducibilità e liberalità, puntualmente analizzando le condizioni economiche dell’esborso e del prezzo d’acquisto dell’immobile dai limiti di proporzionalità e dell’adeguatezza del rispetto all’apprezzato contesto. Pertanto, la Cassazione ha rigettato in toto il ricorso. 
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Famiglia fondata sul matrimonio e famiglia di fatto: c’è differenza

venerdì 21 febbraio 2014

Abuso di alcool e droga, molestie verso genitori e fratelli: nessun vizio di mente, condannato

Confermata la pena di 16 mesi di reclusione per un uomo, resosi ‘protagonista’ di episodi di violenza, a scadenza quotidiana, verso la propria famiglia. Nessun dubbio sul clima da incubo in cui sono stati costretti a vivere genitori e fratelli dell’uomo. E le precarie condizioni psico-fisiche dell’uomo, provocate dall’abuso di alcool e droga, non rappresentano  un vizio di mente.

Il caso

Vita da incubo per una famiglia: a costituire il problema è, purtroppo, uno dei figli, protagonista di atti violenti, praticamente a scadenza quotidiana, nei confronti della madre, del padre e dei fratelli. Come si spiega questa condotta? Anche con lo stato di ubriachezza abituale – aggravato dall’uso di droga – dell’uomo. Questa difficile condizione, però, non può rappresentare un alibi, o una giustificazione per rendere meno gravi le accuse: corretta, quindi, la condanna per il reato di “maltrattamenti” (Cassazione, sentenza 47078/13). Davvero difficile immaginare di poter vivere così... Ogni giorno, difatti, i componenti della famiglia sono vittime dei «comportamenti aggressivi e violenti» di uno dei figli, resosi ‘protagonista’, tra l’altro, di «minacce, percosse, danneggiamento» nei confronti «della madre, del padre e dei fratelli». Nessun dubbio, quindi, sulla vicenda, ricostruita anche grazie ai resoconti fatti dai Carabinieri, costretti a intervenire diverse volte nell’abitazione della famiglia. E, di conseguenza, nessun dubbio sul «clima persecutorio e di sopraffazione psicologica» subito dai genitori e dai fratelli dell’uomo. Per questo, è logica la condanna – messa ‘nero su bianco’ prima dal Giudice dell’udienza preliminare e poi dalla Corte d’Appello – per il «delitto di maltrattamenti in famiglia». A contestare la condanna – alla «pena di un anno e quattro mesi di reclusione» – è, ovviamente, l’uomo, che richiama, come giustificazione, la propria condizione di alcolista. Più precisamente, egli sostiene, tramite il proprio legale, che «la fonte dei dissidi familiari risiedeva» nella sua «situazione di abuso etilico», e che, quindi, nei suoi «comportamenti, determinati da eventi imprevisti e segnati dall’occasionalità, non è ravvisabile la coscienza e la volontà di ledere l’integrità fisica e psichica dei soggetti passivi». Ma questa visione viene considerata, dai giudici del ‘Palazzaccio’, assolutamente non plausibile. Innanzitutto perché è acclarato il «clima» da incubo in cui la famiglia è stata costretta a vivere, subendo «prevaricazioni e pesanti vessazioni» a cui non c’è stata opposizione «per la paura di reazioni inconsulte ed incontenibili, legate all’abuso», da parte dell’uomo, «di alcool e di sostanze stupefacenti». Per giunta, gli «episodi» violenti si sono verificati «con cadenza quotidiana». Nessun dubbio è possibile, quindi, sulla concretezza dei «maltrattamenti» – fisici e morali – subiti dai genitori e dai fratelli dell’uomo. E rispetto a questo chiarissimo quadro, è inutile il richiamo al precario – per usare un eufemismo – stato psico-fisico dell’uomo, provocato dall’«abuso di alcool e di sostanze stupefacenti»: perché non si può parlare di «vizio di mente», laddove, come in questa vicenda, le «anomalie» e le «forme di degenerazione del sentimento», manifestate dall’uomo, non sono frutto di uno «stato patologico» – legato all’uso smodato di «alcool e stupefacenti» – ossia di «alterazioni psicologiche permanenti».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Abuso di alcool e droga, molestie verso genitori e fratelli: nessun vizio di mente, condannato

Tossicodipendente ricetta denaro sporco: può esserci continuazione tra reati

Nel deliberare in ordine al riconoscimento della continuazione, il giudice deve verificare che i reati siano il frutto della medesima, preventiva, risoluzione criminosa e se la tossicodipendenza dell’imputato abbia influito sulla commissione delle condotte criminose. È quanto stabilito dalla Cassazione nella sentenza 46978/13.

Il caso

Il Gip del Tribunale di Napoli rigetta l’istanza di un tossicodipendente volta al riconoscimento della continuazione tra i reati di cui a più sentenze di condanne definitive nei suoi confronti. Ciò per il lasso di tempo che intercorreva tra gli stessi e che portava ad escludere l’unicità del disegno criminoso, non determinata neppure dallo stato di tossicodipendenza. L’imputato ricorre per cassazione deducendo il fatto che il giudice non aveva considerato l’omogeneità dei reati, il periodo temporale circoscritto e il particolare stato del soggetto. Il ricorso è fondato: la Cassazione ha più volte ribadito che «nel deliberare in ordine alla continuazione, il giudice deve verificare che i reati siano frutto della medesima, preventiva risoluzione criminosa, tenendo conto se l’imputato, in concomitanza della relativa commissione, era tossicodipendente, ove il suddetto stato abbia influito sulla commissione delle condotte criminose alla luce di specifici indicatori», come la distanza cronologica tra i fatti criminosi, le modalità della condotta, la tipologia dei reati, l’omogeneità delle violazioni, il bene protetto. Di conseguenza, gli Ermellini annullano l’ordinanza impugnata e rinviano per nuovo esame al Gip di Napoli.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/La Stampa - Tossicodipendente ricetta denaro sporco: può esserci continuazione tra reati

