sabato 31 ottobre 2015

Incidente in moto e malattia. Assenze diverse, sommatoria non possibile e licenziamento nullo

Posto di lavoro salvo per il dipendente. E' errato il calcolo compiuto dall’azienda, che, analizzando la posizione del dipendente vittima di un incidente in moto durante il periodo di incarico sindacale, ha sommato i giorni di assenza pre e post distacco presso l’organizzazione sindacale. Sono stati rifatti i conteggi: nessun superamento del periodo di comporto e licenziamento nullo.

Il passaggio decisivo della battaglia giudiziaria è quello in appello, dove i giudici annullano il «licenziamento» deciso da una società tedesca, con sede in Italia, nei confronti di un «dipendente», e motivato, come detto, col «superamento del periodo di comporto». Secondo i rappresentanti dell’azienda andavano cumulati i «giorni di assenza per infortunio precedenti al distacco» del lavoratore presso il sindacato con «quelli successivi alla revoca del distacco».

Numeri alla mano, è superata la fatidica soglia dei 180 giorni di assenza. Ma per i giudici di secondo grado, contrariamente a quanto deciso in Tribunale, «l’evento verificatosi durante il periodo di aspettativa», cioè l’incidente subito dall’uomo mentre «alla guida del proprio motociclo era intento a recarsi presso la sede sindacale», va catalogato come fatto «extralavorativo». E' accolta, quindi, l’obiezione mossa dall’uomo. Di conseguenza, i «giorni di assenza» seguiti all’incidente in moto vanno «qualificati come malattia» e non possono «essere cumulati a quelli di infortunio sul lavoro» nell’ottica del periodo di comporto.

L’azienda contesta la «duplice qualificazione» attribuita alla «assenza dal servizio» del lavoratore. In Cassazione è sostenuta la tesi della «legittimità del licenziamento»: per i legali della società «l’assenza» è avvenuta «a seguito di infortunio, verificatosi nel periodo di aspettativa» e ha dato luogo al «superamento del periodo di comporto». Numeri inequivocabili, secondo l’azienda, quelli relativi ai giorni trascorsi a casa dal lavoratore.

Di avviso opposto, invece, la Cassazione (sentenza 21499/15), che sancisce la vittoria definitiva del dipendente. Nodo gordiano è «la verifica della riferibilità al datore di lavoro o al sindacato dell’infortunio sul lavoro verificatosi durante l’aspettativa sindacale». Ebbene, su questo fronte i giudici di terzo grado prendono posizione in maniera netta: «una volta cessata l’aspettativa sindacale e riattivato l’originario rapporto di lavoro, l’assenza del lavoratore, che dipenda dall’evento che ha dato luogo all’infortunio sul lavoro nel periodo di aspettativa sindacale, non può che essere imputata, rispetto all’originario datore di lavoro, ad un’attività extralavorativa, in quanto non riconducibile al rapporto di lavoro originario». Ciò perché «durante l’aspettativa sindacale il rapporto di lavoro entra in una fase di sospensione», sottolineano i giudici.

Non a caso, «l’organizzazione sindacale, in quanto beneficiaria della prestazione di cosiddetto lavoro sindacale, è tenuta a corrispondere all’INAIL il premio assicurativo computato sull’indennità erogata al lavoratore sindacalista». Tale ottica ha effetti positivi per il dipendente: quest’ultimo, alla luce della distinzione tracciata dai giudici, non ha superato il periodo di comporto. Licenziamento nullo, quindi, e posto di lavoro salvo.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Incidente in moto e malattia. Assenze diverse, sommatoria non possibile e licenziamento nullo - La Stampa

Omicidio stradale, ecco i paradossi del disegno di legge

Sanzioni draconiane o ancora troppo lasche? All'indomani dell'ok all'omicidio stradale da parte della Camera, questo è l'interrogativo che resta confrontando alcune parti del disegno di legge (che ora attende solo l'ultimo sì del Senato) con la maggioranza delle reazioni delle associazioni impegnate sul campo della sicurezza stradale. Infatti, nelle intenzioni iniziali e nell'immaginario collettivo la nuova normativa dovrebbe colpire i pirati della strada, ma rischia di far finire in carcere anche persone “normali” che commettono un errore. Ma molte associazioni hanno chiesto una severità ancora maggiore.
Tutti concordano sul fatto che le pene previste per i casi gravi (quelli in cui sono state violate norme del Codice della strada che il Ddl individua come importanti) sono giustamente pesanti: la graduazione è molto varia, ma comunque in prima battuta (senza considerare aggravanti e attenuanti) si può andare dai cinque ai 18 anni di reclusione. Dunque, non c'è il rischio di rientrare nel limite dei due anni, entro il quale scatta la sospensione condizionale della pena, che finora ha evitato il carcere alla maggioranza dei responsabili di incidenti mortali. Al massimo, ci si avvicina (due anni e mezzo) col dimezzamento cui si può arrivare quando c'è concorso di colpa da parte della vittima.
Il rischio resta per quelli causati da tutte le altre violazioni (anche lievissime) del Codice della strada, perché qui le pene restano invariate rispetto all'attuale omicidio colposo, pur aggravato dal fatto di essere provocato da un'infrazione stradale (articolo 590, comma 2 del Codice penale): da due a sette anni.
Il problema è comunque un altro, che tra le infrazioni ritenute gravi ne sono state incluse alcune che non sempre lo sono: quelle su velocità e striscia continua risentono a volte della volontà dei gestori della strada di scaricarsi da responsabilità su carenze di progettazione, costruzione e manutenzioni. Inoltre, a volte capita di superare con striscia continua mezzi lentissimi senza con ciò creare pericoli gravi.
Viceversa, a volte possono essere troppo miti le pene per l'altro reato introdotto dal Ddl, quello di lesioni personali stradali: il minimo è di soli tre mesi, anche se nei casi delle infrazioni più gravi si può arrivare anche a sette anni. Ma, come fa notare l'Aifvs (Associazione italiana familiari vittime della strada), con un'infrazione lieve (che comporta una pena di un anno al massimo) si potrebbe ridurre in coma vegetativo una persona.
Certo, per bilanciare tutti i paradossi c'è la discrezionalità del giudice, cui spetta decidere la pena entro il minimo e il massimo previsto dalla legge e riconoscere attenuanti e aggravanti. Ma l'Aifvs ritiene che, quando c'è concorso di colpa della vittima, la discrezionalità sia troppo limitata.
In ogni caso, per giudicare correttamente occorre avere elementi certi, che vengono da rilevazioni complete e inappuntabili da parte delle forze dell'ordine, su cui poi si basino perizie serie. Tutte cose che troppo spesso l'Italia non può permettersi, essendo normalmente riservate agli omicidi volontari che più impressionano. Anche per queste carenze investigative appaiono eccessive le richieste delle associazioni su un ulteriore allargamento dell'omicidio stradale ai casi in cui si guida maneggiando un telefonino: l'accertamento di un'infrazione del genere, se risulta che a bordo c'erano più persone, è aleatorio.

fonte: www.ilsole24ore.com/MaurizioCaprino//Omicidio stradale, ecco i paradossi del disegno di legge - Il Sole 24 ORE

Guida in stato di ebbrezza, altruità del veicolo e raddoppio di durata della sospensione della patente

1. La Corte costituzionale, con la sentenza in commento, ha dichiarato infondata una questione di legittimità proposta con riguardo all'art. 186, comma 9-bis, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della strada).

Per intendere il senso della questione, sollevata dal Tribunale di Rovereto, occorre una premessa sul meccanismo sanzionatorio, relativamente complesso, del quale la norma censurata costituisce solo una parte.

Nella materia della guida in stato di ebbrezza (o di acuta intossicazione da stupefacenti), le sanzioni penali classiche (ammenda ed arresto) sono accompagnate da misure concorrenti, con funzioni tanto dissuasive che preventive, sulla cui natura si è discusso in passato, soprattutto per determinare se potessero essere applicate retroattivamente o con la sentenza di patteggiamento. Nel quadro attuale, è lo stesso legislatore a stabilire, expressis verbis, la natura delle misure in questione, classificandole come sanzioni amministrative accessorie.

Va ricordata anzitutto, in questa sede, la sospensione della patente (artt. 218 e 218-bis), che ovviamente priva l'interessato, per un dato periodo,  della possibilità di condurre veicoli per i quali sia richiesta un'abilitazione alla guida, e comporta, in caso di violazione del divieto, l'applicazione di una sanzione amministrativa (fin circa ad un massimo di 8.000 euro) e l'adozione di misure amministrative ulteriori di gravità crescente (revoca della patente, fermo amministrativo del veicolo, confisca del veicolo stesso)[].

Viene poi in rilievo la confisca del mezzo condotto dal soggetto in stato di ebbrezza (art. 213). Il provvedimento di ablazione - chiaramente il più efficace sul piano dissuasivo - resta escluso quando il veicolo appartiene a «persona estranea al reato» (così, per quanto particolarmente interessa in questa sede, l'art. 186, comma 2, lettera c del Codice). È opportuno ricordare come - nonostante qualche imprecisione talvolta determinata dal linguaggio corrente - non sia sufficiente che il veicolo appartenga a persona diversa dal soggetto conducente, essendo anche necessario che il terzo sia, appunto, «persona estranea al reato». Di talché, ad esempio, il proprietario del veicolo che lo affidasse al conducente, pur consapevole della condizione di ebbrezza del medesimo, sarebbe ugualmente esposto alla confisca[].

In questo contesto generale, a far tempo dal 2009, si inserisce la disciplina censurata dal tribunale di Rovereto.

Nel testo vigente, la lettera c) del comma 2 dell'art. 186 del Codice - cioè la previsione relativa alle intossicazioni di grado più elevato (oltre 1,5 grammi per litro) - stabilisce, al secondo periodo, che venga sempre applicata la sanzione della sospensione della patente, con durata che può variare da un anno a due, a seconda della gravità del fatto. Ma il terzo periodo della stessa norma dispone che «se il veicolo appartiene a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata», e dunque può variare tra un minimo di due anni ed un massimo di quattro.

Anche se la correlazione non è istituita direttamente, sembra chiaro che l'aggravamento della sanzione sospensiva si connette alla insuscettibilità di confisca del veicolo condotto in stato di ebbrezza: si è visto, infatti, che la confisca è preclusa in caso di appartenenza del mezzo a persona estranea al reato; la norma censurata, dal canto proprio, utilizza esattamente la stessa formula[].

2.  La ratio della disposizione si individua con una certa facilità: prevenire (o almeno reprimere) la prassi del ricorso a vetture intestate ad altre persone per spostarsi pur dopo l'abuso di alcool, o di abusare di alcool con minori remore in quanto muniti di vetture intestate a terzi. È parso cioè che la deterrenza esercitata dal rischio di un grave danno economico, provocato dalla confisca di un veicolo, dovesse essere compensata, nel caso di preclusione della misura, dall'aggravamento  di una sanzione a sua volta temuta (e non suscettibile di sospensione condizionale), qual è la sospensione del permesso di guidare.

La previsione censurata trova applicazione, nei singoli casi concreti, in un aumento proporzionale rispetto al valore che sarebbe stato fissato dal giudice avuto riguardo ai limiti edittali ordinari della previsione. In altre parole, la durata della sospensione andrà determinata tenuto conto dei misuratori ordinari di gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e poi moltiplicata per due.

