lunedì 27 giugno 2022

Bonus 200 euro, ecco quando arriva davvero

A pochi giorni dall'inizio di luglio 2022 (mese in cui avviene la distribuzione del bonus), l'Inps ha pubblicato un documento fac simile che deve essere compilato e presentato da quei lavoratori dipendenti che devono dichiarare al datore di lavoro la spettanza del bonus. Sempre l'Inps, con la stessa circolare, ha inoltre chiarito i tempi di erogazione dei 200 euro. Eccoli nel dettaglio:
- nello stipendio che si riferisce al mese di luglio (anche se pagato ad agosto) la cui azienda presenta la denuncia Uniemens entro il 31 agosto;
- nello stipendio pagato a luglio (anche se di competenza di giugno) se l’azienda presenta la denuncia Uniemens il 31 luglio;
- nella pensione di luglio per i pensionati, i titolari di assegno sociale, per gli invalidi civili, ciechi e sordomuti e chi percepisce l’accompagnamento alla pensione;
- nel mese di luglio per i lavoratori domestici, dopo che viene elaborata la domanda;
- nel mese di ottobre per i disoccupati che percepiscono la Naspi o la Dis-Col, per i beneficiari della disoccupazione agricola 2021 e per chi ha preso le indennità Covid nel 2021;
- nel mese di luglio per chi percepisce il Reddito di cittadinanza;
Inoltre, il bonus deve essere erogato anche con buste paga azzerate, ad esempio a causa di cassa integrazione ordinaria o straordinaria, l’importante è che nel mese di luglio deve sussistere il rapporto di lavoro.
Il "decreto Aiuti" ha introdotto l'accredito nel mese di luglio, nelle buste paga e nei conti correnti di chi ne ha diritto, del cosiddetto "bonus 200 euro", la misura destinata a supportare famiglie coi redditi medio-bassi nell'affrontare l'aumento dell'inflazione e la pressione del caro-vita. Il bonus, inizialmente previsto solo per dipendenti e pensionati, è stato esteso anche a una platea più vasta di beneficiari (compresi i disoccupati); tuttavia, in base alla tipologia di lavoratore a cui si appartiene, potrebbe essere necessario presentare una domanda o una dichiarazione. Vediamo in cosa consiste il bonus 200 euro, chi può riceverlo e cosa deve fare.
Bonus 200 euro: a chi spetta
La misura, come dice il nome stesso, prevede un bonus di 200 euro, erogati una tantum, ai lavoratori dipendenti che percepiscono un reddito annuo da lavoro fino a 35 mila euro lordi e che già hanno usufruito per almeno un mese nel primo quadrimestre 2022 della riduzione dei contributi Inps dello 0,8%.
Il conteggio del limite di reddito viene fatto sul base mensile, in pratica il reddito imponibile ai fini fiscali (ai fini previdenziali l’importo è più alto) non deve superare i 2.692 euro per tredici mensilità. Per fare un esempio pratico, ottiene il bonus solo il lavoratore dipendente che da inizio anno, fino al momento in cui riceve il bonus, ha percepito uno stipendio lordo al mese non più alto di 2.692 euro ed è previsto che riceva lo stesso stipendio per 13 mensilità. Sono esclusi quindi coloro che ricevono mensilità aggiuntive che, riparametrate su 13 stipendi, sforano il limite dei 1.692 euro o coloro che hanno visto incrementare (e superare la soglia dei 2.692 euro) lo stipendio da inizio anno (non conta infatti il reddito percepito nel 2021). Se l'incremento di stipendio (che faccia sforare i 2.692 euro mensili di tetto) avviene successivamente luglio (quindi dopo aver ottenuto il bonus), il lavoratore sarà tenuto a conguagliare il bonus nella dichiarazione dei redditi, cioè dovrà restituire di fatto il bonus ottenuto). 
Al bonus 200 euro hanno diritto anche i lavoratori domestici, i lavoratori stagionali, gli autonomi e chi percepisce il reddito di cittadinanza o la disoccupazione.
Come si ottiene e quando arriva
Il bonus verrà erogato direttamente nella busta paga e nella pensione di luglio (per i dipendenti e i pensionati) o direttamente sul conto corrente (per autonomi, stagionali, disoccupati, colf e badanti). Tuttavia, se per pensionati e disoccupati (non tutti però) l'accredito avviene in automatico, per gli aventi diritto delle altre categorie lavorative occorre presentare della documentazione: vediamo caso per caso quale.