Farmaco contenente alcol? Automobilista deve astenersi dalla guida

La natura contravvenzionale della guida in stato di ebbrezza impone al soggetto agente di astenersi diligentemente dalla guida ove abbia assunto, per qualsivoglia, anche giustificata, ragione, alcolici o misture, rimedi, prodotti e farmaci contenenti alcol. E’ il principio ribadito dalla Cassazione con la sentenza 31 gennaio 2014, n. 4967.
In merito a ciò la Suprema Corte già si era pronunciata con la sentenza 3 aprile 2013, n. 15562, dove aveva precisato che l'espletamento di una perizia diretta ad accertare l'idoneità dei farmaci assunti ad alterare i valori del tasso alcolemico in misura superiore a 0,5 g/l non è indispensabile ai fini del decidere, atteso che comunque il ricorrente, che conosceva gli effetti dei farmaci che assumeva, mai avrebbe dovuto porsi alla guida di un'autovettura.
Sulla stessa linea la pronuncia 29 settembre 2011, n. 38793. Anche in questo caso, la Corte ha sostenuto che ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all'articolo 186 del codice della strada, non può rilevare, per escludere il reato, la prospettata circostanza che l'assunzione di determinati farmaci possa avere aumentato i dati di concentrazione dell'alcool nel sangue, perché, in ogni caso, chi sa di assumere farmaci di tal genere deve astenersi dall'ingestione di alcool e specialmente deve evitare di mettersi alla guida.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 27 novembre 2013 - 31 gennaio 2014, n. 4967
(Presidente Zecca – Relatore Grasso)
Ritenuto in fatto
1. Il GIP del Tribunale di Busto Arsizio, con sentenza del 17/3/2010, dichiarato D.O. colpevole del reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. b) del cod. della str., per essersi posto alla guida di un’autovettura in stato d’ebbrezza (1,64/1,59 g/l), condannò il medesimo alla pena stimata di giustizia.
2. La Corte d’appello di Milano, investita dell’appello dell’imputato, con sentenza del 3/4/2013, confermò la statuizione di primo grado.
3. Avverso quest’ultima sentenza l’imputato ricorre per cassazione.
3.1. Con il primo motivo posto a corredo del ricorso, denunziante vizio motivazionale, il ricorrente assume che la Corte territoriale era venuta meno al proprio compito di rendere effettiva motivazione, prendendo in esame i motivi d’impugnazione. Ciò non era accaduto in quanto la Corte milanese si era limitata a riprendere le argomentazioni del giudice di primo grado, senza, peraltro, verificare l’effettivo buon funzionamento del macchinario rilevatore e senza tener conto che nella seconda prova solo per nove decimali risultava superato il parametro, mentre il D.M. 22/5/1990, n. 196 tiene conto solo delle unità intere, senza contare che un lieve scostamento era possibile che fosse derivata dalla stessa apparecchiatura.
3.2. Con il successivo motivo viene denunziato ulteriore vizio motivazionale a riguardo del trattamento penale: la pena appariva eccessiva in relazione all’addebito e il giudice di seconde cure si era limitato a riprendere gli stessi argomenti di quello di primo grado.
4. E’ successivamente pervenuta memoria contenente nuovo motivo, datata 2/7/2013 e firmata personalmente dall’imputato.
Con la novella censura il ricorrente denunzia violazione di legge in quanto, secondo la prospettazione, la macchina rilevatrice non risultava essere accompagnata dalla certificazione di verifica della sua perfetta funzionalità. In ogni caso, trattavasi di misurazioni che potevano risentire dello stato fisico del soggetto (rigurgiti gastrici), delle modalità della misurazione (se prossima all’assunzione della bevanda risulteranno registrati anche i meri vapori alcolici), della circostanza che la persona sottoposta al controllo poco prima abbia utilizzato collutori, spray, medicine in genere contenenti alcol e financo dolci, arricchiti di sciroppi liquorosi. Da ciò consegue, secondo la censura, che il ragionamento probatorio deve essere condotto con particolare rigore. Poiché ciò non era avvenuto nel caso di specie risultava violato l’art. 530, comma 2, cod. proc. pen.
Considerato in diritto
5. La manifesta infondatezza di tutti i motivi prospettati impone declaratoria d’inammissibilità.
5.1. Quanto alla pretesa inattendibilità dell’alcoltest questa Corte ha già più volte avuto modo di condivisamente affermare che costituisce onere della difesa dell’imputato fornire una prova contraria all’accertamento (difetti dello strumento, errore di metodologia nell’esecuzione), non essendo affatto sufficiente congetturare la mancanza di omologazione del macchinario (Cass., Sez. IV, n. 17463 del 24/3/2011) o il mancato deposito della documentazione attestante la regolarità dell’etilometro (Cass., Sez. IV, n. 42084 del 4/10/2011); o, addirittura, come nel caso di specie, prospettare vaghi dubbi, neppure correlati a specifici elementi fattuali.
5.2. La pretesa di non tenere conto dei decimali risultanti dalla misurazione contrasta inesorabilmente con il contenuto dell’art. 186, cod. della str., il quale non pone una simile preclusione.
5.3. Infine, ancòra una volta meramente congetturali ed astratte risultano le osservazioni circa gli effetti di prodotti o rimedi contenenti alcol, senza contare che questa Corte ha già avuto modo di condivisamente chiarire che la natura contravvenzionale della trasgressione impone al soggetto agente di astenersi diligentemente dalla guida ove abbia assunto, per qualsivoglia, anche giustificata, ragione, alcolici o misture, rimedi, prodotti e farmaci contenenti alcol (Cass., Sez. IV, n. 26972 del 6/6/2013).
5.4. Aspecifico deve valutarsi il motivo con il quale il ricorrente si duole del trattamento penale: al contrario dell’assunto impugnatorio, infatti, la Corte territoriale, nel condividere l’operato del primo giudice, ha fornito congrua motivazione in ordine alla scelta sanzionatoria, motivazione che, in questa sede, ovviamente, non può essere oggetto di revisione.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
fonte: Altalex.com/Farmaco contenente alcol? Automobilista deve astenersi dalla guida

giovedì 20 febbraio 2014

Per la rottamazione delle cartelle esattoriali la scadenza slitta al 31 marzo

Platea più ampia e più tempo a disposizione per fruire delle norme del Ddl di Stabilità sulla "rottamazione" delle cartelle esattoriali. L'Aula del Senato ha approvato un emendamento al Dl sugli Enti locali a firma Vittorio Fravezzi (Autonomie), che estende questa possibilità anche ai casi in cui «il debito tributario derivi da ingiunzione fiscale» ed allunga i termini dal 28 febbraio al 31 marzo prossimo.

No di Grasso a metà degli emendamenti

Dopo il via libera in mattinata in commissione Bilancio del Senato è iniziata in Aula la discussione generale sul Dl con le norme "salva-Roma" che deve ancora essere esaminato dalla Camera e va convertito in legge entro il 28 febbraio. Sono 15 su 26 gli emendamenti approvati in commissione Bilancio del Senato al Dl sugli Enti locali finiti però sotto la mannaia della inammissibilità dal presidente del Senato, Pietro Grasso. È stato lo stesso Grasso a comunicare in Aula la decisione sulle inammissibilità prima dell'avvio del voto delle proposte di modifica in cui l'Aula è ora impegnata.

fonte: ilsole24ore.com/Per la rottamazione delle cartelle esattoriali la scadenza slitta al 31 marzo - Il Sole 24 ORE

È legge l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti

Via libero definitivo dalla Camera, a maggioranza, alla conversione in legge del decreto, varato dal governo Letta, che abolisce il finanziamento pubblico diretto e indiretto ai partiti e lo sostituisce con agevolazioni fiscali per la contribuzione volontaria dei cittadini attraverso detrazioni per le erogazioni liberali e destinazione volontaria del 2 per mille Irpef.

L'accesso dei partiti alle nuove uniche forme di contribuzione viene condizionato dalla nuova legge al rispetto di requisiti di trasparenza e democraticità indicati dal decreto-legge, in cui si prevede anche l'istituzione di un registro dei partiti politici ai fini dell'accesso ai benefici. Con la nuova disciplina viene superata la parziale riforma della legge del 2012, con la quale, al sistema dei rimborsi elettorali era stato affiancato il cofinanziamento dello stato, proporzionato alle capacità di autofinanziamento dei partiti, che ora è stato abolito.

Il requisito della democrazia interna

La nuova disciplina si inserisce in un processo, sviluppatosi negli ultimi anni, di progressiva riduzione dell'entità dei contributi diretti ai partiti, istituiti nel 1974 ed erogati, a partire dal 1993, esclusivamente sotto forma di contributi per le spese delle campagne elettorali. Le principali caratteristiche del sistema introdotto dalla nuova legge riguardano l'adozione da parte dei partiti di statuti recanti necessari elementi procedurali e sostanziali che garantiscano la democrazia interna.

Registro nazionale dei partiti politici

Istituito il registro nazionale dei partiti politici che accedono ai benefici previsti dalla legge. Sarà consultabile dal sito internet del parlamento la realizzazione da parte di ciascun partito di un sito internet dal quale devono risultare le informazioni relative all'assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci.

Come funziona

Fra le principali misure c'è l'estensione delle funzioni di controllo della commissione di garanzia sui bilanci dei partiti anche al rispetto delle prescrizioni sul contenuto statutario e sulla trasparenza, la riduzione delle risorse loro spettanti per i partiti che non rispettano le norme in materia di parità di accesso alle cariche elettive, l'introduzione di un tetto alle donazioni pari a 100 mila euro, l'introduzione di una detrazione per le erogazioni liberali pari al 26% per gli importi da 30 a 30 mila euro, l'assoggettazione a Imu degli immobili dei partiti politici, la possibilità di destinare il 2 per mille irpef ai partiti, la previsione di un apposito codice di autoregolamentazione delle raccolte telefoniche di fondi, l'applicazione progressiva della abrogazione con la riduzione parziale dei contributi diretti che cesseranno completamente nel 2017, l'estensione al personale dei partiti della disciplina sul trattamento straordinario di integrazione salariale e di contratti di solidarietà.

