mercoledì 25 novembre 2020

Cashback: partenza rimandata. Ecco cos’è e come funziona

Nelle ultime settimane il cashback è uno degli argomenti che sta catalizzando l'attenzione a più riprese. Tuttavia la partenza, prevista per il 1° dicembre, è slittata di qualche giorno: si parla ora dell’8, e comunque entro la prima metà del mese. Ma di cosa si tratta? È un'iniziativa messa in campo dal Governo per incentivare i pagamenti non in contante attraverso un sistema di restituzione in denaro di una percentuale di quanto pagato cashless nell'arco dell'anno. Una misura che si inserisce in un contesto più ampio di lotta al contante prevista, tra gli altri, anche dal decreto Agosto convertito in legge il 14 ottobre 2020. Di incentivi ai pagamenti elettronici si parlava già nell'ultima manovra finanziaria che aveva introdotto le disposizioni di un cashback di Stato, segnale che questa è una delle priorità su cui l'attuale Governo sta concentrando le proprie attenzioni.

Quando inizia il programma di cashback
Inizialmente la partenza del cashback era fissata per lo scorso 1° luglio, ha quindi avuto una prima proroga al 1° gennaio 2021 e in seguito al 1° dicembre 2020, ora l'avvio è previsto entro la prima metà di dicembre (probabilmente l’8 dicembre). Dopo il parere positivo del Garante della Privacy allo schema di regolamento, la misura deve ora essere definita da un decreto attuativo del Ministero dell'Economia, che dovrà anche definire casi e criteri per il rimborso, come le eventuali forme di adesione volontaria degli esercenti, i criteri per l'attribuzione del rimborso, anche in relazione ai volumi e alla frequenza degli acquisti, e anche quali strumenti di pagamento saranno validi per il rimborso e per quali tipologie di spesa.  Il decreto dovrà arrivare entro il 28 novembre (entro 45 giorni dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto Agosto). Per i rimborsi sono stati stanziati 3 miliardi di euro per il 2021 e altri 3 miliardi di euro per il 2022. Entrambi gli importi potranno essere aumentati con le maggiori entrate fiscale che il Governo pensa di ottenere grazie all'emersione del nero come conseguenza del cashback sui pagamenti. 
A chi spetta il cashback
Potranno beneficiare del cashback tutti i maggiorenni residenti in Italia e saranno ammessi indistintamente tutti gli acquisti fatti come consumatori, quindi non sono contemplati quelli effettuati nell'ambito dell'attività professionale o imprenditoriale. Per poter usufruire del rimborso, gli acquisti di beni o servizi dovranno essere pagati in modalità elettronica, sono quindi ammesse sia le carte di pagamento che le app. Per partecipare all'iniziativa bisognerà iscriversi con la propria Spid o con la carta d'identità elettronica a IO.it, l'app di PagoPA che è già stata usata per erogare il bonus vacanze, oppure a dei sistemi che saranno messi a disposizione da banche e istituti di pagamento convenzionati con PagoPA: vedremo quali saranno i dettagli e, soprattutto, quando arriveranno questi sistemi alternativi a IO.it. In fase di registrazione, oltre al proprio codice fiscale, l'utente dovrà indicare gli strumenti di pagamento elettronici che utilizza e anche l'Iban su cui verrà poi accreditato il cashback. A dicembre inizierà una fase sperimentale fino al 31 del mese e avranno diritto al rimborso tutti coloro che si iscriveranno al sistema e faranno almeno 10 operazioni cashless. PagoPA mette a disposizione anche un servizio di assistenza che aiuterà gli utenti nella registrazione all'app IO.it e gestirà i reclami legati alle operazioni registrate. 
Quali tipologie di spesa sono ammesse
Stando alle indiscrezioni, il cashback riguarderà indistintamente qualsiasi tipologia di spesa pagata in modalità elettronica, quindi gli acquisti di generi alimentari, di capi di abbigliamento, spese mediche, i pagamenti nei ristoranti o tutte le altre tipologie di spesa, escluse quelle fatte online. Questa scelta è dettata dal fatto che si cerca di dare una spinta agli acquisti nei negozi tradizionali e, non meno importante, bisogna considerare che online è possibile fare acquisti solo con pagamenti elettronici, non avrebbe senso perciò una misura che incentivi questi sistemi che sono di fatto gli unici ammessi. 
Fino a 150 euro a dicembre, quanto si recupera
Il regolamento che stabilirà i dettagli del cashback non è ancora definitivo, ma l'ipotesi ritenuta più attendibile prevede un rimborso pari al 10% di quanto speso dal consumatore fino a un massimo di 3.000 euro in un anno e che si facciano almeno 50 operazioni cashless a semestre: di fatto si potrebbe trattare quindi di un rimborso massimo di 300 euro in un anno. Si parla inoltre di un supercashback: in pratica un rimborso di 3.000 euro che verrà riconosciuto ogni semestre per 1.500 euro, in aggiunta al cashback standard ai primi 100.000 registrati che abbiano effettuato il maggior numero di operazioni cashless, a patto che eseguano almeno 50 operazioni di pagamento nel corso del semestre. Ma come verrà erogato il cashback? Il rimborso sarà erogato in due tranche: una a giugno 2021 e l'altra a dicembre 2021. A dicembre parte una fase sperimentale, il cosiddetto cashback di Natale che dovrebbe incentivare gli acquisti nei negozi fisici per le feste e che esula da quanto detto finora in termini di operazioni e di limite massimo di rimborso. In questa fase, infatti, sarà necessario effettuare almeno 10 operazioni cashless e sarà riconosciuto il 10% di rimborso, fino a un massimo di 1.500 euro (il rimborso sarà quindi di massimo 150 euro). Questo primo cashback sarà accreditato subito a fine dicembre sull'Iban indicato al momento dell'adesione all'iniziativa (tramite l'app IO.it). Tutti i rimborsi, inclusi quelli relativi al super cashback saranno esentasse. 

domenica 22 novembre 2020

Multa nulla se il tutor non è tarato periodicamente

Sull’amministrazione grava l’onere di dar prova del regolare funzionamento del dispositivo SICVE-tutor, sebbene operi un automatico. Per l’effetto, la multa per eccesso di velocità è valida se il tutor è sottoposto a tarature periodiche che devono essere comprovate in giudizio dall’amministrazione convenuta.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione che, tramite l’ordinanza n. 24993 depositata il 9 novembre 2020, ha accolto il ricorso di un automobilista richiamando la lettura ermeneutica, fornita dalla Consulta, all'art. 45, comma 6, C.d.S.