Cosa devono fare i dipendenti
I lavoratori dipendenti devono presentare una dichiarazione al datore di lavoro di non percepire trattamenti pensionistici o il reddito di cittadinanza. In questo modo, il datore di lavoro in base ai dati reddituali in suo possesso riconosce il bonus direttamente nella busta paga di chi percepisce un reddito inferiore a 35.000 euro lordi annui (2.692 euro per 13). In presenza di più rapporti di lavoro occorre fare attenzione perché il bonus 200 euro spetta una volta sola: in caso contrario verrà recuperato da ogni datore di lavoro in base a quanto stabilito dall'Inps.
Cosa devono fare i pensionati
Per i pensionati, compresi i titolari di pensione o assegno sociale, di pensione o assegno di invalidità civile, ciechi e sordomuti e chi percepisce l’accompagnamento alla pensione, la cui pensione abbia decorrenza entro il 30 giugno 2022, l’accredito viene fatto direttamente dall’Inps in base ai dati reddituali in suo possesso, successivamente, l’istituto effettua i controlli reddituali con l’Agenzia delle entrate e, qualora il limite di reddito fosse superato, recupera la somma erroneamente erogata, chiedendone il rimborso entro un anno. In alternativa, tramite i canali telematici dell'Inps è possibile chiedere di non ricevere il bonus 200 euro, se già si sa che andrà restituito.
Cosa devono fare i disoccupati
Il bonus 200 euro è riconosciuto in automatico a chi:
- a giugno 2022 percepisce la Naspi o la DisColl, cioè le indennità di disoccupazione per i lavoratori dipendenti o i collaboratori coordinati e continuativi;
- percepisce nel 2022 l’indennità di disoccupazione agricola di competenza del 2021;
- nel 2021 ha beneficiato delle indennità previste dai decreti Sostegni e Sostegni bis;
- beneficia del reddito di cittadinanza, a condizione che nessun componente del nucleo familiare percepisca lo stesso bonus 200 euro. 
Cosa devono fare colf, badanti e stagionali
Colf e badanti devono presentare una domanda all’Inps per ottenere nel mese di luglio l'accredito del bonus 200 euro in conto corrente, ma non è previsto per loro alcun limite massimo di reddito. La domanda deve esser presentata tramite gli enti di patronato entro il 30 settembre, cui vanno dichiarati tutti i rapporti di lavoro in essere al 18 maggio 2022 e un IBAN valido per l'accredito della somma.
Allo stesso modo, per ottenere il bonus 200 euro devono presentare la domanda entro il 30 ottobre:
- i collaboratori coordinati e continuativi con contratti attivi al 18 maggio 2022, iscritti alla Gestione separata dell’Inps, non titolari di pensione né iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie e con reddito 2021 derivante dai rapporti di co.co.co non superiore a 35mila euro;
- i lavoratori stagionali, a tempo determinato e intermittenti che, nel 2021, hanno svolto la prestazione per almeno 50 giornate e hanno reddito derivante da quei rapporti non superiore a 35mila euro;
- i lavoratori iscritti al Fondo pensione lavoratori dello spettacolo che, nel 2021, hanno almeno 50 contributi giornalieri versati e reddito derivante da quei rapporti non superiore a 35mila euro;
- i lavoratori autonomi privi di partita Iva, iscritti alla Gestione separata dell’Inps al 18 maggio 2022 e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, che, nel 2021, sono stati titolari di contratti autonomi occasionali con accredito di almeno un contributo mensile; gli incaricati alle vendite a domicilio, titolari di partita Iva attiva e iscritti, al 18 maggio 2022 alla Gestione separata, con reddito 2021 derivante da tali attività superiore a 5mila euro.
Cosa devono fare i lavoratori autonomi
Per i lavoratori autonomi e i professionisti iscritti alle gestioni previdenziali dell’Inps o alle altre forme obbligatorie di previdenza e assistenza, è previsto un contributo anti-inflazione di 200 euro. Per sapere come ottenerlo si deve aspettare un decreto attuativo che verrà emanato nei prossimi 30 giorni e che fisserà anche il reddito complessivo 2021 massimo per averne diritto.