Per scaricare il testo della sentenza in commento, pubblicata sul sitowww.giurcost.orgcliccare qui.

fonte: www.penalecontemporaneo.it//DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO

venerdì 30 ottobre 2015

Pedina ossessivamente la figlia, mamma condannata per #stalking

Una donna ha pedinato la figlia, «raggiungendola nei luoghi» da lei frequentati (scuola, casa, luoghi di svago), seguendola «nei suoi spostamenti», e «cercando ogni volta di avvicinarla e di prendere contatti con lei». Tutto ciò ignorando completamente il «divieto» a lei imposto dal Tribunale. Allo stesso tempo, ha anche tempestato di telefonate l’«abitazione» della ragazza. E' decisiva, però, è la constatazione delle ripercussioni sulla minore, così preoccupata per la «propria incolumità» da modificare le «proprie abitudini di vita».

Ciò consente ai giudici di merito di ritenere la donna colpevole di stalking e a condannarla a diciotto mesi di reclusione. Per il legale della madre, però, non vi è mai stata alcuna «volontà di creare turbamento nella minore» né di «costringerla a modificare le proprie abitudini di vita». Manca, quindi, secondo l’ottica difensiva, l’«elemento psicologico» per considerare la donna davvero responsabile di stalking.

L'obiezione, però, viene ritenuta non legittima dai Giudici della Cassazione (sentenza 42566/15), i quali ritengono evidente il «dolo generico» attribuibile alla donna. Quest’ultima era pienamente cosciente della «idoneità delle condotte ossessive» poste in essere alla «produzione» di effetti negativi sulla figlia, effetti «destabilizzanti sul piano della serenità, dell’equilibrio psichico e delle ordinarie abitudini di vita».

Non discutibile, quindi, la consapevolezza della donna. Altrettanto chiari i disagi vissuti dalla ragazza, testimoniati da uno «stato di ansia e di apprensione» che l’ha spinta a un «cambiamento delle sue abitudini di vita». Tutto ciò comporta la conferma della condanna e della pena, fissata, come detto, in diciotto mesi di reclusione.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Pedina ossessivamente la figlia, mamma condannata per stalking - La Stampa

Telefonate notturne al marito dell’amante: condannato

Tabulati telefonici inequivocabili. Condannato un uomo, che si è divertito a tempestare con chiamate notturne il marito della donna con cui sta intrattenendo una relazione. Legittimo parlare di molestia in piena regola. Consequenziale l’ammenda di 300 euro e il risarcimento dei danni, fissati in 3mila euro, al destinatario delle telefonate (Cassazione, sentenza 43704/15).

Nessun dubbio per i giudici del Tribunale: è lapalissiana la «responsabilità» dell’uomo finito sotto accusa per una serie di fastidiose telefonate notturne effettuate al numero di un altro uomo. Rilevanti le «dichiarazioni della persona offesa» e decisivi i «tabulati telefonici». Quest’ultima documentazione ha permesso di risalire alla «utenza» da cui provenivano le «chiamate», utenza utilizzata dall’uomo, che, peraltro, è risultato essere l’amante della moglie della persona infastidita dalle telefonate.

Logica la condanna, con «pena di 300 euro di ammenda» e «risarcimento dei danni, liquidati in 3mila euro, a favore della persona offesa». La linea di pensiero tracciata in Tribunale viene ora condivisa e fatta propria anche dalla Cassazione. Respinte le obiezioni mosse dall’autore delle telefonate, il quale aveva sostenuto la tesi della mancanza dell’«intento di molestare» il marito della propria amante.

Per i giudici del ‘Palazzaccio’ vi sono alcuni dati inequivocabili, emersi grazie ai «tabulati telefonici». Su tutto, è certo che «la maggior parte delle telefonate era stata effettuata in orario notturno, dopo le ore 3.30». Allo stesso modo, alla luce del «numero elevato» e delle «modalità moleste delle chiamate», è illogico ipotizzare una «natura occasionale» dei «contatti telefonici». Anzi, è evidente, secondo i giudici, che le «telefonate» erano connotate da «petulanza». Tutto ciò consente di valutare chiaramente la condotta dell’uomo.

In sostanza, tenendo presenti «le modalità, l’orario notturno e il tenore delle telefonate» – nelle quali «si faceva anche riferimento allusivo ai familiari» del destinatario – è lapalissiana la «natura molesta» dei «contatti telefonici». Definitiva, quindi, la condanna nei confronti dell’uomo, autore di tante, troppe telefonate al marito della sua amante.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Telefonate notturne al marito dell’amante: condannato - La Stampa

giovedì 29 ottobre 2015

Omicidio stradale: le modifiche al codice penale e al codice della strada

La Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge C. 3169-A in tema di omicidio stradale, già approvata dal Senato il 10 giugno 2015 e poi modificata nel corso dell'esame alla Camera. Previste modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al codice della strada: saranno introdotte le nuove fattispecie di omicidio stradale colposo e di lesioni colpose gravi e gravissime stradali. La revoca della patente potrà essere anche di 30 anni nei casi gravissimi. Il testo passa ora all’esame del Senato.

La Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge C. 3169-A, già approvata dal Senato il 10 giugno 2015 e poi modificata nel corso dell'esame alla Camera. Il testo passa ora all’esame del Senato: con ogni probabilità non ci saranno ulteriori modifiche e il provvedimento sarà legge entro la fine dell’anno.

Il ddl C. 3169-A apporta modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e al codice della strada. Di seguito le principali novità.

Delitto di omicidio stradale (nuovo articolo 589-bis c.p.)

a) Viene punito a titolo di colpa con la reclusione da 8 a 12 anni l’omicidio stradale commesso in stato di ebbrezza alcolica grave (oltre 1,5 grammi/l, ma se il conducente è un autista professionista il limite è abbassato a 0,8 grammi/l) o di alterazione psico-fisica dovuta a stupefacenti.

b) Viene punito a titolo di colpa con la reclusione da 5 a 10 anni l’omicidio stradale commesso in stato di ebbrezza alcolica media, da chi ha superato specifici limiti di velocità, da chi ha abbia attraversato gli incroci con il rosso, da chi procedeva contromano, da chi abbia fatto inversione in corrispondenza di incroci o da chi abbia effettuato sorpassi azzardati.

c) confermata la fattispecie generica di omicidio colposo con violazione delle norme del codice della strada (pena: reclusione da 2 a 7 anni)

d) Prevista l’attenuante in caso in cui ci sia anche una condotta colposa della vittima: pena ridotta fino alla metà

e) Prevista un aggravante nel caso in cui il reo non abbia la patente (o questa sia sospesa o revocata) o abbia l’automobile non assicurata

f) Aggravante ad effetto speciale nel caso in cui il reo provochi la morte di più persone: pena aumenta fino al triplo

g) Aggravante nel caso in cui il conducente si sia dato alla fuga

Delitto di lesioni personali stradali:

a)le lesioni personali stradali provocate con colpa secondo categorie analoghe a quelle indicate per l’omicidio stradale sono punite in caso queste siano gravi con la pena da 3 a 5 anni. Se le lesioni personali sono gravissime la pena è la reclusione da 3 a 7 anni.

b) la pena per le lesioni gravi è della reclusione da 1 anno e mezzo a 3 anni e per le gravissime da 2 a 4 anni nei casi previsti per l’omicidio stradale punito da 5 a 10 anni.

Altre modifiche al codice penale:

a) Computo delle circostanze: divieto di considerate prevalenti o equivalenti le attenuanti rispetto alle aggravanti relative all’omicidio stradale o alle lesioni stradali

b) Prescrizione raddoppiata per l’omicidio stradale

Modifiche al codice di procedura penale

a) operazioni peritali e di prelievo coattivo di campioni biologici

b) P.M. potrà avvalersi di esperti nella ricostruzione di incidenti stradali

c) arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di omicidio colposo stradale

d) proroga del termine di durata delle indagini preliminari

e) citazione diretta a giudizio

Modifiche al codice della strada

a) Revoca della patente di 15 anni nel caso di omicidio stradale (se al fatto ha concorso la condotta colposa della vittima, la revoca è di 10 anni)

b) Revoca della patente fino a 30 anni nel caso di fuga

c) Revoca della patente di 5 anni nei casi meno gravi di omicidio stradale e nel caso di lesioni personali gravi e gravissime (ma termine è raddoppiato nel caso di fuga)

d) Il prefetto può sospendere e ritirare provvisoriamente la patente fino a 5 anni quando ravvisi fondati elementi di responsabilità del conducente nei casi di omicidio stradale e lesioni personali stradali.

fonte: www.quotidianogiuridico.it//Omicidio stradale: le modifiche al codice penale e al codice della strada | Quotidiano Giuridico

mercoledì 28 ottobre 2015

#Ferrara: commercialista accusata di appropriazione indebita assolta in tribunale

Secondo Mancino, avvocato delle professionista, la questione può rientrare tuttalpiù sul piano civilistico.

Nessuna truffa o appropriazione indebita, ma tuttalpiù una negligenza professionale da approfondire in sede civile. Si chiude con una piena assoluzione il processo verso la commercialista ferrarese 51enne P.G., denunciata da un proprio cliente che chiedeva la condanna della professionista e circa 300mila euro di danni tra danni patrimoniali e morali.

La causa era sorta in seguito ad alcuni controlli dell’Agenzia delle Entrate, che non era stata in grado di risalire alla dichiarazione dei redditi di un ferrarese, che per far fronte alla sanzione fu costretto a ipotecare due immobili e a farsi pignorare un quinto dello stipendio dall’ente pubblico. Una situazione dovuta, a suo avviso, dall’operato della commercialista, che fu denunciata e chiamata a rispondere.

Diversamente dai processi più frequenti che vedono al centro un commercialista, in questo caso non veniva contestato alla professionista l’appropriazione del denaro del proprio cliente, ma solo della sua documentazione fiscale. A confutare le accuse in aula è stato l’avvocato Emiliano Mancino, secondo il quale la questione non ha alcun rilievo penale e può essere tuttalpiù affrontata a livello civilistico, per individuare le eventuali negligenze professionali della commercialista. Una versione che ha convinto il tribunale di Ferrara, che ha assolto la 51enne con formula piena.

fonte: www.estense.com/Commercialista accusata di appropriazione indebita assolta in tribunale | estense.com Ferrara

sabato 24 ottobre 2015

Da febbraio canone #Rai in bolletta

Per il canone Rai si pagheranno 100 euro in bolletta e in una unica soluzione da febbraio. Mentre se il contratto della luce è intestato a una persona diversa del detentore della televisione il canone lo pagherà quest’ultimo ma con il conto corrente postale. È questo uno dei chiarimenti, per il pagamento del canone tv nella bolletta elettrica, che arriva dalla relazione illustrativa della legge di stabilità trasmessa, ieri, al Quirinale e in Parlamento.

I punti fermi. Il canone, dunque, passerà dall’attuale importo di 113,50 a 100 euro. Nella relazione illustrativa si legge che all’assetto normativo delle regole sul canone, disciplina risalente al 1938, si aggiunge l’indicazione che il pagamento del canone sarà effettuato in via ordinaria nel contesto del pagamento dei corrispettivi delle forniture dell’energia elettrica. Alle norme è aggiunta una presunzione per cui «l’esistenza di una fornitura di energia elettrica nel luogo ove è situata la residenza fa presumere la detenzione o l’utenza di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione del servizio pubblico radiotelevisivo». La presunzione può essere superata con un’autocertificazione da presentarsi all’Agenzia delle entrate, in cui il titolare del contratto di energia elettrica dichiari di non possedere un televisore.

