sabato 30 aprile 2016

Congedo oltre cinque mesi per i parti molto prematuri

Congedo di maternità obbligatorio extra lungo solo per i parti avvenuti in anticipo di oltre due mesi. Questa importante precisazione è contenuta nella circolare 69/2016 dell'Inps, con cui vengono fornite le indicazioni operative per l'applicazione delle novità in materia di congedi di maternità introdotte dal decreto legislativo 80/2015, entrato in vigore il 25 giugno dell'anno scorso.

Il decreto ha previsto che il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro possa essere superiore al limite standard di cinque mesi. Nella circolare si spiega che la novità riguarda i «parti fortemente prematuri», intendendo con tale espressione quelli che avvengono prima dei due mesi antecedenti la data presunta. In tali situazioni il congedo consiste nei tre mesi successivi al parto, più tutti i giorni tra la data presunta e quella effettiva.

Le nuove regole sono applicabili anche alle nascite avvenute prima del 25 giugno 2015 qualora il congedo si sia protratto oltre. Se la lavoratrice si è effettivamente astenuta con la durata “estesa” e il datore di lavoro ha conteggiato tutto il periodo, quest'ultimo potrà portare a conguaglio le indennità anticipate, mentre se sono state applicate le vecchie regole la lavoratrice può chiedere il ricalcolo dell'indennità.

In attesa dell'aggiornamento delle procedure telematiche, le domande per i parti fortemente prematuri vanno presentate, utilizzando il modello cartaceo SR01, alla sede Inps competente.

La circolare 69/2016 si occupa anche della possibilità di sospendere e rinviare il congedo di maternità in caso di ricovero in una struttura pubblica o privata del figlio nato, adottato o affidato dal 25 giugno 2015. La sospensione del congedo, però, comporta la ripresa dell'attività lavorativa da parte della madre. Infatti, riprendendo il decreto 80/2015, l'Inps precisa che la data di sospensione del congedo è quella in cui la madre riprende l'attività lavorativa e può essere successiva alla data di ricovero. La ripresa del congedo, invece, può coincidere con la data di dimissioni del bambino o essere antecedente.

Per sospendere, la lavoratrice deve comunicare alla struttura territoriale Inps la data di stop e quella di ripresa, insieme con una dichiarazione di responsabilità di aver comprovato all'azienda il ricovero del figlio e l'idoneità a riprendere l'attività, utilizzando un modello allegato alla circolare che deve essere spedito con posta elettronica certificata o per posta tradizionale.

Queste novità valgono per le lavoratrici dipendenti del settore privato e pubblico e per quelle iscritte alla gestione separata Inps.

Fonte: www.ilsole24ore.com//Congedo oltre cinque mesi per i parti molto prematuri - Il Sole 24 ORE

L'assenza ingiustificata prolungata può determinare la risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso

Con la recente sentenza n. 6900 dell'8 aprile 2016 la Corte di Cassazione ha esaminato una fattispecie nella quale un lavoratore sosteneva di essere stato licenziato "oralmente", in quanto, dopo essersi sottoposto ad un intervento chirurgico ed essersi successivamente assentato per circa un mese, senza fornire al datore alcuna notizia o certificazione, si era poi ripresentato sul posto di lavoro, che aveva trovato occupato, avendo il datore assunto altro personale per lo svolgimento delle medesime mansioni.
La Corte di merito, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda del lavoratore, ritenendo che il rapporto di lavoro si fosse risolto per mutuo consenso.
Il lavoratore ha impugnato la decisione, evidenziando, tra l'altro, che l'assenza ingiustificata dal posto di lavoro non dimostra, di per sé, la volontà di risolvere il rapporto di lavoro.
Con la sentenza in esame la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte di merito, affermando che, alla luce dei principi di buona fede e di correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., "il comportamento del titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell'abbandono della relativa pretesa, è idoneo come tale (essendo irrilevante qualificarlo come rinuncia tacita ovvero oggettivamente contrastante con gli anzidetti principi) a determinare la perdita della medesima situazione soggettiva".
In particolare, la Suprema Corte, richiamando la dottrina tedesca in analoga materia (Verwirkung), ha rilevato come in tal caso si verifichi "la preclusione di un'azione, o eccezione, o più generalmente di una situazione soggettiva di vantaggio, non per illiceità o comunque per ragioni di stretto diritto, ma a causa di un comportamento del titolare prolungato, non conforme ad essa e perciò tale da portare a ritenere l'abbandono".
Alla luce di quanto esposto, dunque, nel caso di assenza ingiustificata prolungata il datore di lavoro non sarebbe "costretto" a dare corso ad un procedimento disciplinare per risolvere il rapporto di lavoro, né sarebbero – a maggior ragione - richieste le dimissioni del lavoratore, la validità delle quali è ora sottoposta all'attivazione, da parte del lavoratore medesimo, di una specifica procedura (cfr. art. 26 del D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 151).
La pronuncia in esame appare di particolare interesse, in quanto sembra discostarsi dai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in altri casi analoghi; infatti, anche recentemente, la Suprema Corte (cfr. Cass. 10 febbraio 2016, n. 2645), ha ritenuto insufficienti, al fine di configurare la risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso nel caso di impugnazione di un contratto a termine, la prolungata inerzia del lavoratore nell'agire in giudizio per chiedere il ripristino del rapporto di lavoro nonchè la sussistenza di altre circostanze successive alla cessazione del rapporto a termine, dedotte dal datore di lavoro e ritenute non significative (nel caso esaminato dalla richiamata sentenza, il lavoratore aveva atteso circa quattro anni dalla scadenza del contratto a termine per depositare il ricorso ed aveva, altresì, instaurato un altro rapporto a termine e continuato a versare contributi come coltivatore diretto successivamente alla cessazione del contratto a termine impugnato).
La sentenza in esame ha affrontato anche un'ulteriore ed interessante questione di carattere processuale, in quanto il lavoratore aveva impugnato la decisione di merito per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sancito dall'art. 112 c.p.c., sostenendo che il datore non aveva mai eccepito la risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso.
La Suprema Corte, rigettando il motivo di gravame, ha aderito al prevalente orientamento circa la natura dell'eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso come eccezione "in senso lato", in quanto "rappresentante un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal contratto, che può essere accertato d'ufficio".

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Il Fisco userà anche Facebook e Twitter per contrastare l'evasione

Il Fisco utilizzerà i social network per il contrasto all’evasione. Presunzioni messe all’angolo nelle verifiche. Rafforzamento dello scambio dati fiscali con le autorità estere. Verifiche transfer pricing solo se realmente rilevanti. Accertamenti immobiliari con i guanti e se necessario con accessi in loco. Infine tre mesi in meno di tempo agli uffici per chiudere la voluntary disclosure, ci sarà tempo fino al 30 settembre per l’istruttoria delle pratiche e poter così emettere gli avvisi di accertamento, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre 2016. Sono queste alcune direttrici che emergono dalla circolare 16 firmata ieri da Rossella Orlandi direttore dell’Agenzia delle entrate, sulle linee guida di prevenzione e contrasto all’evasione.

Al debutto le fonti aperte nelle verifiche fiscali. Il direttore delle Entrate invita i suoi uomini a procedere con specifiche analisi di rischio perchè, nel contrasto all’evasione, si dovrà puntare a un miglioramento qualitativo. I controlli dunque dovranno essere sempre più incentrati a un uso appropriato delle banche dati e delle pallicazioni di ausilio e disposizione. Le banche dati cuore del reperimento di informazioni dunque tanto che è scritto che per il 2016 verranno tempestivamente arricchite nei loro contenuti con dati qualitativamente corretti. «Dal punto di vista operativo» sottolinea Orlandi, «alle notizie ritraibili dalle banche dati si aggiungono quelle che pervengono da altre fonti, ivi incluse fonti aperte, per cui lo scenario informativo è ampio e variegato». In altre parole occhi del Fisco per la prima volta ufficialmente puntati su Facebook, Twitter, Instagram e tutti i canali di reperimento di informazioni come siti e giornali. Se, con ogni probabilità nella pratica gli 007 fiscali sono attenti anche a questi dettagli, con queste righe ora non hanno più scuse e i social diventano una fonte primaria di analisi per il contrasto all’evasione.

Fonte: www.italiaoggi.it//Il Fisco userà anche Facebook - News - Italiaoggi

Agenzia delle Entrate: lieve inadempimento non pregiudica la rateizzazione

Il lieve inadempimento nel pagamento delle somme dovute in base agli atti scaturiti dall’attività di controllo dell’Agenzia delle entrate non pregiudica il perfezionamento della definizione, né l’eventuale rateazione, ma resta una violazione sanzionabile e regolarizzabile attraverso il ravvedimento operoso.

E’ una delle osservazioni contenute nella circolare n. 17/E del 29 aprile 2016, con la quale l’agenzia delle entrate riassume l’articolata disciplina dei versamenti delle somme dovute dai contribuenti in dipendenza dell’attività accertatrice, dopo le modifiche apportate dal dlgs n. 159/2015, ed illustra l’istituto del “lieve inadempimento” previsto dall’art. 15-ter del dpr n. 602/73, introdotto dal medesimo dlgs di revisione della riscossione.  

In base al comma 3 del predetto art. 15-ter, la condizione del “lieve inadempimento” non pregiudica, a seconda dei casi, la definizione dell’atto o la rateazione, nelle ipotesi di ritardi brevi o di errori di limitata entità nel versamento delle somme dovute.

Fonte: www.italiaoggi.it//Lieve inadempimento non pregiudica la rateizzazione - News - Italiaoggi

Ticket mal posizionato in auto: niente contravvenzione, ma l’automobilista paga le spese processuali

Parcheggio effettuato, ma tagliando per la sosta a pagamento sistemato frettolosamente sul sedile posteriore della vettura. Il vigile urbano non se ne accorge: logica la multa. Contravvenzione nulla, sanciscono i giudici, ma la sbadataggine dell’automobilista gli costa cara: dovrà pagare le spese sostenute per il processo. Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8282 del 27 aprile.

Errore. Vittoria e sospiro di sollievo, quindi, per l’automobilista: annullata la «sanzione amministrativa per mancato pagamento della sosta». Egli però deve farsi carico di parte delle «spese di lite». Per il Giudice di Pace e il Tribunale, difatti, vi sono tutti i presupposti per «compensare le spese». Ciò proprio alla luce della stranezza della vicenda, da cui è emersa la correttezza del comportamento tenuto dall’agente di Polizia municipale, che, non per sua colpa, non si era reso conto della presenza del ticket sul «sedile posteriore» della vettura.

E tale visione viene ora condivisa dalla Cassazione.

Inutili le proteste dell’automobilista, che, ha spiegato in aula, «per ottenere l’annullamento di una ingiusta contravvenzione, da 45 euro» ha dovuto «sborsare dieci volte» quella somma per sostenere «costi di spostamento e costi di iscrizione a ruolo» e «spese per l’impugnazione in sede di Appello e in Cassazione».

Per i magistrati di Cassazione «il comportamento del vigile urbano» è stato assolutamente «corretto», perché «non era dato riscontrare la presenza del ticket, né, se anche fosse stato lasciato sul sedile, in tale posizione sarebbe stato agevole operare il dovuto controllo». E in questa ottica va tenuto presente che «la tipologia dell’infrazione è evidentemente affidato al buon senso dei conducenti» che dovrebbero «esporre in modo visibile il tagliando», così da «agevolare l’attività di controllo», evitando «disguidi».

