sabato 5 gennaio 2019

Buchi contributivi riscattabili fino a 5 anni

Riscattabili i «buchi contributivi». Con la pace fiscale, infatti, chi ha una carriera discontinua potrà coprire fino a cinque anni di anzianità contributiva, valida sia ai fini del diritto sia della misura della pensione, mediante riscatto dei periodi non lavoratori. L'opportunità interessa solamente i lavoratori iscritti all'Inps, compresa la gestione separata, rientranti in pieno nel regime «contributivo» di calcolo della pensione (soggetti che non hanno alcun contributo versato fino al 31 dicembre 1995). Il costo del riscatto (pari ai contributi calcolati sull'ultima retribuzione/reddito) è detraibile per il 50% dall'Irpef, in cinque rate annuali. È quanto prevede la bozza di decreto attuativo della riforma delle pensioni, che verrà approvato dal consiglio dei ministri la prossima settimana, quale misura sperimentale per il biennio 2019/2020.
Il riscatto dei buchi. La misura è destinata ad agevolare i soggetti più giovani (che hanno cioè iniziato a lavorare dopo il 1995) con carriere discontinue. Si tratta di una facoltà di riscatto senza altra causa se non quella, appunto, del «buco contributivo»: di periodi, cioè, non già coperti da contribuzione, comunque versata e accreditata, presso forme di previdenza obbligatoria. I periodi riscattabili sono quelli compresi tra la data di prima iscrizione alla previdenza (necessariamente dopo il 31 dicembre 1995) e l'ultimo contributo versato all'Inps (sono escluse le casse professionali); di questi periodi, il lavoratore ha facoltà di scegliere quali e quanti riscattare, nel limite massimo di cinque anni, anche se non continuativi. Come detto la facoltà è riservata esclusivamente ai soggetti in regime contributivo, che cioè non hanno contributi versati prima del 1° gennaio 1996; l'eventuale acquisizione del diritto a contributi antecedenti alla predetta data (così da transitare nel regime «misto» delle pensioni»), successivamente al riscatto, comporterà l'annullamento d'ufficio del riscatto con conseguente restituzione dei contributi.
Il costo del riscatto. La facoltà del riscatto è esercitata a domanda dell'interessato o anche dei suoi superstiti (in tal caso, evidentemente, al fine di raggiungere il «minimo» per una pensione di reversibilità) o dei suoi parenti e affini fino al secondo grado. Per il calcolo dell'onere del riscatto si utilizzano gli stessi criteri previsti per il riscatto della laurea (art. 2, comma 5, del dlgs n. 184/1997), ossia applicando l'aliquota contributiva vigente nella gestione presso la quale è stata fatta domanda di riscatto a una retribuzione/reddito pari a quella/quello meno remota rispetto alla data di presentazione della domanda di riscatto. Ad esempio, un co.co.co. con compenso annuo di 20 mila euro dovrebbe pagare 6.600 euro per riscattare un anno di contributi; 550 per un mese e 3.300 euro per sei mesi (gli importi sono gli stessi per un dipendente con stessa retribuzione). Un professionista senza cassa, iscritto alla gestione separata, avente lo stesso reddito, invece, dovrebbe pagare 5.000 per un anno; 417 euro per un mese e 2.500 euro per sei mesi. L'onere del riscatto può essere sostenuto anche dal datore di lavoro, attingendo eventualmente dai premi di produzione spettanti al lavoratore.
Le agevolazioni. Due le agevolazioni. La prima è di natura fiscale e prevede che l'onere del riscatto è detraibile dall'imposta lorda in misura del 50% con una ripartizione in cinque quote annuali costanti e dello stesso importo. Ciò vuole dire che la metà del riscatto è pagata dallo stato. La seconda agevolazione è nel pagamento; oltre al versamento in unica soluzione, l'interessato può decidere di pagare il riscatto in forma dilazionata, in massimo 60 rate mensili, ciascuna di pari importo non inferiore a 30 euro, senza applicazione di interesse per la rateizzazione.
Quando può servire il riscatto? La misura, come detto, si presta a coprire «buchi» contributivi per quei lavoratori con carriere discontinue (co.co.co, lavoratori a termine, etc.). Per ipotesi, allora, potrebbe tornare utile a un lavoratore che, avanti con l'età, sia in possesso di 15 anni di contributi dal 1996: potrebbe fare domanda di riscatto per un periodo di cinque anni, così da raggiungere il minimo dei 20 anni di contributi che occorrono per la pensione, e il giorno dopo fare domanda di pensione. In tal caso, e in tutti i casi in cui i periodi di riscatto vengono utilizzati per liquidare una pensione o per l'accoglimento di una domanda di autorizzazione ai versamenti volontari, tutto il riscatto va pagato in unica soluzione.

