Sulla scia della legge “Balduzzi” (legge 189/2012), è in corso di approvazione un disegno di legge denominato dal relatore on. Gelli; è già stato licenziato dalla Camera dei Deputati il 28.1.2016 ed attualmente è all’esame del Senato. Se dovesse diventare legge, essa come già la legge “Balduzzi”, avrebbe fra gli scopi principali quello di scongiurare la c.d. “medicina difensiva”, e cioè i comportamenti dei sanitari volti più ad evitare eventuali addebiti che non a prendersi cura del paziente. Quindi esami inutili ma costosi e magari anche rischiosi per il paziente. Ma ancor peggio, la tendenza ad evitare interventi che comportino un elevato rischio infausto.
Una delle novità più significative, ed anzi rivoluzionarie, del ddl in esame è contemplata dall’art. 6, sulla penale responsabilità dell’esercente la professione sanitaria.
Detto articolo introduce una nuova norma nel codice penale, l’art. 590 ter (sarà in effetti il quater), composto da due commi.
Il primo comma prevede che “l’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, cagiona a causa di imperizia la morte o la lesione personale della persona assistita risponde dei reati di cui agli artt. 589 e 590 solo in caso di colpa grave”.
Il secondo comma statuisce che “agli effetti di quanto previsto dal primo comma, è esclusa la colpa grave quando, salve le rilevanti specificità del caso concreto, sono rispettate le buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge”.
Perchè queste previsioni sono rivoluzionarie?
Non tanto per quanto precettato nel primo comma; difatti la limitazione della responsabilità professionale sanitaria all’ipotesi di colpa grave era già contemplata, sia pure in termini diversi, nella c.d. Legge Balduzzi (con l’ulteriore interpretazione giurisprudenziale che circoscriveva tale limitazione alla colpa per imperizia).
Quanto piuttosto per ciò che si contempla nel secondo comma, laddove viene esclusa ogni responsabilità penale colposa (per imperizia) in capo all’esercente la professione sanitaria relativamente ai delitti di lesioni e omicidio colposi, laddove l’operatore si sia attenuto alle buone pratiche ed alle linee guida.
In realtà l’attuale formulazione dell’art. 6 del ddl è alquanto “aperta” e lascia quindi molti interrogativi sulla sua concreta attuazione e fa immaginare scenari non sempre rassicuranti nelle quotidiane pratiche sanitarie.
L’operatore sanitario è esentato da responsabilità penale per i reati indicati allorquando segua le linee guida e se l’eventuale colpa sia configurabile quale imperizia (e non quindi imprudenza e negligenza o violazione di specifiche norme di comportamento).
La distinzione tra i vari profili di colpa non è affatto semplice nella realtà dei processi: ad esempio una dimissione dall’ospedale con diagnosi di gastralgia cui segue la morte del paziente per infarto è riferibile a negligenza, imprudenza o imperizia?
Se vengono rispettate le linee guida diagnostiche il sanitario ha tutto l’interesse a far rientrare l’eventuale colpa nel profilo dell’imperizia, in quanto se vi riesce andrà esente da qualsiasi responsabilità penale (anche se vi è stata una grave imperizia), mentre se dovessero configurarsi i profili della negligenza o dell’imprudenza risponderà anche nella loro forma lieve.
Da qui discende che il ruolo del consulente di parte (della persona offesa, del pubblico ministero e della persona sottoposta ad indagini) diventerà ancor più decisivo.
Sempre che, ovviamente sussista il nesso di causalità tra la condotta colposa e l’evento.
La forbice della possibile responsabilità è quindi assai allargata: dal niente al tutto.
Appare quindi decisivo per l’operatore sanitario, medico o infermiere, rimanere nei binari delle linee guida e delle buone pratiche.
E’ pur vero che il comma 2 del redigendo art. 590 ter (quater) fa salve “le rilevanti specificità del caso concreto”, indicando all’esercente la professione sanitaria che in tali casi dovrà discostarsi dalle buone pratiche e dalle linee guida, tuttavia sembra proprio doversi ritenere che, discostandosene, non potrà più avvalersi della “copertura” di tale comma, che, come detto, esclude la responsabilità per colpa (imperizia) soltanto quando esse vengono applicate.
Stiamo considerando le seguenti ipotesi:
a) il professionista sanitario segue le linee guida (nella fase diagnostica o in quella terapeutica) e tuttavia commette un errore, che causa un evento negativo (morte o lesioni del paziente);
b) il professionista si discosta dalle linee guida, ritenendo rilevanti le specificità del caso concreto e tuttavia commette un errore (eventualmente anche perché se ne è discostato mentre non avrebbe dovuto).
Come detto nel caso sub a) l’imperizia diagnostica o terapeutica non comporta responsabilità penale (comma 2), nel caso sub b) vi è responsabilità soltanto nel caso di imperizia grave (comma 1).
La chiave di volta delle norme in corso di approvazione pare quindi essere la dimostrabilità e sostenibilità delle “rilevanti specificità” del caso concreto.
Stante la necessità di applicazione delle “raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge”, al fine della autotutela del professionista diventa fondamentale il sopracitato aspetto.
In un caso infatti il professionista che si trovi ad applicare il protocollo, non rilevando una specificità che invece avrebbe dovuto rilevare, si troverebbe comunque esente da responsabilità o in una posizione ben più favorevole rispetto al professionista che più coscientemente dovesse ritenere di non attenersi alle linee guida avendo considerato la “specificità” del caso.
Nella prima ipotesi infatti l'onere probatorio sarebbe in capo all'accusa, la quale dovrebbe dimostrare che, in base alla situazione concreta del paziente, l'operatore sanitario non avrebbe non potuto rilevarne la specificità e quindi avrebbe dovuto discostarsi dalle raccomandazioni delle linee guida.