Sulla nuova legge sul finanziamento dei partiti hanno confermato il no già espresso al Senato, in particolare, il Movimento Cinque Stelle e la Lega. Complessivamente, alla Camera si sono espressi 321 deputati mentre 141 sono stati i voti contrari e cinque le astensioni.

fonte: ilsole24ore.com/È legge l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti

Mobbing: il danno professionale non è in re ipsa

In caso di mobbing, l’accertamento del danno alla salute del dipendente non comporta necessariamente anche il riconoscimento del danno alla professionalità.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 8 gennaio 2014, n. 172.
Nello specifico, un’impiegata del comune di Roma aveva proposto ricorso in Cassazione per ottenere la liquidazione oltre che del danno alla salute (quantificato in 16.000,00), del danno alla professionalità.
In particolare, deduceva che l'acclarato comportamento mobizzante del Comune di Roma, caratterizzato da discriminazione e da persecuzione psicologica, le aveva necessariamente procurato mortificazione morale ed emarginazione professionale, per cui il danno alla professionalità doveva ritenersi presunto.
Tuttavia, sulla scorta di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, la Suprema Corte ha affermato che, in caso di accertato demansionamento professionale, la liquidazione del danno alla professionalità del lavoratore non può prescindere dalla prova del danno stesso (in tale senso, Cass. 30 settembre 2009, n. 20980).
In sostanza, il danno alla professionalità non può ritenersi in re ipsa, nel semplice demansionamento, essendo invece onere del dipendente provare tale danno, quale ad esemprio un ostacolo alla progressione di carriera (che nella fattispecie la ricorrente non ha nemmeno dedotto).
Ed, invero, “non sussiste alcuna logica contraddittorietà” osserva la Corte “nel riconoscimento del danno biologico e nel rigetto della domanda relativa al danno alla professionalità” in quanto le due voci di danno hanno presupposti completamente diversi, essendo la prima relativa al fisico del lavoratore, mentre la seconda alla sua professionalità, ovvero all'aspetto della sua prestazione e capacità lavorativa.
Pertanto, conclude la Suprema Corte, non è censurabile la sentenza d’appello che ha riconosciuto un tipo danno e ne ha disconosciuto un altro.
fonte: Altalex.com/Mobbing: il danno professionale non è in re ipsa

Anche se prosciolto dall’accusa di violenza sessuale, il “padre-padrone” può vedere la figlia solo in presenza dell’assistente sociale

Pur in presenza di una decisione penale di assoluzione, le cautele previste nella sentenza di divorzio devono essere mantenute nel superiore interesse della prole, nonostante il carattere penalmente neutro delle condotte attribuite al padre. È quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza 26203/13. 
Il caso 
Il Tribunale, dopo aver disposto, in modifica delle condizioni stabilite nella sentenza di divorzio, una limitazione al diritto di visita ai figli da parte del padre, revoca quest’ultima, essendo stato l’uomo prosciolto dalle accuse di violenza sessuale a danno della figlia. La Corte d’Appello accoglie il reclamo proposto dalla madre, e ripristina le limitazioni prima previste, in quanto la decisione penale aveva escluso la natura illecita dei comportamenti dell’uomo, evidenziandone, però, l’inadeguatezza e facendo leva sulla sua inconsapevolezza in merito agli effetti della condotta tenuta. Il padre ricorre per cassazione, denunciando la mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, della sentenza di proscioglimento e delle risultanze della CTU che aveva dato giudizio positivo sulla sua capacità genitoriale. Egli, in particolare, lamentava un generale atteggiamento di pregiudizio nei suoi confronti in contrasto con la decisione penale. Il ricorso viene giudicato inammissibile. La sentenza penale di proscioglimento non è vincolante: gli interessi della prole hanno sempre importanza primaria. La decisione penale di proscioglimento “non ha escluso la sussistenza di comportamenti inadeguati da parte del padre nei confronti della figlia  che hanno dato fastidio alla minore e che la stessa ha percepito come invasivi”. I motivi di ricorso presentati non colgono tale ratio decidendi e danno al provvedimento impugnato un carattere latu sensu cautelare: la Corte d’Appello non esamina la valenza penale dei comportamenti attribuiti all’uomo ma si limita a constatare che essi, per la loro oggettiva gravità e per le gravi e comprovate ripercussioni di natura psicologica, impongono, nel superiore interesse della prole, il mantenimento delle cautele precedentemente disposte, anche tenendo conto che l’uomo si era dimostrato incapace di comprendere “la portata negativa degli atteggiamenti tenuti”. Alla luce di tali conclusioni, la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Anche se prosciolto dall’accusa di violenza sessuale, il “padre-padrone” può vedere la figlia solo in presenza dell’assistente sociale

Diritto di cronaca, deve sussistere l’essenzialità dell’informazione giornalistica

L’esercizio dell’attività giornalistica se riguarda la diffusione di notizie concernenti un minore deve sempre avvenire nel rispetto di determinati limiti e, segnatamente, in quello della essenzialità dell’informazione, la cui valutazione è affidata all’apprezzamento del giudice di merito censurabile soltanto ove lo stesso sia affetto dai vizi di motivazione. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza 7504 del 18 febbraio 2014, indicando i criteri da seguire e i limiti da osservare nella pubblicazione dei dati personali concernenti i minori. 
Il caso 
Un giornalista pubblica su un periodico un articolo riguardante la morte di un minore causata da un incidente stradale, senza il consenso degli esercenti la potestà genitoriale. La notizia conteneva tutta una serie di informazioni dettagliate sulla vita e i familiari della vittima oltre ad essere corredata da foto riguardanti il fatto e il minore stesso. Il giornalista viene condannato in primo grado alla pena di 8 mesi di reclusione per trattamento illecito di dati ex art. 167, comma 2, d.lgs. n. 196/03; in appello il giudice conferma la condanna riducendo però la pena a 5 mesi e 10 giorni in applicazione della circostanza attenuante ex art. 62, n. 1, c. p.. Il condannato ricorre in Cassazione ritenendo di non aver commesso alcuna violazione perché le informazioni dettagliate presenti nell’articolo erano necessarie e volte a sensibilizzare l’opinione pubblica. La Cassazione richiamando una sua costante giurisprudenza ribadisce che al giornalista è consentito divulgare dati sensibili senza il consenso del titolare né l’autorizzazione del Garante per la tutela dei dati personali, a condizione che la divulgazione sia «essenziale», e cioè indispensabile in considerazione dell’originalità del fatto, o dei modi in cui è avvenuto. La valutazione della sussistenza di tale requisito costituisce accertamento in fatto, che il giudice di merito deve compiere caso per caso, indicando analiticamente le ragioni per le quali ritiene che sussista o meno il requisito di essenzialità. La Cassazione in linea con l’interpretazione della Corte territoriale, ritiene che la pubblicazione del minore con tanto di didascalia, di nome, cognome e indicazione dei componenti del suo nucleo familiare sia sovrabbondante rispetto al fatto storico costituito dall’incidente stradale. Un argine al legittimo esercizio del diritto di cronaca. In conclusione in linea con una precedente orientamento la Corte ritiene che il sacrificio della riservatezza trova spazio solo nell’ambito dell’«essenzialità» della condotta ricollegantesi al diritto-dovere d’informazione, secondo una nozione che va inquadrata nel generale parametro della «continenza», individuato anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale quale argine del legittimo esercizio del diritto di cronaca. Per questi motivi rigetta il ricorso del giornalista perché sono stati travalicati i limiti della «essenzialità e continenza» causando il mancato rispetto del prioritario diritto alla riservatezza del minore. 
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Diritto di cronaca, deve sussistere l’essenzialità dell’informazione giornalistica