Il pagamento del canone avverrà, si legge nel testo, mediante addebito con una distinta voce non imponibile ai fini fiscali sulle fatture dell’elettricità. È precisato che il canone è dovuto una volta sola in relazione a tutti gli apparecchi detenuti dai componenti della famiglia anagrafica, nei luoghi di residenza e dimora. Tutta la fase attuativa è poi demandata a un decreto congiunto del ministero dello sviluppo economica, ministero dell’economia e delle finanze, Autorità per l’energia elettrica, entro 45 giorni dall’entrata in vigore della legge.

Fonte: www.italiaoggi.it//Da febbraio canone Rai in bolletta - News - Italiaoggi

Visitatore disattento non vede le scale della cripta: il custode non è responsabile

Un uomo ricorre in Cassazione per chiedere che una Parrocchia, in qualità di ente gestore del Duomo, sia condannata a risarcire i danni derivatigli da una caduta avvenuta proprio all’interno del Duomo. Il ricorrente attribuisce l’incidente alla scarsa illuminazione all’interno del Santuario ed all’inadeguata segnalazione delle scale dirette alla cripta. La richiesta era stata respinta tanto dal Tribunale quanto dalla Corte d’Appello.

La Cassazione (sentenza 20466/15) respinge il ricorso, sottolineando che la sentenza impugnata aveva ampiamente dimostrato l’adeguatezza dell’illuminazione all’interno del Duomo. In sede di Appello si era appurato che il fatto aveva avuto luogo durante la mattinata, in condizioni di buona visibilità e che le scale dirette alla cripta fossero individuabili già da una distanza di cinque o dieci metri. La Corte d’Appello aveva attribuito, quindi, la responsabilità dell’incidente alla disattenzione del ricorrente.

La Cassazione ha rilevato come il caso fortuito (articolo 2051 del codice civile) possa essere integrato anche da una colpa del danneggiato, dal momento che la pericolosità della cosa determina una prevedibilità del pericolo ed impone un comportamento improntato a massima cautela. La prevedibilità del pericolo con l’ordinaria diligenza esclude la responsabilità del custode.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Visitatore disattento non vede le scale della cripta: il custode non è responsabile - La Stampa

Gioco d'azzardo: niente reato se non c’è fine di lucro

La Corte d’Appello di Caltanissetta condanna per esercizio di giochi d’azzardo il titolare di un pubblico esercizio e il titolare della sua ditta fornitrice, rimproverando ai due imputati di aver modificato la scheda di funzionamento degli apparecchi, sostituendo i giochi per cui erano predisposti con altri giochi d’azzardo.

I condannati ricorrono in Cassazione, precisando che la somma trovata negli apparecchi predisposti al gioco non era il premio per le eventuali vincite, ma il prezzo delle singole partite. La Suprema Corte (sentenza 40512/15) ha ritenuto fondato il ricorso. Gli Ermellini hanno ribadito un orientamento costante secondo cui è necessaria la prova che ci sia stato effettivamente il gioco e che l’apparecchio automatico sia potenzialmente utilizzabile a fini di lucro.

Per la Cassazione, il fine di lucro c'è se il giocatore ottiene vantaggi economicamente rilevanti; esso dunque deve essere parametrato in relazione al giocatore e non al gestore dell’esercizio ove siano situati gli apparecchi automatici. Gli Ermellini hanno evidenziato come non si possa ritenere sussistente il fine di lucro soltanto perché l’apparecchio automatico riproduce un gioco vietato, dovendosi desumere tale fine da svariati elementi indiziari, quali l’entità della posta, la durata delle partite e la tipologia dei premi conseguibili.

La Suprema Corte ha inoltre rinvenuto un vizio di motivazione nella pronuncia della Corte d’Appello, la quale ha esclusivamente operato un richiamo al ritrovamento, nelle gettoniere, di una somma di denaro piuttosto modica e compatibile, in assenza di diversi riscontri, con il ricavato delle giocate degli utenti. Ha aggiunto che non sono stati approfonditi elementi quali la durata delle partite o la tipologia dei premi erogabili e come la manomissione della scheda degli apparecchi integri il reato di frode informatica, non contestato nel caso. La Cassazione, perciò, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Gioco d'azzardo: niente reato se non c’è fine di lucro - La Stampa

mercoledì 21 ottobre 2015

Muore la zia, il nipote rinuncia all’#eredità: nessun risarcimento economico per la badante

Badante a bocca asciutta. Una volta deceduta l'anziana donna alla quale ha prestato assistenza per lungo tempo, si rivelano inutili le pretese economiche avanzate nei confronti dell’erede, un nipote. Quest’ultimo, difatti, ha rinunciato all’eredità e, soprattutto, a lui non è attribuibile il rapporto tra la anziana e la donna (Cassazione, sentenza 20190/15).

Il caso

Vittoria in primo grado, sconfitta – netta – in secondo grado. Non accoglibile, per i giudici d’Appello, la richiesta di una cittadina straniera, la quale, per avere prestato «servizio in qualità di assistente geriatrica e collaboratrice domestica» a favore di una anziana donna – oramai deceduta –, puntava ad ottenere un adeguato ristoro economico dal nipote della signora.

Le richieste erano svariate: «differenze retributive maturare in relazione all’asserita spettanza del ‘primo livello’ della classificazione del personale» – come da contratto per i «collaboratori domestici» –, «ratei di ferie e tredicesima mensilità, indennità di preavviso, ‘Tfr’, contributi assicurativi e previdenziali». I giudici, però, evidenziano il fatto che l’uomo ha «rinunciato all’eredità» della zia.

Senza dimenticare, poi, che manca la ‘prova provata’ della «diretta titolarità del rapporto di lavoro», che non è attribuibile all’uomo. Ora la valutazione compiuta in Appello viene condivisa dalla Cassazione. Inutili, quindi, anche in terzo grado, le obiezioni mosse dalla donna. Decisivo, difatti, è pure per i giudici del ‘Palazzaccio’ l’evidente «difetto di legittimazione passiva» dell’uomo, il quale, in qualità di nipote, ha «rinunciato all’eredità» della zia. Allo stesso tempo, però, non è secondario il fatto che non sia stata provata, in maniera chiara e inequivocabile, la «titolarità diretta» in capo all’uomo del «rapporto di lavoro». Tutto ciò comporta la conferma della decisione sfavorevole alla cittadina straniera: nessuna possibilità di recuperare «differenze retributive, ferie, ‘tredicesima’, indennità di preavviso e ‘Tfr’». E ovviamente è impensabile anche un «risarcimento del danno» subito a causa della «omessa contribuzione».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Muore la zia, il nipote rinuncia all’eredità: nessun risarcimento economico per la badante - La Stampa

Minimi, tetto per i professionisti a 30.000 euro

Aumento delle soglie di ricavi e compensi, riformulazione in meglio delle cause di inapplicabilità del regime (avvantaggiati gli autonomi che percepiscono redditi da lavoro dipendente) e aliquota del 5% per le nuove attività. Sono queste, in sintesi, le tre direttrici attraverso cui si sviluppa la riforma dei cd. Minimi contenuta nel disegno di Legge della Stabilità 2016 approvato dal Consiglio dei Ministri. Ecco le misure nel dettaglio.

Autonomi con doppio lavoro

La bozza prevede l’abrogazione della norma che consente l’accesso al regime ai soli autonomi che, nell’anno precedente, abbiano conseguito redditi nell'attività d'impresa, dell'arte o della professione “in misura prevalente rispetto a quelli eventualmente percepiti come redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati” (art. 1, c. 54, let. d), L. n. 190/2014) e, contestualmente, nega l’entrata nel regime a coloro che “nell’anno precedente hanno percepito redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (…) eccedenti l’importo di 30.000 euro; la verifica di tale soglia è irrilevante se il rapporto di lavoro è cessato”.

Soglie di ricavi e compensi

Vengono riformulati i valori soglia di ricavi e compensi previsti dall’allegato n. 4 annesso alla L. n. 190/2014:

industrie alimentari e delle bevande passa dagli attuali 35.000 euro a 45.000 euro;

commercio all’ingrosso e al dettaglio passa dagli attuali 40.000 euro 50.000 euro;

commercio ambulante di prodotti alimentari e bevande passa dagli attuali 30.000 euro 40.000 euro;

commercio ambulante di altri prodotti passa dagli attuali 20.000 euro 30.000 euro;

costruzioni e attività immobiliari passa dagli attuali 15.000 euro 25.000 euro;

intermediari del commercio passa dagli attuali 15.000 euro 25.000 euro;

attività dei servizi di alloggio e di ristorazione passa dagli attuali 40.000 euro a 50.000 euro;

attività Professionali, Scientifiche, Tecniche, Sanitarie, di Istruzione, Servizi Finanziari ed Assicurativi passa dagli attuali 15.000 euro a 30.000;

altre attività economiche passa dagli attuali 20.000 euro a 30.000 euro

Restano invariati, rispetto agli attuali, i coefficienti di redditività.

Nuove attività

Il vantaggio riconosciuto alle nuove attività non si limita alla riduzione ad un terzo del reddito percepito nell’anno di inizio e per i due successivi (attuale formulazione) bensì, secondo la bozza, consisterebbe nell’applicazione dell’aliquota al 5% (anziché 15%) per i primi cinque anni di attività. Il trattamento è concesso anche ai soggetti “che nel 2015 hanno iniziato una nuova attività, avvalendosi delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 65, della citata Legge n. 190/2014, vigente anteriormente alle modifiche operate dalla lettera c) del comma 1”.

Modifica al regime contributivo

Se vanno a buon fine le verifiche in corso di svolgimento con l’INPS, il Governo vorrebbe applicare ai minimi, i minimali contributivi delle gestioni IVS artigiani e commercianti e contestualmente ridurre del 35% la contribuzione dovuta.

Fonte: www.fiscopiu.it/Minimi, tetto per i professionisti a 30.000 euro - La Stampa

lunedì 19 ottobre 2015

Licenziamento disciplinare: legittimi gli accertamenti tramite Gps collocato sull'autovettura aziendale

La tematica dei controlli a distanza del lavoratore – e la conseguente possibilità di utilizzare i dati raccolti ai fini disciplinari – è, da lungo tempo, oggetto di un'intensa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, che ha il suo fulcro nell'interpretazione dell'art. 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori).

Con la recente sentenza n. 20440 del 12 ottobre 2015 la Corte di Cassazione, nell'esaminare la questione dei c.d. controlli "difensivi" (che, secondo quanto riportato in motivazione, sono quelli "intesi a rilevare mancanze specifiche e comportamenti estranei alla normale attività lavorativa nonché illeciti"), ha affermato la legittimità di tale controllo "quando il lavoro dev'essere eseguito, al di fuori dai locali aziendali, ossia in luoghi in cui è più facile la lesione dell'interesse all'esatta esecuzione della prestazione lavorativa e dell'immagine dell'impresa, all'insaputa dell'imprenditore".

Partendo da tali premesse, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato sulla base di prove acquisite, tra l'altro, mediante un sistema satellitare GPS (global positioning system), collocato sull'autovettura aziendale affidata al dipendente per svolgere il suo incarico (consistente nel coordinamento di un gruppo di addetti alla nettezza urbana).

Nell'ambito della tematica dei controlli a distanza, si osserva che la possibilità di dotare i lavoratori (nel caso di specie, addetti alla distribuzione di materiale pubblicitario) di un apparecchio portatile GPS, da utilizzare per trasmettere informazioni alla banca dati aziendale, è stata oggetto di esame nella nota n. 4848 del 5 gennaio 2015 emanata dal Ministero del Lavoro, il quale – rispondendo al quesito di un'azienda - ha rilevato la necessità di valutare attentamente la tutela del lavoratore, anche a scapito delle esigenze produttive e di sicurezza, dovendosi verificare, ad esempio, se gli apparecchi GPS consentano di risalire all'identità del lavoratore e, quindi, consentire un controllo a distanza.