Tale posizione appare ben più vantaggiosa rispetto alla seconda ipotesi ove tale onere rimane in capo all'operatore che si troverebbe a correre il concreto rischio di non riuscire a dimostrare con sufficiente valenza che nel caso specifico era assolutamente necessario discostarsi dalle raccomandazioni delle linee guida.
Sarà verosimilmente più agevole difendersi, in caso di processo penale, assumendo o che il caso concreto non presentava specificità o che esse non apparivano rilevanti.
Ciò è stato frutto di un errore (anche grave)? Tuttavia non vi sarà responsabilità penale.
Aggiungendo che, avendo seguito le linee guida, ben difficilmente si potrebbero ipotizzare negligenza o imprudenza.
Va oltretutto tenuto presente che nella scienza medica vi sono tante zone grigie dove non c'è letteratura, ponendosi il problema di trovare un comportamento che il sanitario debba seguire per andare esente da responsabilità penale in caso di errore.
L'applicazione rigorosa di questa norma rischia di spingere il sanitario a seguire pedestremente le linee guida senza operare una valutazione critica di ogni situazione: la non punibilità così come prevista rischia di premiare chi opera in maniera acritica ed aderente ai protocolli e di penalizzare chi invece coscientemente si discosti da essi.
Tuttavia è evidente che l’attenzione del sanitario tenderà a spostarsi dal malato alla malattia. In altri termini, dal caso concreto alla linea guida.
Se è vero che le indicazioni delle linee guida consentiranno di superare la tendenziale autoreferenzialità scientifica del sanitario, esse tuttavia non possono né devono trasformarsi da strumento a fine di una professione che si misura costantemente con situazioni difficilmente codificabili.
Ma forse questa conseguenza sarà limitata dalla coscienza professionale del sanitario, il quale correrà i rischi di un errore (sanzionabile) ma abbandonerà in tutto o in parte una linea guida che non gli appaia adeguata a quel paziente
In tal caso tuttavia dovrà evitare, in previsione di un possibile errore, che l’abbandono possa apparire frutto di negligenza o imprudenza, in quanto risponderebbe penalmente anche per colpa lieve. E’ facile prevedere che il Pubblico Ministero (e prima di lui il consulente dell’accusa), riscontrando che il sanitario non ha seguito le linee guida, ipotizzi proprio i profili colposi della negligenza e dell’imprudenza
Come evitare questa (processualmente) pericolosa eventualità?
Documentando ed illustrando il perché della scelta di non seguire (in tutto o in parte) la linea guida: utilizzando quindi la cartella clinica o quella infermieristica.
In esse infatti dovrà essere spiegato con sufficienza di argomentazione perché il caso concreto presentasse rilevanti specificità che imponevano una strada, diagnostica o terapeutica, alternativa.
In sostanza è opportuno che il sanitario si precostituisca una prova del fatto che ha ben meditato sulla scelta fatta, anche se essa successivamente risulterà frutto di un errore di valutazione, errore però non dovuto o a negligenza o ad imprudenza (e quindi non rilevante nel caso di colpa lieve).
Altro punto che andrà approfondito e che potrebbe creare alcune perplessità è quello che riguarda la pubblicazione delle “buone pratiche clinico-assistenziali e le raccomandazioni previste dalle linee guida” : la nuova norma, all'art. 5 prevede che le stesse siano indicate dalle società scientifiche e dagli istituti di ricerca individuati con decreto ministeriale ed iscritti in un apposito elenco, anch'esso istituito con il medesimo decreto, da emanare entro un anno.
E' previsto inoltre che le linee guida debbano essere pubblicate contestualmente, per i singoli settori di specializzazione, entro due anni dall'entrata in vigore della legge e che debbano essere periodicamente aggiornate.
Poichè la medicina è una scienza in continua evoluzione si prospetterà il problema della tempestiva pubblicazione delle nuove linee guida: ci si domanda sin d'ora quale potrebbe essere la sorte di un operatore sanitario che si dovesse trovare ad applicare una raccomandazione sperimentale o comunque accreditata dalla comunità scientifica ma non ancora pubblicata nell'elenco previsto dalla legge e facesse un errore che causi una lesione o la morte. La norma, così come formulata, pare lasciare aperto l'interrogativo a cui gli interpreti della legge dovranno cercare di dare una risposta.
Fonte: www.quotidianogiuridico.it//Responsabilità medica: le novità del ddl Gelli | Quotidiano Giuridico
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martedì 14 giugno 2016
Responsabilità medica: le novità del ddl Gelli
Lo Studio Legale Mancino si occupa di tutte le fasi dell'assistenza legale in sede penale, sia per la difesa delle persone sottoposte a procedimento, sia per la tutela delle vittime di reato come parti civili. Lo Studio opera anche in tutti gli ambiti del diritto civile, dalla contrattualistica, al diritto di famiglia, separazioni e divorzi, successioni, diritti reali, assicurazioni e responsabilità civile, diritto bancario, nonché nel settore del diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali. L'Avv. Emiliano Mancino è abilitato alla difesa di fronte alla Corte di Cassazione. E' iscritto alle liste per il patrocinio a spese dello Stato. Lo Studio è a disposizione dei Colleghi che hanno necessità di collaborazione e/o di domiciliazione per tutti gli uffici giudiziari compresi nelle circoscrizioni dei Tribunali di Ferrara e Bologna.
Dal 2018 l’Avv. Emiliano Mancino aderisce al progetto Difesa Legittima Sicura, una rete di professionisti sul territorio nazionale che dà tutela legale a chiunque sia vittima di violenza.
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