Tutto ciò ha permesso di escludere che «la mancata adeguata esposizione del tagliando potesse legittimare la contestazione della violazione», ma, aggiungono i giudici, allo stesso tempo, è stato anche dimostrata l’assenza di «un errore» o di «una negligenza riferibile al vigile e, di conseguenza, all’autorità amministrativa». E tale ultimo dato è stato correttamente ritenuto decisivo, nonostante le obiezioni dell’automobilista, per la «compensazione delle spese» processuali.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Ticket mal posizionato in auto: niente contravvenzione, ma l’automobilista paga le spese processuali - La Stampa

giovedì 28 aprile 2016

Sì definitivo al Ddl di rifoma della magistratura onoraria

I magistrati onorari in servizio al 26 novembre 2015 sono 5.722. La norma attua una riforma organica della magistratura onoraria attraverso la predisposizione di uno statuto unico applicabile ai giudici di pace, ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari. Si prevede, quindi, una disciplina omogenea relativamente alle modalità di accesso, alla durata dell'incarico, al tirocinio, alla necessità di conferma periodica, alla responsabilità disciplinare, alla modulazione delle funzioni con l'attribuzione ai magistrati onorari sia di compiti di supporto all'attività dei magistrati professionali, sia di funzioni propriamente giudiziarie, alla formazione e dei criteri di liquidazione dei compensi.
Cade la distinzione tra giudici di pace e giudici onorari di tribunale: ci sarà un'unica figura di giudice onorario, denominato giudice onorario di pace (gop), inserito in un solo ufficio giudiziario. I magistrati requirenti onorari confluiranno invece nelle procure della Repubblica in una specifica articolazione (ufficio dei vice procuratori onorari).
Novità anche in merito all'accesso: per la nomina basterà la sola laurea in giurisprudenza, ma stop all'ingresso di chi è già in pensione. Vengono poi ridefiniti il requisito dell'età (dai 27 ai 60 anni), i titoli preferenziali e il procedimento di nomina che ora spetterà alla sezione autonoma della magistratura onoraria (che va istituita) del Consiglio giudiziario.
La durata dell'incarico è stabilita in quattro anni, rinnovabile per una sola volta (per chi è già in servizio il limite massimo resta quello di quattro quadrienni). Lo svolgimento delle funzioni di magistrato onorario per due mandati sarà titolo preferenziale nei concorsi per la pubblica amministrazione.
Tra le varie innovazioni, il testo approvato definitivamente a Montecitorio amplia poi la casistica in cui il giudice di pace può decidere secondo equità, per le cause che non superano i 2.500 euro, e prevede una sezione autonoma del consiglio giudiziario con la partecipazione di magistrati onorari elettivi.
Durerà un anno la delega che prevede un'unica figura di giudice onorario e disciplina le modalità di accesso, il procedimento di nomina, il tirocinio, le modalità di impiego, il procedimento di conferma, la durata massima dell'incarico, la responsabilità disciplinare, la formazione professionale. Nel settore civile è prevista la possibilità di ampliare la competenza dell'ufficio del giudice di pace per materia e valore.
LA SCHEDA DELLA CAMERA
L'Assemblea della Camera dei deputati avvia, martedì 26 aprile 2016, la discussione del disegno di legge n. 3672-A, già approvato dal Senato, sulla riforma della magistratura onoraria. La
La delega
Il disegno di legge contiene una delega di un anno al Governo (più due anni per gli eventuali decreti correttivi), in modo da prevedere un'unica figura di giudice onorario, inserito in un solo ufficio giudiziario nonché la figura del magistrato requirente onorario, inserito nell'ufficio della procura della Repubblica.
Sostanzialmente, per favorire la creazione di uno statuto unico dei magistrati onorari si prevede che i Giudici onorari di tribunale (GOT) confluiscano nell'ufficio del giudice di pace; viene così superata la distinzione tra i due magistrati onorari giudicanti, che assumeranno la denominazione "giudici onorari di pace" (GOP). E' fatta salva la possibilità di un loro diverso impiego all'interno del tribunale.
In relazione ai Vice Procuratori Onorari (VPO), si prevede il loro inserimento in una specifica articolazione presso le Procure della Repubblica ("ufficio dei vice procuratori onorari") presso i tribunali ordinari.
L'accesso alla magistratura onoraria
I principi e criteri direttivi enunciati riguardano: l'esigenza di disciplinare i requisiti e le modalità di accesso alla magistratura onoraria, il procedimento di nomina ed il tirocinio. Come novità, rispetto a quanto previsto dalla disciplina vigente su giudici di pace e GOT (quest'ultima comune a quella dei VPO), si segnala anzitutto che il titolo di studio richiesto per la nomina è la sola laurea in giurisprudenza.
In relazione ai nuovi titoli preferenziali per la nomina a magistrato onorario (esercizio, anche pregresso, delle funzioni giudiziarie onorarie e della professione forense o notarile; insegnamento di materie giuridiche nelle università) risultano non previsti alcuni specifici titoli preferenziali oggi stabiliti dall'ordinamento giudiziario e dalla legge 374/1991. A parità di titoli preferenziali si prevede inoltre che abbia la precedenza chi abbia maggior anzianità professionale e, in caso di ulteriore parità, il più giovane di età.
Una ulteriore novità è prevista in relazione ad uno specifico motivo ostativo alla nomina a magistrato onorario: nonostante il possesso dei titoli previsti non potrà, infatti, essere nominato chi è già stato collocato in pensione.
Diversamente da quanto ora previsto, il bando di concorso per titoli per magistrato onorario è di competenza della sezione autonoma della magistratura onoraria del Consiglio giudiziario .
La formazione
Per quanto concerne il necessario periodo di formazione prima di essere immessi nelle funzioni giudiziarie onorarie, il principio di delega rimette alle disposizioni adottate nell'esercizio della delega la disciplina sulla durata e le modalità di svolgimento del periodo formativo.
Sarà la sezione autonoma della magistratura onoraria presso il Consiglio giudiziario (anziché, come attualmente, il Consiglio giudiziario) a formulare un giudizio di idoneità e a proporre al CSM una graduatoria degli idonei alla nomina a magistrato .
E' esplicitamente escluso dal principio di delega che al magistrato onorario sia dovuta - durante il tirocinio - qualche forma di indennità.
Altro obiettivo della delega è quello di operare la ricognizione e il riordino della disciplina in materia di formazione professionale A tale scopo è prevista una formazione permanente decentrata, valida per l'intera magistratura onoraria, con la partecipazione dei magistrati onorari a corsi dedicati di cadenza almeno semestrale, organizzati sulla base dei programmi indicati dalla Scuola superiore della magistratura.
Sono poi previste disposizioni immediatamente precettive - nelle more dell'attuazione della riforma - sulla formazione permanente decentrata e sulla partecipazione degli attuali magistrati onorari, giudicanti (giudici di pace e GOT) e requirenti (VPO) alle citate riunioni trimestrali organizzate, rispettivamente, dal presidente del tribunale e dal procuratore della Repubblica.
Le incompatibilità
In base alla delega dovrà essere effettuata la ricognizione e il riordino della disciplina relativa alle incompatibilità all'esercizio delle funzioni di magistrato onorario. In particolare, sono individuate alcune categorie di soggetti che non possono svolgere le funzioni di magistrato onorario: rispetto alla normativa vigente, la riforma introduce un'incompatibilità per quanti abbiano ricoperto incarichi nei sindacati maggiormente rappresentativi.
Ulteriori disposizioni riguardano i magistrati onorari che svolgano la professione forense. Elemento di novità rispetto alla normativa vigente è il riferimento all'esercizio della professione in forma societaria. Innovativa è la disposizione che intende consentire al magistrato onorario l'esercizio della professione forense davanti al tribunale per i minorenni, al tribunale penale militare, ai giudici amministrativi e contabili, alle commissioni tributarie.
Principi di delega riguardano anche l'incompatibilità familiare e si esclude che il magistrato onorario possa assumere o mantenere incarichi affidati dall'autorità giudiziaria nell'ambito del circondario nel quale svolge le funzioni onorarie.
Gli stessi contenuti di questi principi e criteri direttivi, relativi a tutti i magistrati onorari, sono formulati in termini prescrittivi dal disegno di legge, relativamente alle incompatibilità del solo giudice di pace.
Le modalità di impiego dei magistrati onorari
Il disegno di legge stabilisce le modalità di impiego dei giudici onorari di pace nei tribunali, riprendendo a grandi linee la disciplina oggi vigente ed aggiungendo – seppur con ampie cautele – la possibilità di inserire i giudici onorari anche nei collegi giudicanti civili e penali.
Il Governo dovrà esercitare la delega in modo da:
attribuire al Presidente del tribunale il compito di inserire i giudici onorari nell'ufficio per il processo;
disciplinare la possibile applicazione dei giudici onorari nel collegio; pur escludendo l'applicazione del magistrato onorario quale componente delle sezioni specializzate, il disegno di legge consente infatti ai presidenti di tribunale di applicare i giudici onorari di pace, che abbiano già svolto 2 anni di incarico (trascorsi obbligatoriamente presso l'ufficio del processo del tribunale, quali componenti dei collegi giudicanti civili e penali. Tale applicazione, «non stabile», dovrà essere prevista in casi «tassativi, eccezionali e contingenti» e in presenza di specifici presupposti;
disciplinare la possibile applicazione dei giudici onorari per la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario. Anche in questo caso dovrà trattarsi di magistrati onorari che abbiano già svolto 2 anni di incarico (presso l'ufficio del processo) e il legislatore delegato è chiamato a individuare ipotesi tassative che giustifichino questa applicazione, escludendo l'applicazione di magistrati onorari nella trattazione di alcuni procedimenti, sia in materia civile sia in materia penale.
In campo civile dovrà essere ampliata, nel settore civile, la competenza del magistrato onorario, per materia e per valore, e saranno estesi, per le cause il cui valore non ecceda euro 2.500, i casi di decisione secondo equità.
Nel settore penale, il giudice onorario di pace potrà trattare:
- contravvenzioni;
- delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a 4 anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva;
- violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 336 del codice penale;
- resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 337 del codice penale;
- oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell'articolo 343, secondo comma, del codice penale;
- violazione di sigilli aggravata a norma dell'articolo 349, secondo comma, del codice penale;
- rissa aggravata a norma dell'articolo 588, secondo comma, del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime;
- furto aggravato a norma dell'articolo 625 del codice penale;
- ricettazione prevista dall'articolo 648 del codice penale.
Quanto all'impiego dei magistrati onorari all'interno delle procure della Repubblica, dovrà essere costituita all'interno della procura una struttura organizzativa nella quale inserire i vice procuratori onorari, personale di cancelleria e i tirocinanti laureati; ai vice procuratori onorari potranno essere attributi alcuni compiti, individuati dal disegno di legge. L'esclusione per alcuni compiti potrà essere superata dal legislatore delegato in relazione alla modesta offensività di specifici reati.
Durata e permanenza nell’incarico
Motivi ostativi della conferma sono individuati nell'aver riportato la sanzione disciplinare della sospensione dall'incarico o nell'essere stato condannato a più di una sanzione.
Sono, poi, indicati come elementi necessari del giudizio di idoneità per la conferma la capacità, la produttività, la diligenza e l'impegno del magistrato onorario. Sono disciplinate le conseguenze della mancata conferma, che comporterà l'impossibilità di proporre nuove domande per magistrato onorario.
Novità di rilievo è costituita dalla previsione secondo cui nei primi due anni dell'incarico, i giudici onorari di pace (cioè gli attuali GOT e giudici di pace) devono essere impiegati presso l'ufficio del processo.
La durata dell'incarico di magistrato onorario non può superare gli 8 anni. Lo svolgimento per due quadrienni delle funzioni di magistrato onorario viene riconosciuto come titolo preferenziale nei concorsi nelle amministrazioni dello Stato.
Trasferimento ad altro ufficio
Il disegno di legge detta poi principi e criteri di delega per regolamentare il procedimento di trasferimento ad altro ufficio. Con tali disposizioni, che riguardano l'intera magistratura onoraria, viene demandato al legislatore delegato il compito di regolare il trasferimento a domanda del magistrato onorario, procedura attualmente possibile in riferimento al solo giudice di pace. Altra novità è che si rende possibile il trasferimento d'ufficio del magistrato onorario per "esigenze organizzative oggettive" dei tre uffici giudiziari di svolgimento dell'incarico (ufficio del giudice di pace, tribunale e Procura).
Astensione e decadenza
Sono individuati nella delega i doveri e i casi di astensione del magistrato onorario. Inoltre sono stabiliti i casi di decadenza dall'incarico, revoca e dispensa dal servizio. In relazione alla decadenza e dispensa si prevede l'applicazione all'intera magistratura onoraria della disciplina prevista per i giudici di pace (art. 9 della L. 374/1991). Con esclusione delle ipotesi di dimissioni volontarie del magistrato onorario, si prevede che la dichiarazione di decadenza, dispensa e revoca dal servizio sia di competenza della sezione autonoma della magistratura onoraria del Consiglio giudiziario che, previa istruttoria, la deve trasmettere al CSM affinché provveda sulla dichiarazione.
La responsabilità disciplinare
Il disegno di legge indica i principi e criteri direttivi di delega per regolamentare la responsabilità disciplinare e quindi individuare le fattispecie di illecito disciplinare, le relative sanzioni e la procedura per la loro applicazione. La relativa disciplina per la magistratura onoraria viene unificata, tenendo conto delle fattispecie stabilite per la magistratura ordinaria e il procedimento disciplinare è modellato su quello previsto per il giudice di pace.
I poteri di coordinamento del Presidente del tribunale
La previsione e regolamentazione del potere del presidente del tribunale di coordinare i giudici onorari di pace costituisce uno dei profili di maggior rilievo del disegno di legge. Infatti, la disciplina vigente individua l'ufficio del giudice di pace come autonoma struttura sia dal punto di vista funzionale che organizzativo, diretta dal giudice di pace coordinatore.
La riforma prevede anzitutto l'attribuzione al presidente del tribunale, in sede di coordinamento dell'ufficio del giudice di pace, di provvedere alla gestione complessiva del personale sia di magistratura (gli attuali GOT e giudici di pace) che amministrativo. In tale ambito, il presidente provvederà alla predisposizione delle tabelle di organizzazione dell'ufficio onorario, che proporrà al presidente della Corte d'appello. L'assegnazione degli affari ai giudici onorari di pace dovrà avvenire sulla base dei criteri stabiliti dal presidente del tribunale in sede tabellare e mediante il ricorso a procedure automatiche.
In considerazione della gravosità dei nuovi compiti, è previsto che il presidente del tribunale possa avvalersi dell'ausilio di giudici professionali.
Le citate prerogative del presidente del tribunale sul coordinamento e la complessiva gestione dell'ufficio del giudice di pace sono di immediata precettività.
L’indennità e il regime previdenziale
E' prevista, anzitutto, una doppia componente dell'indennità per tutti i magistrati onorari, costituita da una parte fissa e una parte variabile.
Tale articolazione è attualmente prevista per i soli giudici di pace, retribuiti - oltre che con una base fissa - con una parte variabile che tiene conto delle udienze tenute e dei provvedimenti definitivi emessi, senza alcuna tutela previdenziale ed assistenziale.
Il Governo, in sede di attuazione, dovrà prevedere le modalità con cui il Ministero della giustizia provvede alla individuazione, anno per anno, delle risorse necessarie ad ogni tribunale e procura per la liquidazione delle indennità dell'intero personale di magistratura onoraria. Tali risorse sono individuate nell'ambito delle dotazioni ordinarie di bilancio.
Un criterio direttivo riguarda, infine, il regime previdenziale e assistenziale dell'intera magistratura onoraria, compatibile con la natura onoraria dell'incarico, che dovrebbe essere adottato dal legislatore delegato a costo zero per l'erario (senza oneri per la finanza pubblica).
I consigli giudiziari
Il Governo dovrà disciplinare, all'interno dei consigli giudiziari, una sezione autonoma alla quale partecipano magistrati onorari.
La disciplina transitoria
Per quanto riguarda la permanenza in carica dei magistrati onorari (tutti, cioè giudici di pace, GOT e VPO) in servizio alla data di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega, si prevede in particolare:
- la possibilità di essere confermati per quattro ulteriori mandati di 4 anni;
- che nell'ultimo quadriennio di mandato i GOT possono lavorare nell'ufficio del processo e i VPO debbano soltanto coadiuvare il sostituto procuratore nell'attività preparatoria relativa alle sue funzioni;
- che, tuttavia, il CSM - valutate le esigenze di servizio - possa confermare il magistrato onorario per l'ultimo quadriennio destinandolo all'esercizio di funzioni giudiziarie;
- che la disciplina indicata sia applicabile anche ai magistrati onorari che abbiano compiuto 65 anni alla scadenza di tre quadrienni, che potranno essere confermati fino al raggiungimento del limite di età;
- che detto limite di età per l'esercizio delle funzioni di magistrato onorario sia in ogni caso fissato a 68 anni (al compimento dei quali cessa quindi dall'attività); il superamento dei 65 anni di età sarà quindi possibile solo ai magistrati onorari in servizio alla data di entrata in vigore della riforma.
Un autonomo criterio di delega stabilisce che, per i primi quattro anni dall'entrata in vigore del decreto legislativo, per la liquidazione delle indennità spettanti ai VPO, continuino ad applicarsi i criteri di liquidazione vigenti al momento della indicata data di entrata in vigore.
Ulteriori criteri direttivi stabiliscono:
- che i procedimenti disciplinari pendenti alla data di entrata in vigore del decreto o dell'ultimo dei decreti legislativi siano regolati dalle disposizioni vigenti a tale data;
- l'applicazione della disciplina previgente – se più favorevole - ove gli illeciti disciplinari riguardino fatti commessi prima dell'entrata in vigore del decreto o dei decreti legislativi.
Per un periodo di due anni, successivi all'entrata in vigore della riforma, sarà consentito di applicare giudici di pace in servizio presso un determinato ufficio presso altri uffici del giudice di pace del medesimo distretto di corte d'appello, anche se privi di scoperture di organico.
Si prevede poi che la riforma della magistratura onoraria prevista dalla disegno di legge delega in esame sia applicata in Trentino-Alto Adige/Süd Tirol e in Valle d'Aosta/Vallèe d'Aoste compatibilmente con le norme statutarie e la relativa disciplina di attuazione.

