Una sola pianta di marijuana fa scattare la condanna nonostante la legge n. 242/2016. E' quanto emerge dalla sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 6 novembre 2020, n. 30930.
Il caso
Il caso vedeva un uomo essere condannato per avere detenuto, a fine di spaccio, 7 grammi di cocaina, 5,2 grammi di marijuana e 2,4 grammi di ecstasy, nonché per avere coltivato una pianta di marijuana dell'altezza di circa un metro.
La l. 2 dicembre 2016, n. 242, recante “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa” non trova applicazione nel caso di coltivazione domestica di canapa in quanto la legge persegue lo scopo di sostenere e promuovere la coltivazione e la filiera della canapa al fine di contribuire alla riduzione dell'impatto ambientale in agricoltura, alla riduzione del consumo dei suoli e della desertificazione e alla perdita della biodiversità.
La finalità della legge è, quindi, quella di incentivare e sostenere la coltivazione della canapa in vista dei suoi molteplici utilizzi in ambito agro-industriale senza interferire con il mercato illecito finalizzato al consumo di tale sostanza drogante.
La decisione
Secondo l'orientamento dominante in giurisprudenza, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l'offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, attese la formulazione della norma e la ratio della disciplina in materia, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente (Cass. pen., Sez. VI, 24 maggio 2013, n. 22459).
Sul punto sono intervenute anche le Sezioni Unite le quali hanno sancito che non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, la condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all'uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Cass. pen., Sez. Un., 16 aprile 2020, n. 12348); il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio estraibile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente.
Si esclude dal perimetro di tipicità la coltivazione svolta in forma domestica che, in relazione agli indici del caso concreto, appare destinata a produrre sostanza stupefacente diretta all'uso esclusivamente personale del coltivatore.
Nella fattispecie, gli ermellini hanno affermato che la pianta sequestrata, per grado di sviluppo e dimensioni (alta circa un metro), era concretamente idonea a produrre 200 dosi medie, ritenute destinate allo spaccio, in considerazione del rinvenimento sia della strumentazione atta al confezionamento, sia di sostanza stupefacente di altra tipologia.
Non può trovare applicazione, come già accennato, la legge 242/2016, in quanto la norma punta solo a promuovere la filiera agricola della canapa e non si può applicare alle coltivazioni domestiche.
(fonte:www.altalex.com)
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