venerdì 18 dicembre 2020

Licenziato dopo incidente: risarcimento comprende tutte le retribuzioni future perse

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 9 dicembre 2020 n. 28071, torna sul tema del risarcimento del danno da lucro cessante.
Se il danneggiato, a causa del fatto illecito (come un sinistro stradale) perde il lavoro, ha diritto al risarcimento per la perdita reddituale. Tale ristoro deve essere corrisposto integralmente e non in base alla percentuale di perdita della capacità di lavoro specifica. Viceversa, nel caso in cui la vittima abbia trovato un nuovo lavoro, il risarcimento sarà pari alla differenza tra le retribuzioni perdute e quelle conseguite.

La vicenda
Un ciclista veniva investito da un’automobile e riportava gravi danni alla persona. Inoltre, a causa delle lesioni, superava il periodo di comporto e veniva licenziato dal posto di lavoro a tempo indeterminato. Agiva, quindi, in giudizio contro il conducente e il proprietario del veicolo, nonché contro la compagnia assicurativa. In primo grado, il danneggiato otteneva un risarcimento di oltre 270 mila euro, in aggiunta agli acconti già versati dall’assicurazione.
La Corte d’appello condannava i convenuti all’ulteriore pagamento di 50 mila euro a titolo di danno non patrimoniale e 29 mila a titolo di danno patrimoniale da lucro cessante. Il danneggiato ricorre in Cassazione giacché contesta che le retribuzioni perse a causa del licenziamento, calcolate nel risarcimento, gli siano state riconosciute solo nella misura di 1/3, ossia nella misura pari alla menomazione patita.
Il danno patrimoniale da perdita reddituale
Il danneggiato ha perso il proprio posto di lavoro a tempo indeterminato, poiché, a causa dei postumi, ha superato il periodo di comporto ed è stato licenziato. Egli, quindi, ha diritto al risarcimento del danno per la perdita reddituale. Il calcolo va effettuato sulla base degli importi delle retribuzioni che avrebbe conseguito sino alla pensione, sugli assegni familiari, sulla perduta possibilità di progressione in carriera, sul danno pensionistico.
Secondo la giurisprudenza, «la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa, patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro, deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima» (Cass. Ord. 8896/2016; Cass. Ord. 25370/2018). Il giudice di merito ha errato nel far riferimento alla misura percentuale della perdita della capacità lavorativa specifica indicata dal CTU, atteso che essa non aveva rilievo ai fini della liquidazione del danno patrimoniale. Il giudicante avrebbe dovuto riconoscere il 100% di tali importi e non solo il 33%.
Il lucro cessante e le retribuzioni future
Il danneggiato deve essere risarcito dell’intero pregiudizio patito. Nel caso in esame, il danno consiste nella perdita dei redditi, in parte futuri, derivanti dal rapporto di lavoro dipendente, che la vittima ha perduto a causa del fatto illecito del convenuto. Il danneggiato non è gravato dall’onere di dimostrare che non fosse possibile per lui reperire un'altra attività lavorativa. Al contrario, avrebbe dovuto essere il danneggiante a dimostrare, eventualmente, che il danneggiato aveva trovato un nuovo impiego (Cass. 9616/2015).
Pertanto, quando il danneggiato abbia perso il posto di lavoro a causa delle lesioni derivanti dal fatto illecito (il sinistro stradale, nel nostro caso), ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante. Con tale espressione si fa riferimento alla perdita dei redditi futuri, tale pregiudizio va liquidato tenendo conto di:
- tutte le retribuzioni
- tutti i relativi accessori,
- tutti i probabili incrementi, anche pensionistici, che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro. La liquidazione del danno deve avvenire in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate. Viceversa, allorché il danneggiante dimostri che la vittima: abbia trovato una nuova occupazione retribuita; ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione.
Il principio di diritto
La Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto:
«laddove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtù della nuova occupazione».
(fonte: www.altalex.com)

A casa con il Covid: le raccomandazioni del ministero della Salute per le cure domiciliari

Il ministero della Salute ha fornito le linee guida per la cura a domicilio dei pazienti affetti da Covid-19. Le raccomandazioni sono rivolte ai medici di famiglia e pediatri di libera scelta e hanno lo scopo di rendere omogenee le cure sul territorio italiano (seguendo uno standard basato sulle prove scientifiche disponibili) evitando così il ricorso a trattamenti inefficaci o addirittura potenzialmente dannosi.
Con il passare del tempo, infatti, la gestione dei pazienti con Covid-19 si è progressivamente evoluta. Questo grazie a diversi fattori come il maggior numero di informazioni sulla malattia, l’efficacia o la tossicità delle varie terapie finora sperimentate, il cui impiego cambia a seconda della severità della sintomatologia dei pazienti.