Fonte: www.ilsole24ore.com//Sì definitivo al Ddl di rifoma della magistratura onoraria

Il Fisco affina i controlli: stop al recupero di importi esigui e basta caccia agli errori formali

La lotta all’evasione cambia passo: stop alla caccia all’errore involontario, ai recuperi solo formali o per importi esigui che oltre a creare inefficienza danno una percezione errata dell’operato dell’Agenzia. Cresce invece la centralità nel rapporto tra Fisco e contribuenti: il dialogo, la trasparenza e un approccio chiaro, semplice e privo di preconcetti. Il tutto accanto alla lotta senza quartiere alle forme di evasione più gravi e alle frodi, anche con tecniche innovative.
Sono questi i principi cardine della circolare sulle strategie di prevenzione e contrasto dell’evasione 2016 dell’Agenzia delle Entrate che si propone gli ambiziosi obiettivi di ridurre il tax gap, migliorare la qualità dell’accertamento e ridurre l’invasività dei controlli. Tra le sfide del 2016, l’Amministrazione, si legge in una nota, «dovrà affinare sempre di più la qualità dei controlli, evitando lo spreco di energie in contestazioni puramente formali o di ammontare esiguo e concentrandosi piuttosto su concrete e rilevanti situazioni di rischio. Le presunzioni fissate dalla legge a salvaguardia della pretesa erariale saranno applicate secondo criteri di proporzionalità e ragionevolezza, grazie alla collaborazione del contribuente che potrà dimostrare e giustificare eventuali anomalie».
«Per cambiare verso bisogna cambiare mentalità, cambiare approccio, bisogna mettersi nei panni dell’altra parte», scrive il direttore dell’Agenzia delle Entrate Rossella Orlandi in una lettera ai dipendenti. «Questo significa - aggiunge - che l’obbligo fiscale non deve essere fatto pesare in termini di adempimenti inutili ripetitivi e defatiganti, di burocrazia, di regole incomprensibili; che il rigore non va confuso con l’arroganza, di cui anzi è l’antitesi; che uno sgravio o un rimborso sulla cui spettanza non vi siano dubbi devono essere eseguiti senza indugi o ritardi; che, in sede di accertamento con adesione, le proposte dell’ufficio non devono essere prospettate come un minaccioso ultimatum ma sempre nell’ottica della corretta e civile dialettica tra le parti».

Fonte: www.lastampa.it//Il Fisco affina i controlli: stop al recupero di importi esigui e basta caccia agli errori formali - La Stampa

La figlia maggiorenne va via di casa e il Comune chiede il rilascio dell’immobile

Se la figlia, divenuta maggiorenne, decide di andare a vivere altrove è legittima la richiesta del Comune di ottenere il rilascio dell’immobile concesso in abitazione al coniuge affidatario, in quanto è venuta meno la ragione giustificatrice. Questo il principio applicato dalla Cassazione (sentenza n. 7621 del 18 aprile scorso) per decidere la controversia sorta tra una donna e un Comune toscano.
Il caso. La donna, in sede di scioglimento del vincolo matrimoniale, affidataria della figlia minorenne, aveva ottenuto la concessione di abitare l’immobile del Comune in quanto casa coniugale. Raggiunta la maggiore età della figlia il Comune, tramite ordinanza, le imponeva il rilascio dell’immobile. Portata la vicenda nelle aule del Tribunale, i giudici sin dal primo grado non riconoscevano alcuna ragione alla donna: ella occupava senza titolo l’immobile, in quanto la figlia, nel frattempo divenuta maggiorenne, era andata a vivere altrove. Trattandosi di assegnazione della casa coniugale, una volta revocata l’assegnazione da parte del Tribunale non sussistevano ragioni atte a consentire alla donna di continuare a godere dell’immobile originariamente assegnato all’ex coniuge.
L’affidamento come ragione giustificatrice dell’assegnazione della casa. Dello stesso parere sono stati anche i Giudici di Cassazione, secondo i quali in materia di alloggio di edilizia residenziale pubblica, e «ai contratti di locazione ad essi relativi, si applica la relativa normativa vigente statale e regionale». Nel caso specifico il rapporto tra la donna e il Comune è sorto ai sensi della legge regionale della Toscana n. 96/1996, con «l’obbligo di uniformarsi alla decisione del Giudice» di assegnazione o, come in questo caso, di revoca. Essendo venuta meno l’assegnazione giudiziale «quale ragione legittimante il contratto» la donna «è divenuta occupante sine titolo», e, tra l’altro, non rientra nemmeno nella categoria degli aventi diritto ai sensi della menzionata legge regionale toscana, «non avendo partecipato a nessuna graduatoria».