Peraltro, con provvedimenti del 3 novembre 2014 il Garante della Privacy ha affermato la liceità nell'utilizzo di nuove tecnologie di geolocalizzazione del dispositivo mobile in dotazione dei dipendenti, affermandone la liceità, a condizione che siano rispettate una serie di garanzie per il trattamento dei dati, posto che, nella fattispecie esaminata, l'utilizzo di tali apparecchi è necessario a soddisfare esigenze organizzative e produttive, non riconducibili a finalità di controllo.

La tematica dei controlli a distanza è destinata, peraltro, ad essere oggetto di un incessante dibattito, in quanto l'art. 4 Stat. Lav. è stato recentemente modificato con il d.lgs. 14 settembre 2015 n. 151, entrato in vigore il 24 settembre 2015.

Infatti, l'art. 4, comma 1, prevede, tra l'altro, che gli strumenti dai quali derivi la possibilità di un controllo a distanza dei lavoratori possono essere installati anche per la tutela del patrimonio aziendale, previo accordo collettivo con le RSA/RSU ovvero, in alternativa, con l'autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro.

La necessità di un accordo con le rappresentanze sindacali o dell'autorizzazione rilasciata dalla Direzione Territoriale del Lavoro è espressamente esclusa, dal secondo comma dell'art. 4 Stat. Lav., per gli "strumenti" utilizzati dal dipendente per rendere la prestazione lavorativa; pertanto, una delle questioni da approfondire riguarderà certamente i casi di esclusione dalle limitazioni imposte dal primo comma (fermo restando che la possibilità di utilizzare le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 per fini connessi al rapporto di lavoro – e, dunque, anche nell'ambito del procedimento disciplinare - è ora espressamente prevista dal terzo comma del citato art. 4).

Con specifico riferimento alla fattispecie esaminata dalla Suprema Corte, si osserva che l'autovettura aziendale ben può essere considerato uno "strumento" di lavoro; si potrà semmai discutere se un sistema di controllo (nel caso di specie, il GPS), che non sia "connaturato" allo strumento di lavoro (cioè, ne costituisca parte integrante ad origine), debba essere sottoposto, o meno, alle prescrizioni stabilite dal primo comma (ovvero, accordo sindacale o autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro).

Fonte: www.ilsole24ore.com//Licenziamento disciplinare: legittimi gli accertamenti tramite Gps collocato sull'autovettura aziendale

Tamponamento stradale? Se la controversia è semplice, le spese di lite sono dimezzate

La controversia di risarcimento dei danni causati da un tamponamento stradale, che causa solo danni a cose, rientra fra le “cause di particolare semplicità”, perciò il giudice di merito ha facoltà di liquidare le spese di lite in misura ridotta fino alla metà dei minimi tariffari. Il principio è stato affermato dalla Cassazione (ordinanza 19945/15).

Il caso

Il giudice di pace respinge la domanda proposta da un uomo nei confronti di due donne e di una compagnia assicuratrice per il risarcimento dei danni da lui patiti a seguito di un sinistro stradale. La questione arriva fino in Cassazione.

L’uomo afferma che il tribunale ha sottostimato la questione, non riconoscendo né il danno da fermo tecnico del veicolo, né il danno da mora. Secondo la sua ricostruzione, il tribunale avrebbe sbagliato sulla liquidazione delle spese di lite, liquidando compensi professionali dovuti per il primo ed il secondo grado di giudizio in misura inferiore a quella risultante dall’applicazione dei minimi tariffari vigenti.

Per la Cassazione le richieste sollevate dal ricorrente non sono ammissibili. Il tribunale ha dimezzato le spese di lite per la facilità della trattazione della controversia, sia per l’oggetto della controversia, cioè il risarcimento di danni a cose causati da un tamponamento, sia per la modestia degli interessi economici in gioco, sia dal contenuto della sentenza d’appello – contenuta in meno di una facciata -.

La motivazione della sentenza impugnata, tuttavia, secondo il Supremo Collegio, necessità di essere corretta mediante l’integrazione del seguente principio di diritto: «la controversia avente ad oggetto il risarcimento dei danni causati da un “tamponamento” stradale, causativo di soli danni a cose, deve ritenersi rientrante tra le “cause di particolare semplicità” (articolo 4, comma 2, legge 794/1942, la cui permanenza in vigore è stata sancita dall’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 179/2009), con la conseguenza che il giudice di merito, all’esito di tale controversia, ha facoltà di liquidare le spese di lite in misura ridotta fino alla metà dei minimi tariffari». Quindi, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Tamponamento stradale? Se la controversia è semplice, le spese di lite sono dimezzate - La Stampa

domenica 18 ottobre 2015

Cassazione: “Troppe pause sul lavoro? Lecito il licenziamento”

Troppe pause caffè possono fare male e non solo per gli effetti della caffeina sul nostro organismo. A mettere in allarme i lavoratori italiani, non è l’ultima ricerca scientifica sull’alimentazione, ma una sentenza della Cassazione che ha confermato la legittimità del licenziamento di un dipendente che aveva la cattiva abitudine di concedersi troppi break nel corso della giornata lavorativa.

Per la Suprema Corte (con la sentenza 20440/2015, depositata il 12 ottobre) il datore di lavoro è legittimato a controllare l’operato del dipendente che lavora fuori sede anche attraverso il sistema Gps. I controlli cosiddetti difensivi, vale a dire volti ad accertare comportamenti illeciti, mancanze e atteggiamenti inidonei rispetto alla normale attività lavorativa, infatti, non sono da reputarsi vietati, specie se rivolti verso un lavoratore che svolga la propria attività al di fuori dei locali aziendali, cioè in luoghi in cui l’interesse a una corretta esecuzione della prestazione lavorativa è di più facile lesione, così come lo è l’immagine aziendale.

Con questo sistema e con l’aiuto di un’agenzia privata di investigazioni, il dipendente aveva accertato che il lavoratore, nello svolgimento della propria attività, si concedeva troppe pause caffè, trattenendosi in bar e tavole calde fuori dalla zona di lavoro per colloquiare, ridere e scherzare con i colleghi.

“La determinazione della collocazione e della durata delle pause – hanno spiegato gli esperti dello Studio Cataldi, commentando la sentenza – non può essere rimessa al totale arbitrio del lavoratore e non deve essere di certo confusa con i momenti di soddisfazione delle necessità fisiologiche”. Ogni tentativo del dipendente licenziato di far valere l’illegittimità del recesso è risultato vano. “Per la Corte la lesione del nesso fiduciario che deve legare dipendente e azienda – ha illustrato l’avv. Valeria Zeppilli – è palese e le tempistiche e le modalità del recesso sono incontestabili”. Il licenziamento va quindi confermato. E il ricorrente si trova costretto a pagare le spese di lite.

Fonte: www.italiaora.net/YariSiporso//Troppe pause caffè? Vieni licenziato! La sentenza della Cassazione

Autostrade ‘a secco’ per 48 ore: sciopero benzinai il 20 e 21 ottobre

Sciopero di 48 ore delle aree di servizio autostradali dalle 22 del 19 ottobre alle ore 22 del 21 ottobre. Ad annunciarlo sono i gestori aderenti a Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Anisa Confcommercio che organizzeranno anche un presidio pacifico presso la più importante società concessionaria autostradale, Autostrade per l’Italia, che si terrà in Via Bergamini 50, a Roma, la mattina del 20 con inizio alle 11. I gestori presenteranno al Tar del Lazio ricorsi con il decreto del Governo e bandi di gara dei concessionari.

“Dopo lunghi mesi di assoluta inerzia che hanno consumato inutilmente e quasi per intero i due anni di proroga delle sub concessioni già scadute concessi dall’Antitrust per procedere ad una razionalizzazione della rete delle aree di servizio autostradali allo scopo di restituire agli utenti di questa viabilità prezzi più contenuti e servizi qualitativamente adeguati, i ministeri delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico -sottolineano le organizzazioni sindacali- hanno dato alla luce, nell’indifferenza del caldo ferragostano, un Decreto che si traduce, tra affermazioni di principio ambiziose e codicilli che immediatamente le negano, in un beffa sia per quanti vi operano che per i consumatori”.

Fonte: www.italiaora.net/antonellabianco/Carburanti: sciopero dei benzinai di 48 ore. Ecco da quando

Sicurezza, dal parabrezza sparisceil tagliando dell’assicurazione

Dal 18 ottobre non sarà più obbligatorio esporlo. I controlli avverranno telematicamente per combattere le contraffazioni e i «pirati della strada».

«Favorisca patente, libretto e mi faccia vedere il tagliando dell’assicurazione». È stata per decenni la richiesta che le forze di polizia italiane hanno intimato agli automobilisti dopo averli fermati. Infatti non bastava pagare il premio assicurativo ma bisognava anche dimostrarlo. Dal 18 ottobre, invece, non occorrerà più esporlo sul parabrezza. Il controllo della copertura, infatti, avverrà per via telematica. Inserendo il numero della targa, gli agenti sapranno in pochi secondi non solo se i mezzi sono rubati o hanno la revisione scaduta, come accade oggi, ma conosceranno anche la situazione assicurativa. In linea teorica potrebbe segnare anche una svolta perché in Italia la compravendita di contrassegni falsi o scaduti ha raggiunto numeri impressionanti.

Gli evasori

Secondo le stime dell’Associazione nazionale fra le Imprese assicuratrici (Ania), nel 2014, circa 3,9 milioni di veicoli (l’8,7 per cento del totale) viaggiava senza assicurazione. Per contrastare questa piaga, dal 18 ottobre, i sistemi che leggono le targhe come autovelox, tutor, telepass e varchi Ztl potranno controllare anche la regolarità della copertura assicurativa e segnalare anomalie. È questo l’effetto finale di un lungo procedimento che è iniziato con un decreto ministeriale (9 agosto 2013, n. 110) che ha stabilito la progressiva «dematerializzazione dei contrassegni di assicurazione dei veicoli a motore su strada, attraverso la sostituzione degli stessi con sistemi elettronici o telematici».

I controlli

Facile a dirsi e un po’ meno a realizzarsi visto che si è dovuto studiare un sistema in grado di far dialogare e aggiornare in tempo reale diverse banche dati in modo tempestivo e sicuro. Dopo una lunga (e rassicurante) fase di sperimentazione adesso è arrivato il via libera. In pratica, ora, ogni volta che verrà stipulata una nuova polizza o verrà effettuato un rinnovo, la compagnia di assicurazione dovrà inviare le informazioni alla banca dati delle coperture assicurative creata dall’Ania, chiamata Sita. Dal sistema Sita, le informazioni confluiranno nel database della Motorizzazione civile che contiene i dati sui veicoli immatricolati. L’incrocio delle informazioni contenute nelle due banche dati consentirà alle Forze dell’ordine di sapere in pochi secondi chi è regolarmente assicurato e chi no. Gli automobilisti per qualche tempo ancora riceveranno il vecchio tagliandino cartaceo ma non dovranno più esporlo sul parabrezza. In pratica, avrà soltanto finalità informative in caso di incidente stradale o nei Paesi dell’Ue. Terminata questa fase «sperimentale», il cartaceo non verrà più consegnato. Ai «furbetti» ora resteranno davvero poche chance di evitare una multa salata che va da 841 a 3.366 euro senza considerare l’immediato sequestro del mezzo.

