La separazione dei coniugi può essere addebitata ad uno di essi solo qualora i comportamenti contrari ai doveri del matrimonio, causa dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, siano stati assunti in maniera consapevole; consapevolezza che deve ritenersi esclusa qualora proprio il coniuge abbia sostenuto trattarsi di comportamenti effettivamente non voluti da chi li ha posti in essere.
Il caso. Due coniugi formulano reciproche domande di addebito nel giudizio di separazione. Lei assume di aver subito «violenza economica, avendo il marito gestito in modo autoritario ed esclusivo le risorse di casa», nonché «violenze morale, psicologiche o fisiche». Dal canto suo, il marito chiede l’addebito alla moglie perchè, a partire dal 2007, avrebbe posto in essere «devastanti comportamenti compulsivi, frutto di ossessione religiosa».
Nel corso del processo, venivano effettivamente accertati continui comportamenti della moglie «caratterizzati da violenta convulsione motoria, ore e ore di preghiera, frequentazione sistematica di un frate cappuccino, uso di saio anche per occupazioni domestiche». Il Tribunale ha però respinto entrambe le domande.
Comportamenti contrari al matrimonio e consapevolezza. Il Tribunale ha respinto la domanda di addebito del marito, ribadendo un principio costante: «la dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio». Nel caso di specie, per i giudici milanesi, non vi era alcun dubbio che i comportamenti della donna, assolutamente provati, fossero «difficilmente compatibili con i doveri nascenti dal matrimonio» e che avessero causato la frattura coniugale; pur tuttavia si trattava di comportamenti che lo stesso marito aveva affermato non essere stati volontariamente posti in essere dalla donna, in mancanza di consapevolezza e, dunque, di imputabilità, la richiesta di addebito non poteva che essere respinta.
Inaccoglibile anche la domanda di addebito formulata dalla donna giacché: i) l’asserita violenza economica era, in realtà, inesistente; ii) gli episodi rubricati come “violenza morale o psicologica” tali non potevano qualificarsi; iii) gli episodi di violenza fisica non risultavano provati e, in ogni caso, erano collocati successivamente alla crisi coniugale, così difettando il nesso di causalità.
Fonte: www.ilfamiliarista.it/Il demonio non c’entra: la crisi coniugale non è imputabile alla donna - La Stampa
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martedì 11 aprile 2017
Il demonio non c’entra: la crisi coniugale non è imputabile alla donna
Lo Studio Legale Mancino si occupa di tutte le fasi dell'assistenza legale in sede penale, sia per la difesa delle persone sottoposte a procedimento, sia per la tutela delle vittime di reato come parti civili. Lo Studio opera anche in tutti gli ambiti del diritto civile, dalla contrattualistica, al diritto di famiglia, separazioni e divorzi, successioni, diritti reali, assicurazioni e responsabilità civile, diritto bancario, nonché nel settore del diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali. L'Avv. Emiliano Mancino è abilitato alla difesa di fronte alla Corte di Cassazione. E' iscritto alle liste per il patrocinio a spese dello Stato. Lo Studio è a disposizione dei Colleghi che hanno necessità di collaborazione e/o di domiciliazione per tutti gli uffici giudiziari compresi nelle circoscrizioni dei Tribunali di Ferrara e Bologna.
Dal 2018 l’Avv. Emiliano Mancino aderisce al progetto Difesa Legittima Sicura, una rete di professionisti sul territorio nazionale che dà tutela legale a chiunque sia vittima di violenza.
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