Fonte: www.ilfamiliarista.it/La figlia maggiorenne va via di casa e il Comune chiede il rilascio dell’immobile - La Stampa

Ha ‘diritto di precedenza’, ma arriva a 50 chilometri l’ora all’incrocio: incidente e multa

Nessuna possibilità di contestare il verbale comminato al motociclista. Ha approcciato in modo non corretto l’incrocio stradale, procedendo a una velocità eccessiva e fidando sul suo ‘diritto di precedenza’. Per la Corte di Cassazione è addebitabile anche a lui il violento urto con una macchina (sentenza n. 8289 di ieri) .
Scontro. Valutazioni comuni per il Giudice di pace e per i giudici del Tribunale: respinta, di conseguenza, l’«opposizione» del motociclista al «verbale» comminatogli a seguito di uno scontro con una vettura.
A lui, difatti, è attribuita una condotta non corretta: in sostanza, egli non ha regolato, come necessario, «la velocità» nell’approccio all’incrocio stradale. E questo dato – testimoniato anche dallo «spazio di frenata» e dalla «violenza dell’urto» – non è reso meno significativo, spiegano i giudici, dal ‘diritto di precedenza’ del motociclista.
Cautela. E anche in Cassazione il comportamento tenuto dall’uomo alla guida della ‘due ruote’ viene censurato. Su questo fronte, in particolare, viene chiarito che «la velocità di circa 50 chilometri orari» nell’avvicinamento all’incrocio è «certamente eccessiva».
Evidente, quindi, l’errore compiuto dal motociclista, che, pur tenendo conto del proprio ‘diritto di precedenza’, avrebbe dovuto agire con la «necessaria cautela» e «moderare» l’andatura. Ciò anche perché «il ‘diritto di precedenza’» non esenta dall’«obbligo» di «usare la dovuta attenzione nell’attraversamento di un incrocio».
Non contestabile, quindi, il «verbale» comminato al motociclista.

Fonte: www.dirittoegiustzia.it/Ha ‘diritto di precedenza’, ma arriva a 50 chilometri l’ora all’incrocio: incidente e multa - La Stampa

Multa valida anche senza avviso

Resta valida la multa stradale comminata con un apparecchio automatico installato senza avvisare i passanti ai fini della privacy. Infatti, i controlli automatici sulle infrazioni ricadono sì nel regime degli impianti di videosorveglianza e quindi la loro presenza va comunicata al pubblico, ma questo non ha alcuna influenza ai fini del Codice della strada, che sono doversi da quelli della normativa sulla riservatezza. Questo è il principio affermato dalla Seconda sezione civile della Cassazione, nella sentenza 8415/2016, depositata ieri.

Una conclusione che pare di carattere generale, applicabile anche a infrazioni commesse oggi, mentre il fatto su cui hanno deciso i giudici risaliva al 2007. Cioè a prima che il Garante della privacy, con la delibera dell’8 aprile 2010, estendesse ai rilevatori di infrazioni stradali gli obblighi di comunicazione al pubblico previsti dall’articolo 13 del Dlgs 196/2003 per gli impianti di videosorveglianza (non necessariamente cartelli, ma anche pannelli a messaggio variabile, volantini, annunci radio eccetera). Finora, per i casi precedenti all’8 aprile 2010, la Cassazione aveva solo detto che non c’era bisogno di comunicazione.

Nella sentenza di ieri, la Corte dice che comunque la mancata comunicazione comporta solo una sanzione in base alle norme sulla privacy (articolo 161 del Dlgs 196/2003): sulle infrazioni stradali valgono il Codice della strada e la normativa collegata ad esso. Che, quando prevede obblighi di informazione, lo fa solo per influenzare i comportamenti di chi guida, non per tutelare la sua riservatezza.

Fonte: www.ilsole24ore.com//CASSAZIONE: Multa valida anche senza avviso (Il Sole 24 Ore) -

mercoledì 27 aprile 2016

Particolare tenuità del fatto: si applica anche alla guida in stato di ebbrezza

Il beneficio della particolare tenuità del fatto scatta a qualsiasi fattispecie criminosa, purché sussistano i presupposti richiesti dalla legge, ovvero se si tratta di ipotesi sanzionata con la pena detentiva inferiore nel massimo a cinque anni, la condotta non sia abituale e l'offensività sia ridotta. E' quanto hanno stabilito le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, con la sentenza 6 aprile 2016, n. 13681, secondo le quali, ciò che rileva ai fini dell'applicazione dell'istituto, è la sussistenza dei presupposti di legge e non il valore-soglia.
La Quarta Sezione Penale rimetteva alle Sezioni Unite la questione relativa alla compatibilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis c.p., con i reati previsti dall'art. 186, comma 2, lett. b) e c), cod. strad., e con gli illeciti caratterizzati dalla presenza di soglie di punibilità.
Secondo un primo orientamento, al quesito occorre dare risposta positiva: si è osservato, infatti, che l'istituto si giustifica alla luce della riconosciuta graduabilità del reato in relazione al disvalore d'azione e d'evento, nonché all'intensità della colpevolezza. Occorre compiere una valutazione relativa al fatto concreto e verificare se la irripetibile manifestazione dell'illecito presenti un ridottissimo grado di offensività.
Non vi è alcun ostacolo, secondo tale impostazione, ad applicare l'istituto anche ai reati di pericolo astratto o presunto. La previsione di un valore-soglia per la configurazione del reato, come accade nel reato di guida in stato di ebbrezza, svolge la sua funzione sul piano della selezione categoriale, mentre la particolare tenuità richiede un “vaglio tra le epifanie nella dimensione effettuale”.
Conseguentemente l'istituto è applicabile anche in relazione alla più grave fattispecie di guida in stato di ebbrezza, dovendosi considerare non solo l'entità dello stato di ebbrezza ma anche le modalità della condotta e l'entità del pericolo o del danno cagionato.
Relativamente al reato di guida in stato di ebbrezza, appare evidente che il superamento della soglia di rilevanza penale coglie il disvalore della situazione pericolosa o dannosa; quanto più ci si allontana dal valore-soglia tanto più è verosimile che ci si trovi in presenza di un fatto non specialmente esiguo.
Al tempo stesso, secondo gli ermellini, nessuna conclusione può trarsi in astratto, senza considerare le peculiarità del caso concreto, ricordando che l'ambito applicativo dell'istituto è definito non solo dalla gravità del reato desunta dalla pena edittale, ma anche dal profilo soggettivo afferente alla non abitualità del comportamento.
Da quanto esposto la Corte evidenzia i seguenti principi di diritto:
l'art. 131-bis c.p. trova, quindi, applicazione ad ogni fattispecie criminosa, in presenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma;
il comportamento deve ritenersi abituale quando l'autore ha commesso, anche successivamente, più reati della stessa indole, oltre quello oggetto del procedimento;
alla esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto consegue l'applicazione, demandata al Prefetto, delle sanzioni amministrative accessorie stabilite dalla legge;
la inammissibilità del ricorso per Cassazione preclude la deducibilità e la rilevabilità d'ufficio di tale causa di esclusione della punibilità;
nei soli procedimenti pendenti davanti alla Corte di Cassazione per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, la relativa questione, in applicazione dell'art. 2, comma 4, c.p., è deducibile e rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 609, comma 2, c.p.p.;
la Corte di Cassazione, se riconosce la sussistenza di tale causa di non punibilità, la dichiara d'ufficio ex art. 129, comma 1, c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata a norma dell'art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p.

Fonte: www.altalex.com/Particolare tenuità del fatto: si applica anche alla guida in stato di ebbrezza | Altalex

Canone RAI, uno solo anche per le coppie di fatto

Il Canone Rai continua a tener banco: l’Agenzia delle Entrate, ancora una volta, ha fornito utili chiarimenti -sotto la veste delle FAQ– in merito alla spettanza del pagamento. In particolare, nella giornata di ieri il Fisco ha chiarito cosa si intenda per famiglia anagrafica, e se i titolari di un bed&breakfast e i pazienti ricoverati nelle case di riposo sono tenuti a pagare il canone.

Famiglia anagrafica
Un chiarimento senza dubbio importante è quello relativo al concetto di famiglia anagrafica: specificazione interessante perché, come noto, il canone è dovuto una sola volta per tutti gli apparecchi detenuti nella residenza o dimora dallo stesso soggetto e dai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica. L’Agenzia delle Entrate, rifacendosi al Regolamento Anagrafico della Popolazione Residente, osserva come, agli effetti anagrafici, per famiglia si intenda “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso Comune (unico nucleo familiare); una famiglia anagrafica può essere costituita da una sola persona”. I soggetti devono effettuare un’apposita dichiarazione, che non può essere soggetta a continui ripensamenti.
B&B
Il titolare del B&b non deve pagare il canone, in quanto già paga quello speciale. “I contribuenti che sono titolari di un bed and breakfast e che già pagano il canone speciale per la tv, non sono tenuti al pagamento del canone di abbonamento alla televisione per uso privato e, se sono intestatari di utenza elettrica residenziale, possono evitarne l’addebito presentando la dichiarazione sostitutiva di non detenzione, compilando il quadro A”.
Casa di riposo
In ultimo, il chiarimento sugli ospiti delle case di riposo. Se proprietari di un apparecchio televisivo, sono tenuti al pagamento anche se ricoverati. Se si è sprovvisti di apparecchio televisivo, ma si è titolari di utenza elettrica, per evitare l’addebito bisognerà presentare la dichiarazione sostitutiva di non detenzione. E, qualora il contribuente “non possieda la tv e non sia titolare di un’utenza elettrica con tariffa residenziale (ad esempio, perché l’utenza elettrica è intestata al figlio che risiede in altra abitazione) ed è già titolare di abbonamento alla TV dovrà seguire la procedura già utilizzata negli anni passati e, quindi, nel caso non abbia la TV, dovrà dare disdetta dell’abbonamento ai sensi dell’ART. 10 del R.D.L. n. 246/1938, inviando un’apposita raccomandata allo Sportello SAT dell’Agenzia delle Entrate”.

Fonte: www.fiscopiu.it/Canone RAI, uno solo anche per le coppie di fatto - La Stampa

Contribuenti decaduti, il Fisco fornisce le istruzioni per la riammissione

Riammissione ai piani di rateazione decaduti, ecco le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate. Come noto, la Legge di Stabilità 2016 ha concesso la riammissione alla rateazione per quei contribuenti che sono decaduti nei tre anni antecedenti al 15 ottobre 2015. Con la Circolare n. 13/E pubblicata venerdì 22 aprile, l’Agenzia delle Entrate ha fornito indicazioni, modalità e termini per poter godere del beneficio della riammissione, evidenziando due ambiti particolari: uno soggettivo ed uno oggettivo.
Nel primo caso, rientra la tipologia di contribuenti potenzialmente interessati alla riammissione in rateazione; nel secondo, le condizioni che devono sussistere per poter usufruire del beneficio della riammissione.
Venendo al primo dei due ambiti, l’Agenzia ha specificato che la riammissione è consentita per quei contribuenti che hanno definito le somme dovute mediante un atto di adesione all’accertamento, al processo verbale di constatazione o all’invito a comparire, oppure per acquiescenza; che hanno optato per il pagamento in forma rateale e che, ovviamente, sono decaduti dal piano di rateazione, perché  non hanno rispettato le successive scadenze dopo il versamento della prima rata.
In merito all’ambito oggettivo, invece, l’Agenzia identifica che la decadenza dalla rateazione si deve essere verificata “nei trentasei mesi antecedenti al 15 ottobre 2015”: vale a dire nel periodo compreso tra il 15 ottobre 2012 e il 15 ottobre 2015. Inoltre, è chiarito che “le somme il cui mancato pagamento ha determinato la decadenza siano dovute a titolo di imposte dirette”. Non, quindi, imposte come l’IVA, bensì l’IRPEF, l’IRES o l’IRAP.
Osserva l’Agenzia che i contribuenti potranno essere riammessi alla rateazione “a condizione che entro il 31 maggio 2016 riprendano il versamento della prima delle rate scadute”, ove la prima delle rate è quella “dell’originario piano di rateazione il cui omesso/carente versamento ha determinato la decadenza dalla rateazione. Più precisamente, si tratta di quella rata, diversa dalla prima, per la quale non risulta effettuato il versamento alla scadenza ordinaria e neppure entro il termine di pagamento della rata successiva”. Bisognerà compilare il modello F24 con gli stessi codici tributo impiegati per i versamenti delle rate del precedente piano di rateazione.
A quel punto, il contribuente dovrà trasmettere all’ufficio delle Entrate competente la quietanza di pagamento entro i dieci giorni successivi. “Il mancato rispetto di tale adempimento non rileva ai fini della validità del procedimento in esame; l’acquisizione della quietanza è tuttavia indispensabile affinché l’Ufficio possa individuare agevolmente il pagamento in questione e quindi attivare con tempestività l’iter procedimentale per la sospensione dei carichi eventualmente iscritti a ruolo”.
Il Fisco provvederà quindi a ricalcolare le rate valutando quelle dovute in base al piano di ammortamento originario, elaborando quindi un nuovo piano rateale. E, informa ancora l’Agenzia dell’Entrate, “dopo aver verificato il versamento corretto delle rate residue, l’Ufficio potrà revocare la sospensione inizialmente disposta sui carichi iscritti a ruolo e procedere allo sgravio degli stessi”.