martedì 21 giugno 2022

Unione Camere Penali: astensione dei penalisti il 27 e 28 giugno 2022

L’Unione delle Camere Penali Italiane, tramite la delibera del 14 giugno 2022, ha denunziato la compromissione del diritto dell’imputato a essere giudicato dallo stesso giudice che ha raccolto la prova in dibattimento, indicendo l’astensione degli avvocati penalisti nei giorni 27 e 28 giugno 2022 per chiedere un immediato intervento legislativo a salvaguardia dell’attuazione dei principi del giusto processo.
La delibera del 14 giugno 2022
La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane, tramite una delibera, ha denunziato la compromissione del diritto dell’imputato a essere giudicato dal medesimo giudice che ha raccolto la prova in dibattimento, definendolo quale accadimento processuale che si verifica quotidianamente nelle aule di udienza, effetto di regressive interpretazioni della disciplina processuale che consentono di omettere la rinnovazione della prova in ipotesi di mutamento del giudice.
L’indizione dello sciopero
Tramite la stessa delibera si è indetta l’astensione degli avvocati penalisti nei giorni 27 e 28 giugno 2022 per chiedere un intervento legislativo a salvaguardia dell’attuazione dei principi del giusto processo, nonché una manifestazione nazionale in Roma per il 28 giugno.
La delega Cartabia
Con la legge delega n. 134/2021 il Parlamento ha fissato i canoni ai quali il Legislatore delegato dovrà attenersi per modificare, peraltro, la disciplina della riassunzione della prova dichiarativa al dibattimento in ipotesi di mutamento del giudice. Il punto della delega, in quanto tale già vigente nell’ordinamento, accoglie il principio secondo cui il giudice che procede può valutare di non rinnovare la prova nella ipotesi in cui le dichiarazioni rese in dibattimento siano state videoregistrate e sia dunque possibile procedere alla loro visione e ascolto, al fine di percepirne il contesto e gli elementi che compongono la comunicazione non verbale.
La sentenza Consulta n. 132/2019
La “delega Cartabia” ha recepito le indicazioni della Corte costituzionale (sentenza n. 132/2019), la quale aveva dichiarato inammissibile l’incidente di costituzionalità posto dal remittente quanto alla regola dell’immutabilità del giudice ex art. 525, c. II, c.p.p. ma al contempo, tramite obiter dictum, ha prospettato al Legislatore la possibilità di una limitazione dell’operatività dei principi di immediatezza e oralità a fronte di particolari condizioni, quando vi sia quantomeno la possibilità per il nuovo giudice di esaminare la videoregistrazione della testimonianza.
La videoregistrazione
L’Avvocatura penale ha ribadito che l’attuale congegno ex art. 525, c. 2, c.p.p. rappresenta la realizzazione dei principi del giusto processo, i quali non possono trovare limitazioni nell’attuazione se non a fronte di condizioni eccezionali previste dalla legge. Tale disciplina tende a garantire, oltre a oralità e immediatezza, l’attuazione del contraddittorio dinanzi al giudice della decisione. La videoregistrazione è destinata a cristallizzare dinamiche processuali, risposte e comunicazione non verbale provocate dall’attività delle parti e dagli interventi residuali del giudice, che non potranno
mai essere le stesse di quelle che si realizzerebbero dinanzi al nuovo collegio o al nuovo giudice monocratico decidente. Secondo la delibera occorre preservare le caratteristiche del rito accusatorio, quindi riservare a situazioni eccezionali l’omessa rinnovazione della prova a fronte del mutamento del giudice.
La regola della sentenza Bajrami
Viene altresì denunziato che nelle aule di giustizia si verifica il fenomeno determinato dalla regola stabilita dalla Corte di Cassazione con la sentenza Bajrami (Sez. Un. 41736/2019), e cioè è possibile, per il nuovo giudice, non procedere alla rinnovazione dell’acquisizione della prova, limitando tali ipotesi al solo caso che la parte abbia indicato il teste nella sua lista o intenda indicarlo in una nuova lista testi, a condizione che siano diverse le circostanze rispetto a quelle oggetto della prima testimonianza. Per la Giunta risulta vanificato il diritto a essere giudicato dallo stesso giudice che ha raccolto la prova. E’ già stata richiesta la previsione di una disciplina transitoria che releghi la necessità della videoregistrazione quale precondizione per la rinuncia alla rinnovazione della prova ai casi futuri mentre, nell’attesa che gli Uffici si dotino degli adeguati strumenti tecnici, sarebbe sufficiente la sola trascrizione della registrazione dell’udienza. I penalisti italiani richiedono che siano previste misure che assicurino certezza che il giudice della decisione abbia la concreta visione delle videoregistrazioni, e che i provvedimenti attuativi debbano prevedere l’obbligo, a pena di nullità, della visione pubblica, in una udienza dedicata, delle videoregistrazioni.
fonte: altalex.com

Bonus 110%, soldi finiti. Cosa fare se hai già iniziato i lavori o la banca non accetta la cessione del credito