Le tre fasi della malattia
L’assistenza data al malato deve essere commisurata alla gravità del suo quadro clinico. Per quanto riguarda il Covid-19, l’infezione ha sostanzialmente tre fasi.
Prima fase. È caratterizzata principalmente da sintomi simil-influenzali come malessere generale, febbre e tosse secca. Se l’infezione viene bloccata dal sistema immunitario a questo stadio, il decorso è benigno. Questo avviene nella maggioranza dei casi.
Seconda fase. L’infezione e la risposta immunitaria al virus causano un’infiammazione dei polmoni (si parla di polmonite interstiziale bilaterale) e l’alterazione della funzionalità polmonare. In questa fase si possono avere bassi livelli di ossigeno nel sangue senza percezione di affanno o fame d’aria (si parla di ipossiemia silente). Se però l’infiammazione dei polmoni peggiora, si arriva all’insufficienza respiratoria.
Terza fase. Il quadro clinico è aggravato da una forte reazione infiammatoria (detta “tempesta di citochine”) sviluppata dal sistema immunitario nei confronti del virus, con gravi conseguenze per la salute del malato. Questa condizione, che per fortuna è stata osservata in una minoranza di persone, può causare l’infiammazione dei vasi sanguigni e la formazione di coagulali (che blocca l’afflusso sanguigno) arrivando a causare lesioni polmonari gravi e permanenti.
Cure a domicilio: a chi sono rivolte
I medici e i pediatri di famiglia possono prendere in carico solo i pazienti che si trovano nella prima fase e che hanno sintomi lievi tollerati dalla persona con o senza l’uso di farmaci e che non presentano difficoltà respiratorie, disidratazione o alterazione dello stato di coscienza. In questi casi, il medico o il pediatra hanno il compito di gestire i sintomi e monitorare il decorso della malattia, con particolare attenzione ai fattori di rischio che possono indicare la necessità di ospedalizzazione.
I pazienti a basso rischio di ospedalizzazione sono definiti dall’assenza di fattori di rischio aumentato (ad esempio patologie neoplastiche o immunodepresse) e sulla base di alcune caratteristiche.
Sintomi simil-influenzali come febbre superiore a 37.5 gradi, malessere, tosse, mal di gola, congestione nasale, cefalea, dolori muscolari, diarrea.
Assenza di difficoltà respiratorie e normale frequenza respiratoria (9-14 atti respiratori al minuto) con saturazione dell’ossigeno almeno del 92% (una saturazione normale è superiore al 95%, ma nei pazienti più anziani può andare al di sotto di 94%).
Febbre minore o uguale a 38°C o maggiore di 38°C da meno di 72 ore.
Sintomi gastrointestinali senza disidratazione o diarrea severa.
I pazienti con maggior rischio di forme severe e decorsi sfavorevoli sono anziani (soprattutto oltre i 70 anni di età), di sesso maschile e che hanno più di una patologia cronica, come ad esempio ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca, diabete mellito, insufficienza renale e malattia coronarica, patologie respiratorie croniche, insufficienza renale cronica.
Terapie: quelle consigliate e quelle no
Per chi ha sintomi lievi e viene curato a casa, il ministero della Salute raccomanda alcune terapie.
L’uso di farmaci solo quando i sintomi sono fastidiosi. Ad esempio, il paracetamolo o farmaci antinfiammatori non steroidei come l’ibuprofene, possono essere usati in sicurezza quando la febbre alta impedisce il riposo o in presenza di dolori articolari o muscolari.
Di continuare con il trattamento farmacologico delle malattie croniche. Ad esempio, le terapie per la pressione alta e per abbassare il colesterolo, i farmaci antiaggreganti e gli anticoagulanti. A meno di diversa indicazione dello specialista, anche il trattamento immunosoppressivo nei pazienti trapiantati o nei pazienti con malattie autoimmuni può proseguire.
Non viene consigliato l’uso di antibiotici, nè in maniera preventiva nè curativa, tranne quando non ci sia un infezione batterica in atto.
Non è previsto l’uso di altri farmaci come cortisone o eparina né di particolari terapie preventive per ridurre il rischio di ospedalizzazione.
Eparina e cortisone: solo in alcuni casi
Idrossiclorochina: efficacia non dimostrata
Integratori e vitamine: inutili contro il covid
A parte l’idratazione e una corretta alimentazione, per il trattamento del Covid-19 non è suggerito altro. Integratori a base di estratti vegetali oppure contenenti vitamine ad alti dosaggi, come la vitamina D, o sostanze come la quercitina o la lattoferrina con ipotetica ma non provata azione antivirale, non sono considerati utili sulla base delle prove scientifiche esistenti.