mercoledì 19 febbraio 2014

Il diritto d'autore si allunga a 70 anni. Nuove norme contro i falsi farmaci

Si allunga la durata del diritto d'autore che passa dagli attuali 50 a 70 anni. È la principale novità contenuta in uno dei quattro Dlgs approvato dal Cdm di venerdì scorso, l'ultimo presieduto da Enrico Letta, che recepiscono altrettante direttive europee. Gli altri tre riguardano la prevenzione delle ferite da taglio nel settore ospedaliero, la protezione dei rifugiati e norme sulla tutela alimentare. Ma il Governo ha anche approvato nuove norme per la lotta ai falsi farmaci. 
Diritto d'autore 
Il provvedimento recepisce la direttiva 2011/77/UE, che modifica la direttiva 2006/116/CE, concernente la durata della protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi e interessa produttori di fonogrammi, artisti, esecutori, interpreti musicali e società di gestione collettive che li rappresentano.
«Tenuto conto che l'attuale durata della protezione (50 anni) è insufficiente a proteggere l'esecuzione per l'arco della vita degli artisti», si legge nel comunicato di Palazzo Chigi, «essa viene estesa a 70 anni, anche al fine di tutelarli in un periodo della vita in cui potrebbero trovarsi a fronteggiare un calo del loro reddito». 
«La modifica - osserva ancora il Governo - implica un evidente beneficio anche per le piccole e medie imprese operanti nel settore».
Ferite da taglio in ospedale: 96mila casi l'anno
Recepita anche la direttiva 2010/32/UE, che attua l'accordo quadro concluso da HOSPEEM e FSESP, in materia di prevenzione delle ferite da taglio o da punta nel settore ospedaliero e sanitario. Scopo del provvedimento è ridurre il numero di ferite e punture accidentali che si verificano in ambienti sanitari, per la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro e per la riduzione dei costi connessi. I costi sono stati valutati in circa 850 euro per evento, a carico del datore di lavoro pubblico o privato, e studi di settore stimano circa 96.000 casi all'anno.
Beneficiari di protezione internazionale 
Via libera anche alla direttiva 2011/95/UE, recante norme sull'attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta. 
Obiettivo primario del provvedimento è elevare ulteriormente il livello delle norme di protezione, sia in relazione ai motivi sia al contenuto della protezione riconosciuta, in linea con gli strumenti internazionali che regolano la materia ed in particolare con la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati e alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Tale obiettivo è perseguito attraverso un riavvicinamento dei due status riconducibili alla protezione internazionale, quello di rifugiato e quello di beneficiario di protezione sussidiaria, con particolare riguardo ai diritti connessi ad entrambi.
Succhi di frutta, nuovi obblighi di etichettatura
Infine, l'ultimo Dlgs introduce nel nostro ordinamento la direttiva 2012/12/UE, che modifica la direttiva 2001/112/CE, concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all'alimentazione umana. La modifica alla disciplina vigente implica nuovi obblighi in materia di etichettatura, a maggior garanzia di consumatori e operatori, secondo le attese del mercato.
Nuove norme per la lotta ai falsi farmaci 
Il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva anche il provvedimento per l'attuazione della direttiva europea 2011/62/UE, che modifica la direttiva 2001/83/CE, mirata ad impedire l'ingresso dei medicinali falsificati nella catena di fornitura legale. Le nuove norme intervengono in vari ambiti dalla vendita on line regolamentata di medicinali senza ricetta agli strumenti per evitare la carenza, fino alla creazione di un sistema nazionale antifalsificazione e alla istituzione di broker di medicinali registrati al ministero della Salute.
Un provvedimento articolato, con alcuni punti cardine. 
1) Nuova definizione di 'servizio pubblico' che consente prioritariamente di soddisfare, nel rispetto degli obblighi comunitari, il fabbisogno territoriale di farmaci evitando così situazioni di indisponibiltà degli stessi. Ciò attraverso una modifica dell'articolo 105 del Dlgs n. 219 del 2006; tale disposizione consente, con una procedura di segnalazione, effettuata dal farmacista, alla regione competente di accertare che non sia stato violato l'obbligo di servizio pubblico; nel qual caso, il distributore potrà esser sottoposto oltre che ad una sanzione amministrativa pecuniaria anche alla sospensione o, nell'ipotesi di reiterazione della violazione, anche alla revoca della autorizzazione allo svolgimento dell'attività di grossista. 
2) Possibilità di vendita a distanza al pubblico dei medicinali (vendita on line) senza obbligo di prescrizione, attraverso farmacie o parafarmacie; a tale scopo, i siti internet che vendono medicinali conterranno un link, collegato al sito internet del ministero della salute, che indicherà la lista di tutti gli enti o persone autorizzate alla vendita di farmaci in rete. Sarà utilizzato un logo comune che renderà tali siti riconoscibili e sicuri. 
3) Garanzia che il trasporto dei medicinali venduti on line, sia effettuato nel rispetto delle linee guida in materia di buona pratica di distribuzione, quindi in modo da consentire all'acquirente di ricevere i farmaci con le medesime garanzie di quelli acquistati nella farmacia o nella parafarmacia.
4) Creazione del Sistema nazionale antifalsificazione che, attraverso la task-force nazionale anti-falsificazione, con il coinvolgimento anche del Comando dei Carabinieri per la Tutela della Salute (Nas) e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, è inteso a impedire la circolazione sul territorio nazionale di medicinali falsificati e quindi potenzialmente pericolosi per la salute. 
5) Introduzione dell'attività di broker di medicinali che, espletando una attività di negoziazione da posizione indipendente e per conto di un'altra persona fisica o giuridica, è condizionata solo a una registrazione presso il ministero della salute. 
6) Semplificazione e riduzione dei tempi procedurali connessi alla produzione e importazione delle sostanze attive. In particolare, i produttori e gli importatori di sostanze attive stabiliti in Italia dovranno registrare la loro attività presso l'Aifa in luogo della precedente autorizzazione. In ogni caso saranno seguite le buone pratiche di fabbricazione, sia che tali sostanze provengano da Paesi Ue sia che si tratti di prodotti importati da Paesi terzi. Nel caso di fabbricazione in Paesi terzi di sostanze attive destinate all'esportazione verso l'Unione europea, l'autorità competente del Paese esportatore dovrà attestare che gli stabilimenti interessati siano stati sottoposti a controlli periodici severi e trasparenti, disposti anche a garanzia di un livello di tutela della salute pubblica almeno pari agli standard richiesti a livello europeo. 
7) Semplificazione anche per i distributori di sostanze attive stabiliti in Italia che dovranno registrare la loro attività, inviando un modulo di registrazione all'autorità territorialmente competente (regioni e province autonome), almeno sessanta giorni prima dell'inizio dell'attività. In ogni caso, al fine di tutela della salute pubblica, l'autorità competente, in base alla valutazione del rischio, potrà effettuare ispezioni, dandone comunicazione al richiedente la registrazione.
fonte: ilsole24ore.com/Il diritto d'autore si allunga a 70 anni. Nuove norme contro i falsi farmaci

