lunedì 2 novembre 2015

Il Tribunale di Milano sulle problematiche che costituiscono il terreno di scontro dei giudizi di separazione

No all'ammissione di domande prive della "connessione forte" con l'oggetto del giudizio di separazione.

Nulla osta alla formulazione di un "invito" ai genitori ad intraprendere percorsi di supporto personale anche di tipo terapeutico, nel rispetto dell'arresto della Sentenza della Prima Sezione Civile della Cassazione nr. 13506/2015.

Nulla osta alla prescrizione di disporre percorsi di supporto anche di tipo psicologico e terapeutico per il figlio minore, quando ritenuti necessari a tutela della sua crescita dalla CTU espletata.

Nulla osta all'incarico ai Servizi Sociali di proseguire una stretta ed attenta attività di monitoraggio sul rispetto da parte dei genitori del calendario dei tempi di permanenza di ciascuno con il minore, con il relativo onere di segnalazione di eventuali situazioni di futuro grave pregiudizio per il minore, alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni.

Nulla osta alla previsione, in capo al genitore collocatario dell'onere di corrispondere in favore dell'altro genitore un "assegno perequativo" in favore del figlio, per assicurare a quest'ultimo un tenore di vita adeguato nel periodo nel quale, il minore, si trovi con il non collocatario.

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La sentenza in commento affronta in modo dettagliato, molte delle problematiche che costituiscono quotidianamente il terreno di scontro dei giudizi di separazione, offrendo degli spunti di studio particolarmente interessanti.

In primis si deve osservare come le così dette domande satellite, quali quelle di "restituzione" o di pagamento di oneri diversi dagli assegni familiari, non possano trovare ingresso nella Sentenza di separazione proprio perché, alla luce dell'art. 40 del codice di rito, il cumulo di domande soggette a riti diversi è possibile solo nelle ipotesi "qualificate di connessione" conseguentemente, indica la sentenza "è esclusa la possibilità del -simultaneus processus- tra l'azione di separazione o di divorzio e quelle aventi ad oggetto, tra l'altro, la restituzione di beni mobili (o di importi di mantenimento versati) od il risarcimento del danno, essendo queste ultime soggette al rito ordinario autonome e distinte dalla prima."

Nel merito della questione, la pronuncia affronta il tema dell'elevata conflittualità genitoriale, non risolta non ostante due interventi peritali che hanno, con due diverse relazioni, provato a dare un via condivisa quanto meno alla gestione della responsabilità genitoriale.

In tal senso non si può che sottolineare come la differente formazione e la diversità del linguaggio esistente, tra l'esperto della relazione ed il giudice della famiglia, porti quest'ultimo a non mettere a fuoco l'ineluttabilità della "conflittualità personale" collegata al "particolare momento di vita" delle persone coinvolte nel processo separativo; per chi conosce la portata dei blocchi e delle contrapposizioni relazionali, il fatto che due partner abbiano una "non adeguata capacità di cogliere nel profondo le emozioni della figlia e di rispondere ad esse in modo appropriato" corrisponde esattamente alla vera e propria impossibilità personale, legata alla perdita del contesto familiare, dell'immagine di se e della coppia e, soprattutto, dall'incapacità nel riuscire a leggere "l'altro come altro da se" e così a riconoscergli una qualunque competenza, compresa quella di essere genitore e portatore di una vita diversa, con ambiti privati da rispettare.

Il giurista non specializzato non potrà che immaginare i genitori come imprigionati in una sterile conflittualità e quindi portatori di una – loro intrinseca incapacità attuale, legata ad una scarsa dimestichezza con le proprie emozioni - mentre è noto come, al contrario, le emozioni vissute in quella fase dell'elaborazione del lutto e della riprogettazione del proprio equilibrio, siano ben conosciute ad entrambi, siano travolgenti ed assolute e molto spesso, semplicemente, contrapposte : nel senso della ricerca "speculare" di una soddisfazione ad un torto che si immagina subito dall'altro, torto reso più "ingiusto" dalla consapevolezza, via via acquisita, che neanche il processo riuscirà a rendere, finalmente, giustizia.

Imprigionati in questo pensiero assorbente, che è tema di ambito squisitamente psicologico, ben pochi genitori riusciranno a "sentire" le esigenze di far vivere entrambe le figure genitoriali alla prole, che è la prima, e forse la più importante, preoccupazione di tutti i minori coinvolti nelle dinamiche separative.