mercoledì 9 dicembre 2020

Uccide la moglie, assolto per "delirio di gelosia"

Assolto perché incapace di intendere e volere a causa di un totale vizio di mente per "un delirio di gelosia". Si è chiuso così il processo davanti alla Corte d'Assise di Brescia a carico di Antonio Gozzini, 70enne che un anno fa in città uccise la moglie Cristina Maioli, insegnante di scuola superiore che era stata poi vegliata per ore dal marito. La difesa dell'uomo, che non era presente in aula, aveva chiesto l'assoluzione ritenendo incapace di intendere e volere Gozzini al momento dell'omicidio, come riconosciuto dalla Corte, mentre il pm Claudia Passalacqua aveva chiesto l'ergastolo. 
«Siamo soddisfatti perché la sentenza rispecchia quanto emerso nel dibattimento e cioè che il mio assistito non era capace di intendere e volere», ha commentato l'avvocato Jacopo Barzellotti, legale del 80enne bresciano Antonio Gozzini assolto al termine del processo per l'omicidio della moglie, uccisa un anno fa a Brescia.
La donna venne prima stordita nel sonno con un colpo di mattarello in testa e poi accoltellata alla gola. In fase processuale il consulente dell'accusa e quello della difesa sono stati d'accordo nel dire che l'uomo «era in preda ad un evidente delirio da gelosia che ha stroncato il suo rapporto con la realtà e ha determinato un irrefrenabile impulso omicida».

