giovedì 24 giugno 2021

Contributo a fondo perduto del decreto Sostegni bis

Contributo automatico, alternativo e perequativo: sono i nuovi ristori messi in campo dal decreto Sostegni bis. Per ogni contributo, ci sono requisiti e modalità di accesso differenti.

Contributo automatico
È riconosciuto, senza necessità di presentare una nuova istanza all’Agenzia delle Entrate, a tutti i soggetti titolari di partita IVA attiva al 26 maggio 2021, che hanno ottenuto il contributo a fondo perduto del decreto Sostegni, purché esso non sia stato restituito o non risulti indebitamente percepito.
Il nuovo indennizzo è di importo pari al precedente contributo e sarà corrisposto con la stessa modalità scelta:
- erogazione diretta sul conto corrente bancario o postale, ovvero
- riconoscimento di un credito d’imposta da utilizzare in compensazione tramite modello F24.
Contributo alternativo
Spetta a tutti i soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professione o producono reddito agrario, titolari di partita IVA, attiva al 26 maggio 2021, residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, con ricavi/compensi non superiori a 10 milioni di euro nel 2019, che abbiano subìto una perdita del fatturato medio mensile di almeno il 30% nel periodo compreso dal 1° aprile 2020 al 31 marzo 2021 rispetto al periodo compreso tra il 1° aprile 2019 e il 31 marzo 2020.
La misura del contributo varia a seconda se il soggetto interessato abbia o meno beneficiato del contributo del primo decreto Sostegni.
a) se il soggetto interessato ha beneficiato del contributo del primo decreto Sostegni, il nuovo contributo è determinato applicando alla suddetta differenza tra la media del fatturato e dei corrispettivi dei due periodi indicati (1° aprile 2020 - 31 marzo 2021 e 1° aprile 2019 - 31 marzo 2020), le seguenti percentuali differenziate in base ai ricavi/compensi 2019: 60% fino a 100.000 euro; 50% da 100.000 a 400.000 euro; 40% da 400.000 a un milione; 30% da uno a 5 milioni; 20% da 5 a 10 milioni;
b) se il soggetto interessato non ha beneficiato del contributo del primo decreto Sostegni, alla suddetta differenza si applicano, invece, le seguenti percentuali, variabili sempre a seconda dei ricavi/compensi 2019: 90% fino a 100.000 euro; 70% da 100.000 a 400.000 euro; 50% da 400.000 a un milione; 40% da uno a 5 milioni; 30% da 5 a 10 milioni.
In ogni caso, il contributo non può essere superiore a 150.000 euro e può essere riconosciuto direttamente sul conto corrente o tramite credito d’imposta.
Per ottenere il contributo è necessario presentare istanza all’Agenzia delle Entrate.
Contributo perequativo
E’ collegato al calo degli utili, non alla riduzione di fatturato.
Il beneficio, infatti, è a favore di tutti i soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professione o che producono reddito agrario, titolari di partita IVA, attiva al 26 maggio 2021, residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, con ricavi/compensi non superiori a 10 milioni di euro nel 2019, il cui risultato economico d’esercizio relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020 sia peggiore, rispetto a quello relativo al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2019, in misura in misura pari o superiore a una percentuale che sarà definita con decreto del ministro dell’Economia e delle finanze con apposito decreto.
L’ammontare del contributo (che, comunque, non sarà superiore 150.000 euro) è determinato applicando alla differenza tra il risultato economico dei due esercizi, al netto dei contributi anti Covid già ottenuti (tra cui il contributo del decreto Rilancio, quelli dei decreti Ristori, il contributo del primo decreto Sostegni, il contributo automatico e il contributo alternativo) una specifica percentuale, che dovrà essere individuata del Ministro dell’Economia e delle Finanze con il predetto decreto.
Per ottenere il contributo è necessario presentare istanza all’Agenzia delle Entrate, che potrà essere trasmessa solo se la dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2020 sarà presentata entro il 10 settembre 2021.

giovedì 17 giugno 2021

Epatite dopo emotrasfusione, ospedale deve dimostrare la propria diligenza

Grava sull’ospedale l’onere di dimostrare la propria diligenza nell’acquisizione del plasma da utilizzare per la trasfusione (Cass. 10592/2021).

