lunedì 13 giugno 2016

Unioni civili: prime riflessioni sull’applicazione in campo penale della legge 76/2016

La legge n. 76 del 2016, nell’introdurre nel nostro ordinamento le unioni civili fra persone dello stesso sesso, ha evitato accuratamente di utilizzare termini propri dell’istituto del matrimonio per ragioni di opportunità politica. Tuttavia, il legislatore era evidentemente mosso dall’intento di riconoscere ai componenti l’unione civile una tutela e uno status nella sostanza non dissimili da quelli coniugali. Infatti, il comma 20 dell’unico articolo di cui la legge si compone recita “Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi…si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Si può, dunque, sostenere che le norme del codice penale e del codice di procedura penale che contengono le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti o che si riferiscono, in ogni caso, al matrimonio si applicano automaticamente anche alle unioni civili?
Nel codice penale diverse fattispecie incriminatrici, così come diverse norme che prevedono aggravanti o attenuanti o cause di non punibilità contengono le parole indicate dal comma 20. In particolare contengono la parola “coniuge”:
- l’art. 556 c.p. (Bigamia);
- l’art. 558 c.p. (Induzione al matrimonio mediante inganno);
- l’art. 570 c.p. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare);
- l’art. 577 c.p. (Altre circostanze aggravanti [dell’omicidio]. Ergastolo);
- l’art. 591 c.p. (Abbandono di persone minori o incapaci);
- l’art. 602 ter c.p. (Circostanze aggravanti [dei reati di cui agli artt. 600, 601, 602 c.p.]);
- l’art. 605 c.p. (Sequestro di persona);
- l’art. 609 ter c.p. (Circostanze aggravanti [della violenza sessuale]);
- l’art. 612 bis c.p. (Atti persecutori);
- l’art. 649 c.p. (Non punibilità e querela della persona offesa per fatti commessi a danno di congiunti).
Anche nel codice di procedura penale troviamo riferimenti al coniuge:
- nell’art. 199 (Facoltà di astensione dei prossimi congiunti);
- nell’art. 282 bis (Allontanamento dalla casa familiare).
Problemi di tecnica legislativa e riflessi di costituzionalità
Secondo le indicazioni contenute nella legge sulle unioni civili tutte le norme sopra elencate dovrebbero trovare applicazione anche alle persone unite civilmente a condizione che così facendo si assicuri “l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso”.
Prima di valutare se la finalità sopra riportata ricorre in ciascuna delle norme elencate, è necessario affrontare un’altra questione. E’ necessario, infatti, verificare se una tecnica legislativa quale quella utilizzata nel comma 20 dell’art. 1 soddisfi il requisito della tassatività, della precisione e della sufficiente determinatezza della fattispecie penale, corollari dell’art. 25 della Costituzione. A tale proposito è superfluo ricordare che la norma penale non è suscettibile di interpretazione analogica. Il divieto di analogia nella materia penale contenuto espressamente nell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale – Le leggi penali … non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati – ed espresso, in via implicita, anche nell’art. 1 del codice penale – Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge – viene considerato costituzionalizzato dall’art. 25 Cost.
Sulla base di queste premesse, si può sostenere che la condotta descritta in una norma incriminatrice è imputabile alla persona unita civilmente, e non solo alla persona coniugata, sulla base del generico richiamo operato “ad ogni altra legge… che contenga le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti”?
Non solo. E’ sufficientemente determinata una fattispecie incriminatrice che, per le persone unite civilmente, trova applicazione solo se finalizzata a garantire l’effettiva tutela dei diritti e il pieno adempimento dei doveri derivanti dall’unione civile?
Il giudice penale, infatti, potrà applicare determinate fattispecie incriminatrici o determinate aggravanti alle persone unite civilmente solo dopo aver valutato se l’applicazione della norma ottiene l’effetto di tutelare i diritti o rendere effettivi i doveri nascenti dall’unione civile. Una fattispecie penale che delega all’interprete un simile compito e un simile potere è ancora rispettosa del principio di legalità?
Esula dalla scopo di queste brevi note approfondire queste tematiche. La risposta verrà dall’applicazione pratica, ma già è possibile prevedere che la Corte costituzionale sarà chiamata a decidere se una simile tecnica legislativa sia compatibile con l’art. 25 della Carta fondamentale.
Effettività della tutela dei diritti e pieno adempimento degli obblighi: fattispecie incriminatrici e aggravanti
Tralasciando la questione di costituzionalità appena tratteggiata, resta da verificare se e in quali casi l’applicazione delle fattispecie penali elencatesupra anche alle persone unite civilmente realizzi l’effettività dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dalle unioni civili.
La fattispecie meno problematica è quella prevista dall’art. 570 c.p. sulla violazione degli obblighi di assistenza familiare. In questo caso sembra difficile sostenere che la possibilità di applicare la sanzione penale anche alla persona unita civilmente, oltre che al coniuge, non abbia a che fare con l’effettiva tutela delle posizioni giuridiche nascenti dall’unione civile. Il comma 11 dell’articolo 1 della legge 76 del 2016 fa, infatti, derivare dall’unione civile “l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale” e l’art. 570 c.p. punisce chi “abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie si sottrae agli obblighi derivante dalla qualità di coniuge”.