È legge il Dl svuota carceri, le principali misure

Più diritti ai detenuti, ma soprattutto misure per sfoltire la popolazione carceraria. Come l'ampliamento dell'affidamento in prova o uno "sconto di pena" ulteriore per i più meritevoli. Esclusi i boss e chi si è macchiato dei delitti più gravi. È quanto prevede il decreto, convertito definitivamente in legge dal Senato due giorni prima della sua scadenza, considerato una risposta all'Europa dopo la sentenza "Torreggiani" che ha condannato l'Italia per il modo in cui tratta i detenuti. Queste, in sintesi, le principali novità introdotte dalla nuova legge, avversata soprattutto dalla Lega che la definisce un "indulto mascherato". 
Il decreto è stato approvato con i voti della maggioranza Pd, Ncd, Sc, Pi, Autonomie e di Gal. Hanno votato contro Forza Italia, Lega Nord, che ha inscenato una protesta in Aula con uno striscione, Sel e M5S. 
Braccialetti elettronici 
Gli strumenti elettronici di controllo saranno la regola, non più l'eccezione. Attualmente, nel disporre i domiciliari, il giudice li prescrive solo se necessari; da domani dovrà prescriverli sempre, a meno che (valutato il caso concreto) non ne escluda la necessità. Si rovescia cioè l'onere della motivazione, con l'obiettivo di assicurare un controllo più costante e capillare senza un ulteriore aggravio per le forze di polizia. 
Piccolo spaccio 
L'attenuante di lieve entità' nella detenzione e cessione illecita di stupefacenti diventa reato autonomo. Per il piccolo spaccio, insomma, niente più bilanciamento delle circostanze, con il rischio (com'è oggi) che l'equivalenza con le aggravanti come la recidiva porti a pene sproporzionate. Cade il divieto di disporre per più di due volte l'affidamento terapeutico al servizio sociale dei condannati tossico/alcool dipendenti. Ai minori tossicodipendenti accusati di piccolo spaccio sono applicabili le misure cautelari con invio in comunità. Con queste norme si ripristina una differenza sostanziale tra droghe pesanti e leggere "unificate", invece, nella legge Fini-Giovanardi. 
Affidamento in prova 
Si spinge fino a 4 anni il limite di pena (anche residua) che consente l'affidamento in prova ai servizi sociali, ma su presupposti più gravosi (periodo di osservazione) rispetto all'ipotesi ordinaria che resta tarata sui 3 anni. Si rafforzano i poteri del giudice di sorveglianza. 
Liberazione anticipata speciale
In via temporanea (dal 1 gennaio 2010 al 24 dicembre 2015) sale da 45 a 75 giorni per ogni 6 mesi di reclusione la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata. L'ulteriore 'scontò, che non vale in caso di affidamento in prova e detenzione domiciliare, si applica se l'interessato viene considerato "meritevole". Sono esclusi dal beneficio i condannati di mafia o di gravi delitti (omicidio, violenza sessuale, rapina aggravata, estorsione). 
Detenzione domiciliare
Acquista carattere permanente la disposizione che consente di scontare presso il domicilio la pena detentiva (anche se parte residua) non superiore a 18 mesi. Restano ferme, peraltro, le esclusioni già previste per i delitti gravi o per altre particolari circostanze (ad esempio, la possibilità di fuga o la tutela della persona offesa). ESPULSIONE DETENUTI STRANIERI - Si amplia il campo dell' espulsione come misura alternativa al carcere. Non solo vi rientra (com'è oggi) lo straniero che debba scontare 2 anni di pena, ma anche chi è condannato per un delitto previsto dal testo unico sull'immigrazione purché la pena non sia superiore nel massimo a 2 anni e chi è condannato per rapina o estorsione aggravate. Si delineano meglio i ruoli del direttore del carcere, questore e magistrato di sorveglianza, e si velocizza già dall'ingresso in carcere la procedura di identificazione per rendere effettiva l'esecuzione dell'espulsione. 
Garante dei detenuti
Presso il ministero della Giustizia si istituisce il Garante dei diritti dei detenuti: 3 componenti che restano in carica 5 anni non prorogabili. Compito del Garante è vigilare sul rispetto dei diritti umani nelle carceri e nei Cie. Può accedere in qualunque struttura, chiedere informazioni e documenti, formulare specifiche raccomandazioni all' amministrazione penitenziaria. Ogni anno il Garante trasmette alle Camere una relazione sulla sua attività. 
Reclami e diritti 
Più possibilità di fare reclami e di essere ascoltati.
fonte: ilsole24ore.com/È legge il Dl svuota carceri, le principali misure

Il doberman senza guinzaglio morde una donna: condannato il padrone

È colpevole il padrone che lascia il cane libero in area aperta al pubblico, senza guinzaglio, omettendo le necessarie cautele volte a prevenirne azioni aggressive. È quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza 46307/13.

Il fatto

Il Giudice di Pace di Pisa condanna per lesioni colpose il proprietario di un cane che, in luogo pubblico, aveva morso una donna, procurandole lesioni personali. L’imputato ricorre per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione dell’art. 606, lett. c, c.p.p., asserendo l’inesistenza della notifica del decreto di citazione a giudizio, in quanto effettuata in uno studio non più esistente. Denuncia, inoltre, gravi errori nella valutazione delle prove, soprattutto in relazione alle dichiarazioni dei testimoni. I motivi di ricorso sono manifestamente infondati. Il fatto che, nel periodo intercorrente tra l’elezione di domicilio e la notifica del decreto di citazione a giudizio, l’avvocato non sia più iscritto all’albo è irrilevante e l’elezione di domicilio effettuata resta, comunque, valida. Denunciare un’errata valutazione delle prove o la mancanza o la contraddittorietà della motivazione non serve per ottenere una diversa e favorevole ricostruzione dei fatti. È priva di fondamento la doglianza dell’imputato relativa alla errata valutazione delle testimonianze che avrebbe determinato la mancanza o la contraddittorietà della motivazione che è, invece, assolutamente coerente e completa e che non giustifica una decisione sostitutiva. Il Giudice di Pace ha congruamente evidenziato, infatti, che l’imputato «aveva lasciato libero in area aperta al pubblico un cane doberman di notevoli dimensioni, senza guinzaglio, omettendo quindi le necessarie cautele dirette a prevenire azioni aggressive del cane, che infatti aveva aggredito una donna in bicicletta, che cadeva a terra, procurandosi le lesioni di cui al capo di imputazione».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Il doberman senza guinzaglio morde una donna: condannato il padrone

Straniero spaccia stupefacenti: sì all’espulsione se sussiste pericolosità sociale

Per una corretta applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato a pena espiata, s’impone una motivata verifica in merito alla sussistenza della pericolosità sociale dell’imputato straniero, soprattutto se quest’ultimo va esente da pendenze giudiziarie o precedenti penali. E’ quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza 46302/13.
Il fatto
L’imputato propone ricorso in Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Varese che aveva disposto, oltre alla reclusione e al pagamento di una multa, la sua espulsione dal territorio dello Stato a pena espiata e la confisca dei beni di pertinenza del reato. Nello specifico, si lamenta l’erronea applicazione della legge ex art. 606 c.p.p. La Corte accoglie il ricorso solo in parte, limitatamente al profilo dell’espulsione, rilevando la carenza dei relativi presupposti e rinvia nuovamente la questione al giudice di merito.La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, stabilendo che, affinché la misura di sicurezza dell’espulsione a pena espiata sia correttamente applicata, è necessaria una motivata, anche se sintetica, verifica in merito alla sussistenza della pericolosità sociale dell’imputato, presupposto stesso della misura, soprattutto se, come nella fattispecie de qua, non sussistono pendenze giudiziarie e precedenti penali a carico dell’imputato. D’altra parte, dire che un soggetto è socialmente pericoloso, significa porre in atto «un accertamento positivo di tale carattere proprio per la sua portata di allarmante spessore in rapporto alla perduranza ed attualità del cennato pericolo». La strumentalità di determinati oggetti rispetto al reato ne giustifica la confisca. Gli ermellini ritengono infondato il secondo motivo di ricorso, sancendo la legittimità della confisca dei telefoni cellulari: è indubbio, infatti, che la pertinenzialità di determinati apparecchi alle modalità e alle circostanze dell’illecito e la loro idoneità a favorire una reiterazione del reato, impongono l’adozione di tale misura. 
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Straniero spaccia stupefacenti: sì all’espulsione se sussiste pericolosità sociale

martedì 18 febbraio 2014

Scarica rifiuti in luoghi non autorizzati: la delega non esclude la responsabilità penale