Fonte: www.corriere.it//Sicurezza, dal parabrezza sparisceil tagliando dell’assicurazione - Corriere.it

sabato 17 ottobre 2015

Non si può giustificare chi adotta un regime fiscale sbagliato su consiglio del notaio

L’incertezza della norma e la buona fede del contribuente non sono bastate; cosa più importante, non è bastato nemmeno che la scelta del regime agevolativo fosse stata consigliata da un notaio: davanti ai giudici della Cassazione, l’affidamento non può essere invocato qualora il contribuente si sia conformato ad indicazioni fornite da soggetti terzi all’Amministrazione Finanziaria. Così, la Suprema Corte, con la sentenza 20058/15, ha confermato quanto già deciso dalla Commissione Tributaria Regionale, respingendo il ricorso di un contribuente.

La vicenda, in breve: in riferimento ad un immobile con metratura superiore a 240 metri quadri, acquisito mediante atto notarile, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato al contribuente un avviso di liquidazione per imposte di registro e relative sanzioni, disconoscendo il beneficio “prima casa”. Al centro della vertenza, il fatto che il contribuente, al momento della stipula dell’atto, aveva sottoposto al notaio rogante la propria situazione, esibendo tutta la documentazione catastale, in sua disposizione, al momento del rogito; naturalmente, tra i dati forniti vi era anche la superficie dell’immobile.

Insomma, anche di fronte alla Commissione Tributaria il contribuente aveva affermato che l’atto era stato stipulato con il regime agevolativo in base a quanto era stato assicurato dal notaio rogante, in ordine alla “pacifica applicabilità dei benefici”. Se il notaio affermava che i benefici prima casa erano applicabili, il contribuente non poteva far altro che assecondarlo: “l’affidamento, incolpevole su inevitabile, su quanto sostenuto dal notaio, dato il notevole grado di complessità delle questioni e dato il coacervo di norme sottese all’esatta individuazione del regime fiscale, doveva essere considerato dalla commissione tributaria al fine di escludere l’irrogazione delle sanzioni”.

Tutto comprensibile, ma non scusabile. Perché, per i Giudici, secondo un indirizzo interpretativo ormai consolidato, “il presupposto che integra la situazione tutelata dall’art. 10, secondo comma, della Legge 212/2000 [inerente le sanzioni e la buona fede] è costituito dal legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione Finanziaria”. Per invocare la tutela dell’affidamento è necessario che sia allegata un’attività dell’amministrazione idonea “a determinare una situazione di apparente legittimità e coerenza in senso favorevole al contribuente”; in conclusione, le assicurazioni rese da soggetti estranei all’amministrazione (anche se qualificati, come nell’esempio del notaio rogante) non rilevano.

Fonte: Fiscopiù - Giuffrè per i Commercialisti - www.fiscopiu.it/Non si può giustificare chi adotta un regime fiscale sbagliato su consiglio del notaio - La Stampa

venerdì 16 ottobre 2015

Dipendente malato e a casa, ma dà una mano nella ‘Caffetteria’ della figlia: licenziato

Un dipendente è malato e resta a casa: l'assenza è motivata dalla necessità di riposo, a seguito di un infortunio sul lavoro. Ma l’uomo commette un errore gravissimo: offre un aiuto concreto alla figlia, nella gestione della sua caffetteria. l'impegno fisico è certificato da un'agenzia investigativa della società per cui lavora l’uomo. Tutto ciò rende legittimo il licenziamento (Cassazione, sentenza 20090/15).

Il caso

In Appello, cambiando la decisione del primo grado, è sancita la correttezza dell’operato aziendale: non è discutibile, secondo i giudici, il «licenziamento disciplinare», deciso perché il dipendente, «durante un’assenza conseguente ad un infortunio sul lavoro», ha «svolto attività lavorativa presso la caffetteria gestita dalla figlia».

Risulta evidente l’abuso compiuto dall’uomo, abuso che porta addirittura a mettere in discussione l’«impedimento fisico» da lui lamentato e utilizzato come giustificazione per il mancato «svolgimento dell’attività lavorativa» per la sua società. La linea di pensiero delineata in secondo grado viene condivisa, e fatta propria, anche dalla Cassazione.

Lapalissiana la «violazione dell’obbligo di fedeltà» compiuta dal lavoratore, alla luce, come detto, della relazione predisposta dalla «agenzia investigativa» cui si è rivolta l’azienda. A corredo, poi, viene anche richiamato un «riscontro medico», che ha permesso di evidenziare «l’assenza, a seguito dell’infortunio, di qualsiasi alterazione». A fronte della condotta del lavoratore, concludono i giudici, è pienamente legittimo il «licenziamento» deciso dall’azienda.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Dipendente malato e a casa, ma dà una mano nella ‘Caffetteria’ della figlia: licenziato - La Stampa

giovedì 15 ottobre 2015

La Cassazione: “Giusto licenziare il lavoratore che fuma #spinelli in azienda”

Fumare marijuana presto potrebbe essere legale, sempre che la proposta di legge presentata da 218 parlamentari passi l’esame di Camera e Senato. Coltivarla - sempre in modiche quantità - anche. Ma se l’Italia già da qualche anno ha imboccato la strada della depenalizzazione - introducendo i criteri di uso personale e modiche quantità - un conto è usare droghe leggere a casa propria, altra cosa è farlo sul posto di lavoro, dove si rischia grosso.

D. F., quarant’anni, operaio addetto all’individuazione dei guasti di macchine ed impianti, è stato licenziato dalla Fiat perché sorpreso a fumare due spinelli in fabbrica. E se il Tribunale di Torino, in un primo momento, l’aveva reintegrato, ritenendo eccessivo l’allontanamento dal lavoro, prima la Corte d’Appello e poi la Cassazione (ieri) hanno ribaltato la pronuncia, confermando la decisione dell’azienda. Il motivo? Il comportamento dell’operaio ha pregiudicato «irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro nella correttezza delle future prestazioni lavorative».

Ne va del rapporto di fiducia tra azienda e dipendente ma anche della qualità del lavoro, sostiene la Cassazione. Di più, secondo il collegio fumare spinelli sul posto di lavoro è un comportamento che può assumere «valore sintomatico rispetto ai futuri comportamenti». Un atto da irresponsabili, insomma, a maggior ragione per chi è addetto al controllo di macchinari e impianti, tale da indurre il datore di lavoro a pensare di non potersi fidare in alcun modo del suo dipendente. Il licenziamento è una conseguenza quasi inevitabile, come dimostra la sentenza della Cassazione.

Fonte: www.lastampa.it//La Cassazione: “Giusto licenziare il lavoratore che fuma spinelli in azienda” - La Stampa

Guida in modo strano, accosta e si allontana barcollando, evitando l’#etilometro: condannato

Una preoccupante andatura dell’automobile richiama l’attenzione delle forze dell’ordine: obiettivo è verificare le condizioni psico-fisiche del conducente. Quest’ultimo, però, accosta il veicolo a bordo strada e si allontana a piedi, con una camminata non proprio sicura. E' comunque legittima la contestazione del reato di “rifiuto dell’accertamento” etilometrico (Cassazione, sentenza 40066/15).

La colpevolezza è evidente, secondo i giudici di merito. E questa linea di pensiero viene ora condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, ritengono non accettabili le obiezioni proposte dal legale dell’uomo. E' illogico, in sostanza, sostenere la «carenza di prove sulla responsabilità» poggiandola sulla presunta non certezza sulla presenza dell’uomo «alla guida del veicolo».

I giudici ritengono corretta la lettura adottata in primo e in secondo grado, dove è stata delineata la «condotta» dell’uomo, il quale, «dopo avere accostato l’autovettura», decideva di «proseguire a piedi, in evidente stato di ebbrezza», rifiutando così di «sottoporsi all’alcoltest». Evidenti, quindi, i presupposti per ritenere acclarato il reato di «rifiuto dell’etilometro». E congrua, aggiungono i giudici, la «pena» così come decisa in Appello, soprattutto tenendo conto «dei numerosi precedenti penali» dell’uomo, della sua «condotta non collaborativa» e, infine, della «gravità del fatto».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Guida in modo strano, accosta e si allontana barcollando, evitando l’etilometro: condannato - La Stampa

#Ferrara: Ruba la bici a un anziano, un carabiniere lo ferma

Un giovane di 25 anni già processato per direttissima, ha patteggiato 8 mesi e 200 euro di multa.

Si trovava lungo la via Virigiliana quando ha notato un pensionato che si affannava a rincorrere un giovane in sella a una bici.

Capito che si trattava di un furto, l’uomo, un carabiniere,  è immediatamente intervenuto per bloccare il ladro. Le manette con l’accusa di furto in abitazione sono scattate per S.D., 25enne di origini ucraine, già noto alle forze dell’ordine e residente a Ferrara.

Il valore della bicicletta sottratta al pensionato 66enne è di circa 1000 euro. L’arresto è stato convalidato nella mattina di mercoledì. L’uomo – difeso dall’avvocato di fiducia Emiliano Mancino – ha patteggiato nel processo per direttissima 8 mesi di reclusione e 200 di multa

Fonte: www.estense.com//Ruba la bici a un anziano, un carabiniere lo ferma | estense.com Ferrara

martedì 13 ottobre 2015

Cos'è lo Ius Soli "temperato" approvato alla Camera

Addio allo ius sanguinis, via libera allo ius soli temperato e allo ius culturae: sono le nuove fattispecie per l'acquisto della cittadinanza italiana da parte dei minori stranieri, introdotti dalla proposta di legge approvata oggi dall'aula della Camera e che passa all'esame del Senato. Queste le principali novità:

IUS SOLI TEMPERATO. Acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Per ottenere la cittadinanza c'è bisogno di una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all'ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età. Se il genitore non ha reso tale dichiarazione, l'interessato può fare richiesta di acquisto della cittadinanza entro due anni dal raggiungimento della maggiore età. Quanto allo ius soli previsto dalle norme attuali, relative allo straniero nato e residente in Italia legalmente senza interruzioni fino a 18 anni, il termine per la dichiarazione di acquisto della cittadinanza viene aumentato da uno a due anni dal raggiungimento della maggiore età.

NIENTE IUS SOLI PER I CITTADINI EUROPEI. La nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza per nascita non sarà applicabile ai cittadini europei, in quanto possono essere titolari di permesso UE per soggiornanti di lungo periodo solo i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea.

DUBBI SUL PERMESSO DI SOGGIORNO UE. Tale permesso è rilasciato allo straniero cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea in possesso da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità; reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale; disponibilità di alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge; superamento di un test di conoscenza della lingua italiana. Non hanno diritto al permesso gli stranieri che: soggiornano per motivi di studio o formazione professionale; soggiornano a titolo di protezione temporanea o per motivi umanitari; hanno chiesto la protezione internazionale e sono in attesa di una decisione definitiva circa tale richiesta; sono titolari di un permesso di soggiorno di breve durata; godono di uno status giuridico particolare previsto dalle convenzioni internazionali sulle relazioni diplomatiche.

IUS CULTURAE. Può ottenere la cittadinanza il minore straniero, che sia nato in Italia o sia entrato nel nostro paese entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria, è necessaria la conclusione positiva di tale corso. La richiesta va fatta dal genitore, cui è richiesta la residenza legale, oppure dall'interessato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.

NORMA TRANSITORIA. Le nuove norme si applicheranno anche ai 127mila stranieri in possesso dei nuovi requisiti ma che abbiano superato, al momento di approvazione della legge, il limite di età dei 20 anni per farne richiesta. Il ministero dell'Interno avrà sei mesi di tempo per rilasciare il nulla osta.