Un paziente contrae il virus dell’epatite C in conseguenza di una emotrasfusione: cosa deve allegare per dimostrare la responsabilità dell’ospedale?
Nel caso di responsabilità contrattuale, il danneggiato deve provare la sussistenza di un contratto e allegare il danno patito (ossia la malattia) in conseguenza della condotta dell’ospedale (nesso causale). Spetta alla struttura sanitaria (e non al paziente) allegare di aver tenuto una condotta diligente o prudente, nel rispetto delle norme giuridiche e delle leges artis, in relazione all’acquisizione e perfusione del plasma. In altre parole, il danneggiato non deve dimostrare la colpa dell’ospedale, ma semplicemente il suo inadempimento.
Così ha deciso la Corte di Cassazione, sezione VI-3 civile, con l’ordinanza 18 febbraio - 22 aprile 2021, n. 10592.
La vicenda
A seguito di una trasfusione di sangue, avvenuta nel 1987, una donna contraeva il virus dell’epatite C (virus HCV). Nel 2007, ella conveniva in giudizio il Ministero della Salute e l’Assessorato per la sanità della sua regione1, chiedendo la condanna al risarcimento del danno. In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda attorea e la pronuncia veniva impugnata dalle due amministrazioni soccombenti.
In sede di gravame, veniva accolto solo l’appello proposto dall’Assessorato.
Il giudice di merito motivava il rigetto della domanda nei confronti dell’Assessorato rilevando che la donna non aveva allegato che l’ospedale avesse provveduto alle trasfusioni “approvvigionandosi di sangue tramite un proprio centro trasfusionale e non, come avviene nella normalità dei casi, utilizzando sacche di provenienza esterna”. Si giunge così in Cassazione.
Cosa deve allegare il danneggiato?
La donna si duole del fatto che il giudice del gravame le abbia addossato l'onere di provare che l'ospedale avesse eseguito la trasfusione con sacche di plasma prelevate da un proprio centro trasfusionale. Ebbene, secondo l’attrice, tale prova incombeva sulla struttura ospedaliera.
La difesa della donna affermava che l’infezione stessa fosse dimostrativa della condotta colposa dell’ospedale in virtù del principio “res ipsa loquitur” (ossia “il fatto parla da sé”). Infatti, l’obbligo di assistenza, gravante sulla struttura, comporta “la garanzia del risultato di non infettare il paziente”.
La Suprema Corte ritiene fondata la doglianza e rileva come l’attrice, dopo aver invocato la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, abbia dimostrato di aver patito un danno alla salute (ossia aver contratto il virus dell’epatite C), a causa del trattamento sanitario (la trasfusione).
È onere dell’attore allegare i fatti costitutivi della domanda; nella responsabilità contrattuale (ex art. 1218 c.c.) tale onere si esaurisce:
·nella dimostrazione dell'esistenza del contratto,
·nell’allegazione della condotta inadempiente del debitore (l’ospedale nel nostro caso)
È appena il caso di ricordare che, in ambito contrattuale (art. 1218 c.c.), il creditore dell’obbligazione inadempiuta (il paziente danneggiato) non ha l'onere di provare la colpa del debitore inadempiente (la struttura sanitaria), ma deve dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento. Tuttavia, il nesso causale può essere provato in via presuntiva in caso di trasfusione con sangue infetto.
Spetta all’ospedale dimostrare la condotta diligente
Da quanto sopra, emerge che l’attrice non doveva dimostrare in che modo l'ospedale si fosse approvvigionato delle sacche di plasma risultate infette. La paziente doveva solo provare l’inadempimento dell’ospedale. Viceversa, era la struttura sanitaria a dover dimostrare (ex art. 1218 c.c.) di aver tenuto una condotta irreprensibile sul piano della diligenza.
Secondo gli Ermellini, il giudice del gravame avrebbe dovuto accertare se l’Assessorato (successore dell’azienda ospedaliera) avesse provato (o meno) la causa non imputabile ex art. 1218 c.c. Infatti “la circostanza che l'ospedale provvedesse o non provvedesse da sé all'approvvigionamento di plasma non era un fatto costitutivo della domanda, ma era un fatto impeditivo della stessa, che in quanto tale andava allegato e provato dall'amministrazione convenuta”
fonte: altalex.com