Lo stesso può dirsi per l’abbandono di persone incapaci previsto dall’art. 591 c.p. che contempla un aumento di pena se l’autore dell’abbandono è il coniuge. Appare evidente che l’inasprimento della sanzione a carico del coniuge tende proprio a stigmatizzare la violazione di quegli obblighi di assistenza che sono connaturati al matrimonio. L’aggravante risulta, per tanto, applicabile anche per la violazione degli obblighi di assistenza derivanti dall’unione civile.
Le letture giornalistiche della legge 76 del 2016 tendono ad escludere, invece, che la persona unita civilmente possa rispondere del reato di bigamia perché l’applicazione dell’art. 556 c.p. non realizzerebbe il fine di rendere effettivi diritti e doveri nascenti dall’unione civile. La ratio dell’incriminazione, infatti, è tradizionalmente ravvisata dalla dottrina nella “tutela dell’ordinamento monogamico del matrimonio”. Ci si può domandare se tale ratio non abbia a che fare con la volontà di assicurare effettiva applicazione ai diritti e ai doveri nascenti dal matrimonio e, quindi, dall’unione civile. Torna a riproporsi, dunque, il problema della tecnica legislativa, dal momento che all’interprete è demandato decidere se una condotta sia penalmente rilevante, o meno, sulla base di una finalità quale quella posta dal comma 20 dell’articolo 1.
Esistono, infine, numerose fattispecie incriminatrici quali gli atti persecutori, l’omicidio, la violenza sessuale, il sequestro di persona in cui al reo viene applicata un’aggravante se coniugato con la persona offesa. Anche in queste ipotesi è, quanto meno, dubbio che la ratio della responsabilità aggravata vada rinvenuta nella finalità di accordare effettiva tutela ai diritti e applicazione ai doveri nascenti dal matrimonio e che la norma possa essere, conseguentemente, estesa anche alle persone unite civilmente. Si può sostenere, infatti, che la ratio dell’aggravante vada, invece, ricercata nella volontà di punire più gravemente chi abbia approfittato della propria vicinanza alla persona offesa per commettere con maggiore facilità il crimine. Si tratta di una ratio che certamente ricorre anche nel caso dell’unione civile, ma che è chiaramente diversa da quella indicata nel comma 20 dell’art. 1.
Segue: attenuanti e cause di non punibilità
I codici penale e di procedura penale contengono disposizioni in favore del coniuge che, in tale sua veste, non risponde di determinati reati. Egli non è punibile exart. 649 c.p. per la maggior parte dei reati contro il patrimonio commessi a danno del coniuge. In base all’art 299 c.p.p., il coniuge ha la facoltà di astenersi dal deporre contro il marito o la moglie.
Anche in queste ipotesi non sembra si possa dubitare che lo scopo della norma è tutelare la solidarietà coniugale alla quale, nel caso previsto dall’art. 299 c.p. p. è dato rilievo maggiore rispetto all’interesse della collettività all’amministrazione della giustizia. Dunque, la norma sembra applicabile anche alle persone unite civilmente allo scopo di dare effettiva tutela ai diritti derivanti dall’unione.
A proposito di tali disposizioni, va rilevato che, trattandosi di norme di favore, si può sostenere che esse si sottraggano ad una rigida applicazione del divieto di analogia.
La persona unita civilmente come “prossimo congiunto”
Nel codice penale esistono, infine, numerose norme che si riferiscono ai “prossimi congiunti”. Esse, dunque, non contengono la parola “coniuge” o “coniugi”, ma contengono un termine che può dirsi “equivalente” per usare la formula utilizzata dal comma 20.
Le norme a cui ci si riferisce sono:
- l’art. 307 (Assistenza ai partecipi di cospirazione o banda armata);
- l’art. 323 (Abuso d’ufficio);
- l’art. 384 (Casi di non punibilità [nei reati contro l’amministrazione della giustizia]);
- l’art. 386 (Procurata evasione);
- l’art. 390 (Procurata inosservanza di pena);
- l’art. 418 (Assistenza agli associati);
- l’art. 597 (Querela della persona offesa [nel delitto di diffamazione]).
Proprio per evitare problemi interpretativi incompatibili con i principi di legalità e tassatività della disciplina penale, l’art. 307 c.p. stabilisce che “agli effetti della legge penale si intendono per prossimi congiunti, gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli e le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti”. La Corte costituzionale, chiamata in passato a pronunciarsi sulla legittimità dell’esclusione del convivente dal novero dei prossimi congiunti, aveva dichiarato inammissibile la questione affermando che rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore ogni intervento diretto ad uniformare la disciplina della convivenza con quella del matrimonio (Corte cost. 20 aprile 2004, n. 121). Dopo l’approvazione della legge 76 del 2016 bisognerà accertare, ancora una volta, se l’applicazione di tali norme alle unioni civili soddisfa la finalità più volte richiamata. Tale finalità sembra potersi ravvisare nelle norme che considerano il vincolo come causa di non punibilità o come attenuante o che attribuiscono al prossimo congiunto il diritto di proporre querela nei casi di cui all’art. 597 c.p..
Sembra, invece, escluso che l’abuso di ufficio possa essere contestato al pubblico ufficiale che abbia omesso di astenersi in caso di interesse della persona a cui è unito civilmente perché in questa ipotesi l’applicazione della fattispecie penale non ha lo scopo di realizzare i diritti e i doveri nascenti dall’unione, ma quello di tutelare il buon funzionamento della pubblica amministrazione. Tale conclusione si sottrae ad ogni ragionevolezza, ma appare conclusione obbligata alla luce della legge 76 del 2016.

Fonte: www.quotidianogiuridico.it//Unioni civili: prime riflessioni sull’applicazione in campo penale della legge 76/2016 | Quotidiano Giuridico

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