Coronavirus: le regole per le vacanze di Natale e Capodanno

Le misure introdotte con il nuovo Dpcm del 3 dicembre 2020 fissano, tra le altre, anche le regole da seguire durante il periodo delle feste natalizie che va dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021. Le disposizioni sono valide per tutto il territorio nazionale anche se resta confermata la divisione dell’Italia in tre zone: gialla, arancione e rossa.
Il testo dà indicazioni su come comportarsi per cenoni, visite ai congiunti, pranzi o cene nei ristoranti e negli alberghi. Niente deroghe al divieto di spostamento, se non quella di tornare presso la propria abitazione, il domicilio e la residenza. Gli impianti sciistichi resteranno chiusi per tutto il periodo festivo. Ma vediamo nello specifico divieti e limitazioni decisi per Natale, Santo Stefano, Capodanno e Befana.
Spostamenti tra Regioni e Province autonome
Le limitazioni introdotte per gli spostamenti valgono per tutto il territorio nazionale, anche per chi si trova in zona gialla. Dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 sono vietati tutti gli spostamenti in entrata e in uscita dai territori delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano.
Per chi si trova in zona rossa o arancione resta confermato anche il divieto di spostamento dal proprio Comune se non per comprovate esigenze lavorative, di studio, situazioni di necessità e motivi di salute.
Spostamenti all’interno della Regione
I giorni di Natale (25 dicembre), Santo Stefano (26 dicembre) e Capodanno (1 gennaio), indipendentemente dalla zona (gialla, arancione o rossa) non sarà possibile spostarsi tra Comuni anche della stessa Regione se non per motivi di lavoro, salute, studio o situazione di necessità.
Per chi si trova in zona gialla, resta confermata la possibilità di muoversi liberamente all’interno della propria Regione o Provincia autonoma anche nel periodo delle feste (dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021) tranne che per i giorni specifici detti sopra.
Chi si trova in zona rossa e arancione non potrà spostarsi mai fuori dal proprio Comune. Continuano anche le limitazioni all’interno del Comune stesso per chi si trova in zona rossa. Restano possibili sempre anche se si è in zona rossa o arancione gli spostamenti per comprovate esigenze lavorative, di studio, situazioni di necessità e motivi di salute.
Seconde case
Oltre alle limitazioni previste per le zone rosse e arancioni, sono state introdotte nuove regole restrittive anche per chi si trova in zona gialla. È sempre possibile tornare al proprio domicilio o residenza ma, nel periodo che va dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021, non è possibile spostarsi nelle seconde case che si trovano fuori dalla propria Regione o provincia Autonoma (se non per situazione di necessità) e nelle giornate del 25 dicembre, 26 dicembre e 1 gennaio non sarà possibile raggiungere neanche le seconde case che si trovano fuori dal proprio Comune.
Natale e Santo Stefano
In queste date il coprifuoco sarà lo stesso di quello previsto già per tutti i giorni: dalle 22 alle 5 del mattino.
In tutta Italia (quindi anche nelle zone gialle) per queste giornate sono previste delle limitazioni negli spostamenti. Non sarà possibile uscire dal proprio Comune se non per motivi di lavoro, studio, salute o situazioni di necessità, tra le quali ad esempio si potrebbe far rientrare anche quella di prestare assistenza ad un anziano che vive solo in un’altra casa.
Restano valide le indicazioni previste anche nei precedenti Dpcm per cui si chiede di indossare la mascherina al chiuso e di mantenere una distanza interpersonale di almeno 1 metro. Non ci sono indicazioni sul numero di persone che possono partecipare ai cenoni o al pranzo di Natale.
Capodanno
Nella giornata del 1 gennaio 2021 in tutta Italia, anche nelle zone gialle, non sarà possibile spostarsi fuori dal proprio Comune se non per motivi di lavoro, studio, salute o situazioni di necessità, tra le quali ad esempio si potrebbe far rientrare anche la necessità di prestare assistenza ad un anziano che vive solo in altra casa.
Viene esteso il coprifuoco: si parte dalle 22.00 del 31 dicembre 2020 fino alle 7.00 del 1 gennaio 2021. Restano valide le indicazioni previste anche nei precedenti Dpcm per cui si chiede di indossare la mascherina al chiuso e di mantenere una distanza interpersonale di almeno 1 metro. Non ci sono indicazioni sul numero di persone che possono partecipare ai cenoni.
Ristoranti
Per la ristorazione valgono le stesse regole previste dai precedenti Dpcm a seconda delle zone di appartenenza della Regione.
Zona gialla. Le attività di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite dalle ore 5.00 fino alle ore 18.00. Il consumo al tavolo è consentito per un massimo di 4 persone per tavolo, salvo che siano tutti conviventi. Dopo le 18.00 è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico. Resta consentita senza limiti di orario la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive per i propri clienti. Sempre consentiti fino alle 22.00 la consegna a domicilio e l’asporto.
Zone arancioni e rosse. La ristorazione con servizio al tavolo non è mai possibile. Sono ammessi solo l’asporto e la consegna a domicilio fino alle 22.00. Per gli alberghi e altre strutture recettive è prevista la possibilità sempre, anche in serata, di fare cene per i clienti che soggiornano. C’è solo una limitazione per Capodanno: dalle ore 18.00 del 31 dicembre 2020 e fino alle ore 7.00 del 1° gennaio 2020, la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive sarà consentita solo con servizio in camera.
Sci e viaggi
Fino al 6 gennaio 2021 gli impianti sciistici restano chiusi. Gli unici a porterli utilizzare sono gli atleti professionisti e non professionisti, riconosciuti di interesse nazionale dal Coni o dal Comitato Italiano Paralimpico (CIP) e/o dalle rispettive federazioni per permettere la preparazione finalizzata allo svolgimento di competizioni sportive nazionali e internazionali o lo svolgimento di tali competizioni.
Dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 sono vietate le crociere. È possibile andare in vacanza all’estero (anche in località sciistiche), ma ci sono delle regole da seguire per il rientro.
Le persone, che hanno soggiornato o transitato, nei 14 giorni antecedenti l'ingresso in Italia, in Stati o territori indicati in apposito documento allegato al Dpcm del 3 dicembre 2020, anche se asintomatiche, sono obbligate a comunicare immediatamente il proprio ingresso nel territorio nazionale al Dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria competente per territorio. Verranno, quindi, sottoposte a sorveglianza sanitaria e a isolamento fiduciario per un periodo di 14 giorni presso l’abitazione o la dimora comunicata agli organi di sorveglianza. Per queste persone è previsto lo spostamento dal luogo di ingresso o di sbarco nel territorio nazionale alla propria abitazione o dimora esclusivamente attraverso un mezzo privato.
Anziani
Per quanto riguarda le visite agli anziani le regole non cambiano. Dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021, non si può andare a far visita anche in zona gialla a persone anziane che si trovano fuori della propria Regione o Provincia autonoma, salvo che per motivi di salute o per situazioni di necessità. Inoltre da ricordare che se si è in una regione in zona rossa o arancione, non è possibile neppure andare a far visita a persona anziane che si trovano fuori dal proprio comune, fatto salvo, anche in questo caso, per motivi di salute o per situazioni di necessità.
Nei giorni di Natale (25 dicembre) e Capodanno (1 gennaio 2021) non si può andare a far loro visita nemmeno se si trovano in un altro Comune della stessa Regione, se non per motivi di salute o necessità.