Fonte: www.fiscopiu.it /Contribuenti decaduti, il Fisco fornisce le istruzioni per la riammissione - La Stampa

Il Garante della privacy a Facebook: stop ai profili fake e più trasparenza sui dati degli utenti

Facebook dovrà comunicare ai propri utenti tutti i dati che li riguardano - informazioni personali, fotografie, post - anche quelli inseriti e condivisi da un falso account, il cosiddetto "fake". Non solo: la società di Menlo Park dovrà bloccare il fake ai fini di un eventuale intervento da parte della magistratura.

Lo ha stabilito il Garante per la protezione dei dati personali nella sua prima pronuncia nei confronti del colosso web, nella quale afferma la propria competenza a intervenire a tutela degli utenti italiani. Il social network dovrà, inoltre, fornire all'iscritto, in modo chiaro e comprensibile, informazioni anche sulle finalità, le modalità e la logica del trattamento dei dati, i soggetti cui sono stati comunicati o che possano venirne a conoscenza.

Il Garante ha accolto il ricorso di un iscritto a Facebook che si era rivolto all'Autorità dopo aver interpellato il social network e aver ricevuto una risposta ritenuta insoddisfacente. L'iscritto lamentava di essere stato vittima di minacce, tentativi di estorsione, sostituzione di persona da parte di un altro utente di Facebook, il quale, dopo aver chiesto e ottenuto la sua "amicizia", avrebbe inizialmente intrattenuto una corrispondenza confidenziale, poi sfociata nei tentativi di reato. Il ricorrente sosteneva, inoltre, che il "nuovo amico" - visto il suo rifiuto di sottostare alle richieste di denaro - avrebbe creato un falso account, utilizzando i suoi dati personali e la fotografia postata sul suo profilo, dal quale avrebbe inviato a tutti i contatti Facebook dell'interessato fotomontaggi di fotografie e video gravemente lesivi dell'onore e del decoro oltre che della sua immagine pubblica e privata. L'interessato chiedeva quindi la cancellazione e il blocco del falso account, nonché la comunicazione dei suoi dati in forma chiara, anche di quelli presenti nel fake.

Prima di intervenire nel merito, il Garante, anche alla luce della direttiva 95/46/EC e delle sentenze della Corte di Giustizia europea "Google Spain" del 13 maggio 2015 e "Weltimmo" del 1 ottobre 2015, ha innanzitutto affermato la competenza dell'Autorità italiana sul caso in esame, ritenendo applicabile il diritto nazionale. La multinazionale, infatti, è presente sul territorio italiano con un'organizzazione stabile, Facebook Italy srl, la cui attività è inestricabilmente connessa con quella svolta da Facebook Ireland ltd che ha effettuato il trattamento di dati contestato. Il Garante ha accolto le tesi del ricorrente ritenendolo, in base alla normativa italiana, legittimato ad accedere a tutti i dati che lo riguardano compresi quelli presenti e condivisi nel falso account. Ha quindi ordinato a Facebook di comunicare all'interessato tutte le informazioni richieste entro un termine preciso. L'Autorità non ha invece ritenuto opportuno ordinare alla società la cancellazione delle informazioni, poiché esse potrebbero essere valutabili in sede di accertamento di possibili reati. Ha di conseguenza imposto a Menlo Park di non effettuare alcun ulteriore trattamento dei dati del ricorrente e di conservare quelli finora trattati ai fini della eventuale acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria.

Fonte: www.italiaoggi.it//Il Garante della privacy a Facebook: stop ai profili fake e più trasparenza sui dati degli utenti - News - Italiaoggi

domenica 24 aprile 2016

La Procedura di Esdebitazione

La Legge n. 3/2012 modificata dal D.L. n. 179/2012 convertito in L. n. 221/12 introduce nel nostro ordinamento la procedura cosiddetta di esdebitazione rivolta a tutti quei soggetti che sono sovra indebitati e che non possono accedere alle procedure concorsuali previste dalla Legge Fallimentare.
La normativa tende a prospettare un rimedio a tutte quelle situazioni di sovra indebitamento in cui un soggetto può incorrere, per tutta una serie di eventi che esulano dalla sua volontà: perdita di lavoro, malattie, crisi familiari, etc. che comportano un insostenibile aumento di oneri finanziari da pagare ai creditori, consentendo allo stesso debitore di liberarsi dai debiti e disporre nuovamente delle proprie risorse patrimoniali.
Per accedere alla Procedura di Esdebitazine occorre:
1) essere un soggetto non fallibile o essere un debitore che non svolge attività imprenditoriali o professionali (condizione soggettiva);
2) trovarsi in una situazione di sovra indebitamento, aver contratto debiti a cui non è più possibile far fronte (condizione oggettiva).
Uno dei vantaggi di questo nuovo strumento normativo è che si tratta di una procedura snella e veloce: il ricorso presentato dall'avvocato secondo i requisiti previsti dalla legge, viene sottoposto alla verifica preliminare da parte del Tribunale, in merito al fatto che il piano del consumatore o la proposta dell'accordo non violino norme imperative. Successivamente, con l'ausilio dell'organismo di composizione della crisi, il Tribunale valuta meritevolezza, fattibilità e convenienza della domanda che, se accolta e a determinate condizioni, può condurre alla liberazione dal debito originario.
Le tre nuove procedure sono riservate a tutti quei soggetti non assoggettabili alla procedura di fallimento, concordato preventivo, ed al procedimento di cui all'art. 182 bis della Legge Fallimentare e, pertanto: agli imprenditori commerciali le cui dimensioni escludono la loro assoggettabilità al fallimento; ai fideiussori che abbiano garantito debiti di un imprenditore fallito, in quanto non fallibili per legge; agli imprenditori agricoli; ai soggetti che svolgono un'attività di libera professione; al consumatore considerando che anche l'imprenditore o il professionista possono qualificarsi consumatori ai sensi della disciplina esaminata, purchè l'indebitamento derivi da consumi propri, ossia da obbligazioni assunte al di fuori della propria attività di impresa. Le procedure disciplinate dalla legge in esame sono tre:
1) ACCORDO DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI
2) PIANO DEL CONSUMATORE
3) LIQUIDAZIONE DEL PATRIMONIO DEL DEBITORE.
Preliminarmente: il debitore consumatore può accedere a tutte e tre le procedure; le altre tipologie di debitori possono accedere solo alle procedure di accordo di composizione della crisi e della liquidazione del patrimonio.
Di seguito, sinteticamente, le principali caratteristiche delle tre procedure:
Accordo di composizione della crisi e piano del consumatore
Il debitore, in stato di sovra indebitamento, può proporre ai creditori, un accordo concernente la ristrutturazione dei debiti, o, se consumatore, un piano, con l'ausilio degli organismi di composizione della crisi, con sede nel circondario del Tribunale competente.
Sia con l'accordo di composizione che con il piano cd del consumatore, è necessario assicurare il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili e delle altre disposizioni contenute in leggi speciali. E' necessario, inoltre, indicare la previsione di scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, individuare eventuali garanzie rilasciate per l'adempimento dei debiti, nonché indicare le modalità per l'eventuale liquidazione dei beni. Diversamente da ciò che accade in caso di presentazione dell'accordo di composizione della crisi, nel piano proposto dal consumatore non è prevista l'approvazione da parte dei creditori del consumatore. Nel piano del consumatore manca il procedimento volto ad acquisire l'adesione o il dissenso dei creditori rispetto al piano proposto: il Tribunale effettua esclusivamente una valutazione di fattibilità della proposta e di meritevolezza della condotta che ha portato all'indebitamento del consumatore. La comunicazione a tutti i creditori della proposta del piano, prevista dalla legge, non è funzionale al voto, ma solamente ad un'eventuale contestazione relativa alla convenienza della proposta rispetto all'ipotesi di liquidazione de patrimonio. Anche in ipotesi di contestazione da parte di uno o più creditori, il giudice potrà comunque approvare il piano proposto dal consumatore quando ritenga quest'ultimo più conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria, ai fini della soddisfazione dei crediti.
L'omologazione da parte del Tribunale sia dell'accordo che del piano del consumatore, deve avvenire entro sei mesi dal deposito rispettivamente dell'accordo che del piano ed, in entrambi i procedimenti, è previsto che l'omologazione vincoli tutti i creditori concorsuali.
Liquidazione del patrimonio: e' una procedura che può essere attivata volontariamente dal debitore (anche consumatore) sovra indebitato, come alternativa alla proposta di accordo o di piano del consumatore, consentendo la completa esdebitazione del debitore attraverso la liquidazione del suo patrimonio a parziale soddisfacimento del ceto creditorio. Tale procedura è, inoltre, attivabile su ricorso proposto da uno dei creditori, conseguentemente all'annullamento dell'accordo del debitore o della cessazione degli effetti del piano del consumatore. Ai fini dell'ammissibilità è, altresì, necessario che il debitore negli ultimi cinque anni precedenti, non abbia compiuto atti in frode ai creditori.
Per concludere: la recente legge sopra brevemente esaminata, offre concreti strumenti ai privati ed alle imprese che non possono usufruire delle procedure preciste dalla Legge Fallimentare per estinguere i propri debiti.