Fonte: www.askanews.it//Cos'è lo Ius Soli "temperato" approvato alla Camera

Stop al #fumo in auto se ci sono minori e donne incinta

Divieto di fumo in auto in presenza di minori e donne incinta, immagini e frasi choc su pacchetti di sigarette e confezioni di tabacco, bando agli aromi, aboliti pacchetti di sigarette da dieci: sono alcune delle novità introdotte dal decreto legislativo approvato dal consiglio dei ministri, che recepisce la direttiva Ue del 2014 sui prodotti del tabacco.

Queste le principali novità: sigarette e tabacco recheranno "avvertenze combinate" (immagini e testo) relative alla salute, che dovranno coprire il 65% della superficie esterna del fronte e retro della confezione. Si introducono immagini e frasi choc: si informa il consumatore sui rischi per la salute con la seguente avvertenza: "Il fumo uccide - smetti subito".

Per le sigarette elettroniche: "Prodotto contenente nicotina, sostanza che crea un'elevata dipendenza. Uso sconsigliato ai non fumatori". Quindi le fotografie sui danni da fumo e il seguente messaggio: "Il fumo del tabacco contiene oltre 70 sostanze cancerogene". Nel catalogo delle foto, anche immagini forti e frasi come "Il fumo può uccidere il bimbo nel grembo materno".

E' previsto il divieto di utilizzo di aromi caratterizzanti. Divieto di vendita dei pacchetti da 10 e piccole confezioni di tabacco. Divieto di vendita a distanza transfrontaliera dei prodotti del tabacco e delle sigarette elettroniche ai consumatori.

In particolare, riguardo alle disposizioni per la tutela dei minori è stato introdotto il divieto di fumo in autoveicoli in presenza di minori e donne in gravidanza. Ma anche il divieto di vendita ai minori di sigarette elettroniche e contenitori di liquido di ricarica con presenza di nicotina e prodotti di nuova generazione; il divieto di fumo nelle pertinenze esterne degli ospedali e degli Irccs pediatrici, e nelle pertinenze esterne dei singoli reparti pediatrici, ginecologici, di ostetricia e neonatologia. Sono anche inasprite le sanzioni per la vendita e somministrazione di prodotti del tabacco, sigarette elettroniche e prodotti di nuova generazione ai minori.

E' prevista la sospensione della licenza per tre mesi alla prima violazione. Quando la violazione è commessa più di una volta, oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria, è prevista la revoca della licenza all'esercizio dell'attività. Introdotte anche verifiche dei distributori automatici, di norma, al momento dell'istallazione e periodicamente, per controllare il corretto funzionamento dei sistemi automatici di rilevamento dell'età dell'acquirente.

Fonte: www.altalex.com/askanews.it/Stop al fumo in auto se ci sono minori e donne incinta | Altalex

Non paga l’IVA per adeguare l’azienda: la Cassazione lo assolve

Se la mancanza di liquidità non deriva da operazioni deficitarie commesse dal manager, non può essere condannato l’imprenditore che sceglie di adeguare l’azienda alle norme antinfortunistiche e di non pagare l’IVA. A dirlo sono i giudici della Cassazione, nella sentenza 40352/15, che hanno esaminato il caso di un contribuente rappresentate legale di una società che non aveva versato l’imposta sul valore aggiunto.

Per i Giudici di appello, il mancato versamento dell’IVA era un fattore rilevante, e non valeva il fatto che le somme erano state destinate all’adeguamento dell’azienda. Il mancato versamento dell’imposta, in una situazione di crisi, era un tentativo di salvare l’azienda, scegliendo di adeguare gli impianti alle norme. Così, i Giudici hanno potuto ricordare come “in tema di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, la giurisprudenza di legittimità ha ormai affermato il principio che la crisi di liquidità del debitore può essere rilevante per escludere la colpevolezza, se venga dimostrato che il soggetto tenuto al pagamento aveva adottato tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo”.

Insomma, si ripete l’affermazione più volte rimarcata dai giudici, ossia che il debitore dimostri di aver posto in essere ogni possibile azione per evitare il mancato versamento dell’imposta, anche intervenendo sfavorevolmente sul proprio patrimonio personale.

Ora, la situazione nella quale si era trovato il contribuente era compresa tra due fuochi: da una parte, rinnovare l’impiantistica per poter continuare l’attività aziendale e non pagare l’imposta; dall’altra, effettuare il versamento e rischiare la chiusura dell’azienda. La via scelta dal contribuente era già parsa obbligata ai giudici di primo grado, che avevano provveduto alla sua assoluzione. La Comnmissione tributaria regionale si era limitata a ribaltare il giudizio assolutorio “affermando la vincolatività e la rilevanza dell’obbligo di accantonamento delle somme”, senza chiarire le ragioni che l’avevano portata a ritenere tali adempimenti possibili ed esigibili, nel contesto della situazione aziendale di profonda crisi. Ecco perché il ricorso del contribuente è stato accolto, e la sentenza di appello cancellata.

Fonte: www.fiscopiu.it/Non paga l’IVA per adeguare l’azienda: la Cassazione lo assolve - La Stampa

Non condivide le scelte sentimentali della figlia e la "trattiene" in un capannone: condannato

Scontro totale in famiglia. Il padre non condivide le scelte sentimentali della figlia (la decisione di quest’ultima di sposare l’uomo che ama) e per farla ritornare sulle proprie scelte la sottopone a pressioni psicologiche, insulti, vessazioni. L'uomo, però, arriva a rinchiudere la ragazza in un capannone e scatta la condanna per sequestro di persona (Cassazione, sentenza 39197/15).

Linea di pensiero comune tra tribunale e corte d’appello: l’uomo è ritenuto responsabile – grazie al resoconto di un carabiniere – di «sequestro di persona». Egli, in sostanza, ha rinchiuso «la figlia all’interno di un capannone». Alla base di questo folle gesto, il fatto che l’uomo non ha condiviso le scelte sentimentali della ragazza, scelte «ritenute non conformi ai voleri familiari».

Secondo l’uomo, però, tale visione è sbagliata. Per due ragioni: primo, «la scelta di vivere all’interno del capannone è da attribuire alla volontà» della figlia, la quale ha detto «di avere scelto di vivere nel capannone, d’accordo con il padre, per allontanarsi dalla madre»; secondo, «era possibile, dall’interno, aprire la porta ed uscire dal capannone, la cui porta», sostiene l’uomo, veniva chiusa dall’esterno «solo perché dall’interno non si poteva chiudere, essendo rotta la serratura», e, non a caso, aggiunge ancora l’uomo, la sua «volontà di non segregare la figlia» si desume anche dalla «circostanza» che egli «era solito gettarle le chiavi all’interno».

La difesa proposta in Cassazione, però, si rivela fragile. Mentre è solidissima la ricostruzione proposta dal carabiniere, il quale ha spiegato di avere verificato «personalmente che la porta, una volta chiusa, non poteva essere aperta dall’interno», cosa che impediva alla ragazza «ogni possibilità di uscita», e ha aggiunto che «la ragazza piangeva, urlava, chiedendo di uscire», cosa avvenuta solo all’«arrivo del padre, dotato delle chiavi» dopo ben quarantacinque minuti.

Per la Cassazione, proprio le condizioni psichiche della ragazza, constatate dal carabiniere, rendono «palese la volontà della persona di recuperare la propria libertà di movimento». E, allo stesso tempo, è rilevante anche il particolare della «inidoneità del capannone ad essere adibito ad abitazione». Tutto ciò smentisce, in maniera clamorosa, la tesi del genitore, finalizzata a sostenere il «consenso prestato dalla figlia ad essere rinchiusa nel capannone», da cui, invece, «poteva uscire solo per volontà» dell’uomo.

Peraltro, aggiungono i Giudici, «anche si volesse dare credito» all’ipotesi del «consenso della persona offesa ad essere rinchiusa, non sarebbe sufficiente ad escludere la configurabilità del delitto di sequestro di persona», soprattutto perché il presunto «consenso» non risulta «liberamente presto o mantenuto», poiché frutto di un «contesto vessatorio». Su quest’ultimo fronte, difatti, sono emersi ripetuti comportamenti dell’uomo, volti ad «esercitare una indebita pressione psicologica nei confronti della figlia» e realizzati «insultandola, sottraendole il permesso di soggiorno ed il passaporto». E' dunque logica la conferma della condanna dell’uomo per il reato di «sequestro di persona».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Non condivide le scelte sentimentali della figlia e la "trattiene" in un capannone: condannato - La Stampa

“Ha un carattere dispotico”: l'accusa non basta per addebitare la separazione alla moglie

Un uomo afferma che la moglie ha un “carattere dispotico e mortificante”. Si tratta di lamentele "a scoppio ritardato", quando le strade stanno per dividersi. Ciò non può bastare per addebitare alla donna l’implosione della coppia. Lui, però, grazie alla sua nuova famiglia – con tanto di figlio – vede messo in discussione l’assegno a favore della donna (Cassazione, ordinanza 19194/15).

"Pari e patta", secondo i giudici di merito, tra i coniugi, almeno sul fronte dell’«addebito della separazione». A nessuno dei due è attribuibile, difatti, la rottura. La pronuncia è sfavorevole al marito, invece, per quanto concerne il lato economico: egli deve versare alla moglie «un assegno mensile di mantenimento da 500 euro».

Non è più in discussione, ormai, la responsabilità per la crisi della coppia. E' accantonato, definitivamente, il pensiero dell’uomo, il quale aveva più volte ripetuto che «la separazione è addebitabile alla donna», al cui «carattere dispotico e mortificante è da imputare», a dire dell’uomo, il «fallimento della vita coniugale». Su questo punto, difatti, è messo in discussione, dai giudici della Cassazione, l'ammontare dell’assegno a favore della donna. Ciò alla luce di un elemento non trascurabile, ossia il fatto che l’uomo abbia formato una «nuova famiglia, con la nascita di un figlio». La circostanza non può essere ignorata, e, assieme ad «altri criteri legali e giurisprudenziali», dovrà essere valutata dai giudici d’appello per la «determinazione dell’assegno di mantenimento».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /“Ha un carattere dispotico”: l'accusa non basta per addebitare la separazione alla moglie - La Stampa

domenica 11 ottobre 2015

#PosteItaliane alza le tariffe: quanto costa spedire lettere e pacchi

Le nuove tariffe per le spedizioni nazionali e internazionali – sino a 2 chili – sono una delle novità introdotte da Poste Italiane e in vigore dal primo ottobre. Tra queste il ritorno del servizio di posta ordinaria, scomparso ormai dal lontano 2006, che prevede tempi di consegna più lunghi e tariffe più basse rispetto alla nuova posta prioritaria, ma non del tutto rispetto alla vecchia. Altra novità rilevante, e discussa, la consegna della posta a giorni alterni, per ora limitata ad alcuni piccoli comuni del nord Italia.

Posta prioritaria. Scegliendo questa tipologia di spedizione, gli aumenti di prezzo rispetto alla vecchia tariffa riguardano lettere e plichi fino a 350 grammi di peso: da un minimo di 0,40 a un massimo di 2,85 euro in più se la destinazione è l'Italia e da un minimo di 0,10 a un massimo di 2,55 euro verso l'estero. La cartolina dalla spiaggia o dalla città d'arte passa quindi da 0,80 a 2,80 euro se spedita ai parenti rimasti a casa e da 0,95 a 3,50 euro se la si vuole mandare a un amico che vive in uno Stato europeo. Per le spedizioni nazionali tra i 350 grammi e i 2 chili, invece, si risparmia dai 0,45 ai 2,65 euro, mentre per quelle internazionali il prezzo è rimasto lo stesso in vigore fino al 30 settembre.