fonte: www.italiaoggi.it

Decurtazione di 5 punti patente per chi circola senza copertura assicurativa

L'art. 23 bis del D.L. 28 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2018, n. 136, ha disposto l'inserimento dell'art. 193 comma 2, c.s. nella tabella punti dell'art. 126 bis c.s. prevedendo la decurtazione di 5 punti per chiunque circola senza la copertura dell'assicurazione. Nei casi indicati dal comma 2 bis - così come inserito dal medesimo art. 23 bis - la sanzione amministrativa pecuniaria è raddoppiata
Il nuovo comma 2 bis ha poi previsto che quando lo stesso soggetto sia incorso, in un periodo di due anni, in una delle violazioni di cui al comma 2 per almeno due volte, all'ultima infrazione consegue altresì la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da uno a due mesi, ai sensi del titolo VI, capo I, sezione II. In tali casi, in deroga a quanto previsto dal comma 4, quando è stato effettuato il pagamento della sanzione in misura ridotta ai sensi dell'articolo 202 e corrisposto il premio di assicurazione per almeno sei mesi, il veicolo con il quale è stata commessa la violazione non è immediatamente restituito ma è sottoposto alla sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per quarantacinque giorni, secondo le disposizioni del titolo VI, capo I, sezione II, decorrenti dal giorno del pagamento della sanzione prevista. La restituzione del veicolo è in ogni caso subordinata al pagamento delle spese di prelievo, trasporto e custodia sostenute per il sequestro del veicolo e per il successivo fermo, se ricorrenti, limitatamente al caso in cui il conducente coincide con il proprietario del veicolo

giovedì 3 gennaio 2019

Detenuto suicida: il Ministero deve risarcire i familiari

Spetta il risarcimento ai familiari del detenuto suicida che aveva manifestato il proprio intento, qualora l’amministrazione penitenziaria non abbia posto in essere tutte le misure idonee a prevenire l’evento. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30985 del 30 novembre 2018.
Il caso. Un uomo, arrestato per presunta violenza sessuale, durante la sua detenzione si toglie la vita, impiccandosi. Dal momento che aveva già dichiarato la propria intenzione suicida, ma ciò nonostante non era stato posto in regime di sorveglianza speciale, né posto in regime comune, come richiesto dal giudice di turno, i suoi familiari si rivolgono al Tribunale di Catanzaro per ottenere dal Ministero della Giustizia il risarcimento del danno per omessa vigilanza. Il giudice di prime cure condanna il Ministero al pagamento di € 195.696,00 a titolo di risarcimento del danno, ma la Corte d’appello accoglie la richiesta del Ministero, sottolineando come non fosse prevedibile, né prevenibile l’evento suicida, ritenendo il collegamento causale tra comportamento dell’amministrazione penitenziaria e la morte dell’uomo fosse da considerarsi interrotto dall’eccezionalità dell’evento. La Corte territoriale aveva specificato che, nonostante non fosse rinvenibile alcun intento suicida, l’uomo era stato posto in regime di grande sorveglianza, ossia guardato a vista ogni 20 minuti, che il colloquio psicoterapico era stato svolto senza esiti apprezzabili e che il detenuto era in una cella singola in attesa di destinazione definitiva.
I congiunti ricorrono dunque per la Cassazione della sentenza.
Prevenzione del suicidio. La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso dei familiari, poiché non erano state effettivamente adottate tutte le misure idonee a prevenire il suicidio, la cui intenzione era stata chiaramente manifestata dall’uomo. Precisa infatti che non è possibile affermare che l’amministrazione penitenziaria abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare l’evento; dichiara la Corte che circostanza decisiva doveva considerarsi, inoltre, il fatto che l’uomo non era stato sottoposto ad alcuna «osservazione funzionale a verificarne la capacità di affrontare adeguatamente lo stato di restrizione e ciò in quanto al momento dell’ingresso in carcere non c’erano ne l’educatore, né lo psicologo».
Evidente la responsabilità dell’amministrazione. Decisiva, infine, secondo la Cassazione, l’inottemperanza all’ordine del PM di sottoporre il detenuto a regime di detenzione in regime comune, poiché è «incontestabile, sul piano causale che, ove il detenuto fosse stato sottoposto a regime di detenzione comune, come peraltro chiesto dal PM, i suoi intenti suicidari sarebbero stati impediti o comunque resi di assai più ardua realizzazione dalla presenza di altri detenuti».
La Terza Sezione cassa la 3sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello, che dovrà riesaminare la questione stabilendo il quantum del risarcimento.