La mancata dimostrazione del corretto funzionamento del tutor
Un automobilista ha adito la Corte di Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione della L. n. 273 del 1991, art. 4, art. 45 C.d.S., comma 6 e art. 142 C.d.S., comma 6, degli artt. 192 e 345 reg. att. C.d.S., per avere il Tribunale, in sede d’appello, disatteso il motivo di gravame in relazione alla mancata dimostrazione da parte dell'amministrazione del corretto funzionamento del dispositivo col quale era stato rilevato l’eccesso di velocità, ovvero il Tutor Sicve.
Più in dettaglio, la sentenza d'appello non aveva tenuto conto dell'intervenuta declaratoria di incostituzionalità dell'art. 45 C.d.S., comma 6, nella parte in cui non aveva previsto che tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità debbano essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura (Corte Cost. n. 113/2015). Inoltre, l’automobilista ha lamentato l'erroneità della sentenza in quanto, nonostante l'eccezione di nullità sollevata dallo stesso per omessa dimostrazione della corretta funzionalità del dispositivo elettronico, non ne aveva tenuto conto argomentando che l’automobilista non aveva specificamente contestato e confutato l'allegazione della amministrazione circa l'effettuazione della taratura "cronologica".
L’obbligo di verifica periodica è esteso a tutti i dispositivi di accertamento delle infrazioni stradali
Il collegio di ermellini condivide le censure osservando che, a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 45, comma 6, C.d.S. (Corte Cost. 18 giugno 2015 n. 113), tutte le apparecchiature di misurazione della velocità devono essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura, e in ipotesi di contestazioni circa l'affidabilità dell'apparecchio il giudice è tenuto ad accertare se dette verifiche siano state o meno effettuate (tra le tante, Cassazione n. 24757 del 2019).
La sentenza della Consulta n. 113 del 2015
Perciò, non è risultata corretta la distinzione operata dal giudice di seconde cure ai fini dell'applicazione dell’art. 45, c. 6, C.d.S., nell’ambito della lettura ermeneutica fornita dalla Consulta in occasione della sentenza n. 113/2015, fra apparecchi sottoposti a diretta vigilanza della Polizia Stradale e apparecchiature SICVE che funzionano in automatico ed in autonomia e che sono sottoposte a controlli annuali per la sincronizzazione degli orologi.
Più precisamente, la Corte costituzionale aveva rilevato che ogni strumento di misura, specie se elettronico, è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e, quindi, a variazioni dei valori misurati dovute ad invecchiamento delle proprie componenti e ad eventi quali urti, vibrazioni, shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione; tale profilo interessa anche i meccanismi di autodiagnosi che appaiono suscettibili, come le altre apparecchiature, di obsolescenza e di deterioramento.
L’annullamento con rinvio
Per lo stesso collegio di legittimità, non è risultato idoneo a superare l'applicabilità dell'art. 45 cit. C.d.S., comma 6, nella portata precettiva assegnata dalla Consulta, l'argomento utilizzato dal tribunale secondo il quale il ricorrente non avrebbe specificamente contestato l'allegazione dell'amministrazione circa l'effettuazione della taratura, dovendosi rilevare come sia sufficiente, a detto fine, la contestazione, incombendo sull'amministrazione la prova dell'effettuazione del periodico controllo. Per l’effetto, la sentenza è stata cassata con rinvio al Tribunale in persona di diverso magistrato.
fonte:www.altalex.com

sabato 21 novembre 2020

Autostrade, benzinai in sciopero dal 27 novembre

Dal 27 novembre verranno sospese le aperture notturne dei distributori di carburanti in autostrada e dal 30 novembre anche quelle diurne. Lo scrivono Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Figisc/Anisa Confcommercio, in una lettera al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e al governo.
"Constatato il pressoche´ azzeramento delle vendite a fronte del mantenimento dei costi fissi, dalla fine della prossima settimana non saranno piu` in grado di garantire l'apertura degli impianti con continuita` e regolarita`", si legge nella lettera.
"Qualunque sciopero durante l'emergenza Covid è illegittimo" afferma Massimiliano Dona, presidente dell'Unione Nazionale Consumatori. "Anche rispettando i 10 giorni di preavviso, si tratta comunque di uno sciopero che viola la regolamentazione del settore adottata dalla Commissione di garanzia con deliberazione n. 01/94 del 19.07.2001 e pubblicata in G.U. n. 179 del 3.8.2001. In questo grave momento per il Paese, uno sciopero, infatti, non solo è un atto irresponsabile, ma contrario alla regolamentazione del settore che prevede che le agitazioni, quand'anche fossero già regolarmente in corso, "debbono essere immediatamente sospese in caso di avvenimenti eccezionali di particolare gravità", come è, ovviamente, l'emergenza che sta vivendo il Paese per via del Coronavirus" prosegue Dona. L'associazione ricorda, infine, che anche in caso di sciopero regolare, "le stazioni di servizio in funzione nell’autostrada dovranno rimanere aperte in misura non inferiore ad una ogni cento chilometri". Inoltre "per la rete della viabilità ordinaria urbana ed extraurbana, dovrà essere mantenuto in servizio un numero di stazioni di rifornimento non inferiore al 50% degli esercizi aperti nei giorni festivi secondo i turni programmati. L’individuazione di tali stazioni dovrà essere effettuata dal Prefetto per la viabilità urbana e per quella extraurbana".
fonte:italiaoggi.it

lunedì 16 novembre 2020

Legge di bilancio 2021: le novità in arrivo per famiglie, lavoratori e imprese

La prima bozza della Legge di bilancio è stata presentata oggi al Consiglio dei Ministri e inizia, così, il suo iter parlamentare che porterà alla sua approvazione entro la fine del 2020. Di cosa si tratta? Nonostante venga chiamata con nomi diversi, come manovra finanziaria, manovra economica o legge di stabilità, la legge di bilancio è l'insieme di norme che regola per l'anno successivo l'indirizzo economico e finanziario del Paese. Il testo viene presentato in Parlamento e, contemporaneamente, anche all'Unione europea arriva il cosiddetto documento programmatico di bilancio che sintetizza quanto previsto dalla legge di bilancio. Si aspetta quindi il parere della Commissione europea che deve valutarne la fattibilità e la congruenza rispetto alle raccomandazioni. Dopo i passaggi alle Camere che apportano eventuali emendamenti, la Legge di bilancio viene approvata dal Parlamento entro il 31 dicembre e, entro gli stessi termini, deve essere pubblicata in Gazzetta ufficiale.
Vediamo quali sono le principali novità previste dalla prima bozza della legge di bilancio 2021. 
Misure in arrivo nel 2021 per le famiglie
Vedrà la luce nel 2021 il tanto atteso assegno unico per i figli, ma mancano ancora indicazioni precise su come sarà strutturato, bisognerà aspettare i decreti attuativi per saperne di più. Tuttavia la legge di bilancio ha incrementato lo stanziamento per questa misura di circa 3 milioni di euro per l’anno prossimo e di 5 milioni e mezzo per il 2022. Allo stesso modo, della tanto attesa riforma di tutto il sistema fiscale (che partirà nel 2022) al momento sappiamo che verrà finanziata con 2,5 milioni di euro.
Buone notizie per chi diventerà papà nel 2021, viene infatti prorogato anche all’anno prossimo il congedo di paternità di 7 giorni.
Un'importante modifica viene fatta per la lotteria degli scontrini, che a differenza di quanto sinora stabilito, verrà riservata esclusivamente agli scontrini relativi ad acquisti pagati con mezzi di pagamento tracciabili, sparisce quindi la possibilità di partecipare alla lotteria per chi paga le spese in contanti.
Il Bonus 18 anni viene prorogato anche al 2021, potranno beneficiarne i ragazzi che compiono 18 anni nel 2020 e quelli che li compieranno nel 2021. Vengono per questo motivo aggiunti ai 190 milioni di euro previsti per il 2020 altri 150 milioni di euro per il 2021.
Rifinanziamento dei bonus per la mobilità sostenibile: arrivano altri 100 milioni di euro per coprire le richieste di bonus bici e in via residuale del bonus per rottamazione di veicoli inquinanti in favore di mezzi green Viene invece prorogato e rifinanziato il bonus moto elettriche o ibride che scadrà nel 2026.
Novità anche per il cashback: si precisa che le somme ricevute da chi aderisce all’iniziativa sotto forma di rimborsi o di superpremi sono esentasse. 
Misure per il 2021 per lavoratori e pensionati
L’ulteriore detrazione fino a 100 euro mensili per i lavoratori dipendenti con reddito tra i 28.000 e i 40.000 euro, introdotto a luglio grazie al decreto “taglia cuneo fiscale”, diventa stabile nelle buste paga e non scade a dicembre come inizialmente previsto.
Sono stati prorogati a tutto il 2022 i meccanismi introdotti con la scorsa legge di bilancio che prevedono aumenti delle pensioni, la così detta perequazione automatica, che decrescono al crescere del reddito.
Stop ai licenziamenti fino al 31 marzo 2021: la misura introdotta a causa dell’emergenza sanitaria, prevede deroghe specifiche in caso di cessazione definitiva dell’attività d’impresa, di fallimento. La stessa deroga opera per i lavoratori che aderiscono a un accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.
Fino al 31 marzo 2021 è possibile rinnovare o prorogare, per massimo 12 mesi e per una sola volta, i contratti di lavoro tempo determinato, in deroga alle disposizioni previste dal decreto dignità.
Altre 12 settimane di cassa integrazione: a causa del perdurare dell’emergenza sanitaria, i datori di lavoro che, causa Covid-19, sospendono o riducono l'attività lavorativa possono fare domanda per la Cassa integrazione ordinaria, l’assegno ordinario e la cassa integrazione in deroga per massimo dodici settimane. La cassa integrazione ordinaria può esser utilizzata tra il 1° gennaio 2021 e il 31 marzo 2021 mentre per l’assegno ordinario e la cassa integrazione in deroga c’è tempo fino al 30 giugno 2021.
Prorogate al 31 dicembre 2021 le due opzioni che permettono di andare in pensione anticipatamente. Nel caso di opzione donna al compimento dei 57 anni di età per le lavoratrici dipendenti (58 anni per le lavoratrici autonome) e 35 anni di anzianità, con liquidazione della pensione calcolata interamente con il sistema contributivo. Mentre nel caso di ape sociale vi possono accedere i lavoratori invalidi, i caregiver o i disoccupati che non hanno beneficiato della NASPI per mancanza del requisito contributivo e assicurativo, così come i lavoratori gravosi con almeno 36 anni di contributi e 63 anni di età.
Con l’obiettivo di valorizzare il servizio svolto da medici, veterinari e sanitari che lavorano nell’ambito del SSN viene riconosciuto un incremento salariale, del 27% dell’attuale lordo percepito. Per gli infermieri invece, viene prevista in aggiunta all’attuale retribuzione, una indennità specifica il cui ammontare verrà stabilito in sede di contrattazione collettiva nazionale. Entrambi gli importi partono da gennaio 2021.
Misure per il 2021 per le imprese
Proroga in arrivo per le misure di sostegno per le PMI. La sospensione delle rate di mutui e prestiti per le piccole e medie imprese introdotta dal Cura Italia viene prorogata fino al 30 giugno 2021. Allo stesso modo il Fondo PMI che garantisce i finanziamenti agevolati viene prorogato fino al 30 giugno 2021.