mercoledì 2 dicembre 2020

Assegno divorzile revocato se è provata la nuova relazione stabile

L’ex moglie non ha diritto all’assegno divorzile se risulta provata la sua relazione stabile con un nuovo partner.
Così è stata massimata l’ordinanza 15 settembre - 16 ottobre 2020, n. 22604 con la quale la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi dell’assegno divorzile e più precisamente della particolare ipotesi in l’ex coniuge che ha diritto di percepirlo abbia intrapreso una nuova convivenza more uxorio con altra persona (dando vita alla c.d. famiglia di fatto).
Il caso è giunto all’attenzione della Suprema Corte a seguito del ricorso proposto avverso la Sentenza n. 268/2018 della Corte d’Appello di Reggio Calabria che, riformando sul punto la decisione di primo grado, aveva comunque stabilito il diritto dell’ex coniuge a percepire l’assegno divorzile di cui all’art. 5 comma 6 L. 898/1970.
I Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il primo dei due motivi di ricorso, con cui il ricorrente  ha lamentato vizio di motivazione della pronuncia d’appello e per l’esattezza “l'assenza o apparenza, nonche' l'illogicita' e contraddittorieta' della motivazione della sentenza impugnata, per avere la Corte territoriale, pur esaminando lo stesso materiale probatorio del Tribunale, espresso un convincimento opposto, in ordine alla sussistenza dei connotati di stabilita' e continuita' della convivenza more uxorio tra l'ex moglie e il sig. (OMISSIS), senza spiegarne le ragioni fattuali e giuridiche”.
La Suprema Corte ha ritenuto in effetti sussistente il lamentato vizio di motivazione della Sentenza d’appello, accogliendo sul punto il così affermando: “La Corte d'appello, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte in tema di famiglia di fatto, ha dato atto che era stato provato il rapporto sentimentale pluriennale e consolidato tra la (OMISSIS) e il sig. (OMISSIS), pure caratterizzato da ufficialita', nonche' fondato sulla quotidiana frequentazione con periodi piu' o meno lunghi di piena ed effettiva convivenza, cosi' ricostruendo la vicenda fattuale di rilevanza in modo conforme a quanto accertato dal Tribunale, secondo cui i suddetti fatti integravano in concreto la fattispecie della cd. famiglia di fatto. La Corte territoriale ha, invece, ritenuto che quella relazione non potesse ‘per cio' solo dirsi connotata da quei caratteri di continuita' e stabilita' che probabilmente rappresenterebbero il primo stadio necessario, ma- come detto- nemmeno sufficiente, per ipotizzare la creazione tra gli stessi di quella nuova famiglia di fatto secondo il valore ed il significato attribuiti al concetto dalla migliore giurisprudenza sopra detta" (pag. n. 6 della sentenza impugnata)”.
La Suprema Corte ha dunque censurato il ragionamento della Corte d’appello poiché quest’ultima non avrebbe individuato elementi di fatto che escludessero la continuità e la stabilità della nuova relazione sentimentale dell’ex coniuge avente diritto all’assegno divorzile.
Alla luce dunque di tale così recente pronuncia, può dunque ritenersi che la nuova relazione dell’ex coniuge, connotata da continuità e stabilità, gli fa perdere il diritto all’assegno divorzile di cui all’art. 5 comma 6 L. 898/1970.
fonte:www.altalex.com

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