Secondo le intenzioni del Governo, i fondi messi a disposizione per i lavori del 110% (circa 33,3 miliardi di euro) avrebbero dovuto esaurirsi nel 2027. Invece, stando agli ultimi dati Enea, gli italiani, già alla fine di maggio, avevano prenotato lavori per oltre 33,7 miliardi di euro, ovvero più di quelli stanziati. Di fatto quindi i fondi messi a disposizione nell'ambito del Superbonus 110% sono già esauriti.
Come se non bastasse diverse banche, tra cui colossi come Intesa San Paolo, hanno già dichiarato che non accetteranno più (almeno per il momento) cessioni del credito. Probabilmente la situazione potrebbe sbloccarsi con la conversione in legge del prossimo decreto Aiuti, ma ci sarà da vedere che misure verranno prese dal Governo e che effetto potrebbero avere su imprese, banche e cittadini.
Nel frattempo, tuttavia, ci si chiede che cosa succede adesso a chi ha già richiesto i fondi per le ristrutturazioni o addirittura a chi ha già praticamente le impalcature davanti a casa e teme di vedersi i lavori lasciati a metà. Vediamo quindi caso per caso come comportarsi sia quando i lavori sono già iniziati, sia se si ha già firmato il contratto e si è in attesa di una risposta dalla banca sulla cessione del credito.
Cosa succede se hai già iniziato i lavori
Per i lavori già iniziati che hanno ricevuto tutte le autorizzazioni dell’Enea e hanno concluso un accordo di cessione del credito con una banca, non dovrebbero esserci eccessivi problemi; da un lato le  banche che già si sono impegnate con contratti di cessione del credito non si possono tirare indietro senza farsi carico dei danni che causerebbero a imprese e consumatori con il loro recesso, allo stesso modo il Governo dovrà intervenire con opportuni provvedimenti per finanziare in qualche modo le pratiche accettate.
Se il contratto è firmato ma sei in attesa della banca
Per coloro che hanno stipulato il contratto con l’impresa e attendono la risposta della banca per la cessione del credito, è ancora possibile bloccare tutto in attesa di sapere cosa deciderà il Governo. Se il contratto di appalto dei lavori prevede l’accettazione dei lavori o la partenza del cantiere solo una volta che la banca ha accettato la cessione del credito, i lavori non partono e si restituiscono eventuali caparre o anticipi sulla base di quanto stabilito dal contratto. 
Anche nel caso in cui il contratto non prevedesse nulla, le parti possono accordarsi per rinegoziare le condizioni di contratto o anche decidere di risolverlo. In entrambi i casi, le parti si possono accordare per sospendere il contratto in attesa dei nuovi provvedimenti del Governo.
Se i lavori sono iniziati ma senza la concessione del credito
Se i lavori sono già iniziati ma manca la concessione del credito bancario, la questione è più complessa; nel caso in cui l’impresa abbia anticipato con risorse proprie l’inizio dei lavori, temendo ora di non riuscire a rientrare nei costi, potrebbe decidere di bloccare il cantiere. 
In questa ipotesi bisognerà fare riferimento al contratto di appalto e vedere cosa prevede per l’ipotesi di ritardo nei lavori o per il "recesso" da parte dell'impresa: se l’amministratore è stato previdente il condominio avrà richiesto la sottoscrizione, a carico dell’impresa, di una polizza a copertura degli eventuali danni di questo tipo. Anche in questo caso, comunque, sia il cliente sia l'appaltatore, possono chiedere la revisione o risoluzione del contratto.
Se è stata finanziata solo una parte dei lavori
Nel caso in cui solo una parte dei lavori abbia già ricevuto il finanziamento, impresa e committente possono decidere di eliminare parte dei lavori deliberati, ma non ancora iniziati, e operare di comune accordo una riduzione del contratto.
Se non si trova un accordo e gli obblighi di una delle parti sono divenuti eccessivamente onerosi a causa di avvenimenti straordinari e imprevedibili, come avviene proprio in questi casi, la parte che deve eseguire la prestazione può domandare la risoluzione del contratto per "eccesiva onerosità sopravvenuta". Sia i condomini che dovessero trovarsi nell’impossibilità di affrontare le spese, sia l’impresa che non riesce a stare nei costi, possono fare ricorso al giudice.
Infine, tenendo conto anche di tutte le speculazioni sui prezzi alle quali abbiamo assistito in questi mesi, potrebbe essere interessante per il cliente, chiedere la cosiddetta "riduzione ad equità del contratto", ovvero, invece di chiedere il recesso, il cliente potrebbe proporre di riportare il valore economico delle prestazioni contrattuali ad un giusto valore di scambio.
Se mancano i requisiti per i benefici fiscali
Nel caso in cui venisse rilevata l'assenza dei requisiti per accedere ai benefici fiscali, il recupero dell'imposta dovuta e le conseguenti sanzioni sarebbero a carico del contribuente. Tuttavia, il contribuente potrà ottenere il risarcimento del danno subito, chiamando in causa, a seconda dei casi, l’impresa che non ha rispettato le regole o il professionista che ha predisposto l’asseverazione delle opere in maniera non conforme alla legge. Resta invece molto poco probabile il rischio di incorrere in sanzioni a causa di cambiamenti con effetti retroattivi della legge.
Se non si riesce a ottenere la cessione del credito 
In alternativa alla cessione del credito, resta sempre la possibilità di utilizzare la detrazione delle spese fino al 110%. Ciò significa che i lavori dovranno essere pagati subito, ma poi si potrà ottenere una detrazione delle spese del 110%. A seconda dell’anno di sostenimento della spesa cambia la suddivisione della detrazione:
- per le spese sostenute nel 2020 e nel 2021 la detrazione va suddivisa in 5 rate di pari ammontare. Ad esempio, per una spesa di 10.000 euro, si ottengono 11.000 euro di detrazione pari a 2.200 euro annui da recuperare nelle 5 dichiarazioni dei redditi presentate a partire dall'anno di esecuzione dei lavori;
- per le spese effettuate dal 2022 in poi la detrazione deve essere ripartita in 4 rate di pari ammontare. Ad esempio, per una spesa di 10.000 euro gli 11.000 euro di detrazione si recuperano in rate da 2.750 euro dalla dichiarazione presentata nel 2023 e per i 3 anni successivi. Ricorda che fa fede il criterio di cassa dei pagamenti quindi le spese si considerano sostenute nell’anno in cui sono state pagate, a prescindere dalla data della fattura.

