martedì 18 aprile 2017

La PAS non è una malattia ma una condotta illecita

Il Tribunale di Milano, sez. IX civ., decreto 9-11 marzo 2017, torna a decidere su un caso di alienazione parentale, la così detta PAS (sindrome di alienazione parentale), ribadendo che non si tratta di una patologia da indagare clinicamente, ma di una serie di condotte rilevanti per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale.
L’accertamento in giudizio di queste condotte impone, inoltre, una pronuncia di condanna ex art. 96 comma II c.p.c., per grave abuso dello strumento processuale.
Il caso
Dopo una prima regolamentazione del tribunale sul diritto di frequentazione del padre con la figlia nata da una convivenza di fatto, la madre aveva depositato un ricorso ex art. 709 ter c.p.c., segnalando che, dopo la pronuncia del decreto giudiziale, sarebbero insorte complicazioni riguardanti i rapporti tra il padre e la figlia minore: in particolare, il disinteresse del padre e la conseguente reazione della figlia minore.
A fronte della relazione del Servizio sociale, dalla quale risultava che la bambina era del tutto contraria ad avere frequentazioni con il padre a causa  dell’idea di essere portata via dalla madre, il tribunale aveva disposto l’affidamento della minore al Comune, limitando la responsabilità genitoriale delle parti ma lasciando il collocamento presso la madre.
Il giudizio proseguiva con una CTU per l’esame diretto della bambina.
Dalla perizia risultava che la minore aderiva in maniera totale alla versione dei fatti narrati dalla madre, finendo per distorcere anche il dato reale. Al padre risultavano attribuite modalità comportamentali riferibili solo alla categoria dell’aggressività, nel tentativo della madre di renderlo inammissibile agli occhi della figlia piccola.
In conclusione, la consulente affermava: “finché la madre non darà il suo avallo, la figlia non potrà costruire una relazione buona e fiduciosa con il padre. Nel padre la madre vede solo negatività e non sa trovare nessun aspetto positivo o buono”.
Si ipotizzava, inoltre, un diverso collocamento: presso il padre oppure in affido etero familiare, che avrebbe consentito almeno un parziale recupero della relazione padre-figlia e la concreta disponibilità e possibilità del padre di farsi carico della bambina nella quotidianità.
Il provvedimento del tribunale.
La relazione tra figlia e papà è stata compromessa da comportamenti alienanti del genitore collocatario. Secondo il Tribunale milanese, il termine alienazione genitoriale – per la prevalente dottrina scientifica e per la migliore giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, ma un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale.
Tali condotte non richiedono l’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o l’origine patologia delle condotte.
I comportamenti della madre hanno causato uno stato di forte stress nel padre e anche una situazione di vulnerabilità per la figlia.
Un affido esclusivo al padre non è stato ritenuto applicabile a causa della sua fragilità emotiva, dovuta alla crisi degli affetti, e a causa del disagio della figlia di rifiuto del padre.
Il provvedimento contiene l’espressa previsione dell’utilizzo della sanzione prevista per la responsabilità processuale aggravata nei confronti del genitore alienante che abbia promosso la causa.
La madre che agisce in giudizio contro il padre per questioni relative ai figli, e risulti poi essere l’autrice di comportamenti alienanti, propone una azione che è da ritenere processualmente viziata da colpa grave e come tale meritevole di sanzione ex art. 96 comma III c.p.c.
L’art. 96 comma III c.p.c. risponde ad una funzione sanzionatoria delle condotte di chi, abusando del proprio diritto di azione e di difesa, si serve dello strumento processuale a fini dilatori, contribuendo così ad aggravare la mole del contenzioso e, conseguentemente, ad ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti.
La norma istituisce un’ipotesi di condanna di natura officiosa per l’offesa arrecata alla giurisdizione (Corte Cost., sentenza 23 giugno 2016, n. 152).
La madre è stata quindi condannata alle spese del processo e a una somma di uguale  misura, da quantificarsi sul valore delle spese di lite.
La giurisprudenza sul fenomeno PAS
Il Tribunale di Milano, con decreto del 13 ottobre 2014, aveva ritenuto inammissibile l’accertamento istruttorio relativo all’esistenza della sindrome da alienazione parentale poiché non è ancora riconosciuta sul piano scientifico.
Il comportamento “alienante” può rilevare sotto altri e diversi profili, ma non come “patologia” del minore, che quindi non può essere sottoposto ad accertamenti diagnostici.
Con la sentenza del 20 marzo 2013, n. 7041, la Corte di Cassazione, pur non negando espressamente l’esistenza del fenomeno, ha anche affermato che non può essere il solo ed essenziale elemento sulla cui base prendere decisioni particolarmente incisive nella vita dei minori coinvolti in ipotesi di crisi familiare. La tutela del minore deve assumere sempre valore primario e l'astratta presenza del disagio non può essere posta, in maniera automatica, a fondamento di un provvedimento di affidamento o di decadenza dalla potestà, essendo necessaria una scelta giudiziale ponderata e verificata anche alla luce di tutte le eventuali censure e contraddizioni mosse dalle parti processuali o rilevabili nella comunità scientifica.
Tuttavia, con un’altra sentenza dello stesso anno (Cass. Civ. 8 marzo 2013, n. 5847) la Cassazione ha riconosciuto l’esistenza della PAS, confermando la decisione assunta dal giudice territoriale che, riformando la sentenza di primo grado, aveva disposto l'affidamento esclusivo alla madre a causa dei comportamenti ostruzionistici del padre – risultanti da una relazione psichiatrica – volti a demolire la figura della madre, costretta a subire l'allontanamento ingiustificato dei figli.
Un nuovo cambio di rotta si è avuto di recente con la sentenza della Cassazione n. 6919 dell’8 aprile 2016, in cui la Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.

Fonte:www.altalex.com/La PAS non è una malattia ma una condotta illecita | Altalex

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