Marijuana: basta una sola piantina a far scattare il reato

Una sola pianta di marijuana fa scattare la condanna nonostante la legge n. 242/2016. E' quanto emerge dalla sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 6 novembre 2020, n. 30930.

Il caso
Il caso vedeva un uomo essere condannato per avere detenuto, a fine di spaccio, 7 grammi di cocaina, 5,2 grammi di marijuana e 2,4 grammi di ecstasy, nonché per avere coltivato una pianta di marijuana dell'altezza di circa un metro.
La l. 2 dicembre 2016, n. 242, recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” non trova applicazione nel caso di coltivazione domestica di canapa in quanto la legge persegue lo scopo di sostenere e promuovere la coltivazione e la filiera della canapa al fine di contribuire alla riduzione dell'impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita della biodiversità.
La finalità della legge è, quindi, quella di incentivare e sostenere la coltivazione della canapa in vista dei suoi molteplici utilizzi in ambito agro-industriale senza interferire con il mercato illecito finalizzato al consumo di tale sostanza drogante.
La decisione
Secondo l'orientamento dominante in giurisprudenza, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l'offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, attese la formulazione della norma e la ratio della disciplina in materia, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente (Cass. pen., Sez. VI, 24 maggio 2013, n. 22459).
Sul punto sono intervenute anche le Sezioni Unite le quali hanno sancito che non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, la condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all'uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Cass. pen., Sez. Un., 16 aprile 2020, n. 12348); il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio estraibile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente.
Si esclude dal perimetro di tipicità la coltivazione svolta in forma domestica che, in relazione agli indici del caso concreto, appare destinata a produrre sostanza stupefacente diretta all'uso esclusivamente personale del coltivatore.
Nella fattispecie, gli ermellini hanno affermato che la pianta sequestrata, per grado di sviluppo e dimensioni (alta circa un metro), era concretamente idonea a produrre 200 dosi medie, ritenute destinate allo spaccio, in considerazione del rinvenimento sia della strumentazione atta al confezionamento, sia di sostanza stupefacente di altra tipologia.
Non può trovare applicazione, come già accennato, la legge 242/2016, in quanto la norma punta solo a promuovere la filiera agricola della canapa e non si può applicare alle coltivazioni domestiche.
(fonte:www.altalex.com)

Covid: stop del Tar Lazio alle visite domiciliari dei medici di famiglia

Niente visite a domicilio, per i medici di famiglia, nel caso in cui si accusino sintomi da Covid-19. Lo ha stabilito il Tar del Lazio accogliendo, seppur parzialmente, il ricorso proposto dal Sindacato dei Medici Italiani (Smi) che contestava l'interpretazione data dell'ordinanza della regione Lazio n. Z00009 del 17 marzo 2020 recante «Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19». «L'affidamento ai medici di medicina generale del compito di assistenza domiciliare ai malati Covid», hanno scritto i giudici della terza sezione ter dal Tar del Lazio (relatore Dauno Trebastoni), risulta in contrasto con la normativa emergenziale. Per questo il Tar del Lazio ha parzialmente accolto il ricorso del sindacato. «I Medici di Medicina Generale - precisa il Tar - risultano investiti di una funzione di assistenza domiciliare ai pazienti Covid del tutto impropria, che per legge dovrebbe spettare unicamente alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale (Usca)". Per il Tar i medici verrebbero "pericolosamente distratti dal compito di prestare l'assistenza ordinaria, a tutto detrimento della concreta possibilità di assistere i tanti pazienti non Covid, molti dei quali affetti da patologie anche gravi". La regione Lazio, peraltro condannata anche alle spese processuali, dovevano istituire «entro dieci giorni dall'entrata in vigore del decreto, una unità speciale (Usca, ndr) ogni 50mila abitanti per la gestione dei pazienti affetti da Covid-19 che non necessitano di ricovero ospedaliero».
(fonte:www.italiaoggi.it)

giovedì 12 novembre 2020

Ritardo aereo: il risarcimento può essere in una valuta diversa dall’euro

Il Regolamento 261/2004 prevede il diritto del passeggero di ottenere il risarcimento (compensazione pecuniaria nel linguaggio del legislatore europeo) in caso di volo cancellato o di ritardo prolungato. Le somme che possono essere erogate dal vettore aereo ammontano rispettivamente a 250, 400 e 600 euro.
Il passeggero può ottenere il ristoro anche nella propria valuta nazionale (ossia non in euro)? La risposta offerta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Ottava Sezione, con la sentenza del 3 settembre 2020 nella causa C-356/19, è positiva.
Infatti, negare il risarcimento per il solo fatto che la richiesta risarcitori sia avvenuta nella valuta nazionale sarebbe incompatibile con l’obbligo di interpretazione estensiva dei diritti dei passeggeri e con il principio di parità di trattamento.
La vicenda
Una donna polacca prenotava un volo aereo per rientrare a Varsavia da un paese terzo, ma il suo volo subiva un ritardo di oltre tre ore. La passeggera aveva diritto ad una compensazione pecuniaria pari a 400,00 euro e cedeva il proprio credito ad una società, la quale agiva in giudizio al fine di ottenere il risarcimento. Il vettore si opponeva alla richiesta, in quanto era stata formulata nella valuta nazionale (zloty) anziché in euro. Secondo la giurisprudenza polacca, il cambiamento di valuta in cui è espressa la domanda deve considerarsi come una modifica della domanda stessa e la suddetta modifica, nella procedura in oggetto, risultava inammissibile in base alle disposizioni del Codice di procedura civile. Il giudice nazionale, pertanto, adiva in via pregiudiziale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Le questioni pregiudiziali
Il giudice nazionale solleva quattro questioni pregiudiziali sull’interpretazione dell’art. 7 paragrafo 1 del Regolamento 261/2004, domando:

se la disposizione de qua contenga anche la disciplina sulla modalità di adempimento dell’obbligo di compensazione o se ne determini solo l’entità;
in caso affermativo, se il passeggero (o il suo avente causa) possa chiedere il pagamento dell’equivalente dell’importo di 400 euro espresso nella valuta nazionale avente corso nel luogo di residenza del passeggero il cui volo è stato cancellato o ritardato;
in caso affermativo, secondo quali criteri si debba determinare la valuta in cui il passeggero (o il suo avente causa) può chiedere il pagamento e quale tasso di cambio debba essere applicato;
infine, se la disposizione in parola o altre norme del Regolamento in discorso ostino all’applicazione di disposizioni di diritto nazionale che comportino il rigetto della domanda giudiziale proposta da un passeggero (o dal suo avente causa), per il solo motivo che il credito sia stato determinato nella valuta nazionale avente corso nel luogo di residenza del passeggero, anziché in euro.
Come vedremo, la Corte di Giustizia esamina congiuntamente tutti e quattro i quesiti ma, prima di analizzare il percorso delibativo dei giudici europei, ricordiamo brevemente il quadro normativo.
Riferimenti normativi
Il Regolamento 261/2004 istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di:
-negato imbarco,
-cancellazione del volo,
-ritardo prolungato.
In particolare, viene in rilievo l’art. 7, al paragrafo 1, che stabilisce l’entità della compensazione pecuniaria, variabile a seconda della tratta:
-250 euro per tutte le tratte aeree inferiori o pari a 1500 chilometri;
-400 euro per tutte le tratte aeree intracomunitarie superiori a 1500 chilometri e per tutte le altre tratte comprese tra 1500 e 3500 chilometri;
-600 euro per le tratte aeree che non rientrano nelle lettere a) o b).
Nel determinare la distanza si utilizza come base di calcolo l’ultima destinazione per la quale il passeggero subisce un ritardo all’arrivo rispetto all’orario previsto a causa del negato imbarco o della cancellazione del volo [...]. 
Interpretazione estensiva del Regolamento e protezione dei passeggeri
Il primo paragrafo dell’art. 7 fa riferimento agli importi in euro e il terzo paragrafo dispone che la compensazione pecuniaria sia «pagata in contanti, mediante trasferimento bancario elettronico, con versamenti o assegni bancari, o, previo accordo firmato dal passeggero, con buoni di viaggio e/o altri servizi». La norma, pertanto, prevede che l’adempimento dell’obbligazione debba avvenire con le modalità suindicate, ma nulla dice in merito alla valuta nazionale, diversa dall’euro.
Orbene, i giudici europei ricordano come l’obiettivo perseguito dal Regolamento 261/2004 consista nel garantire un elevato livello di protezione per i passeggeri (sent. 17.09.2015, C-257/14). Per raggiungere tale finalità, le disposizione deve essere interpretata estensivamente (sent. 19.11.2009 C-402/07 e C-432/07; sent. 04.10.2012 C-22/11). Da quanto sopra emerge che il diritto alla compensazione pecuniaria previsto a favore del passeggero dall’art. 7 vada interpretato in modo estensivo.
La Corte ricorda che il Regolamento 261/2004 è diretto a garantire il risarcimento per i danni derivanti dai disagi dei trasporti aerei e tale ristoro deve avvenire in modo immediato ed uniforme. Pertanto, subordinare il diritto alla compensazione pecuniaria alla circostanza che la richiesta sia effettuata in euro (escludendo, quindi, le valute nazionali) equivarrebbe a comprimere il diritto del passeggero. In tal modo, si violerebbe l’obbligo di interpretazione estensiva del diritto alla compensazione di cui all’art. 7.
Ambito di applicazione e parità di trattamento
Il Regolamento 261/2004 si applica ai passeggeri a prescindere dalla cittadinanza o dal luogo di residenza, infatti, l’art. 3 paragrafo 1, dispone che esso riguardi:
i passeggeri in partenza da un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro soggetto alle disposizioni del trattato;
i passeggeri in partenza da un aeroporto situato in un paese terzo a destinazione di un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro soggetto alle disposizioni del trattato, salvo se i suddetti passeggeri hanno ricevuto benefici o una compensazione pecuniaria e assistenza nel paese terzo in questione, qualora il vettore aereo operante il volo in questione sia un vettore comunitario.
Quindi, i passeggeri aventi diritto alla compensazione pecuniaria vanno considerati «tutti in situazioni paragonabili, nei limiti in cui a tutti loro spetta, in modo uniforme e immediato, una compensazione pecuniaria per il danno risarcibile in forza della medesima disposizione». Pertanto, il Regolamento – come tutti gli atti dell’UE – deve interpretarsi alla luce del principio della parità di trattamento, secondo il quale situazioni simili non vanno trattate diversamente e situazioni differenti non devono essere trattate in modo uguale (sent. 19.11.2009 C-402/07 e C-432/07).
Da quanto detto deriva che imporre il pagamento in euro della compensazione pecuniaria, ad esclusione della valuta nazionale, può determinare una disparità di trattamento tra i passeggeri danneggiati (o tra i loro aventi causa). Inoltre, per tutte le ragioni esposte, la normativa nazionale non può prevedere il rigetto della domanda di compensazione pecuniaria per il solo fatto che sia formulata in valuta nazionale. Infine, la fissazione del tasso di cambio e le modalità della conversione restano di competenza del giudice interno. 
Conclusioni
In conclusione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea analizza congiuntamente tutte e quattro le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice polacco e, con la pronuncia in commento, stabilisce che:
«Il regolamento (CE) n. 261/2004 […] e in particolare il suo articolo 7, paragrafo 1, devono essere interpretati nel senso che il passeggero il cui volo sia stato cancellato o abbia subito un ritardo prolungato, o il suo avente causa, può esigere il pagamento dell’importo della compensazione pecuniaria prevista da tale disposizione nella valuta nazionale avente corso legale nel suo luogo di residenza, cosicché detta disposizione osta a una normativa o a una prassi giurisprudenziale di uno Stato membro in forza della quale la domanda giudiziale proposta a questo fine da un tale passeggero o dal suo avente causa sarà respinta per il solo motivo che lo stesso l’ha espressa in detta valuta nazionale»
(fonte:www.altalex.com)