Il rilascio della delega di funzioni in materia ambientale non mette in discussione la responsabilità penale del soggetto investito della stessa. È quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza 46237/13. 
Il caso 
Il Tribunale di Lucca sancisce la responsabilità dell’imputato per i reati di cui agli artt. 81 (Concorso formale. Reato continuato) e 674 (Getto pericoloso di cose) c.p. e lo condanna al pagamento di una cospicua somma a titolo di ammenda, sancendo che la qualifica di delegato al rispetto della normativa sull’ambiente non esonerava l’imputato dalla responsabilità per le violazioni contestate. Il delegato propone allora ricorso per cassazione, sulla base della sua qualifica di dipendente semplice della società e non di legale rappresentante e denuncia, inoltre, la violazione del principio del ne bis in idem, determinata dalla condanna alla contravvenzione, pur in assenza di un concorso formale di reati. La Corte accoglie il ricorso solo in parte, limitatamente alla rilevanza della delega. Se c’è delega di funzioni la responsabilità penale non è in discussione. Sussiste la responsabilità dell’imputato per il reato di cui all’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006 (Attività di gestione di rifiuti non autorizzata), data la rilevanza penale della delega di funzioni. Gli ermellini stabiliscono che il «reato di getto pericoloso di cose può concorrere con i reati di gestione non autorizzata di rifiuti e di scarico di reflui industriali senza autorizzazione, purché si accerti la potenziale offensività del rifiuto (…) e che il getto avvenga in un luogo di pubblico transito». Sulla base di tale conclusione, la Corte respinge il ricorso nella seconda parte, in quanto non risulta, nel caso in esame, alcun riferimento al reato di getto pericoloso di cose. Si annulla, quindi, la sentenza limitatamente alla contravvenzione comminata ex art. 674 c.p. 
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Scarica rifiuti in luoghi non autorizzati: la delega non esclude la responsabilità penale

Omesso versamento dei contributi: sulla causa di non punibilità di cui all'art. 2 c.1-bis D.L. 463/1983

Depositata l’11 febbraio 2014 la sentenza numero 6378 della terza sezione penale in tema di omesso versamento delle trattenute previdenziali ed assistenziali a proposito dell’ambito di operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 2 c. 1-bis del D. L. 463/1983 secondo cui «Il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione».
In particolare, i giudici di legittimità hanno affermato che può ritenersi tempestivo, ai fini del verificarsi della causa di non punibilità, il versamento delle ritenute previdenziali effettuato dall’imputato nel corso del giudizio, allorché risulti che lo stesso non ha ricevuto dall’ente previdenziale la contestazione o la notifica dell’accertamento delle violazioni o non sia stato raggiunto nel corso del procedimento penale da un atto contenente gli elementi essenziali dell’avviso di accertamento.
Punto centrale della pronuncia sono la rilevanza giuridica e la finalità da riconoscere alla contestazione amministrativa che deve precedere l’esercizio dell’azione penale, dovendosi richiamare il principio secondo cui la L. n. 638 del 1983 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463) ha modificato i termini e le modalità di operatività della causa di non punibilità introducendo, prima dell’invio della notitia criminis, un meccanismo, costituito dalla contestazione o notifica dell’accertamento della violazione, finalizzato ad agevolare la definizione del contenzioso in sede amministrativa.
Posto che rimane fermo il diritto del datore di lavoro ad essere messo in concreto in condizione di esercitare la possibilità di sanare il debito, la Corte richiama quanto affermato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 1855/2012) secondo cui a tale diritto corrispondono specifici obblighi per l’ente previdenziale e per l’autorità giudiziaria: in sintesi, esiste un obbligo da parte dell’ente previdenziale di rendere noto, nelle forme previste dalla norma, al datore di lavoro l’accertamento delle violazioni, nonchè le modalità e termini per eliminare il contenzioso in sede penale.
fonte: giurisprudenzapenale.com/Omesso versamento dei contributi: sulla causa di non punibilità di cui all'art. 2 c.1-bis D.L. 463/1983

Guida senza patente: la titolarità di una categoria superiore è il salvagente per evitare la condanna

Colui che, munito di una patente di categoria superiore a quella richiesta, guida un veicolo per il quale è richiesta la patente di altra categoria non è punibile penalmente ma solo con sanzione amministrativa. È quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza 46278/13.
Il caso

Il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della legge penale per essere stato condannato dal Tribunale di Cassino per il reato di cui all’art. 116, co. 3, c.d.s. (Patente e abilitazione professionale per la guida di veicoli a motore) per essersi posto alla guida di un motociclo senza aver mai conseguito la patente di guida. Egli fa notare come non sia stata presa in considerazione la titolarità, da parte sua, di una patente di categoria superiore a quella richiesta per la conduzione di quel particolare mezzo. La Suprema Corte ritiene il ricorso fondato. Illuminante l’intervento della Corte Costituzionale: è arbitraria la differenziazione di sanzione tra categorie. Il sindacato della Cassazione si basa sulla pronuncia della Corte Costituzionale che «ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 116, co. 13, c.d.s. nella parte in cui punisce con la sanzione penale, anziché con la sanzione amministrativa stabilita dall’art. 125 dello stesso codice (Gradualità ed equivalenze delle patenti di guida), colui che, munito di patente di categoria B, C o D, guida un veicolo per il quale è richiesta la patente di categoria A». Di conseguenza, non ricorre l’illecito contestato quando si guida con patente di categoria superiore un veicolo per il quale è richiesta la patente A. La prevista differenziazione della sanzione è, infatti, palesemente arbitraria, essendo equivalente la gravità delle condotte di cui di discute. A seguito di tale novazione legislativa, quindi, la condotta oggetto della sentenza non costituisce più reato. 
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Guida senza patente: la titolarità di una categoria superiore è il salvagente per evitare la condanna

Affitti, contanti solo sotto la soglia dei 1000 euro

La Nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze (prot. n. 10492 del 5 febbraio 2014) fornisce delucidazioni sull’obbligo di provvedere al pagamento dei canoni di locazione per unità abitative con modalità che escludano l’uso del contante. L’art. 1 comma 50 Legge 27 dicembre 2013, n. 147 recita: “i pagamenti riguardanti canoni di locazione di unità abitative, fatta eccezione per quelli di alloggi di edilizia residenziale pubblica, sono corrisposti obbligatoriamente, quale ne sia l'importo, in forme e modalità che escludano l'uso del contante e ne assicurino la tracciabilità anche ai fini della asseverazione dei patti contrattuali per l'ottenimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali da parte del locatore e del conduttore”. Ai fini dell’irrogazione delle sanzioni comminate ex D.Lgs. n. 231/07, con finalità di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento al terrorismo, rileva unicamente il limite stabilito dall’art. 49 per cui è vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera quando il valore sia complessivamente pari o superiore a euro mille. Il trasferimento rientra quindi nel campo minato delle situazioni critiche unicamente quando le movimentazioni di contante siano eccedenti la soglia fissata dalla legge e non intermediate da soggetti autorizzati. La ratio sottesa è da rinvenirsi nella necessità di arginare fenomeni di impiego, occultamento o immissione nel sistema economico di risorse di provenienza illecita, controbilanciando con strumenti ad hoc il rischio insito nella rapidità di circolazione del contante - e di altri titoli di pagamento al portatore - e nella non riconducibilità del contante stesso alla titolarità di un soggetto determinato. Fermo il limite di carattere generale di cui all’art. 49 D.Lgs. n. 231/07, la finalità di conservare traccia delle transazioni in contante, eventualmente intercorse tra locatore e conduttore, può ritenersi soddisfatta fornendo una prova documentale inequivoca e idonea ad attestare la devoluzione di una determinata somma di denaro contante al pagamento del canone di locazione, anche ai fini della asseverazione dei patti contrattuali, necessaria all'ottenimento delle agevolazioni e detrazioni fiscali previste a vantaggio dei contraenti. 
Fonte: http://fiscopiu.it/La Stampa - Affitti, contanti solo sotto la soglia dei 1000 euro

Ferrara: Artigiano suicida, interrogato il commercialista

“Il mio assistito, Riccardo Schincaglia, è stato interrogato in procura durante la mattinata, ma per questioni assolutamente estranee al recente suicidio dell’artigiano ferrarese”. A parlare è l’avvocato Nicola Cosentino, difensore del commercialista finito nell’occhio del ciclone nei giorni successivi alla morte di E.P., l’imprenditore che si è tolto la vita per questioni legate ai propri debiti col fisco. Nei giorni scorsi a puntare il dito contro Schincaglia era stato anche l’avvocato ferrarese Emiliano Mancino, che assiste alcuni privati che hanno presentato querele contro il commercialista.