Fonte: www.ilsole24ore.com//La Procedura di Esdebitazione

Ogni anno in Italia 7 mila persone arrestate e poi giudicate innocenti

«Credevano che fossi il Padrino e non un uomo perbene. Così in attesa dei processi ho fatto 23 giorni di galera e un anno e mezzo ai domiciliari. Dopo di che mi hanno assolto con formula piena in primo grado, in appello e in cassazione. Eppure non è finita».
Secondo la Procura di Palermo, Francesco Lena, ottantenne imprenditore di San Giuseppe Jato, titolare dello spettacolare relais Abbazia di Sant’Anastasia nel parco delle Madonie, era un prestanome di Bernardo Provenzano. Così cinque anni e mezzo fa, all’alba, le forze dell’ordine hanno bussato alla sua porta: «Venga con noi». «È per il permesso di soggiorno del ragazzo che sto assumendo?». «No, mafia». La moglie è sbiancata, lui si è sentito mancare e il suo mondo è andato in pezzi.
Che cosa è successo da quel momento in avanti? «Mi hanno massacrato, trattandomi come il colletto bianco della cosca dell’Uditore e io l’Uditore non so neanche dove sia». Gogna mediatica e custodia cautelare in attesa di tre gradi di giudizio che avrebbero stabilito la sua innocenza, un destino paradossalmente non insolito. «Ogni anno settemila italiani vengono incarcerati o costretti ai domiciliari e poi assolti. Una parte di questi si rivale contro lo Stato, che mediamente riconosce l’indennizzo a una vittima su quattro», spiega l’avvocato Gabriele Magno, presidente dell’associazione nazionale vittime degli errori giudiziari «Articolo643».
Lo Stato sbaglia, dunque. E sbaglia tanto. Almeno a guardare i numeri del ministero della Giustizia. Dal 1992 il Tesoro ha pagato 630 milioni di euro per indennizzare quasi 25 mila vittime di ingiusta detenzione, 36 milioni li ha versati nel 2015 e altri 11 nei primi tre mesi del 2016.
E se la politica - come ha fatto il presidente del Consiglio Matteo Renzi - non rilanciasse il tema ambiguo dei «25 anni di barbarie giustizialiste» (parla alle procure, ai media, ai suoi colleghi o a tutti e tre?) e la magistratura non sostenesse - coma ha fatto il presidente dell’Anm Piercamillo Davigo - che «la presunzione di innocenza è un fatto interno al processo e non c’entra nulla con i rapporti sociali e politici» e che «i politici rubano più di prima solo che adesso non si vergognano più», sarebbe più facile capire se questi numeri siano la fotografia di una debolezza fisiologica del sistema o una sua imperdonabile patologia.
Il caso Lena
Ma perché Francesco Lena sostiene che la sua vita è ancora sospesa? L’imprenditore siciliano precipita in fondo al suo pozzo giudiziario perché un gruppo di mafiosi parla di lui al telefono - «Di me e mai “con” me», chiarisce - ma nei suoi confronti non c’è nient’altro, perciò i processi finiscono in nulla. Eppure la sua proprietà viene sequestrata nel 2011 dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo guidata dall’ormai ex presidente Silvana Saguto, accusata oggi di corruzione e sospesa dalle funzioni e dallo stipendio. Il sequestro avviene pochi mesi prima che la Cassazione scagioni Lena in via definitiva. A danno si aggiunge danno. «Della magistratura ho una altissima stima. Ci sono persone di grande valore, ma anche uomini e donne capaci di distruggere una comunità o una persona. Io vivo di fianco all’Abbazia e quando vedo come l’hanno trattata mi si crepa il cuore. Su 60 ettari di vigne, 30 sono stati abbandonati. Non l’hanno ancora distrutta, ma prima era un’altra cosa. Sono vittima dell’antimafia e delle gelosie, però resisto, pensando che a Enzo Tortora è andata peggio di così», spiega Lena e dal fondo della gola gli esce un suono a metà tra il sospiro e il gemito.
Il 26 di maggio una sentenza dovrebbe restituirgli ciò che è suo. Nel caso di Lena è possibile dire che le misure cautelari non abbiano inciso sulla sua vita sociale? E allo stesso tempo è possibile non pensare che nelle regioni in cui comanda la criminalità organizzata il lavoro dei magistrati sia più duro e complesso e il rischio di errore più alto?
Lo scontro
Come l’avvocato Magno, anche l’avvocato Beniamino Migliucci, presidente dell’Unione delle Camere penali, è convinto non solo che i magistrati facciano un ricorso eccessivo alla custodia cautelare, ma anche che il problema resterà irrisolto fino a quando non saranno previste la separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici e la rinuncia alla obbligatorietà dell’azione penale, «correttivi che esistono in ogni Paese regolato dal sistema accusatorio, ma in Italia no».
Per questo Migliucci, sostenuto dal suo ordine, ha pronta una raccolta di firme per presentare una legge di iniziativa popolare in ottobre. «Bisognerebbe ricordarsi della presunzione di innocenza, che non è un fatto interno al processo come ritiene Davigo e dunque l’associazione nazionale magistrati. Volere sostenere tale idea significa prescindere da un precetto oggettivo ripreso dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, per introdurre valutazioni etiche e moralistiche che sono proprie di logiche autoritarie». È evidente che siamo alla vigilia di un nuovo scontro frontale.
Eppure un punto di equilibrio tra la posizione di Migliucci e quella dell’Anm, che propone operazioni sotto copertura con poliziotti che offrono denaro a politici ed amministratori pubblici per vedere come reagiscono al tentativo di corruzione o l’introduzione di una norma che aumenti automaticamente la pena a chi ricorre in Appello e perde, presumibilmente esiste.
Chi va in galera e chi no
«La separazione delle carriere, che non mi scandalizzerebbe, di fatto già esiste. Ma ritenere che le mie sentenze possano essere condizionate dal fatto che prendo il caffè con un pm è ridicolo. Io decido solo secondo scienza e coscienza, come ho fatto nel caso della Commissione Grandi Rischi, quando, qui a L’Aquila, ho mandato assolti sei scienziati che in primo grado erano stati condannati per omicidio colposo e lesioni. Sentenza, la mia, confermata dalla Cassazione».
Fabrizia Francabandera è la presidente della sezione penale della Corte d’Appello dell’Aquila, tribunale che lo scorso anno ha indennizzato 44 persone per ingiusta detenzione. È una donna pratica, figlia di un magistrato, che considera il ricorso alla custodia cautelare la risorsa estrema a disposizione dei giudici. «Io penso che meno si arresta e meglio è. Alcuni colleghi usano malamente la custodia cautelare, non come se fosse una misura specifica, ma come una misura di prevenzione generale. Anche perché, in Italia, per i reati sotto i quattro anni non va in galera nessuno».
Lo sbilanciamento del sistema è tale per cui si rischia di restare in carcere prima del processo e di non andarci dopo in presenza di una condanna. «Ma anche sulla ingiusta detenzione non bisogna immaginare errori macroscopici. Il dolo non esiste quasi mai e la colpa grave è rara. Il sistema complessivamente funziona, ma ha delle lacune, in un senso e nell’altro». In questi giorni a Francabandera è capitato di indennizzare un uomo arrestato in una discoteca con un sacchetto pieno di palline di ecstasy. Che fosse uno spacciatore era fuori discussione. Eppure, a una analisi successiva, è risultato che le palline non erano ecstasy ma zucchero. Questo perché lo spacciatore era stato truffato. Morale: rispedito a casa e indennizzato per ingiusta detenzione. «Naturalmente gli ho liquidato una cifra bassa, perché con il suo comportamento aveva causato il comportamento degli inquirenti». Il complicato e infinito balletto tra guardie e ladri, che non riguarda solo noi, ma l’Europa.
L’Europa
Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà e già presidente del Comitato Europeo per la Prevenzione delle Torture, è appena tornato da Strasburgo dove si è confrontato con colleghi olandesi, inglesi, bulgari e francesi. «La Gran Bretagna non prevede alcun indennizzo per ingiusta detenzione, la Bulgaria paga con grandi ritardi, mentre l’Olanda, per esempio, ha un meccanismo molto simile al nostro». Anche i numeri sono simili? «Non molto differenti. Per questo penso che gli errori italiani rientrino nella fisiologia del sistema e non nella sua patologia. Mi pare anche che la riforma della responsabilità civile sia un buon compromesso, perché un giudice non può vivere sotto la spada di Damocle della causa, soprattutto in un Paese dove ci sono la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra, che in genere hanno avvocati molto in gamba e molto ben pagati. Certo, bisognerebbe cercare di arrestare il meno possibile e anche lavorare di più sugli automatismi che portano all’applicazione della custodia cautelare». Niente barbarie giustizialista come dice il premier, quindi? «Se dietro queste parole c’è l’idea che la politica ha delegato troppo alla magistratura, come è successo per esempio di recente con le stepchild adoption, sono completamente d’accordo. Se intendeva dire, e non penso, che esiste un disegno delle Procure e dei magistrati, allora è una stupidaggine».
Il caso Lattanzi
Barbarie magari no, ma incomprensibile accanimento qualche volta sì. È il caso di Antonio Lattanzi, ex assessore di Martinsicuro, in provincia di Teramo, arrestato quattro volte nel giro di quattro mesi con l’accusa di tentata concussione e abuso di ufficio a seguito della chiamata in correità di un architetto che lo stesso Lattanzi aveva denunciato qualche anno prima. La Procura si intestardisce in un dinamismo irritante caratterizzato dall’incapacità di vedere le cose da un punto di vista diverso dal proprio. «Sono stato assolto in ogni grado di giudizio con formula piena. Ma ho fatto 83 giorni di prigione. Non ho capito perché abbiano usato questa durezza nei miei confronti. Dopo il primo arresto i miei avvocati hanno impugnato il provvedimento e sono stato rimandato a casa. Ma passati pochi giorni i carabinieri sono tornati a prendermi. Stavolta davanti ai miei figli. In carcere l’idea del suicidio mi ha accompagnato ogni giorno e se non fosse stato per mia moglie non so che cosa sarebbe successo. Comunque abbiamo impugnato anche il secondo provvedimento e anche questa volta mi hanno rimandato a casa». Quando sono andati a prenderlo per la terza volta racconta di avere avuto l’impressione che l’anima avesse lasciato il corpo strappato. Anche il terzo provvedimento è stato impugnato, ma il giorno prima che il tribunale per il riesame lo annullasse il giudice per le indagini preliminari ne ha emesso un quarto. «Una follia. Ma ho combattuto e vinto». Ha anche ricevuto un indennizzo, che non è bastato a pagare la metà delle spese legate al processo. «Non importa. Volevo che la mia innocenza fosse riconosciuta a tutto tondo. La prima notte in carcere è un disastro. Io però dormivo con i pantaloni e con la maglietta. Mai con il pigiama. Era il modo per dirmi: non mi piegherò mai a questo stato di cose, sono un uomo libero». Ogni anno in Italia ci sono 7000 casi Lattanzi - «tutti fratelli che vorrei abbracciare» - fisiologia o patologia del sistema giudiziario?

Fonte: www.lastampa.it//Ogni anno in Italia 7 mila persone arrestate e poi giudicate innocenti - La Stampa

sabato 23 aprile 2016

Penale, sì all'uso ampio della Pec

La Corte di cassazione sdogana a tutti gli effetti l'uso della Pec per le notifiche penali. E lo fa dando una lettura estensiva delle disposizioni contenute nel decreto «Cresci Italia». Con la sentenza n. 16622 depositata ieri, infatti, i giudici hanno considerato legittima la notifica effettuata all'imputato attraverso invio alla casella di posta certificata del difensore. Si tratta del caso disciplinato dall'articolo 161 comma 4 del Codice di procedura penale e che la difesa aveva ritenuto, contestando il giudizio della Corte d'appello, non potesse essere fatto rientrare tra quelli che autorizzano all'utilizzo della Pec.

Il decreto di citazione per la prima udienza di secondo grado era oggetto di una prima omessa notifica perché l'imputato risultava essersi trasferito dall'indirizzo indicato. A questo punto la Corte d'appello opera la notifica del decreto attraverso posta elettronica certificata al difensore di fiducia. Successivamente, a poche ore di distanza, i carabinieri operavano comunque una notifica nelle mani dell'imputato.