Perseguitato da polizia del suo paese: può chiedere lo status di rifugiato

La protezione può essere accordata alle vittime di persecuzioni provenienti dallo Stato, da intendere come apparato e non ordinamento (Cass. Ord. 24250/2020)
Secondo la legge (art. 5 lett. a) D.Lgs. n. 251/2007) la protezione può essere accordata solo alle vittime di persecuzioni provenienti dallo Stato. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24250 del 2020, afferma che la citata norma debba deve essere interpretata intendendo la nozione di “stato” come “stato-apparato”, e non già come “stato-ordinamento”. Pertanto, lo status di rifugiato va concesso anche a chi dimostri di essere perseguitato, nel proprio Paese, dagli organi della polizia locale. A tal fine, è irrilevante che, da un punto di vista formale, la persecuzione non sia ammessa o consentita dall'ordinamento giuridico statuale di quel Paese.
La vicenda
Un cittadino cinese, perseguitato dalla polizia del suo Paese a causa della fede cristiana da lui professata, ricorreva alla commissione territoriale al fine di vedersi riconoscere lo status di rifugiato (ex art. 7 d.lgs. 251/2007) o, in via subordinata (ex art. 14 d.lgs. 251/2007), la protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari (ex d.lgs. n. 286/1998).
La commissione rigettava l’istanza, il richiedente adiva la sezione specializzata del Tribunale, che accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo che dovesse venirgli concesso il permesso di soggiorno per motivi umanitari, stante il pericolo, in caso di rimpatrio, di subire una persecuzione per motivi religiosi.
Il giudicante, invece, negava che egli avesse diritto allo status di rifugiato politico, giacché la costituzione della Repubblica popolare cinese prevede la libertà di culto e la persecuzione era stata perpetrata non già dallo Stato, ma dalle autorità di polizia locale; parimenti, era esclusa la protezione sussidiaria, poiché non ne ricorrevano le condizioni. Il cittadino cinese ricorre in Cassazione, insistendo sul suo diritto all’ottenimento dello status di rifugiato.
Riferimenti normativi
Prima di analizzare la decisione, ricordiamo brevemente le norme che vengono in rilievo:
-la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto di rifugiati, sottoscritta da 144 paesi, che definisce cosa s’intende per “rifugiato” e individua i diritti dei migranti forzati, nonché gli obblighi gravanti sugli Stati contraenti;
-il d.lgs. 25/2008 contenente la “Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”;
-il d.lgs. 251/2007 “attuativo della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”. In particolare, l’art. 5 rubricato “Responsabili della persecuzione o del danno grave”, l’art. 7 sugli atti di persecuzione e l’art. 14 sulla protezione sussidiaria;
-il d.lgs. 286/1998 Testo unico sull’immigrazione; in particolare, l’art. 5 c. 6 (testo applicabile ratione temporis) sul permesso di soggiorno per motivi umanitari. In merito alle modifiche al testo unico sull’immigrazione, apportate dal d.l. 130/2020, si rinvia alla lettura del contributo: Immigrazione, permessi di soggiorno e accoglienza: le novità.
Persecuzione da parte dello Stato: apparato o ordinamento?
Il Tribunale, al contrario della commissione territoriale, ha considerato verosimile il racconto del cittadino cinese, tuttavia il giudicante ha rifiutato la concessione dello status di rifugiato per la seguente ragione: una persona perseguitata dalla polizia non può ritenersi perseguitata dallo Stato.
La Suprema Corte non ritiene condivisibile tale ricostruzione.
L’art. 5 d.lgs. n. 251/2007 prevede che, ai fini della concessione della protezione internazionale, la persecuzione patita dal richiedente debba provenire:
-dallo Stato;
-da partiti o da organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio;
-da soggetti non statuali, se i responsabili di cui alle lettere a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione.
Il lessema “Stato”, utilizzato dal legislatore, assume diversi significati nel mondo del diritto. Infatti, può far riferimento:
-allo stato-ordinamento, ossia ad un ordinamento giuridico; la Costituzione utilizza diverse espressioni, ma sempre con tale significato, ad esempio, qualificando lo Stato talora come Repubblica (artt. 5, 29, 114), Patria (art. 52), Italia (artt. 1, 11) o Paese (artt. 3 e 47);
-allo stato-apparato, inteso come insieme di autorità, persone e organizzazioni con cui lo stato ordinamento (di cui sopra) attribuisce i poteri di compiere atti giuridici o materiali.
Ciò premesso, la nozione di Stato a cui fa riferimento la norma in materia di protezione internazionale (art. 5 lett. a) d. lgs. 251/2007) va intesa come stato-apparato o stato-ordinamento?
Concessione dello status in rifugiato in caso di persecuzione da parte della polizia
Secondo gli ermellini, l’art. 5 lett. a) d.lgs. 251/2007 si riferisce allo stato-apparato e non già allo stato-ordinamento. La Corte fornisce la suddetta interpretazione della disposizione fornendo una triplice chiave di lettura.
Interpretazione logica: una persecuzione può essere compiuta solo da persone e, dunque, da un apparato, non certo da un ordinamento; «anche nel diritto internazionale è pacifico che debbano essere imputati allo Stato in quanto tale gli atti compiuti da qualsiasi organo incardinato nell'amministrazione, e non solo gli agenti governativi in senso stretto».
Interpretazione sistematica: la disposizione de qua va interpretata in senso favorevole al richiedente asilo, in coerenza con la sua ratio di tutela del soggetto debole.
Interpretazione storica: i lavori preparatori della direttiva1, di cui il d.lgs. n. 251/2007 è attuativo, palesavano l’esistenza di un contrasto tra chi voleva l’estensione della protezione anche per i soggetti che subivano persecuzioni private allorché lo Stato non fosse in grado di tutelarli e chi, invece, intendeva limitare lo status di rifugiato ai perseguitati di Stato. Orbene, neppure questi ultimi hanno mai dubitato che la persecuzione potesse essere sia quella proveniente dallo stato che quella derivante dagli organi statali.
Conclusioni
In conclusione, la Suprema Corte, mercé un pregevole iter argomentativo, afferma quanto segue:
«il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 1, lett. a), là dove prescrive che la protezione può essere accordata solo alle vittime di persecuzione provenienti "dallo Stato", deve essere interpretato intendendo quest'ultimo lemma come "Stato apparato", e non già come "Stato ordinamento": con la conseguenza che la concessione dello status di rifugiato non può essere negata a chi dimostri di essere perseguitato nel proprio Paese dagli organi della polizia locale, a nulla rilevando che, formalmente, tale persecuzione non sia ammessa o consentita dall'ordinamento giuridico statuale di quel Paese»
Quindi, la sentenza gravata viene cassata e la causa rinviata al tribunale in diversa composizione.
(fonte:www.altalex.com)

Bonus baby sitter e congedi parentali: le misure per i genitori che lavorano

I decreti Ristori e Ristori bis hanno introdotto alcune misure a sostegno dei genitori che si trovano ad avere i figli studenti a casa per una quarantena o per la sospensione della didattica in presenza, come avviene per le zone rosse in cui la DAD è prevista solo per asili nido, scuole materne, scuole primarie e prima media. 
Sono stati previsti dei congedi parentali per i lavoratori dipendenti che non possono svolgere la prestazione lavorativa in smart working e un bonuns babysitter per i lavoratori autonomi.
Congedi parentali o smart working per i dipendenti
Il Governo ha previsto il diritto di smart working e, in alternativa congedi straordinari retribuiti con un'indennità pari al 50% dello stipendio per i lavoratori dipendenti genitori di figli minori di sedici anni conviventi nei casi di quarantena obbligatoria dei figli, predisposta dalla Asl a seguito di contatto con un paziente infetto avvenuto all’interno del plesso scolastico. Al compimento del quattordicesimo anno di età il diritto al congedo viene meno, rimane solo lo smart working se possibile.
Il diritto allo smart working o ai congedi straordinari è concesso anche ai genitori di figli minori di 14 anni per i quali venga sospesa l’attività didattica in presenza, come avviene nelle zone rosse. In questo caso, per i genitori di figli di età compresa tra i 14 e i 16 anni, è concessa solo la possibilità di assentarsi dal lavoro senza compenso né contribuzione figurativa, ma con diritto alla conservazione del posto di lavoro.
In ogni caso, il beneficio è riconosciuto ai genitori di figli con disabilità grave riconosciuta ai sensi della legge 104/92, senza limiti di età, iscritti a scuole di ogni ordine e grado o centri diurni
Il congedo può esser utilizzato per periodi di quarantena scolastica e sospensione dell’attività didattica in presenza effettuati tra il 9 settembre e il 31dicembre 2020. Entrambi i genitori possono accedere al congedo ma non per gli stessi giorni ed esclusivamente se la prestazione lavorativa non possa esser svolta in modalità di smart working. Il congedo può esser richiesto anche in caso se l’altro genitore è:
-in malattia o portatore di handicap;
-in congedo maternità/paternità per un altro figlio;
-in ferie;
-in aspettativa non retribuita;
-un soggetto fragile a prescindere dallo svolgimento di un’attività lavorativa anche in modalità di smart working;
Infine, il congedo viene concesso anche se l’altro genitore per le stesse giornate fruisce dei permessi dati dalla Legge 104/92 per lo stesso figlio posto in quarantena.
Il congedo ha una durata pari a quella della quarantena e può esser richiesto per ogni quarantena venisse predisposta per ogni figlio convivente.
L’indennità non può esser richiesta per gli stessi giorni nei quali l’altro genitore è in congedo parentale, in permesso allattamento, lavoratore par time nei giorni di riposo, disoccupato o beneficiario di prestazioni a sostegno del reddito come CIGO, CIGS, CIG, NASpI…
L’indennità viene riconosciuta con le stesse modalità previste per l’assegno di maternità, è imponibile ai fini Irpef e viene coperta da contribuzione figurativa.
Per presentare la domanda si deve acceder al sito dell’Inps con le proprie credenziali SPID oppure chiamare il Contact center al numero 803164 da rete fissa o 06164164 da cellulare o ci si deve rivolgere gratuitamente ai patronati. Occorrono gli elementi identificativi del provvedimento di quarantena disposto dalla ASL (si ha tempo 30 giorni dalla presentazione della domanda per fornirli), la domanda può esser retroattiva e coprire il periodo a partire dal 9 settembre.
Bonus babysitter per gli autonomi
Il Governo ha previsto un nuovo bonus di 1000 euro da spendere per servizi di babysitting da utilizzare nel periodo di sospensione dell’attività scolastica in presenza delle classi seconde e terze medie, esclusivamente in favore dei lavoratori autonomi che si trovano nella zona rossa, dove è prevista appunto tale sospensione in aggiunta a quella delle scuole superiori.
In ogni caso, il bonus è riconosciuto ai genitori di figli con disabilità grave riconosciuta ai sensi della legge 104/92, senza limiti di età, iscritti a scuole di ogni ordine e grado o centri diurni
Diciamo subito che il nuovo bonus babysitter non può esser speso per pagare nonni o altri familiari.
Il bonus viene erogato direttamente sul libretto di famiglia tramite il sito dell’INPS, come avveniva per il bonus babysitter introdotto per la chiusura della scuola della scorsa primavera.
I lavoratori autonomi che hanno diritto al bonus sono quelli che sono iscritti alla gestione separata o alle gestioni speciali dell’Ago (gestione artigiani e commercianti Inps) e che non sono iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie.
Il bonus può esser richiesto alternativamente da entrambi genitori, se l’attività lavorativa non può essere svolta in modalità agile e l’altro genitore non sia beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa oppure sia disoccupato o non lavoratore.
Infine, il bonus è incompatibile con l’ottenimento del bonus asili nido.
La domanda può esser presentata autonomamente tramite i servizi online dell’Inps, tramite contact center dell’Inps contattando il numero verde 803164 (gratuito da rete fissa) o 06164164 (da rete mobile) e gratuitamente tramite patronato.