Bonus acqua potabile: cos’è e come ottenerlo

Approvato con la legge di bilancio 2021, da oggi è diventato operativo. Il bonus acqua potabile prevede il riconoscimento di un credito d’imposta fino a 500 euro per l’acquisto di depuratori d’acqua nella propria abitazione. Lo scopo è quello di ridurre l’utilizzo di bottiglie di plastica destinate alle acque per uso potabile.
Hai deciso di installare un depuratore per il trattamento dell’acqua di casa? Da oggi, grazie al bonus acqua potabile, puoi recuperare fino a 500 euro sul totale della spesa sostenuta per l’acquisto. Istituito con la legge di bilancio 2021 il bonus può essere utilizzato per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e addizione di anidride carbonica alimentare E290.
Scopo del bonus è la riduzione dell’utilizzo di bottiglie di plastica destinate alle acque per uso potabile. L'Enea, l'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile, si occuperà di raccogliere i dati del reale impatto ambientale che questa misura comporterà nei prossimi due anni. Ma come funziona precisamente? Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Che cos’è il bonus acqua potabile
Il bonus viene riconosciuto attraverso un credito d’imposta pari al 50% della spesa sostenuta dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2022 fino a un massimo di 1.000 euro a unità immobiliare per i cittadini e un massimo di 5.000 euro per le attività commerciali e istituzionali.
La buona notizia è che non esistono vincoli di spesa e di numero o tipologia di utilizzo delle abitazioni in cui mettere il depuratore: per esempio, se decidi di installare un depuratore in casa e uno nell’abitazione al mare, puoi ottenere il bonus per entrambi i casi. Il credito d’imposta non viene considerato nel calcolo del reddito imponibile e può essere richiesto da persone fisiche, imprese, professionisti ed enti che posseggono o detengono a qualsiasi titolo (proprietà, affitto, comodato...) immobili.
Come ottenere il credito d’imposta
La spesa deve essere documentata tramite fattura elettronica o documento commerciale in cui sia riportato il codice fiscale di chi richiederà il credito d’imposta. Ricordati che devi pagare con un mezzo tracciabile, non puoi utilizzare i contanti.
Per le spese sostenute fino al 16 giugno 2021 vengono considerati validi tutti i mezzi di pagamento e se la fattura o lo scontrino non riportano il tuo codice fiscale puoi annotarlo sul documento. Attenzione: questa modalità non è concessa a partire dai documenti emessi dal 17 giugno 2021.
Il bonus viene riconosciuto solo comunicando all’Agenzia delle entrate la spesa sostenuta entro il 28 febbraio dell’anno successivo. Quindi per i depuratori installati nel 2021 entro il 2022, mentre per le installazioni dell’anno prossimo avrai tempo fino al 28 febbraio 2023.
Il bonus potrà esser utilizzato in compensazione per pagare altre imposte tramite il modello F24, oppure può essere indicato nella dichiarazione dei redditi. In questo caso, richiedendo il bonus nel 2021 per l’installazione di depuratori, potrai inserire il credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi che presenterai nel 2022 e ottenere così l’importo con i tempi del 730 e del modello Redditi.
Agenzia delle entrate: come richiedere il bonus
Tra il 1° e il 28 febbraio 2022 dovrai presentare all’Agenzia delle entrate il modulo di “comunicazione delle spese per il miglioramento dell’acqua potabile” per le spese sostenute nel 2021.
La comunicazione deve essere inviata esclusivamente in via telematica tramite il sito dell’Agenzia delle entrate, direttamente dal contribuente o tramite un intermediario abilitato (commercialista, Caf). Una volta presentata la comunicazione, l’Agenzia entro 5 giorni rilascia una ricevuta che potrai trovare nella tua area riservata e che attesta la presa in carico o il rifiuto, con l’indicazione delle relative motivazioni.

Responsabilità professionale medica, stop alle "liti temerarie" contro i medici

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