Fonte: www.ilsole24ore.com//Penale, sì all'uso ampio della Pec

venerdì 22 aprile 2016

Niente canone Rai per pc, smartphone e tablet

“Per apparecchio televisivo si intende un apparecchio in grado di ricevere, decodificare e visualizzare il segnale digitale terrestre o satellitare, direttamente (in quanto costruito con tutti i componenti tecnici necessari) o tramite decoder o sintonizzatore esterno”. È con questa laconica – ma esaustiva al contempo – specificazione che il Ministero dello Sviluppo Economico risponde alle richieste di chiarimenti avanzate dal Consiglio di Stato in merito al canone televisivo, e nello specifico in relazione a cosa si intenda per apparecchio televisivo. Sì, perché il canone in bolletta era stato bacchettato dal Consiglio di Stato, in quanto era poco chiaro cosa si intendesse per apparecchio TV. Insomma, servivano integrazioni e chiarimenti che, almeno per il punto della definizione di apparecchio televisivo (i dubbi del Consiglio di Stato erano infatti su più argomenti) sono arrivati in tutta celerità: la nota è del 20 aprile, ma è stata resa pubblica nella giornata di ieri.
Il Ministero, risolvendo in tutta fretta la questione, nella sua nota tecnica ha quindi escluso che pc, tablet e smartphone possano essere considerati apparecchi televisivi (ipotesi che era già stata sollevata in passato), osservando che la chiave di volta della questione è da ricercarsi nel decoder o nel sintonizzatore. “Per sintonizzatore – specifica il Ministero – si intende un dispositivo, interno o esterno, idoneo ad operare nelle bande di frequenze destinate al servizio televisivo secondo almeno uno degli standard previsti nel sistema italiano per poter ricevere il relativo segnale TV”.
Ma non è l’unica novità sul fronte del canone. Infatti, l’Agenzia delle Entrate ha spostato al 16 maggio il termine unico entro cui presentare la dichiarazione di non possesso del televisore, sia in forma cartacea che online. Il termine è stato procrastinato. “In questo modo – specifica l’Agenzia in un comunicato –i contribuenti possono presentare la dichiarazione in tempo utile per evitare l’addebito del canone da parte delle imprese elettriche, a partire dal mese di luglio 2016, qualora abbiano i requisiti previsti dalla legge”.

Fonte: www.fiscopiu.it /Niente canone Rai per pc, smartphone e tablet - La Stampa

giovedì 21 aprile 2016

Canone tv: slitta al 16 maggio l’autocerficazione per chi non ha la tv

Slitta al 16 maggio l'autocertificazione di non detenzione dell'apparecchio televisivo. Lo ha annunciato oggi l'Agenzia delle Entrate che con il provvedimento del direttore dell'Agenzia, ha allungato il termine unico entro cui i contribuenti dovranno presentare la dichiarazione sostitutiva relativa al canone di abbonamento alla Tv (sia in forma cartacea che online). I contribuenti, sottolinea l'Agenzia delle Entrate, «possono presentare la dichiarazione in tempo utile per evitare l'addebito del canone da parte delle imprese elettriche, a partire dal mese di luglio 2016, qualora abbiano i requisiti previsti dalla legge».

Il provvedimento pubblicato oggi, evidenzia l'Agenzia, aggiorna anche le istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione sostitutiva, «per tenere conto dei chiarimenti sulla definizione di apparecchio televisivo contenuti nella nota n. 9668 del 20 aprile 2016 del Ministero dello Sviluppo Economico ai fini del canone di abbonamento alla televisione».

«Il modello di dichiarazione sostitutiva e le istruzioni per la compilazione del modello, approvati con il provvedimento del 24 marzo 2016, vengono quindi sostituiti da quelli approvati con il nuovo provvedimento. Restano ovviamente valide le dichiarazioni di non detenzione già presentate» chiarisce l'Agenzia delle Entrate.

Fonte: www.ilsole24ore.com/Canone tv: slitta al 16 maggio l’autocerficazione per chi non ha la tv - Il Sole 24 ORE

Segnaletica senza indicazione del provvedimento amministrativo: multa comunque valida

Vettura parcheggiata in ‘divieto di sosta’. Inevitabile la multa. E inutile il richiamo dell’automobilista alla presunta illegittimità del ‘segnale’ stradale. Per la Corte di Cassazione è, difatti,  irrilevante la mancata indicazione, sul retro del cartello, del relativo provvedimento amministrativo. Così è stabilito nella sentenza n. 7709 del 19 aprile 2016.
Retro. Blitz della Polizia municipale in un piccolo paesino sardo: a finire nella ‘rete’ è un automobilista che ha parcheggiato in evidente ‘divieto di sosta’. Consequenziale la «multa».
Respinte prima dal giudice di pace e poi dai giudici del Tribunale le obiezioni mosse dal legale dell’uomo, e finalizzate a contestare il «verbale di accertamento dell’infrazione al ‘Codice della strada’».
Nonostante ciò, la battaglia giudiziaria si trascina fino in Cassazione.
Ultima carta giocata dall’automobilista è quella relativa a una presunta non «validità» del «segnale stradale». Su questo fronte viene evidenziato che sul «retro del cartello» non vi era la necessaria «indicazione» del «provvedimento amministrativo» che aveva istituito quel ‘divieto di sosta’.
Questo dettaglio, però, ribattono i magistrati, non è sufficiente a mettere in discussione la «multa» messa ‘nero su bianco’ dai vigili urbani. Ciò perché «la mancata apposizione, sul retro della segnaletica stradale, della indicazione del relativo provvedimento amministrativo, regolante la circolazione stradale, non determina di per sé l’illegittimità del ‘segnale’». Di conseguenza, l’«utente della strada» deve comunque «rispettare la prescrizione», e, sottolineano i giudici, non si può assolutamente parlare di «illegittimità del verbale di contestazione dell’infrazione» al ‘Codice della strada’.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Segnaletica senza indicazione del provvedimento amministrativo: multa comunque valida - La Stampa

Graffito come forma d’arte: vittoria definitiva per ‘Manu Invisible’

I giudici del Tribunale hanno considerato l’opera del giovane street artist sardo come realizzazione artistica. I giudici d’Appello, invece, hanno considerato il fatto come non punibile: il graffito è stato realizzato su un muro già imbrattato da ignoti. E su questa linea di pensiero si assestano anche i magistrati della Cassazione che hanno confermato l’assoluzione per ‘Manu Invisible’ (sentenza n. 16371 del 20 aprile 2016).  La vittoria del giovane sardo diventa ‘medaglia al valore’ per l’intero mondo dei graffitari.
Opera. A far esplodere il caso è l’operato di ‘Manu Invisible’ a Milano. A lui viene attribuito il reato di «deturpamento». Secondo l’accusa, difatti, il ragazzo ha «imbrattato un muro, posto sulla pubblica via, con diverse bombolette di colore spray, imprimendo la scritta ‘manuinvisible.com’».
A sorpresa, però, i giudici del Tribunale di Milano valutano il murale realizzato come una vera opera d’arte. Così viene evidenziato che «la parete era già stata completamente imbrattata e deturpata da ignoti», e ciò permette di affermare tranquillamente che ‘Manu Invisible’ «aveva agito con l’intento di abbellire la facciata e di effettuare un intervento riparatore, realizzando un’opera di oggettivo valore artistico».
Illogico, quindi, seguendo questa linea di pensiero, parlare di «imbrattamento del muro». Per i giudici di primo grado, invece, ci si trova di fronte alla «esecuzione di un’iniziativa artistica».
Di parere parzialmente diverso i giudici della Corte d’Appello. A loro avviso il fatto è sì «astrattamente configurabile come reato», ma «non è punibile per la sua particolare tenuità».
In questa ottica è decisiva la constatazione che «il muro era già stato deturpato da ignoti» e, quindi, «l’intervento di ‘Manu Invisible’» non aveva determinato «alcun danno».
E tale visione viene ora condivisa dai magistrati della Cassazione.
Cadono definitivamente le accuse nei confronti del giovane street artist. Inequivocabili le «modalità della condotta» e la «esiguità del danno». E significativo è anche il curriculum di ‘Manu Invisible’, artista a tutto tondo, capace di operare anche nei settori della “decorazione di ambienti” e della “pittura alternativa su piccolo formato”, e non solo in quello del “muralismo” e dei “graffiti”.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it/Graffito come forma d’arte: vittoria definitiva per ‘Manu Invisible’ - La Stampa