mercoledì 11 novembre 2020

Reddito d'emergenza anche in autunno. Ecco a chi spetta e come inoltrare la domanda

Con il decreto Ristori, il Governo ha disposto un'ulteriore proroga, dopo quella concessa con il decreto Agosto, del Reddito di Emergenza (REm) introdotto con il Decreto Rilancio. Si tratta di un contributo a favore delle famiglie più povere che si trovano in condizioni di difficoltà economica a causa dell'emergenza Covid-19. Sul proprio sito, l'Inps ha messo a punto una procedura online: ecco come presentare la richiesta. 
A chi spetta il Reddito di emergenza
Il Reddito di emergenza viene riconosciuto automaticamente alle famiglie che hanno fatto richiesta del contributo per il mese di settembre, come previsto dal decreto Agosto e verrà erogato nel mese di novembre 2020. Chi ha ottenuto solo il primo reddito d’emergenza, tramite il decreto Rilancio, deve presentare nuovamente la domanda. Anche chi non ha mai ottenuto il REM perché non ha mai presentato la domanda o perché non è stata accolta deve presentarla nuovamente per ottenerlo.
Il REM spetta nuclei familiari che si trovano in condizioni di necessità economica a causa dell’emergenza sanitaria. Per poter esser richiesto, il nucleo familiare deve contemporaneamente soddisfare alcuni requisiti precisi:
-il richiedente deve avere la residenza in Italia;
-il reddito familiare, nel mese di settembre 2020, deve essere inferiore all’importo che viene riconosciuto come REm e che varia in base al numero di componenti del nucleo familiare;
-l’ISEE in corso di validità del nucleo deve essere inferiore a 15.000 euro;
-il valore del patrimonio mobiliare familiare del 2019 deve essere inferiore a 10.000 euro, cui si sommano 5.000 euro per ogni componente successivo al primo, ma entro un massimo complessivo di 20.000 euro. Se nel nucleo è presente un soggetto definito come disabile grave o non autosufficiente (secondo i criteri ISEE) il valore massimo è di 25.000 euro.
Come richiedere il Reddito di emergenza
Per richiedere questa mensilità aggiuntiva del Reddito di emergenza è necessario inviare la domanda entro il 30 novembre 2020 tramite il sito dell'Inps, selezionando il servizio "Reddito di emergenza" presente in home page. Come per gli altri servizi dell'Inps, anche in questo caso è necessario autenticarsi sul sito utilizzando una delle modalità previste tra Spid, PIN dell'Inps, la CNS (carta nazionale dei servizi) o la CIE (carta d'identità elettronica). In alternativa è possibile rivolgersi a un CAF o a un patronato. Per presentare la domanda è necessario allegare la dichiarazione sostitutiva unica (DSU) in cui sia possibile verificare il valore dell'ISEE e la composizione del nucleo familiare. Devi inoltre presentare anche un'autocertificazione in cui attesti di essere residente in Italia e dove dichiari che il valore del tuo patrimonio mobiliare e del tuo reddito familiare per il mese di aprile è al di sotto della soglia che serve per ottenere il Reddito di emergenza. I dati inseriti sono soggetti a verifica: Inps e Agenzia delle entrate verificano infatti i requisiti e, in caso di anomalie, il REm viene revocato e quanto indebitamente percepito deve essere restituito con l'applicazione delle sanzioni previste.  
In quali casi non può essere richiesto
Il Reddito di emergenza non può esser richiesto se nel nucleo sono presenti soggetti che percepiscono le indennità previste per l’emergenza Covid-19, parliamo quindi di lavoratori autonomi iscritti alle gestioni Inps;
-liberi professionisti titolari di partita Iva iscritti alla gestione separata;
-lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, iscritti alla gestione separata;
-lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali;
-lavoratori dello spettacolo;
-lavoratori agricoli;
-lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali;
-lavoratori intermittenti;
-lavoratori autonomi, privi di partita Iva, non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie;
-incaricati alle vendite a domicilio;
-lavoratori domestici;
-indennità lavoratori marittimi;
-indennità lavoratori sportivi.
Non può inoltre essere richiesto se nel nucleo familiare sono presenti titolari di pensione diretta o indiretta (ad esclusione dell’invalidità), lavoratori dipendenti con retribuzione lorda superiore all’importo del REm o percettori del reddito o pensione di cittadinanza. Non hanno diritto al REm i detenuti. Chi è ricoverato in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello Stato o di altra amministrazione pubblica non viene considerato tra i componenti del nucleo familiare ai fini del calcolo della scala di equivalenza.
A quanto ammonta il Reddito di emergenza
Il valore di base del Reddito d’emergenza è 400 euro, che deve esser moltiplicato per il parametro della scala di equivalenza dell’ISEE che assegna un valore a ogni composizione familiare. In ogni caso non può superare il valore massimo di 800 euro a nucleo familiare. In presenza di un componente in condizioni di disabilità grave si può arrivare a un massimo della scala di equivalenza di 2,1 cioè 840 euro totali.
Facciamo qualche esempio:
- per due componenti adulti il parametro della scala di equivalenza di riferimento è 1,4, quindi il REm sarà di 560 euro;
- per tre componenti di cui un minorenne il parametro 1,6, quindi 640 euro mensili.