Fonte: www.ridare.it


Decreto Fiscale: modifiche al Codice della Strada sull’obbligo della Rca

L’art. 23 bis D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2018, n. 136 recante disposizioni urgenti in materia di circolazione ha introdotto alcune modifiche all’art. 193 D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285.
La norma - introdotta in forma di emendamento durante l’esame al Senato - inasprisce le sanzioni per i trasgressori dell’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile, prevedendo per chiunque circoli senza la copertura dell'assicurazione la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 849 a euro 3.396, precisando che nei casi indicati dal comma 2 bis, la sanzione amministrativa pecuniaria è raddoppiata.
Al riguardo va opportunamente precisato che la stipulazione di un contratto di assicurazione della responsabilità civile relativa alla circolazione di un autoveicolo è obbligatoria qualora il veicolo di cui trattasi, pur trovandosi, per sola scelta del suo proprietario, che non ha più intenzione di guidarlo, stazionato su un terreno privato, sia tuttora immatricolato in uno Stato membro e sia idoneo a circolare (Corte Giustizia UE Grande sezione, 4 settembre 2018, n. 80).
In buona sostanza, l’obbligo della copertura r.c.a. sussiste anche se l’autoveicolo è fermo non influendo detta scelta da parte del proprietario dello stesso, sul rispetto dell’obbligo legale assicurativo.
Inoltre, l'illecito previsto dal comma 2 dell'art. 193 ricorre anche nell’ipotesi in cui sia stata sospesa la copertura assicurativa dell’autoveicolo, perchè la sospensione della copertura assicurativa non concerne soltanto i rapporti di natura contrattuale intercorrenti tra l’assicurato e l’assicuratore, riverberando i propri effetti anche sulla posizione di coloro che assumono il ruolo di terzi danneggiati (Cass. civ. sez. II, 13 aprile 2010, n. 8764).
Vieppiù, ove si consideri che l'art. 196 C.d.S. estende al proprietario del veicolo l'obbligo al pagamento delle sanzioni pecuniarie per gli illeciti commessi da altri soggetti tramite quel mezzo: un'obbligazione a titolo solidale con l'effettivo autore della violazione.
Lo stesso art. 196 C.d.S. consente al proprietario del veicolo di esonerarsi da questa presunzione di responsabilità allorchè riesca a fornire la prova che la circolazione del mezzo è avvenuta contro la sua volontà.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la portata della clausola di esonero da responsabilità, affermando il principio che il proprietario del veicolo non può limitarsi a provare che la circolazione sia avvenuta senza il suo consenso (invito domino), ma deve dimostrare che la stessa abbia avuto luogo contro la sua volontà (prohibente domino), il che postula che la volontà contraria si sia manifestata in un concreto ed idoneo comportamento ostativo specificamente rivolto a vietare la circolazione ed estrinsecatosi in atti e fatti rilevatori della diligenza e delle cautele allo scopo adottate (Cass. civ. sez. III, 14 luglio 2011,  n. 15478; Cass. civ. sez. III, 7 luglio 2006,  n. 15521).
In tale ottica, si è quindi precisato che la valutazione della diligenza del proprietario e della sufficienza dei mezzi adottati per impedire la circolazione del veicolo deve essere compiuta secondo un criterio di normalità ed in relazione al caso concreto e che il relativo accertamento è rimesso al giudice di merito, il cui giudizio, se adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. civ. sez. III, 7 luglio 2006,  n. 15521, cit.).
Il comma 2 bis della norma sopra citata, in tema di recidiva, dispone che quando lo stesso soggetto sia incorso, in un periodo di due anni, in una delle violazioni di cui al comma 2 per almeno due volte, all'ultima infrazione consegue altresì la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da uno a due mesi, ai sensi del titolo VI, capo I, sezione II.