Processo amministrativo telematico: le notifiche tramite PEC

Il 21 marzo 2016, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 67, il decreto 16 febbraio 2016, n. 40 del Presidente del Consiglio dei Ministri, contenente le regole e specifiche tecniche per l’attuazione del processo amministrativo telematico (PAT).
Il DPCM 40/2016 è entrato in vigore il 5 aprile 2016 ma, la maggior parte delle norme in esso contenute saranno applicabili solo dal 1 luglio 2016 e quindi dalla data in cui sarà operativo a tutti gli effetti il processo amministrativo telematico; sarà un processo interamente telematico nel quale tutti i protagonisti, anche le parti private, dovranno depositare i loro atti telematicamente.
In considerazione dell’ormai prossimo avvio del processo amministrativo telematico, da questa settimana verranno pubblicati una serie di “speciali” sul PAT nei quali verranno spiegate, argomento per argomento, le modalità tecnico - operative con le quali i professionisti dovranno interagire dal 1 luglio 2016.
Il primo approfondimento è dedicato alle notifiche degli avvocati tramite PEC (L. 53/94) che il DPCM 40/2016 sopra richiamato, espressamente disciplina agli articoli 8 e 14 delle regole tecniche e all’articolo 14 delle specifiche tecniche.
Prima di affrontare la disamina delle norme indicate è bene ricordare che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 21 delle disposizioni finali del DPCM 40/2016, anche le regole fissate per le notifiche PEC nel processo amministrativo troveranno la loro applicazione solo a far data dal 1 luglio 2016.
Con la pubblicazione delle regole e specifiche tecniche del processo amministrativo telematico, dal 1 luglio 2016, verrà meno qualsiasi dubbio sulla possibilità, per i difensori, di procedere alla notifica del ricorso in proprio tramite PEC; nel corso degli ultimi anni, infatti, la giurisprudenza amministrativa aveva a volte ammesso e altre volte negato l’utilizzo di tale mezzo di notifica. Il Consiglio di Stato, sezione terza, con la decisione del 20 gennaio 2016 n. 189, aveva persino sostenuto l’inesistenza della notifica PEC nel processo amministrativo proprio in mancanza delle regole tecniche e specifiche tecniche del PAT ritenendo che nel processo amministrativo non potessero applicarsi le regole tecniche e specifiche tecniche del processo civile telematico.
L’articolo 14 delle regole tecniche del PAT dispone che, anche dinanzi la giustizia amministrativa, i difensori possono eseguire la notificazione a mezzo PEC a norma dell'articolo 3-bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53.
Il comma 2 dell’art. 14 delle regole tecniche del PAT dispone che le notificazioni di atti processuali alle amministrazioni non costituite in giudizio debbano essere eseguite agli indirizzi PEC di cui all’articolo 16, comma 12, del decreto legge 179/12 convertito con modificazioni dalla legge 221/12, fermo restando quanto previsto, anche in ordine alla domiciliazione delle stesse, dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato.
Ciò significa che i difensori dovranno effettuare le notifiche PEC utilizzando, esclusivamente, l'indirizzo PEC risultante dai pubblici elenchi e potranno procedere solo se l’indirizzo PEC del destinatario risulti anch’esso da pubblici elenchi; la disposizione è analoga a quella vigente per le notifiche PEC nel processo civile. A tal proposito è opportuno ricordare quali sono, ad oggi, i pubblici elenchi attivi e validi ai fini dell’estrazione dell’indirizzo PEC del destinatario:
1) REGISTRO PP.AA
Registro contenente gli indirizzi di Posta Elettronica Certificata delle Amministrazioni pubbliche ai sensi del decreto legge 179/2012 art 16, comma 12, consultabile esclusivamente dagli uffici giudiziari, dagli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti, e dagli avvocati.
Il completamento di tale elenco era stato fissato per il 30 novembre 2014, termine questo stabilito dall’art. 47 n. 1 del decreto legge 90/2014 convertito con la legge 114/14 n. 114 pubblicata in G.U. il 18 agosto 2014 ed in vigore dal 19 agosto 2014; ad oggi però tale pubblico elenco contiene solo una piccola parte degli indirizzi PEC della PA per cui, non essendo più possibile ricavare gli indirizzi PEC dal sito www.indicepa.gov.it (il quale non è più pubblico elenco valido per estrarre gli indirizzi PEC delle PA per effetto delle norme sopra richiamate) sarà questo uno degli ostacoli più grandi che i professionisti incontreranno per procedere alla notifica dell’atto amministrativo tramite PEC ai sensi della legge 53/94.
Tale registro non è liberamente consultabile, essendo necessaria l’identificazione c.d. “forte” tramite token crittografico (esempio: smart card, “chiavetta USB”) contenente un certificato di autenticazione.
E’ possibile consultare l’elenco tramite l’area riservata del Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia.
2) REGISTRO IMPRESE
Previsto dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009 n. 2 e, oltre a contenere ii dati (costituzione, modifica, cessazione) di tutte le imprese con qualsiasi forma giuridica e settore di attività economica, con sede o unità locali sul territorio nazionale, nonché gli altri soggetti previsti dalla legge, contiene delle stesse anche gli indirizzi PEC.
La consultazione di tale elenco è libera ed è possibile consultare l’elenco raggiungendo l’indirizzo internet httpwww.registroimprese.it
3) INDICE NAZIONALE DELLA POSTA ELETTRONICA CERTIFICATA (INIPEC)
Previsto dall’art. 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005 n. 82, è possibile trovare al suo interno gli indirizzi PEC dei professionisti e delle imprese presenti sul territorio italiano; viene aggiornato con i dati provenienti dal Registro Imprese e dagli Ordini e dai Collegi di appartenenza, nelle modalità stabilite dalla legge.
La consultazione di tale elenco è libera ed è possibile consultare l’elenco raggiungendo l’indirizzo internet httpswww.inipec.gov.it
4) ReGIndE
E’ il Registro Generale degli Indirizzi Elettronici (ReGIndE), gestito dal Ministero della Giustizia, contiene i dati identificativi nonché l’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dei soggetti abilitati esterni, ovverossia:
- appartenenti ad un ente pubblico
- professionisti iscritti in albi ed elenchi istituiti con legge
- ausiliari del giudice non appartenenti ad un ordine di categoria o che appartengono ad ente/ordine professionale che non abbia ancora inviato l’albo al Ministero della giustizia (questo non si applica per gli avvocati, il cui specifico ruolo di difensore implica che l’invio dell’albo deve essere sempre fatto dall’Ordine di appartenenza o dall’ente che si difende).
Tale registro non è liberamente consultabile, essendo necessaria l’identificazione c.d. “forte” tramite token crittografico (esempio: smart card, “chiavetta USB”) contenente un certificato di autenticazione.
Ciò premesso è possibile consultare il ReGIndE sia tramite funzionalità disponibili nei Punti di Accesso (PDA) privati sia tramite l’area riservata del Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia.
E’ opportuno ricordare che ove l’indirizzo PEC del mittente e del destinatario non sia presente in uno dei pubblici elenchi sopra indicati la notifica dell’atto amministrativo sarebbe nulla trovando applicazione quanto disposto dall’art. 11 della legge 53/94.
L’atto, la procura alle liti e la relata di notificazione da notificarsi tramite PEC
L’atto da notificarsi tramite PEC dovrà essere creato dal professionista con il programma di video scrittura e poi direttamente trasformato in file PDF senza scansione; vero è che l’art. 12 delle specifiche tecniche prevede quale formato consentito anche il testo piano senza formattazione (estensione TXT) e il testo formattato (estensione RTF) ma ritengo opportuno suggerire ai Colleghi l’utilizzo del formato PDF ottenuto senza scansione trattandosi di formato già noto essendo il medesimo utilizzato per il deposito degli atti nel processo civile telematico.
L’atto, una volta trasformato in PDF senza scansione, dovrà essere sottoscritto esclusivamente con firma digitale PadEs BES e ciò ai sensi dell’art. 12 comma 6 delle specifiche tecniche PAT, non essendo consentito nel PAT l’utilizzo della firma digitale CAdEs quella ciò che aggiunge al file l’estensione .p7m. Tutti i dispositivi di firma digitale consentono questa tipologia di firma (chiamata anche “FIRMA PDF”) che il professionista inserisce direttamente all’interno del PDF da sottoscrivere digitalmente.
Quanto alla procura alle liti, massima dovrà essere l’attenzione del professionista: rispetto alla normativa vigente nel PCT riconducibile all’applicazione di quanto disposto dall’art. 83 c.p.c., nel PAT bisognerà procedere diversamente quanto, ad esempio, alla modalità dell’attestazione di conformità della copia informatica della procura (da notificare o depositare telematicamente) all’originale cartaceo.
A differenza del PCT – nel quale ai fini dell’attestazione di conformità della procura la sola apposizione della firma digitale ex art. 83 c.p.c. è autosufficiente, non prevedendosi una dichiarazione espressa da parte dell’avvocato – l’art. 8, comma 2 delle regole tecniche del PAT prevede che “Nei casi in cui la procura è conferita su supporto cartaceo, il difensore procede al deposito telematico della copia per immagine su supporto informatico, compiendo l'asseverazione prevista dall'articolo 22, comma 2, del CAD con l'inserimento della relativa dichiarazione nel medesimo o in un distinto documento sottoscritto con firma digitale”; al riguardo, si evidenzia che tale espressa previsione implica, l’applicazione dell’art. 4, comma 3 del DPCM 13/11/2014, con la conseguente necessità di indicare, nel corpo della dichiarazione ex art. 22, comma 2 CAD, l’impronta della copia informatica ed il riferimento temporale: l’HASH a volte ritorna!
Se la procura alle liti originale è, quindi, cartacea, il difensore dovrà autenticare la firma autografa dell’assistito apponendo la propria firma autografa, scansionare e ottenere copia informatica della procura alle liti, attestare nella relata di notifica la conformità della stessa all’originale cartaceo inserendo apposita dichiarazione e indicando l’impronta (hash) della copia informatica e il riferimento temporale.
Se la procura alle liti è invece rilasciata direttamente su documento informatico (il cliente è a sua volta munito di firma digitale) il difensore si limiterà a sottoscrivere digitalmente anch’esso il documento informatico dopo che lo stesso sarà stato sottoscritto digitalmente dalla parte.
E’ naturale che, dovendosi sempre applicare l’art. 12 comma 6 delle specifiche tecniche, tutte le sottoscrizioni digitali dovranno essere in formato PadEs BES.
Gli articoli 8 comma 4 delle regole tecniche e l’articolo 14 comma 4 delle specifiche tecniche del PAT precisano poi che in presenza di più procure (ad esempio in caso di ricorso collettivo) è possibile l’allegazione all’atto notificato di uno o più documenti contenenti la scansione per immagini di una o più procure.
La procura alle liti si considera apposta in calce all'atto cui si riferisce:
a) quando è rilasciata su documento informatico separato depositato con modalità telematiche unitamente all'atto a cui si riferisce;
b) quando è rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica, anche per immagine, depositato con modalità telematiche unitamente all'atto a cui si riferisce.
Quanto, da ultimo, alla relata di notifica, anche quest’ultima dovrà essere creata dal professionista con il programma di video scrittura, poi direttamente trasformata in file PDF senza scansione e firmata digitalmente nel formato PadEs BES; dovrà contenere:
a) il nome, cognome ed il codice fiscale dell’avvocato notificante;
b) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale ed il codice fiscale della parte che ha conferito la procura alle liti;
c) il nome e cognome o la denominazione e ragione sociale del destinatario;
d) l’indirizzo di posta elettronica certificata a cui l’atto viene notificato;
e) l’indicazione dell’elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto;
f) l’attestazione di conformità ex art. 8, comma 2 delle regole tecniche del PAT.
g) per le notificazioni effettuate in corso di procedimento dovrà, inoltre, essere indicato l’ufficio giudiziario, la sezione, il numero e l’anno di ruolo (art. 3 bis comma 6 della L. 53/94).
Prima di inviare la PEC destinata alla notifica il professionista dovrà accertarsi di aver selezionato, quale TIPO DI RICEVUTA DI AVVENUTA CONSEGNA, quella COMPLETA, così come previsto dal comma 3 dell’articolo 14 delle regole tecniche PAT.
La prova dell’avvenuta notifica tramite PEC
Il comma 6 dell’articolo 14 delle regole tecniche PAT dispone che, ove la notificazione sia stata eseguita tramite PEC ai sensi dell’art. 3 bis della L. 53/94, la prova della notificazione è fornita con modalità telematiche. Ciò significa che l’avvocato dovrà depositare telematicamente le ricevute di accettazione e consegna in formato .eml o .msg. con le modalità previste dagli articoli 6,7 e 8 delle specifiche tecniche del PAT e quindi mediante PEC o mediante caricamento diretto attraverso il sito istituzionale (upload), con la precisazione che l’upload sarà possibile solo nel caso in cui non sia possibile, per comprovate ragioni tecniche, il deposito con PEC, come attestato dal messaggio di cui all'articolo 7, comma 7, o nel caso in cui la dimensione del documento da depositare superi i 30 MB.
Solo ove non sia possibile fornire la prova della notifica tramite PEC con modalità telematiche per effetto della oggettiva indisponibilità del SIGA, l’avvocato potrà procedere attenendosi a quanto disposto dall’art. 9 comma 1 bis della legge 53/94 e quindi dovrà stampare il messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesterà la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (codice dell’amministrazione digitale).
Il comma 4 dell’articolo 14 delle regole tecniche prevede poi che il difensore debba depositare telematicamente, oltre al ricorso e alle ricevute di accettazione e consegna, anche la relazione di notificazione e la procura alle liti.
Giudizio avverso gli atti di esclusione dal procedimento preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali.
Nei casi di cui all’articolo 129, comma 3 lettera a) del Codice del Processo Amministrativo, il ricorso redatto nella forma del documento informatico può essere notificato anche direttamente dal ricorrente ai sensi dell’articolo 3 bis della legge 53/94, in quanto compatibile e ciò in quanto l’articolo 14 comma 7 delle specifiche tecniche del PAT prevede che nel ricorso elettorale di cui all’articolo 129, comma 3 lettera a) del Codice del Processo Amministrativo, il ricorrente se in possesso di firma digitale e di indirizzo PEC può effettuare la notifica del ricorso a mezzo PEC nei confronti dei destinatari con indirizzi PEC risultanti dai pubblici elenchi.
In questo caso la segreteria dell’Ufficio giudiziario adito, non appena ricevuto il deposito del ricorso elettorale con modalità telematiche, provvede alla sua immediata pubblicazione sul sito istituzionale, nell’area “Ricorsi elettorali” accessibile a tutti senza necessità di preventiva autenticazione.

Fonte: www.quotidianogiuridico.it/Processo amministrativo telematico: le notifiche tramite PEC| Ipsoa

Violenza sessuale: costituisce ''induzione'' qualsiasi forma di sopraffazione della vittima

 L’induzione necessaria ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale non si identifica solo con la persuasione subdola ma si...