Sovraindebitamento: si alla dilazione del pagamento in cinque anni

Negli accordi di ristrutturazione dei debiti è giuridicamente possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione previsto dall’art. 8, 4° comma, della legge n. 3 del 2012 e al di là delle fattispecie di continuità aziendale, purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme a essi spettanti o, con riferimento ai piani del consumatore, purché sia data a essi la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore.
Questi i principi ripresi dalla Corte di Cassazione, VI sez. civ. -1, Pres. Valitutti – Rel. Terrusi, con l’ordinanza n. 17391 del 20 agosto 2020.
Nel caso di specie, il Tribunale aveva ritenuto che la proposta in esame fosse carente nel presupposto di fattibilità giuridica, rilevabile d’ufficio, in quanto il reclamante aveva prospettato il pagamento dilazionato di un credito ipotecario in cinque anni dall’omologazione. La decisione impugnata è stata cassata, poiché la dilazione non determina un problema di fattibilità di tipo giuridico, quanto piuttosto un possibile rilievo di convenienza per i creditori. Dunque i creditori son gli unici a dover valutare se una proposta di accordo, implicante pagamenti dilazionati, sia o meno conveniente a fronte delle possibili alternative di soddisfacimento.
La Suprema Corte ha stabilito che l’omologazione di un accordo di composizione della crisi non può essere negata solo sul presupposto di un ampliamento del termine dell’orizzonte temporale entro il quale deve essere effettuato il soddisfacimento, ossia di un anno previsto dalla legge 3/2012, per il soddisfacimento dei creditori, in assenza della continuità dell’esercizio dell’attività di impresa.
A tal fine, è legittima la dilazione del pagamento nei cinque anni seguenti all’omologazione della proposta, alla condizione che creditori abbiano il diritto di voto in ordine alla fattibilità e all’effettivo soddisfacimento della propria posizione.
Tale facoltà può essere concessa purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme a essi spettanti o, con riferimento ai piani del consumatore, purché sia data a essi la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore.

martedì 10 novembre 2020

Bonus pc e tablet: a chi spetta e come richiederlo

Quando venne presentato nel maggio scorso (in pieno prima ondata) doveva servire per venire incontro alle famiglie meno "digitalizzate" che, da un momento con l'altro, si sono ritrovate a dover lavorare in smartworking e a gestire la didattica a distanza dei propri figli, senza magari possedere un pc, un tablet o una connessione internet sufficientemente veloce.
Con un po' di ritardo sulla tabella di marcia ora è possibile richiedere il cosiddetto "bonus pc e tablet". Il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico da qualche settimana in Gazzetta Ufficiale, infatti, stanzia 204 milioni di euro per aiutare le famiglie con Isee fino a 20.000 euro con la digitalizzazione. Ecco come funziona, chi lo può richiedere e a quanto ammonta. 
Bonus tablet e pc: che cos'è?
Nel concreto si tratta di sconti a disposizione delle famiglie per venire incontro alle loro "esigenze di connettività" in un periodo appunto di smartworking e teledidattica; in soldoni si tratta di un bonus per dotarsi di una rete internet a banda larga e, contestualmente, anche di un pc o di un tablet. Diciamo subito che il bonus durerà un anno ma sarà possibile richiederlo fino a esaurimento scorte.
Bonus tablet e pc: chi ne ha diritto
Meglio chiarire subito che non si tratta di un bonus per tutti. Il voucher è in realtà un aiuto alle famiglie più indigenti con un Isee: sotto i 20.000 euro. Per queste famiglie viene riconosciuto un contributo massimo di 500 euro, sotto forma di sconto sul prezzo di vendita dei canoni di connessione internet in banda ultra larga per un periodo di almeno 12 mesi; il bonus dovrebbe servire a coprire eventuali costi di attivazione e la fornitura di relativi dispositivi elettronici (come ad esempio il modem), ma anche, pe chi ne avesse bisogno, per ottenere un tablet o di un pc direttamente dal provider internet.
Viene riconosciuto un solo contributo per ciascun nucleo famigliare presente nell’unità abitativa. Se abiti in zone raggiunte da più di un operatore che offre connessioni veloci, potrai chiedere il passaggio alla banda ultra larga sia al tuo operatore sia a uno differente. Puoi utilizzare il bonus e poi fare il passaggio a un altro operatore usando l’eventuale parte residua del bonus non utilizzato, purché la velocità di connessione sia almeno pari a quella del contratto precedente e senza che il recesso da quest’ultimo comporti dei costi.
Gli operatori devono anche garantire che i contratti decadano allo scadere della durata dell’offerta, fatta salva la possibilità di aderire a offerte di rinnovo. Offerte che gli operatori sono tenuti a proporre  nei quarantacinque giorni precedenti la data di scadenza del contratto e che dovranno avere condizioni uguali o migliori rispetto a quelle del contratto in scadenza e che rimangano valide perlomeno per tutti i 12 mesi successivi.
Per quali connessioni vale?
Al di là del limite sul reddito, chi può richiedere il bonus per la connessione internet? Vedaimo nel dettaglio:
- chi non ha alcuna connessione, purché sottoscriva un contratto di fornitura per una connessione con velocità di almeno 30 Mbit/s;
- chi ha già una connessione con velocità inferiore a 30 Mbit/s che sottoscrive un contratto per una connessione più veloce (con lo stesso operatore o con uno nuovo).
Tablet e pc: solo assieme a internet
E il tablet o il pc tanto sbandierato? Diciamo subito che non è possibile richiedere il voucher esclusivamente per avere il tablet o il pc, ma si possono avere solo a seguito della sottoscrizione di un contratto di connettività a banda larga non inferiore ai 30 Mbits/s. I dispositivi pertanto vanno chiesti direttamente al provider con cui si sottoscrive una connessione internet. Con la sottoscrizione del contratto di connettività, infatti, è possibile utilizzare parte del bonus per l'"acquisto" di dispositivi elettronici come tablet e pc forniti però dallo stesso operatore con il quale si attiva il contratto internet.
Nel manuale operativo del Piano Voucher, il Ministero ha finalmente chiarito che questi dispositivi non sono in comodato d'uso (come era stato inizialmente previsto) ma vengono pagati dall'utente con una parte del valore del voucher per tutta la durata del contratto di connettività (12 mesi), al termine del quale questi dispositivi rimangono di proprietà dell'utente. Nel caso in cui l'utente cambi operatore prima dei 12 mesi, continuerà a pagarli tramite bonus al nuovo operatore fino al termine dei 12 mesi.
Come si richiede il bonus
Occorre dire che il bonus viene erogato da Infratel Italia (Infrastrutture e Telecomunicazioni per l’Italia S.p.A.), una società governativa interamente controllata da MiSE. Tuttavia il voucher non verrà dato direttamente in mano all'utente (come accade con altri tipi di bonus), ma andrà chiesto direttamente all'operatore di telefonia in fase di sottoscrizione del contratto internet.
Gli operatori interessati a partecipare all'iniziativa devono iscriversi su una apposita piattaforma gestita appunto da Infratel Italia (www.infratelitalia.it). Tutti gli operatori che aderiscono devono offrire alcune garanzie al consumatore: innanzitutto devono rendere riconoscibili in qualche modo al consumatore le offerte sottoscrivibili grazie al voucher; in secondo luogo devono esplicitare in totale trasparenza quali costi sono coperti dal contributo e quali invece rimangono a carico dell'utente, in modo da fornire un quadro reale di quanto l'utente dovrà sborsare di tasca propria. Al momento risultano attive le offerte di Tim e WindTre anche se Vodafone ha annunciato a breve la sua offerta.
Ricorda quindi che per ottenere il Voucher devi contattare direttamente l’operatore telefonico (utilizzando uno qualsiasi dei canali che metterà a disposizione) e presentare la richiesta con allegata copia della carta d’identità e un’autocertificazione in cui si dichiara che il valore dell’Isee del nucleo familiare di cui fa parte è inferiore a 20.000 euro e che nessun altro componente ha già fatto richiesta del bonus. Verranno quindi svolti controlli a campione per verificare la sussistenza dei requisiti.

