martedì 13 ottobre 2015

Non condivide le scelte sentimentali della figlia e la "trattiene" in un capannone: condannato

Scontro totale in famiglia. Il padre non condivide le scelte sentimentali della figlia (la decisione di quest’ultima di sposare l’uomo che ama) e per farla ritornare sulle proprie scelte la sottopone a pressioni psicologiche, insulti, vessazioni. L'uomo, però, arriva a rinchiudere la ragazza in un capannone e scatta la condanna per sequestro di persona (Cassazione, sentenza 39197/15).

Linea di pensiero comune tra tribunale e corte d’appello: l’uomo è ritenuto responsabile – grazie al resoconto di un carabiniere – di «sequestro di persona». Egli, in sostanza, ha rinchiuso «la figlia all’interno di un capannone». Alla base di questo folle gesto, il fatto che l’uomo non ha condiviso le scelte sentimentali della ragazza, scelte «ritenute non conformi ai voleri familiari».

Secondo l’uomo, però, tale visione è sbagliata. Per due ragioni: primo, «la scelta di vivere all’interno del capannone è da attribuire alla volontà» della figlia, la quale ha detto «di avere scelto di vivere nel capannone, d’accordo con il padre, per allontanarsi dalla madre»; secondo, «era possibile, dall’interno, aprire la porta ed uscire dal capannone, la cui porta», sostiene l’uomo, veniva chiusa dall’esterno «solo perché dall’interno non si poteva chiudere, essendo rotta la serratura», e, non a caso, aggiunge ancora l’uomo, la sua «volontà di non segregare la figlia» si desume anche dalla «circostanza» che egli «era solito gettarle le chiavi all’interno».

La difesa proposta in Cassazione, però, si rivela fragile. Mentre è solidissima la ricostruzione proposta dal carabiniere, il quale ha spiegato di avere verificato «personalmente che la porta, una volta chiusa, non poteva essere aperta dall’interno», cosa che impediva alla ragazza «ogni possibilità di uscita», e ha aggiunto che «la ragazza piangeva, urlava, chiedendo di uscire», cosa avvenuta solo all’«arrivo del padre, dotato delle chiavi» dopo ben quarantacinque minuti.

Per la Cassazione, proprio le condizioni psichiche della ragazza, constatate dal carabiniere, rendono «palese la volontà della persona di recuperare la propria libertà di movimento». E, allo stesso tempo, è rilevante anche il particolare della «inidoneità del capannone ad essere adibito ad abitazione». Tutto ciò smentisce, in maniera clamorosa, la tesi del genitore, finalizzata a sostenere il «consenso prestato dalla figlia ad essere rinchiusa nel capannone», da cui, invece, «poteva uscire solo per volontà» dell’uomo.

Peraltro, aggiungono i Giudici, «anche si volesse dare credito» all’ipotesi del «consenso della persona offesa ad essere rinchiusa, non sarebbe sufficiente ad escludere la configurabilità del delitto di sequestro di persona», soprattutto perché il presunto «consenso» non risulta «liberamente presto o mantenuto», poiché frutto di un «contesto vessatorio». Su quest’ultimo fronte, difatti, sono emersi ripetuti comportamenti dell’uomo, volti ad «esercitare una indebita pressione psicologica nei confronti della figlia» e realizzati «insultandola, sottraendole il permesso di soggiorno ed il passaporto». E' dunque logica la conferma della condanna dell’uomo per il reato di «sequestro di persona».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /Non condivide le scelte sentimentali della figlia e la "trattiene" in un capannone: condannato - La Stampa

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