venerdì 3 luglio 2020

Ramo sulla carreggiata, l’auto lo evita ma finisce fuori strada: sì al risarcimento

Confermata la condanna del Comune, ritenuto responsabile per l’incidente. Confermato anche il ristoro economico in favore del conducente. Per i giudici la mancanza della patente – risultata poi scaduta – non può far finire sotto accusa l’automobilista.
Velocità eccessiva e niente patente di guida – scaduta, per giunta – non possono cancellare il risarcimento in favore dell’automobilista che, viaggiando su una strada comunale in orario notturno, si è ritrovato davanti un grosso ramo di pino, ha compiuto una manovra d’emergenza per evitare l’impatto ma così è finito contro la rete metallica posta sul lato della carreggiata. Pur essendo evidenti le manchevolezze dell’uomo alla guida, è comunque confermata la responsabilità dell’ente locale, colpevole, in sostanza, di avere provocato l’incidente, non avendo garantito la sicurezza della strada (Cassazione, sentenza n. 9674/20, del 26 maggio).

Il fattaccio si verifica lungo una nota – e rettilinea – strada di Roma: «un automobilista si ritrova davanti un grosso ramo di pino; è costretto a una manovra di emergenza per evitare l’impatto» ma così va ad urtare «la recinzione metallica posta al lato della carreggiata».
Inevitabile il contenzioso con il Comune, contenzioso che vede l’automobilista vittorioso in Appello. Per i giudici di secondo grado, difatti, l’ente locale è da ritenere responsabile civilmente per l’incidente e deve risarcire il conducente vittima dell’incidente, versandogli quasi 18mila euro.
Col ricorso in Cassazione, però, ‘Roma Capitale’ prova a liberarsi da ogni addebito, puntando il dito sulla condotta tenuta dall’automobilista. In particolare, il legale osserva che «l’uomo guidava senza avere con sé la patente di guida – poi risultata scaduta –» e aggiunge che «lo scopo del Codice della strada non è quello di regolamentare il rilascio di documenti di identità, ma la verifica di idonei a seguito di specifico accertamento, e quindi, in mancanza di tale accertamento, l’automobilista non avrebbe dovuto mettersi al volante, perché la norma intende inibire proprio la guida in mancanza di idoneità», cioè in mancanza di patente.
Secondo il legale è evidente il «comportamento illegittimo» tenuto dal conducente, comportamento che deve portare ad escludere la responsabilità del Comune.
Ragionando sempre in questa ottica, poi, il legale osserva che «la presenza, al centro della carreggiata, di un ostacolo di grandi dimensioni» non può «mai essere imprevedibile, soprattutto su un tratto rettilineo, proprio perché la visibilità è insita nelle dimensioni dell’ostacolo» che quindi «poteva essere evitato», in questo caso, dall’automobilista, e aggiunge che, analizzando il verbale della Polizia municipale, pare evidente la responsabilità del guidatore, «stante la violenza dell’impatto della vettura contro la banchina, tale da abbattere dieci metri di rete metallica e otto pali di legno, dopo aver roteato su sé stessa più volte, da sinistra a destra della carreggiata» e riportando, alla fine, «danni materiali per 13mila euro».
Evidente, quindi, sempre secondo il legale che «la velocità tenuta non era consona alla strada, alla forte pioggia e all’orario notturno» e ciò contribuiva a liberare da ogni responsabilità il Comune, a fronte della condotta tenuta dal conducente, peraltro privo di patente perché scaduta.
Le obiezioni proposte dal legale del Comune non convincono però i Giudici della Cassazione.
In prima battuta, i magistrati mostrano di condividere il ragionamento compiuto in Appello, laddove si è ritenuto che «la mancanza di rinnovo della patente al momento dell’incidente» non può porre sotto accusa l’automobilista mentre «l’ente locale va ritenuto responsabile dei danni derivati all’automobilista a causa dell’inopinato ingombro» presente sulla carreggiata «in condizioni di limitata visibilità, data l’ora serale».
Peraltro, non si può neanche sostenere, aggiungono dalla Cassazione, che «il sinistro sia da addebitare ad un errore di guida del conducente», nonostante «la velocità eccessiva» della vettura.
Tirando le somme, va confermata la responsabilità del Comune di Roma e il diritto dell’automobilista a ottenere il risarcimento – quasi 18mila euro – stabilito in Appello.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Multa per eccesso di velocità: non basta l’annotazione degli agenti sull’affidabilità dell’autovelox

Automobilista sanzionato per eccesso di velocità grazie all’occhio elettronico dell’autovelox. A rimettere tutto in discussione è però un dettaglio non secondario: la mancata prova relativa alla taratura e all’omologazione. Su questo fronte, difatti, non può bastare la generica attestazione – apparecchio debitamente omologato e revisionato – messa nero su bianco dagli agenti (Cassazione, ordinanza n. 11776/20, sezione sesta civile, depositata il 18 giugno).

Risale a oltre nove anni fa il controllo che ha beccato l’automobilista a violare i limiti di velocità. Decisivo il dato fornito dall’autovelox. A mettere in discussione la solidità di quel dato è però la mancata prova su omologazione e taratura dell’apparecchiatura. Su questo punto è centrato il ricorso in Cassazione proposto dal difensore dell’automobilista, ricorso che è sufficiente per mettere in discussione la decisione con cui in Tribunale, confermando il pronunciamento del Giudice di Pace, era stata sancita la legittimità della contravvenzione.
In particolare, il legale premette che è fondamentale «la taratura periodica per le apparecchiature di rilevazione della velocità» e osserva che, in questo caso, si è riconosciuta «rilevanza probatoria alla generica attestazione “debitamente omologata e revisionata”» apposta dagli agenti «in relazione all’obbligo circa la taratura e l’omologazione dell’autovelox». Invece, «tale attestazione, priva di alcuna indicazione in merito alla omologazione ed alla data della prescritta verifica periodica dell’apparecchiatura» non è sufficiente, sempre secondo il legale, «ai fini dell’affidamento sul regolare funzionamento della strumentazione utilizzata», e quindi non può porre in capo all’automobilista «l’onere di fornire la prova del malfunzionamento» dell’apparecchio.
Le osservazioni proposte dal legale sono ritenute corrette, poiché, spiegano i Giudici della Cassazione, «la dicitura che l’apparecchiatura era “debitamente omologata e revisionata” non soddisfa le esigenze di affidabilità dell’omologazione e della taratura» che sono state individuate dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 113/15.
Proprio alla luce della decisione della Consulta si è stabilito che «tutte le apparecchiature di misurazione della velocità devono essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura» e si è chiarito che «in caso di contestazioni circa l’affidabilità dell’apparecchio il giudice è tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate».
Ciò significa che la posizione dell’automobilista dovrà essere nuovamente esaminata in Tribunale, dove i giudici dovranno appurare se siano state effettuate le necessarie verifiche sull’autovelox, non potendo essere sufficiente, in questa ottica, l’annotazione degli agenti.

Fonte: www.dirittoegiustzia.it 

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