lunedì 2 novembre 2020

Difetti del bene venduto: entro 6 mesi da consegna si presumono già esistenti

Vale la presunzione contenuta all’art. 132 terzo comma del Codice del Consumo, secondo cui i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna si presumono già esistenti a tale data.
In tema di compravendita, la disciplina codicistica ha carattere sussidiario rispetto a quella prevista dal Codice del Consumo (D.lgs. n. 206 del 6 settembre 2005), che trova quindi applicazione prioritaria sussistendone i presupposti.
In particolare l’art. 132 terzo comma del Codice del Consumo prevede una presunzione relativa, per cui i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene, si presumono già sussistenti a tale data, salvo che ciò sia incompatibile con la natura del bene o del difetto invocato.
Se quest’ultimo si manifesta entro il predetto termine, il consumatore potrà quindi limitarsi ad allegare la sussistenza del vizio, gravando sul venditore l’onere di dimostrare la conformità del bene.
Superati i sei mesi torna invece operativo il regime probatorio generale, per cui il consumatore dovrà provare che il difetto era presente fin dall’origine.
Lo ha affermato la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13148 del 30 giugno 2020.
Il caso
Gli acquirenti di un’autovettura usata convenivano in giudizio la società venditrice, riferendo che l’auto, subito dopo l’acquisto, presentava gravi vizi occulti, regolarmente denunciati e non riparati.
Chiedevano pertanto il risarcimento dei danni, pari alle spese di noleggio di un’auto sostitutiva, a quelle di ripristino del mezzo e a un’ulteriore somma per il ristoro del disagio subito.
La società si costituiva in giudizio, deducendo che il veicolo era perfettamente funzionante al momento della consegna e che il vizio era stato causato da un uso anomalo del mezzo e da una carente manutenzione.
Il Tribunale di Larino, sezione distaccata di Termoli, rigettava la domanda e la sentenza veniva confermata anche in appello.
La Corte di merito dava atto che i vizi lamentati si erano manifestati solo dopo tre mesi dalla consegna ed era stato accertato un utilizzo anomalo del veicolo. Era emerso inoltre che l’auto era stata accuratamente controllata prima della vendita ed era risultata perfettamente funzionante.
Contro la sentenza gli acquirenti proponevano ricorso per cassazione in base a due motivi.
I motivi di ricorso
In primo luogo contestavano l’erronea applicazione della disciplina del contratto di vendita in luogo di quella del Codice del Consumo, in particolare dell’art. 130 del Codice che prevede la responsabilità del venditore in caso di difetto di conformità.
Rilevavano inoltre una violazione dell’art. 132 del Codice del Consumo, secondo cui vi è una presunzione del difetto di conformità del bene se i vizi si manifestano entro sei mesi dalla consegna: nel caso di specie, trattandosi di vizi emersi dopo solo tre mesi, sarebbe spettato alla concessionaria dar prova della loro insussistenza al momento della vendita.
Compravendita: Codice del Consumo e codice civile
La Corte rammenta che in materia di compravendita esiste una chiara preferenza del legislatore per le norme consumeristiche, mentre la disciplina del codice civile ha un ruolo “sussidiario”: gli artt. 128 e segg. del Codice del Consumo si applicano quindi prioritariamente (se ne ricorrono i presupposti), mentre le norme codicistiche trovano spazio solo per quanto non previsto dalla normativa speciale (così Cass. Civ. Sez. III, 30.5.2019, n. 14775).
Dal combinato disposto degli artt. 129 e segg. del Codice del Consumo si desume la responsabilità del venditore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene, purchè emerga entro due anni dalla consegna.
Ciò legittima il compratore ad esperire i rimedi contemplati al successivo art. 130, sempre che denunci il difetto al venditore entro due mesi dalla scoperta.
Il termine di “manifestazione” del vizio e le conseguenze sul regime probatorio
L’art. 132 terzo comma del Codice del Consumo prevede inoltre una specifica presunzione a favore del consumatore, per cui i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene, si presumono già sussistenti a tale data, salvo che ciò sia incompatibile con la natura del bene o del difetto invocato.
Si tratta di una presunzione relativa (superabile quindi mediante prova contraria), finalizzata ad agevolare la posizione del consumatore: se il difetto emerge entro i sei mesi, questi potrà infatti limitarsi ad allegare la sussistenza del vizio, gravando sulla controparte l’onere di provare la conformità del bene.
Superato il termine semestrale torna invece operativo il generale regime probatorio, per cui il consumatore dovrà provare che il difetto era presente fin dall’origine, posto che il vizio potrebbe qualificarsi come sopravvenuto, derivando da cause indipendenti dalla non conformità del prodotto.
Corollario di questo principio è che il consumatore deve provare l’inesatto adempimento mentre al venditore spetta dimostrare di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto; solo se tale prova è stata fornita, spetta al compratore dimostrare l’esistenza di un vizio o difetto intrinseco della cosa, ascrivibile al venditore (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 21927 del 21/09/2017; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20110 del 02/09/2013).
La natura presunta della responsabilità da prodotto difettoso
Il quadro normativo illustrato ha indotto la giurisprudenza di legittimità a ritenere che la responsabilità da prodotto difettoso abbia natura presunta e non oggettiva: prescinde infatti dall’accertamento di colpevolezza del produttore ma non dalla dimostrazione di esistenza di un difetto del prodotto.
Ai sensi dell’art. 120 del Codice del Consumo, grava quindi sul danneggiato la prova del collegamento causale tra difetto e danno, fornita la quale spetterà al produttore - a norma dell’art. 118 dello stesso Codice - dimostrare che il difetto non esisteva quando il prodotto è stato posto in circolazione, o che all’epoca non era riconoscibile in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche (così Cassazione civile sez. III, 20/11/2018, n. 29828).
La giurisprudenza comunitaria
La Corte osserva che, del resto, il predetto art. 132 C.C. dev’esser letto in combinato disposto con la direttiva Europea n. 1999/44/CE sulle garanzie dei beni di consumo (di cui il Codice del Consumo costituisce trasposizione in Italia).
La direttiva, che indica appunto il nucleo essenziale dei diritti spettanti al consumatore, ribadisce che grava su quest’ultimo il solo onere di denunciare il difetto di conformità.
Onere da considerarsi assolto mediante la tempestiva comunicazione al venditore dell’esistenza del difetto, non occorrendo che ne fornisca anche la prova o che ne indichi la causa precisa.
L’allegazione del vizio specifico si tradurrebbe infatti in un onere eccessivo per il consumatore, richiedendo peraltro l’accesso a dati tecnici del prodotto o il ricorso a un’assistenza tecnica specializzata, che invece si trovano nella più agevole disponibilità del venditore (conclusioni confermate anche dalla sentenza della Corte di Giustizia 4 giugno 2015, causa c-497/13, c.d. “caso Faber”).
Conclusioni
Gli Ermellini osservano che nel caso di specie la Corte di merito ha erroneamente applicato le norme civilistiche in materia di vendita, anziché la disciplina dei contratti di consumo: ciò malgrado la sentenza impugnata desse atto che l’autovettura era stata alienata da un operatore commerciale ad una persona fisica, che l’aveva acquistata per ragioni personali.
La Corte di merito avrebbe pertanto dovuto accertare se il vizio era stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e, essendosi manifestato entro sei mesi dalla consegna, applicare la presunzione di responsabilità a carico del venditore, salvo che tale ipotesi fosse incompatibile con la natura del bene o del difetto di conformità.
Non era quindi sufficiente affermare che l’auto fosse stata controllata prima della vendita, dovendosi piuttosto verificare, al momento di denuncia del vizio, la causa che lo aveva generato e, solo all’esito di tale accertamento, invocare l’uso anomalo del mezzo.
Muovendo da tali considerazioni il ricorso è stato accolto, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d'appello in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità
(fonte:www.altalex.com)

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