Posta1. È il nuovo nome della posta prioritaria nazionale. La consegna viene effettuata in un giorno lavorativo nell'80 per cento dei casi e in quattro giorni lavorativi nel 98 per cento, sempre senza contare il giorno di accettazione. Nei Comuni in cui la consegna della posta avviene a giorni alterni, l'80 per cento delle lettere dovrebbe arrivare tra uno e tre giorni.

Postapriority internazionale. È la posta prioritaria internazionale. Le tariffe sono molto diverse a seconda del peso, delle dimensioni e soprattutto del Paese di destinazione e variano da 3,50 fino a 34 euro. Anche i tempi di consegna dipendono dalla distanza: escludendo il sabato, i festivi e il giorno di spedizione, nell'85 per cento dei casi la corrispondenza arriva in Europa in tre giorni lavorativi; nei Paesi del bacino del Mediterraneo in quattro/cinque giorni; nei Paesi del nord America in cinque/sei giorni; nei Paesi del resto delle Americhe, in Asia e in Oceania in sette/otto giorni; negli altri Paesi dell'Africa in otto/nove giorni.

Un'altra novità che riguarda la posta prioritaria è quella di poter sapere quando arriva a destinazione, nel caso di spedizioni in Italia, e al centro di scambio internazionale, per le spedizioni estere. Basta applicare un'etichetta adesiva con un codice che, inserito poi nell'apposto spazio nella pagina web delle Poste 'Cerca spedizioni' o nell'app 'Ufficio Postale', permette di tracciare la lettera. Questa etichetta viene data insieme al francobollo ed è compresa nel prezzo di spedizione. Il servizio ha però uno scopo solo informativo e la comunicazione di avvenuta consegna non vale a fini legali, così come avviene invece per le raccomandate.

Posta ordinaria. Qui gli aumenti – da 0,15 a 0,70 euro – riguardano soltanto le spedizioni nazionali con peso fino a 350 grammi e quelle internazionali – per 0,05 euro – con peso fino a 20 grammi e destinazione Europa e paesi del bacino del Mediterraneo. In questo caso il prezzo per spedire la famosa cartolina passa da 0,95 a 1 euro per gli Stati compresi in quest'area e da 0,80 a 0,95 per l'Italia. Per tutte le altre spedizioni verso l'estero si risparmia da un minimo di 0,10 a un massimo di 7 euro, mentre per quelle verso l'Italia, con un peso superiore ai 350 grammi e fino a 2 chili, il risparmio varia da 0,55 a 3,20 euro.

Posta4. Si chiama così il nuovo servizio di posta ordinaria nazionale. Le lettere hanno il 90 per cento di probabilità di arrivare entro quattro giorni lavorativi, escluso quello di accettazione, e il 98 per cento di arrivare entro sei giorni.

Postamail internazionale. È la posta ordinaria internazionale. Nell'85 per cento dei casi la consegna avviene in otto giorni lavorativi in Europa, in 12 giorni nei Paesi del bacino del Mediterraneo, in 16 giorni in nord America e in Oceania e in 22 giorni nel resto del mondo. Di nuovo nel conteggio dei giorni non devono essere considerati i sabati, i festivi e il giorno di spedizione. La tariffa oscilla da 1 euro a 27 euro in base a peso, dimensioni e destinazione.

Posta online. È un servizio per spedire spedire documenti in formato elettronico. Basta registrarsi (o fare l'accesso se lo si è già) al sito poste.it, dalla Home page cliccare su 'Servizi postali', poi 'Spedire online' e scegliere 'Posta4' nel menù a sinistra. A questo punto è possibile scrivere la lettera che si vuole spedire nell'apposito spazio (massimo due pagine), oppure allegare uno o più file salvati nel proprio pc (non più di 18 fogli per un massimo di 3Mb), oppure ancora fare entrambe le cose.

Si può scegliere la stampa fronte/retro, a colori o in bianco e nero. Dopo aver compilato tutti i campi richiesti si può procedere alla spedizione: sarà Poste italiane a stampare, imbustare e consegnare tutto al destinatario (o i destinatari: se ne possono indicare fino a 200 con una sola operazione), sia in Italia che all'estero.

Si può pagare con carta di credito, Postepay o addebito sul conto Banco Posta. Il prezzo è estremamente variabile perché dipende dal numero di pagine, dalle opzioni stampa richieste e dal Paese di destinazione.

La posta a giorni alterni. La fine della consegna quotidiana della posta è una delle novità più contestate tra quelle introdotte. In alcuni piccoli comuni la corrispondenza dovrebbe essere d'ora in poi recapitata a giorni alterni su base bisettimanale (lunedì, mercoledì, venerdì, e poi martedì e giovedì). In questa prima fase il cambiamento dovrebbe riguardare 256 comuni in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e Veneto. Da Poste Italiane fanno sapere che questa decisione non avrà impatti sulla consegna della posta ordinaria, mentre quella prioritaria potrebbe essere consegnata in tre giorni invece che in uno. Non è però dello stesso parere Federconsumatori, secondo la quale questa decisione creerà un ulteriore ritardo nella consegna della posta.

Nuovi francobolli. Dal primo ottobre c'è una novità anche per i francobolli. Oltre a quelli tradizionali ne sono stati introdotti di nuovi che, al posto del valore in euro, hanno delle lettere alle quali corrisponde una tariffa specifica. Per esempio il francobollo con la lettera A vale 2,80 euro e può essere usato per le spedizioni nazionali mentre quelli per gli invii all'estero riportano la scritta “A Zona 1”, “A zona 2” oppure “A zona 3” e valgono rispettivamente 3,50, 4,50 e 5,50 euro.

Reclami. Da non dimenticare che in caso di consegna tardiva della posta è sempre possibile presentare un reclamo entro date ben precise. Per la posta ordinaria deve essere presentato tra il decimo giorno lavorativo successivo alla data di spedizione ed entro i 3 mesi per le spedizioni nazionali; tra il quindicesimo e i sei mesi per le spedizioni in Europa e tra il trentesimo giorno e i sei mesi per quelle nel resto nel mondo. Per la posta prioritaria, dal sesto giorno a tre mesi per l'Italia; dal decimo giorno a sei mesi per l'Europa e dal ventesimo giorno a sei mesi per il resto del mondo.

Fonte: www.kataweb.it/B.Lutzu//Poste Italiane alza le tariffe: quanto costa spedire lettere e pacchi - Consumi - Kataweb - Soluzioni quotidiane

'Decreto Ruote': sì a pneumatici e cerchi più larghi

Dal 1 ottobre è entrato in vigore il Decreto Ministeriale relativo alle misure alternative di pneumatici e al montaggio di cerchi di lega non originali. In pratica è possibile montare sulle automobili cerchi in lega di misura diversa rispetto a quelli previsti dalla casa produttrice senza dover richiedere il nulla osta.

Niente più sequestro dell’automobile per chi monta cerchi e gomme più larghi: dopo una lunga attesa per la liberalizzazione invocata da decenni dal 1 ottobre non ci sono più quelle restrizioni che caratterizzavano il nostro codice della strada ed imponevano sulle nostre carte di circolazione dei limiti molto restrittivi per la gioia degli appassionati di Tuning e non solo.

Decreto gomme

Con il Decreto Ministeriale n.20 del 10/1/2013  in vigore dal 1/10/2015  chiamato  ‘Decreto Gomme’ gli automobilisti che vogliono personalizzare senza eccessi la propria auto con cerchi particolari potranno scegliersi quelli che meglio rispecchia il proprio gusto. Non sarà più necessario il nulla osta della casa automobilistica.

Il requisito affinché si possa agire è che il modello dell’automobile sul quale si cambieranno pneumatici e / o cerchi deve aver citato nel Documento d’istallazione il cosi-detto ‘ambito d’impiego’ per cui la ruote stessa è omologata. Una volta effettuato il montaggio di materiale omologato e adatto alla propria vettura si dovrà ottenere la ‘Dichiarazione di corretto montaggio’  e il certificato di ‘conformità della ruota’. Se la ruota è del tipo previsto sul libretto non si dovrà far altro che tenere i documenti menzionati in auto per evitare multe salate o addirittura il sequestro dell’automobile come sarebbe avvenuto prima dell’entrata in vigore del ‘Decreto Gomme’.

Fonte: www.formulapassion.it//'Decreto Ruote': sì a pneumatici e cerchi più larghi

sabato 10 ottobre 2015

Le nuove norme sul contenzioso tributario

La Gazzetta Ufficiale ha pubblicato (n. 233, supplemento ordinario 55) il testo del Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 156, confermando dunque la fine del percorso del nuovo contenzioso tributario. Le disposizioni entreranno in vigore dal 1° gennaio 2016 (ad eccezione di alcuni punti dell’art. 9, in vigore dal 1° giugno 2016).

Il decreto introduce numerose novità alla disciplina del contenzioso tributario e degli interpelli, tra le quali alcuni punti meritano di essere ricordati. La mediazione diventa obbligatoria per le controversie di valore inferiore ai ventimila euro: dunque, non varrà solo per gli atti impugnati emessi dall’Agenzia. “Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro – recita l’art. 9 – il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa”.

Altro tema fondamentale, quello della sospensione delle sentenze. Contribuente ed ente impositore potranno chiedere alla Commissione Regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata, purché sussistano “gravi e fondati motivi”. Sempre all’art. 9 leggiamo: “L’appellante può chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile”.

Il decreto introduce anche la conciliazione in secondo grado; si potrà beneficiare delle sanzioni ridotte al 40% del minimo previsto per le conciliazioni in primo grado, del 50% in appello, con versamento delle somme dovute entro i venti giorni dalla sottoscrizione dell’accordo.

Tema anch’esso rilevante, l’immediata esecutività delle sentenza di condanna al pagamento di somme a favore del contribuente. “Tuttavia il pagamento di somme dell’importo superiore a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, può essere subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell’istante, alla prestazione di idonea garanzia”.