“Il mio cliente è andato in procura per altri motivi, che sono ancora sotto il segreto delle indagini – prosegue Cosentino -. Per la questione del suicidio avvenuto la scorsa settimana posso dire solo che non siamo coinvolti e siamo totalmente estranei alla vicenda”.

Tornando invece alle querele pregresse Mancino afferma di assistere altri imprenditori che nel corso del 2013 hanno sporto denunce per truffa. “Sono stato uno dei primi legali a depositare due querele nei confronti del ragionier Schincaglia – afferma l’avvocato -. Una nel febbraio e l’altra nel giugno del 2013. Da allora vi è un’indagine aperta in procura da parte dei pm Barbara Cavallo e Patrizia Castaldini”. L’avvocato racconta una storia di truffe e raggiri che sarebbe iniziata addirittura nel 2006. A farne le spese, secondo le querele, sarebbero state le persone seguite dal commercialista – in gran parte autotrasportatori, meccanici e piccoli artigiani – e che lamentano di aver pagato a Schincaglia tramite assegni versamenti dell’iva che non sarebbero mai arrivati all’Agenzia delle Entrate. Tutte accuse che ovviamente attendono un vaglio da parte della magistratura.

Di certo al momento c’è solo il cambio di residenza del commercialista. Dal 26 febbraio scorso l’uomo risulta iscritto all’anagrafe dei residenti all’estero. Un fatto che però, secondo l’avvocato Cosentino, non sarebbe legato alle accuse dei suoi clienti. “Non rilasciamo alcuna dichiarazione – taglia corto Cosentino -, in quanto tutto quello che diciamo viene stravolto sui giornali, ma siamo pronti a rispondere agli inquirenti. È vero che Schincaglia ha spostato la propria residenza in Svizzera, ma non certo per scappare: si trattò di motivi personali di cui non deve rendere conto ad altri e chi vuole può cercare e trovare il suo indirizzo”.

fonte: estense.com/Artigiano suicida, interrogato il commercialista | estense.com Ferrara

venerdì 14 febbraio 2014

Ferrara: diverse denunce contro il fiscalista

Di querele contro Schincaglia ne sono state depositate diverse. Per esempio un paio di imprenditori titolari di società individuali si sono rivolti all’avvocato Emiliano Mancino, un altro caso viene trattato dall’avvocato Irene Costantino. Il meccanismo alla base della presunta appropriazione indebita è più o meno sempre lo stesso. A un certo punto imprenditori e professionisti hanno scoperto di essere debitori del fisco o dell’Inps per mancato versamento di imposte, tasse o contributi. Il rapporto di fiducia era tale che non bastava certo un avviso bonario per incrinarlo. L’avviso veniva presentato a Schincaglia, il quale diceva di non preoccuparsi. In effetti nessuno si preoccupava troppo. Con Schincaglia le cose filavano sempre per il verso giusto, merito anche delle procedure di compensazione presentate all’Agenzia delle entrate in virtù delle quali, tra debiti pretesi e crediti vantati, i clienti azzeravano i conti. E quando è emerso che alcune pezze d’appoggio erano fasulle hanno rischiato forte anche i clienti-contribuenti: le querele sono state presentate anche per evitare di passare per complici, oltre che per bloccare l’iter. Ci sono imprenditori che hanno preferito pagare e cambiare commercialista piuttosto che imboccare la via della giustizia. Gli assistiti di Mancino le denunce per appropriazione indebita le hanno presentate nel febbraio e nel maggio 2013. Provare il reato non sarà così automatico, poichè spesso manca o è carente la causale dei versamenti (contanti quasi sempre) a Schincaglia: per gli imprenditori quei soldi servivano per pagare le tasse e per pagare la parcella del commercialista. Per Schincaglia erano solo la remunerazione del suo lavoro. Versione diverse sulle quali la Procura è chiamata a fare luce: pare sia imminente un interrogatorio di Schincaglia, che intanto ha trasferito la residenza in Svizzera. Non sarà facile per i clienti rifarsi economicamente; qualcuno sta tentando la via della giustizia civile. Gli esposti all’Ordine dei commercialisti su Schincaglia non hanno avuto esito. La risposta é: attendiamo la Procura.

fonte: la nuovaferrara.it/Ma c’è chi ha preferito pagare piuttosto che denunciare - Cronaca - La Nuova Ferrara

giovedì 13 febbraio 2014

Mediazione: ordinata la sollecita fissazione dell'udienza di merito al Tar

Con l’ordinanza 607/14 in oggetto il Superiore Consesso ha accolto l’appello proposto dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana (O.U.A.) avverso l’ordinanza cautelare del TAR Lazio n. 4872/13 “concernente determinazione criteri e modalità di iscrizione e tenuta registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi”

Nonostante quanto apparso su numerosi ed anche autorevoli siti web, l’ordinanza in esame non ha però sospeso l’obbligatorietà della mediazione né, più nello specifico, i provvedimenti impugnati innanzi al TAR.

Si legge infatti nell’ordinanza che “considerato che le questioni sottoposte appaiono meritevoli di un vaglio nel merito, dovendosi in tali limiti accogliere l’appello e disporre la sollecita fissazione dell’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 55 comma 10 del processo amministrativo; PQM Il Consiglio di Stato….Accoglie l’appello (Ricorso numero: 544/2014) e, per l’effetto, ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia trasmessa al TAR per la sollecita fissazione…”

Il Consiglio di Stato ha invero fatto esplicita applicazione dell’art. 55, X° comma del Codice del Processo Amministrativo ai sensi del quale “Il tribunale amministrativo regionale, in sede cautelare, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data della discussione del ricorso nel merito.  Nello stesso senso può provvedere il Consiglio di Stato, motivando sulle ragioni per cui ritiene di riformare l'ordinanza cautelare di primo grado; in tal caso, la pronuncia di appello è trasmessa al tribunale amministrativo regionale per la sollecita fissazione dell'udienza di merito.”

Il TAR Lazio, quindi, dovrà celermente provvedere a fissare l’udienza per la discussione nel merito della controversia, in esecuzione al dictum cautelare del Consiglio di Stato

Consiglio di Stato-Sezione IV-Ordinanza 11 febbraio 2014, n. 607

Fatto e diritto

Visto l'art. 62 cod. proc. Amm.;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia, del Ministero dello sviluppo economico, di Adr Center s.p.a., di Associazione degli avvocati romani, di Associazione Agire e informare e di Unione Nazionale Camere Civili (Uncc);

Vista la impugnata ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo regionale di reiezione della domanda cautelare presentata dalla parte ricorrente in primo grado;

Viste le memorie difensive;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2014 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Giorgio Orsoni, Mariagrazia Romeo, Mario Sanino, Luca Tantalo, Giampiero Amorelli, De Notaristefani e l’avvocato dello Stato Maurizio Di Carlo;

considerato che le questioni sottoposte appaiono meritevoli di un vaglio nel merito, dovendosi in tali limiti accogliere l’appello e disporre la sollecita fissazione dell’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 55 comma 10 del codice del processo amministrativo;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie l'appello (Ricorso numero: 544/2014) e, per l'effetto, ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia trasmessa al Tar per la sollecita fissazione dell'udienza di merito ai sensi dell'art. 55, comma 10, cod. proc. amm.

Compensa integralmente tra le parti le spese della presente fase cautelare.

La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

fonte: Altalex.com/Mediazione: ordinata la sollecita fissazione dell'udienza di merito al Tar

Magistrati onorari in sciopero il 20 febbraio

Toghe onorarie in sciopero il 20 febbraio prossimo. La Federmot ha proclamato un giorno di astensione dalle udienze, giudicando «del tutto insufficiente, incoerente e inefficace l'approccio programmatico del Governo sulle criticità giudiziarie che affliggono il Paese e completamente trascurata o sottostimata la loro incidenza negativa sia sull'economia reale del Paese sia, di riflesso, sugli equilibri economico-finanziari dei bilanci pubblici».

