Con la recente sentenza n. 6900 dell'8 aprile 2016 la Corte di Cassazione ha esaminato una fattispecie nella quale un lavoratore sosteneva di essere stato licenziato "oralmente", in quanto, dopo essersi sottoposto ad un intervento chirurgico ed essersi successivamente assentato per circa un mese, senza fornire al datore alcuna notizia o certificazione, si era poi ripresentato sul posto di lavoro, che aveva trovato occupato, avendo il datore assunto altro personale per lo svolgimento delle medesime mansioni.
La Corte di merito, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigettava la domanda del lavoratore, ritenendo che il rapporto di lavoro si fosse risolto per mutuo consenso.
Il lavoratore ha impugnato la decisione, evidenziando, tra l'altro, che l'assenza ingiustificata dal posto di lavoro non dimostra, di per sé, la volontà di risolvere il rapporto di lavoro.
Con la sentenza in esame la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte di merito, affermando che, alla luce dei principi di buona fede e di correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., "il comportamento del titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell'abbandono della relativa pretesa, è idoneo come tale (essendo irrilevante qualificarlo come rinuncia tacita ovvero oggettivamente contrastante con gli anzidetti principi) a determinare la perdita della medesima situazione soggettiva".
In particolare, la Suprema Corte, richiamando la dottrina tedesca in analoga materia (Verwirkung), ha rilevato come in tal caso si verifichi "la preclusione di un'azione, o eccezione, o più generalmente di una situazione soggettiva di vantaggio, non per illiceità o comunque per ragioni di stretto diritto, ma a causa di un comportamento del titolare prolungato, non conforme ad essa e perciò tale da portare a ritenere l'abbandono".
Alla luce di quanto esposto, dunque, nel caso di assenza ingiustificata prolungata il datore di lavoro non sarebbe "costretto" a dare corso ad un procedimento disciplinare per risolvere il rapporto di lavoro, né sarebbero – a maggior ragione - richieste le dimissioni del lavoratore, la validità delle quali è ora sottoposta all'attivazione, da parte del lavoratore medesimo, di una specifica procedura (cfr. art. 26 del D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 151).
La pronuncia in esame appare di particolare interesse, in quanto sembra discostarsi dai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in altri casi analoghi; infatti, anche recentemente, la Suprema Corte (cfr. Cass. 10 febbraio 2016, n. 2645), ha ritenuto insufficienti, al fine di configurare la risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso nel caso di impugnazione di un contratto a termine, la prolungata inerzia del lavoratore nell'agire in giudizio per chiedere il ripristino del rapporto di lavoro nonchè la sussistenza di altre circostanze successive alla cessazione del rapporto a termine, dedotte dal datore di lavoro e ritenute non significative (nel caso esaminato dalla richiamata sentenza, il lavoratore aveva atteso circa quattro anni dalla scadenza del contratto a termine per depositare il ricorso ed aveva, altresì, instaurato un altro rapporto a termine e continuato a versare contributi come coltivatore diretto successivamente alla cessazione del contratto a termine impugnato).
La sentenza in esame ha affrontato anche un'ulteriore ed interessante questione di carattere processuale, in quanto il lavoratore aveva impugnato la decisione di merito per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sancito dall'art. 112 c.p.c., sostenendo che il datore non aveva mai eccepito la risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso.
La Suprema Corte, rigettando il motivo di gravame, ha aderito al prevalente orientamento circa la natura dell'eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso come eccezione "in senso lato", in quanto "rappresentante un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal contratto, che può essere accertato d'ufficio".
Fonte: www.ilsole24ore.com/L'assenza ingiustificata prolungata può determinare la risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso
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sabato 30 aprile 2016
L'assenza ingiustificata prolungata può determinare la risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso
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