venerdì 18 dicembre 2020

A casa con il Covid: le raccomandazioni del ministero della Salute per le cure domiciliari

Il ministero della Salute ha fornito le linee guida per la cura a domicilio dei pazienti affetti da Covid-19. Le raccomandazioni sono rivolte ai medici di famiglia e pediatri di libera scelta e hanno lo scopo di rendere omogenee le cure sul territorio italiano (seguendo uno standard basato sulle prove scientifiche disponibili) evitando così il ricorso a trattamenti inefficaci o addirittura potenzialmente dannosi.
Con il passare del tempo, infatti, la gestione dei pazienti con Covid-19 si è progressivamente evoluta. Questo grazie a diversi fattori come il maggior numero di informazioni sulla malattia, l’efficacia o la tossicità delle varie terapie finora sperimentate, il cui impiego cambia a seconda della severità della sintomatologia dei pazienti.

Le tre fasi della malattia
L’assistenza data al malato deve essere commisurata alla gravità del suo quadro clinico. Per quanto riguarda il Covid-19, l’infezione ha sostanzialmente tre fasi.
Prima fase. È caratterizzata principalmente da sintomi simil-influenzali come malessere generale, febbre e tosse secca. Se l’infezione viene bloccata dal sistema immunitario a questo stadio, il decorso è benigno. Questo avviene nella maggioranza dei casi.
Seconda fase. L’infezione e la risposta immunitaria al virus causano un’infiammazione dei polmoni (si parla di polmonite interstiziale bilaterale) e l’alterazione della funzionalità polmonare. In questa fase si possono avere bassi livelli di ossigeno nel sangue senza percezione di affanno o fame d’aria (si parla di ipossiemia silente). Se però l’infiammazione dei polmoni peggiora, si arriva all’insufficienza respiratoria.
Terza fase. Il quadro clinico è aggravato da una forte reazione infiammatoria (detta “tempesta di citochine”) sviluppata dal sistema immunitario nei confronti del virus, con gravi conseguenze per la salute del malato. Questa condizione, che per fortuna è stata osservata in una minoranza di persone, può causare l’infiammazione dei vasi sanguigni e la formazione di coagulali (che blocca l’afflusso sanguigno) arrivando a causare lesioni polmonari gravi e permanenti.
Cure a domicilio: a chi sono rivolte
I medici e i pediatri di famiglia possono prendere in carico solo i pazienti che si trovano nella prima fase e che hanno sintomi lievi tollerati dalla persona con o senza l’uso di farmaci e che non presentano difficoltà respiratorie, disidratazione o alterazione dello stato di coscienza. In questi casi, il medico o il pediatra hanno il compito di gestire i sintomi e monitorare il decorso della malattia, con particolare attenzione ai fattori di rischio che possono indicare la necessità di ospedalizzazione.
I pazienti a basso rischio di ospedalizzazione sono definiti dall’assenza di fattori di rischio aumentato (ad esempio patologie neoplastiche o immunodepresse) e sulla base di alcune caratteristiche.
Sintomi simil-influenzali come febbre superiore a 37.5 gradi, malessere, tosse, mal di gola, congestione nasale, cefalea, dolori muscolari, diarrea.
Assenza di difficoltà respiratorie e normale frequenza respiratoria (9-14 atti respiratori al minuto) con saturazione dell’ossigeno almeno del 92% (una saturazione normale è superiore al 95%, ma nei pazienti più anziani può andare al di sotto di 94%).
Febbre minore o uguale a 38°C o maggiore di 38°C da meno di 72 ore.
Sintomi gastrointestinali senza disidratazione o diarrea severa.
I pazienti con maggior rischio di forme severe e decorsi sfavorevoli sono anziani (soprattutto oltre i 70 anni di età), di sesso maschile e che hanno più di una patologia cronica, come ad esempio ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca, diabete mellito, insufficienza renale e malattia coronarica, patologie respiratorie croniche, insufficienza renale cronica.
Terapie: quelle consigliate e quelle no
Per chi ha sintomi lievi e viene curato a casa, il ministero della Salute raccomanda alcune terapie.
L’uso di farmaci solo quando i sintomi sono fastidiosi. Ad esempio, il paracetamolo o farmaci antinfiammatori non steroidei come l’ibuprofene, possono essere usati in sicurezza quando la febbre alta impedisce il riposo o in presenza di dolori articolari o muscolari.
Di continuare con il trattamento farmacologico delle malattie croniche. Ad esempio, le terapie per la pressione alta e per abbassare il colesterolo, i farmaci antiaggreganti e gli anticoagulanti. A meno di diversa indicazione dello specialista, anche il trattamento immunosoppressivo nei pazienti trapiantati o nei pazienti con malattie autoimmuni può proseguire.
Non viene consigliato l’uso di antibiotici, nè in maniera preventiva nè curativa, tranne quando non ci sia un infezione batterica in atto.
Non è previsto l’uso di altri farmaci come cortisone o eparina né di particolari terapie preventive per ridurre il rischio di ospedalizzazione.
Eparina e cortisone: solo in alcuni casi
Idrossiclorochina: efficacia non dimostrata
Integratori e vitamine: inutili contro il covid
A parte l’idratazione e una corretta alimentazione, per il trattamento del Covid-19 non è suggerito altro. Integratori a base di estratti vegetali oppure contenenti vitamine ad alti dosaggi, come la vitamina D, o sostanze come la quercitina o la lattoferrina con ipotetica ma non provata azione antivirale, non sono considerati utili sulla base delle prove scientifiche esistenti.

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