mercoledì 1 giugno 2022

Passaporto, cosa fare quando scade

Quando un passaporto scade, dieci anni dopo l'emissione, non si rinnova. Bisogna richiederne uno nuovo. Viene rilasciato un passaporto elettronico costituito da un libretto di 48 pagine a modello unificato. Tale libretto cartaceo è dotato di un microchip in copertina, che contiene le informazioni relative ai dati anagrafici, la foto e le impronte digitali del titolare.
Nuovo passaporto: dove e come richiederlo
La domanda per il rilascio del nuovo documento di viaggio può essere presentata presso i seguenti uffici del luogo di residenza, di domicilio o di dimora:
- la Questura.
- L'ufficio passaporti del commissariato di Pubblica Sicurezza.
- La stazione dei Carabinieri (per le impronte digitali il cittadino però si dovrà recare presso la questura o commissariato).
Attraverso il sito  passaportonline.poliziadistato.it si può richiedere online il passaporto, prenotando ora, data e luogo per presentare la domanda, evitando lunghe attese negli uffici di polizia. 
Chi intende richiedere il passaporto presso il luogo di domicilio e non presso quello di residenza, deve tenere presente che per effettuare correttamente i controlli previsti dalla legge ci sono alcune condizioni: la dimostrazione del domicilio o dimora in Comune diverso da quello di residenza e le ragioni che giustifichino perché non ci si rechi alla Questura di residenza per richiedere il passaporto. Soprattutto va considerato che si allungheranno i tempi di rilascio, in quanto occorrerà il nullaosta al rilascio che dovrà essere richiesto alla Questura di residenza.
La documentazione da presentare
Ecco quali sono i documenti necessari per ottenere un nuovo passaporto:
- il modulo stampato della richiesta passaporto;
- un documento di riconoscimento valido;
- 2 foto formato tessera identiche e recenti a sfondo bianco (chi indossa occhiali da vista può tenerli, purché le lenti siano non colorate e la montatura non alteri la fisionomia del volto);
- la ricevuta del pagamento a mezzo c/c di € 42,50. Il versamento deve essere effettuato esclusivamente mediante bollettino di conto corrente n.67422808 intestato a: Ministero dell'Economia e delle Finanze - Dipartimento del tesoro. La causale è la seguente: "importo per il rilascio del passaporto elettronico".
Un contrassegno amministrativo (marca da bollo) da € 73,50.

Responsabilità professionale medica, stop alle "liti temerarie" contro i medici

 Stop alle "liti temerarie" contro i medici: su 100 cause per responsabilità professionale, nel penale, solo il 5% porta a una con...