Fonte: www.fiscopiu.it/Le nuove norme sul contenzioso tributario - La Stampa

I controlli a distanza sui lavoratori dopo i decreti attuativi del #JobsAct

Con la pubblicazione nel numero 221 della Gazzetta Ufficiale del 23 settembre scorso (Suppl. Ordinario n. 53), è entrato in vigore il Decreto Legislativo n. 151 del 14 settembre 2015, recante «Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità, in attuazione della legge 10 dicembre 2014 n. 183».
Unitamente agli altri decreti attuativi del progetto di riforma del lavoro, il Jobs Act, questo testo affronta, in particolare, l’aggiornamento di un insieme di regole e procedure alla luce delle innovazioni tecnologiche intervenute nei modelli e nei contesti aziendali lavorativi e produttivi.
L’articolo 23 del D.Lgs. n. 151/2015 si incarica di modificare l’articolo 4 della Legge n. 300 del 1970 – anche nota come Statuto dei Lavoratori – per rimodulare la fattispecie integrante il divieto dei controlli a distanza, nella consapevolezza di dover tener conto, nell’attuale contesto produttivo, oltre agli impianti audiovisivi, anche degli altri strumenti «dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori» e di quelli «utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa».
Nella sua formulazione originaria l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori al comma 1 stabiliva un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori. Al secondo comma, invece, il divieto cadeva, soltanto a condizione che il datore avesse osservato quanto ivi tassativamente previsto, in quanto era stabilito che gli impianti e le apparecchiature di controllo «che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori»  potevano essere installati previo accordo con le Rappresentanze Sindacali presenti in Azienda (in mancanza delle quali, secondo l’interpello del Ministero del Lavoro del 19 giugno 1989, non si poteva ricercare un accordo con una RSA di una qualsiasi altra unità produttiva della medesima azienda, ma il datore avrebbe potuto avanzare l’istanza direttamente all’Ispettorato provinciale del lavoro, che poteva eventualmente essere impugnata dalle associazioni sindacali individuate dall’art. 19 dello Statuto) o, in caso di mancato accordo, previa autorizzazione della DTL territorialmente competente.
L’intervento riformatore dell’articolo 23 in esame, sembra voler chiarire il dibattito giurisprudenziale sorto attorno alla casistica dei controllo c.d. “difensivi”. A tal proposito la Suprema Corte di Cassazione ha recentemente confermato che le garanzie poste in materia di divieto di controlli a distanza dal secondo comma dell’articolo 4 dello Statuto si applicano ai controlli difensivi, volti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori «quando, però, tali comportamenti riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, e non, invece, quando riguardino la tutela di beni estranei al rapporto stesso», stabilendo che sono legittimi quei controlli  diretti ad accertare comportamenti illeciti del lavoratore e lesivi del patrimonio aziendale (Cfr. Cass. n. 3122/2015 e Cass. n. 2722/2012).
Lo scopo della norma, dunque, rimane quello di contemperare, da un lato, l’esigenza afferente all’organizzazione del lavoro e della produzione posta in essere dal datore e, dall’altro, il diritto del prestatore a non vedere sottoposto ad un controllato a distanza lo svolgimento delle sue attività nel luogo di lavoro, «individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti partecipi» (Cass. n. 16622/2012).
Si nota, fin dalla rubrica e dalla prima proposizione succitata della novella all’art. 4, come le «altre apparecchiature» della norma previgente siano state sostituite da una formula che possa comprendere altre ipotesi nelle quali si può incorrere nella casistica di un controllo a distanza (anche, ma non solo, difensivo), adottando quindi un criterio che prende in considerazione «gli altri strumenti», che, evidentemente, il Legislatore del 1970 non poteva immaginare.
Nell’esercizio di bilanciamento fra un’organizzazione aziendale in grado di far acquisire all’imprenditore vantaggi competitivi e il rispetto della dignità dei lavoratori, sul punto la norma traccia una linea al di qua della quale si collocano quegli strumenti il cui utilizzo è potenzialmente in grado di rendere il lavoratore oggetto di controllo, in quanto ai fini dell’espletamento delle attività rese in costanza di lavoro, non è necessario che questi utilizzi tali strumenti per eseguire la prestazione (è il tipico caso degli strumenti audiovisivi e di quelli per la conservazione e il tracciamento dei dati mediante dispositivi di geolocalizzazione). Al di là di tale linea, come enunciato nel secondo comma del nuovo articolo 4 in esame, si collocano tutti quegli strumenti attraverso i quali il lavoratore esercita la sua attività lavorativa, che questi utilizza «per rendere la prestazione lavorativa», compresi quelli per la rilevazione degli accessi e delle presenze (in tale ambito rientrano ad esempio i pc e i telefoni cellulari, i software di comunicazione telematica, la stessa rete intranet aziendale).
Per quanto riguarda l’installazione e l’utilizzo degli strumenti di cui al primo comma, è stata confermata una procedura di codeterminazione fra datore di lavoro e Rappresentanze Sindacali (RSU o RSA) – che trova luogo tramite un Accordo con le rappresentanze sindacali presenti nelle diverse unità produttive dell’azienda ai fini  dell’installazione e dell’utilizzo dell’impianto di controllo – preliminare rispetto all’installazione degli strumenti, il cui esito negativo porta il datore a richiedere l’autorizzazione amministrativa della DTL competente.
In tale ambito, la novità è rappresentata dal fatto che il Legislatore ha voluto disciplinare tale procedura anche per il caso delle imprese pluri-localizzate, tipizzando la centralizzazione della procedura mediante la possibilità di stipulare un Accordo fra l’azienda e le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o, in caso di mancato Accordo, tramite l’istanza di autorizzazione da avanzare direttamente al Ministero del Lavoro.
In questo modo – e sulla scorta delle Note del Ministero del Lavoro del 16 aprile e del 7 maggio del 2012 – sembrano essersi decisamente semplificati i vari passaggi ai livelli decentrati, così potendosi evitare possibili orientamenti difformi delle sedi amministrative periferiche, di fronte all’installazione di un impianto tecnologico che presenta caratteristiche costruttive e di funzionamento standardizzate e del tutto identiche sul territorio. Sebbene, a sommesso avviso dello scrivente, vi sarebbe da chiedersi perché il Legislatore se finora ha utilizzato un criterio che si potrebbe definire “di maggiore vicinanza” al personale operante presso le singole unità produttive, giustificato dalla natura personalissima dei diritti potenzialmente limitati dall’uso di impianti di controllo a distanza, ha preferito il criterio comparativo della rappresentatività delle organizzazioni sindacali sul piano nazionale, invece di conferire tale agibilità a quegli organi di coordinamento delle rappresentanze sindacali già previsti dall’ultima parte dell’articolo 19 dello Statuto e riconsiderati dal punto 7, Sezione seconda, del Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 sottoscritto da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil.
L’installazione e l’impiego di tali strumenti necessitano della esclusiva sussistenza di esigenze organizzative e produttive, di sicurezza  del  lavoro di tutela del patrimonio aziendale, costituendo, queste, i presupposti per la stipula preventiva dell’Accordo sindacale o dell’autorizzazione della DTL.
Inoltre, tutte le informazioni  raccolte con i mezzi di controllo di cui ai commi 1 e 2 devono essere utilizzati nel rispetto della disciplina sulla privacy. Infatti il comma 3 del novellato articolo 4, a chiusura della disciplina sui controlli a distanza, prescrive che tali informazioni «sono utilizzabili a tutti  i  fini  connessi  al  rapporto  di  lavoro  a condizione che sia data al  lavoratore  adeguata  informazione  delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione  dei  controlli e nel rispetto di quanto disposto dal  decreto  legislativo  30  giugno 2003, n. 196» sul trattamento dei dati sensibili. Vi sarebbe da chiedersi se fra «tutti i fini connessi al rapporto di lavoro» rientrano anche i fini tipicamente disciplinari, potendosi configurare in tal caso una sorta di espansione del potere direttivo del datore di lavoro.
D’altro canto, dovendo, da un lato, sussistere una esigenza di «tutela del patrimonio aziendale» di cui alla fattispecie regolata al comma 1, e dall’altro rispettare le norme sulla privacy per l’utilizzo dei dati raccolti con gli strumenti diretti di lavoro, non sarebbe inopportuno se le Aziende procedessero ad una revisione non solo dei rispettivi mansionari – ai fini di una migliore demarcazione fra controlli difensivi e gli altri controlli a distanza –, ma anche delle policy di utilizzo di tutti quegli strumenti di lavoro utilizzati dal personale per esercitare le loro mansioni dirette o accessorie, al fine di rimanere coerenti, nel nuovo scenario generato dalla novella dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, rispetto all’applicazione di alcuni fondamentali principi in materia di privacy già valorizzati dal Garante per la protezione dei dati personali dalle Linee Guida per l’utilizzo della posta elettronica e di internet del 2007 (quali pertinenza, correttezza, non eccedenza del trattamento, divieto di profilazione), utili a tutelare il lavoratore da una potenziale sorveglianza massiva e totale.

Fonte: www.altalex.com//I controlli a distanza sui lavoratori dopo i decreti attuativi del Jobs Act | Altalex

Fumo, stop alle confezioni da 10 e alle e-cig per gli under 18. Foto shock con malati oncologici

Sigarette spente in auto se c’è una donna in gravidanza o un minore di 18 anni. Ma off limit anche vicino agli ospedali. Addio ai pacchetti da 10. E stop all’acquisto di e-cig con nicotina per gli under 18. Non solo: sigarette senza "sapori" e aromi che fanno venire il desiderio di tabacco e affini. Ed esplosione di immagini shock nei pacchetti di bionde, naturali ed elettroniche. Manco a parlarne, sanzioni a go-go: per produttori (fino a 150mila euro) e anche per i tabaccai (fino a 5mila euro).

In omaggio alla direttiva Ue 2014/40, l’Italia si appresta a sferrare un nuovo attacco al vizietto del  fumo. Lo schema di Dlgs (Salute, Mef, Agricoltura e Mise), in tutto 31 articoli, è pronto e andrà al Consiglio dei ministri di lunedì 12. Oggi in pre Consiglio dei ministri saranno limati dai tecnici dei ministeri i dettagli finali. Che poi in alcuni casi, tanto dettagli non sono. È il caso della diatriba sui prodotti di nuova generazione, che vede contrapposti i produttori di e-cig e dei bruciatori di nuova generazione.

Sarà una guerra totale a chi ha il vizietto del fumo. Ma anche un colpo potenziale ai produttori. In difesa della salute. Perché i numeri in gioco sono sconcertanti. Nella Ue si contano 700mila morti l'anno per malattie legate al fumo che costano oltre 25 miliardi e altri 8,3 come perdita di produttività. Costi che esplodono, salute che crolla. La Ue spera con la direttiva (da recepire entro marzo 2016) di veder calare i consumi del 2% in cinque anni: 2,4 mln di fumatori in meno, che equivarrebbero a un risparmio di circa 506 mln di euro per l'assistenza sanitaria.

Oltre a fissare regole su autorizzazioni, ingredienti, carico di nicotina e catrame (che restano intatti), fissa paletti rigidi per l'etichettatura e la presentazione dei prodotti. Con tanto di tracciabilità. Le Le immagini shock («pittogrammi») ritrarranno malati oncologici, figureranno in entrambi i lati dei pacchetti. Con tanto di avvertenza per l'uso, dunque per la salute. E potranno riportare un numero verde dell'Osservatorio presso l'Iss: 800554088.

Spariranno dalla circolazione i pacchetti da 10 sigarette, stimolo al consumo per i giovani. Le confezioni saranno di «almeno 20 sigarette. Mentre quelle delle bionde fai-da-te potranno contenere «non meno» di 30 grammi di tabacco trinciato.

Con la tracciabilità si conta di rafforzare la lotta al contrabbando. E naturalmente il fisco spera di veder crescere i suoi ricavi.

Ogni pacchetto dovrà essere contrassegnato da un «identificativo univoco» per monitorare l'intera catena di distribuzione e di vendita dei prodotti da fumo. Anche e-cig e nuove specialità per i fumatori saranno sottoposti alle nuove regole e avranno specifici obblighi di notifica ai ministeri della Salute e dell'Economia, almeno sei mesi prima sulla tipologia dei prodotti in attesa di entrare in commercio.

Le aree off limit sono le pertinenze esterne di ospedali, Policlinici universitari, Irccs pediatrici e quelle dei reparti di ginecologia, ostetricia, neonatologia e pediatria delle strutture universitarie.

Fonte: www.ilsole24ore.com//contributo di Marco Mobili e Roberto Turno//Fumo, stop alle confezioni da 10 e alle e-cig per gli under 18. Foto shock con malati oncologici - Il Sole 24 ORE

Violenza sessuale: costituisce ''induzione'' qualsiasi forma di sopraffazione della vittima

 L’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale non si identifica solo con la persuasione subdola ma si...