I magistrati onorari parteciperanno alla manifestazione indetta proprio per il 20 febbraio, dall'Organismo unitario dell'Avvocatura, che sfilerà in corteo nel centro di Roma.

Le toghe onorarie ribadiscono come sia «prioritario e non ulteriormente differibile, il riordino delle funzioni e dell'ordinamento della magistratura onoraria di tribunale» e sollecitano «quale iniziativa immediata e imprescindibile, in attesa della predetta riforma organica, la previsione della continuità degli incarichi giudiziari conferiti ai magistrati onorari sino al raggiungimento dell'età pensionabile, attraverso apposito emendamento al decreto-legge Milleproroghe in corso di conversione».

Per la Federmot, vi è una «totale disattenzione del Governo», testimoniata dal fatto che «il Ministro della Giustizia in carica non ha mai inteso ascoltare le rappresentanze della categoria, né dare attuazione, almeno parziale, alle principali istanze formulate, che determinerebbe l'eliminazione dell'arretrato giudiziario facendo incassare almeno un miliardo di euro all'erario a titolo di imposta di registro, importo derivante dall'applicazione dello scaglione minimo del predetto tributo ai circa 5.600.000 procedimenti civili oggi chiusi negli armadi e rapidamente definibili dai giudici onorari di tribunale in caso di loro applicazione esclusiva alla definizione di tale contenzioso arretrato».

fonte: ilsole24ore.com/Magistrati onorari in sciopero il 20 febbraio

Pensione esigua “prosciugata” da assegno divorzile e mantenimento, ma ci sono i presupposti per rimettere tutto in gioco

La Corte d’Appello respinge la richiesta di revoca dell’assegnazione della casa coniugale e di riduzione dell’assegno divorzile a favore della ex moglie con argomentazioni che prescindono dal reale contenuto dell’impugnazione. Per la Cassazione (sentenza 25322/13) la sentenza va cassata, in quanto non risultano valutate concretamente le capacità reddituali ridotte dell’ex marito e la proprietà di una casa in capo alla ex moglie.

Il caso

Il Tribunale, pronunciando la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra due coniugi, aveva assegnato la casa coniugale alla ex moglie, convivente con la figlia – maggiorenne, ma non ancora indipendente economicamente – e imposto all’ex marito un assegno divorzile di 100 € e uno di mantenimento della figlia di 350 € mensili. Contro tale decisione, la donna aveva proposto appello, lamentando la misura esigua dell’assegno divorzile, mentre il marito ha proposto appello incidentale. Respinti entrambi gli appelli, l’uomo ha presentato ricorso per cassazione, deducendo che la Corte d’Appello avrebbe mal interpretato la sua impugnazione e di conseguenza non avrebbe statuito sulla sua richiesta di eliminazione dell’assegno divorzile e di riduzione di quello destinato al mantenimento della figlia, in considerazione delle sue capacità reddituali ridotte (491 € - importo della pensione percepita dall’INPS). Inoltre, secondo il ricorrente, i giudici territoriali avrebbero erroneamente respinto l’ulteriore richiesta di revoca dell’assegnazione della casa coniugale, fondata sull’accertamento della proprietà di un appartamento in capo alla ex moglie e sulla sua richiesta di poter tornare a convivere con la figlia nella casa coniugale. A suo dire, la Corte distrettuale avrebbe respinto tale richiesta, considerando che questa comportasse per la figlia un mutamento dell’habitat familiare. Non si tratta di semplici argomenti difensivi in funzione della richiesta di rigetto dell’appello della ex moglie. Per la Suprema Corte il ricorso è fondato, perché la motivazione della sentenza di appello non prende in considerazione la richiesta di modifica degli obblighi contributivi. Questa, come evidenziato dagli Ermellini, è stata classificata dalla Corte di secondo grado come semplice spendita di argomenti difensivi in funzione della richiesta di rigetto dell’appello della ex moglie, respingendo la richiesta di revoca dell’assegnazione della casa coniugale con argomentazioni che prescindono dal reale contenuto dell’impugnazione. Pertanto, il Collegio ha accolto il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Pensione esigua “prosciugata” da assegno divorzile e mantenimento, ma ci sono i presupposti per rimettere tutto in gioco

La Repubblica di San Marino fuori dalla "black list" fiscale

La Repubblica di San Marino viene espunta dalla “black list” fiscale. L'eliminazione della Repubblica sanmarinese dall'elenco contenuto nell’art. 1 del D.M. del 4 maggio 1999 è avvenuta ieri con la firma del relativo decreto da parte del Ministro dell'Economia e delle Finanze Saccomanni. Lo rende noto il MEF, spiegando che, al fine di normalizzare le relazioni finanziarie tra i due Paesi, le amministrazioni competenti avevano dato priorità al percorso, procedendo alla valutazione di tutto gli elementi necessari. Peso determinante per la decisione del Governo è stata la ratifica della “Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di San Marino per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali", avvenuta il 3 ottobre scorso, e la realizzazione di numerosi interventi per adeguare il quadro normativo sanmarinese agli standard internazionali in materia di trasparenza e scambio di informazioni. Ruolo decisivo ha avuto anche l’approvazione di una importante riforma fiscale da parte delle autorità sanmarinesi. La riforma è stata varata con l'intento di rendere più efficiente il prelievo tributario nella Repubblica di San Marino, adeguandolo ai livelli italiani. "Il Governo italiano - si legge nel comunicato del MEF - confida che San Marino applicherà efficacemente le nuove normative, interne e internazionali e che la cooperazione in materia fiscale e finanziaria tra i due Paesi sia piena, quotidiana, concreta ed efficace, a preludio di nuove iniziative bilaterali già in cantiere, segnatamente in campo economico e politico".

Fonte: http://fiscopiu.it/La Stampa - La Repubblica di San Marino fuori dalla "black list" fiscale

mercoledì 12 febbraio 2014

La distinzione tra violenza e molestia sta nell'esatta definizione di atti sessuali

La condotta consistente nell'inviare ad un soggetto minore numerosi messaggi telefonici quotidiani, anche a sfondo sessuale, nel tenerlo per mano e abbracciarlo in contesti pubblici o conviviali non costituisce "atto sessuale" e, di conseguenza, non integra gli estremi del reato di violenza sessuale di cui all'articolo 609 bis c.p., bensì la fattispecie contravvenzionale di molestia sessuale di cui all'articolo 660 c.p.. Lo ha affermato la Corte d'Appello di Trento con la sentenza 219/2013.

fonte: ilsole24ore.com/La distinzione tra violenza e molestia sta nell'esatta definizione di atti sessuali

Stupefacenti: Consulta boccia legge Fini-Giovanardi

Stupefacenti: Consulta boccia legge Fini-Giovanardi

(Corte Costituzionale , comunicato stampa 12.02.2014)

La Consulta ha 'bocciato' la legge Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti, che equiparava le droghe leggere a quelle pesanti.

Lo rende noto un comunicato nel quale si spiega che ''la Corte costituzionale, nella odierna Camera di consiglio, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale - per violazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione, che regola la procedura di conversione dei decreti-legge - degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, come convertito con modificazioni dall'art. 1 della legge 21 febbraio 2006, n. 49, cosi' rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di stupefacenti)''.

La Corte costituzionale, nella odierna Camera di consiglio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – per violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, che regola la procedura di conversione dei decreti-legge – degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, come convertito con modificazioni dall’art. 1 della legge 21 febbraio 2006, n. 49, così rimuovendo le modifiche apportate con le norme dichiarate illegittime agli articoli 73, 13 e 14 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di stupefacenti).

Stupefacenti: Consulta boccia legge Fini-Giovanardi

Violenza sessuale: costituisce ''induzione'' qualsiasi forma di sopraffazione della vittima

 L’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale non si identifica solo con la persuasione subdola ma si...