In tali casi, in deroga a quanto previsto dal comma 4, quando è stato effettuato il pagamento della sanzione in misura ridotta ai sensi dell'art. 202 c.d.s. e corrisposto il premio di assicurazione per almeno sei mesi, il veicolo con il quale è stata commessa la violazione non è immediatamente restituito ma è sottoposto alla sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per quarantacinque giorni, secondo le disposizioni del titolo VI, capo I, sezione II, decorrenti dal giorno del pagamento della sanzione prevista.
In ordine a tale punto, la giurisprudenza aveva in precedenza affermato il principio che nei contratti di assicurazione della r.c.a. con rateizzazione del premio, una volta scaduto il termine di pagamento della seconda rata di premio, l'efficacia del contratto resta sospesa a partire dal quindicesimo giorno successivo alla scadenza, e tale sospensione è opponibile anche ai terzi danneggiati, ai sensi dell'art. 1901 c.c.. Ne consegue che, una volta spirato il suddetto termine, il veicolo deve ritenersi sprovvisto di assicurazione - e chi l'ha messo in circolazione incorrerà nella relativa sanzione amministrativa - a nulla rilevando che l'assicuratore abbia accettato un pagamento tardivo, che non costituisce rinunzia alla sospensione della garanzia assicurativa ma impedisce la risoluzione di diritto del contratto ex art. 1901 c.c., comma 3 (Cass. civ. sez. III, 14 marzo 2014, n. 5944).
La restituzione del veicolo è in ogni caso subordinata al pagamento delle spese di prelievo, trasporto e custodia sostenute per il sequestro del veicolo e per il successivo fermo, se ricorrenti, limitatamente al caso in cui il conducente coincide con il proprietario del veicolo.
Inoltre la sanzione amministrativa di cui al comma 2 dell’art. 193 c.d.s. è ridotta alla metà quando l'assicurazione del veicolo per la responsabilità verso i terzi sia comunque resa operante nei quindici giorni successivi al termine di cui all'art. 1901, comma 2, c.c.
La sanzione amministrativa di cui al comma 2 è altresì ridotta alla metà quando l'interessato entro trenta giorni dalla contestazione della violazione, previa autorizzazione dell'organo accertatore, esprime la volontà e provvede alla demolizione ed alle formalità di radiazione del veicolo.
In tale caso l'interessato ha la disponibilità del veicolo e dei documenti relativi esclusivamente per le operazioni di demolizione e di radiazione del veicolo previo versamento presso l'organo accertatore di una cauzione pari all'importo della sanzione minima edittale previsto dal comma 2 della stessa norma citata.
Ad avvenuta demolizione certificata a norma di legge, l'organo accertatore restituisce la cauzione, decurtata dell'importo previsto a titolo di sanzione amministrativa pecuniaria.
Tale ultima disposizione introdotta dal legislatore, sembra recepisce un pregresso consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui i veicoli, ancorchè privi di parti essenziali per un'autonoma circolazione o fortemente danneggiati od usurati, non sono esclusi dall'obbligo assicurativo se non risulti la prova della loro assoluta inidoneità alla circolazione e la loro sostanziale riduzione allo stato di rottame, non rilevando in contrario neppure la circostanza che il proprietario abbia raggiunto accordi con terzi per provvedere all'asporto ed alla successiva demolizione (Cass. civ., sez.II, 2 settembre 2008, n. 22035; Cass. civ., sez. I, 29 novembre 2004, n. 22478; Cass. civ. sez. I, 9 maggio 1991, n. 5189; Cass. civ., sez. I, 15 giugno 1988, n. 4086).

fonte: quotidianogiuridico.it