Ecco perché diviene di fondamentale importanza, posta l'impossibilità per i genitori di conquistare - per ordine del giudice - la consapevolizzazione genitoriale e quindi di essere, loro stessi, a tutelare i figli, assicurare a questi ultimi con il provvedimento giurisdizionale la "sicura fruibilità" di spazi tempi ed attività con ognuno dei due genitori, ed a prescindere dalla collaborazione tra gli stessi.

Questa è, infatti, l'indicazione specifica dell'art. 337-ter, vero architrave della riforma introdotta con la 54/06 che, nell'assicurare al minore il diritto di mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori proprio in occasione della separazione personale, chiede al Giudice del processo di quella famiglia di "regolare" le turnazioni, in modo che il minore stia al centro degli interessi familiari a prescindere dalla separazione.

Laddove poi uno dei due genitori venga, comunque, limitato nel suo rapporto con i figli, ha il diritto di richiamare l'attenzione del giudice e questo ogni volta che intervengano comportamenti contrari, posti in essere dall'altro, contrastanti la libera fruizione della figura di un genitore, giusto il combinato disposto degli art. 337-quater e quinquies.

Ed è questa difficoltà, quella dell'apporto reciproco alla prole, il tema sicuramente più delicato dell'intero processo della famiglia: proprio perché i comportamenti ablativi, ove non contrastati per tempo e con estrema decisione – dall'intervento del magistrato - porteranno l'autore a sentirsi sciolto da ogni obbligo di rispetto, sia del desiderio dei figli che dell'altro coniuge, ed anzi, gli rinforzeranno le comportamentalità di "prepotenza e sopraffazione" come ipotesi di via percorribile, per giungere a farsi giustizia.

Ecco dunque che diviene centrale il tema del "complessivo regime" del calendario di permanenza del minore con ciascun genitore, secondo uno schema disposto ed indicato in dettaglio, come ricorda la pronuncia in esame, tanto per il periodo ordinario quanto per le vacanze: in una separazione giudiziale, dove i genitori dimostrino di essere prigionieri di opposte, inconciliabili, richieste, infatti, solo delle chiare regole di spartizione dei tempi e degli spazi della responsabilità genitoriale, metteranno la prole, il più possibile, al riparo dal rischio di rimanere invischiata nella lotta dell'uno contro l'altro.

Predisposta così, in modo puntuale, la permanenza del minore con le due diverse aree genitoriali, la sentenza in commento affronta un ulteriore elemento "importante" quello della richiamabilità con la sentenza, delle prescrizioni terapeutiche formulate nei confronti dei singoli elementi della famiglia conflittuale, contenute negli elaborati dei periti d'Ufficio e lo fa richiamando espressamente il dictum della Sentenza della Corte di Cassazione nr. 13506/15 depositata il 1 luglio 2015.

Assolutamente encomiabile è lo sforzo di aggiornamento ermeneutico svolto dai giudici di Milano con questa pronuncia, considerando che è del 15 luglio: non di meno come rileva la medesima, l'arresto contenuto nella sentenza della Corte di Cassazione (Cons. Rel. Bisogni) ha messo a rumore tutto il mondo psicogiuridico, dato l'intervento limitativo contenuto nella massima.

Come è stato ribadito anche nel corso dell'approfondimento e dello studio della Sentenza 13506/15 in occasione del Convegno presso la Corte di Appello di Roma del 21 ottobre 2015 (Guida al Diritto - Gruppo Sole 24 Ore, Università di Roma La Sapienza, Circolo Psicogiuridico, Movimento Forense) l'elemento di critica muoveva dall'aver, la Corte di Appello di Firenze, disposto "la prescrizione ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale ed ad un percorso di sostegno alla genitorialità da seguire insieme" rilevando come, così, si concretizzasse una lesione del diritto alla libertà personale, costituzionalmente garantito, ed una lesione alla disposizione che vieta l'imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari.

Osservava la Cassazione come "la prescrizione di un percorso terapeutico ai genitori è connotata da una finalità estranea al giudizio, quale quella di realizzare una maturazione personale dei genitori, che non può che rimanere affidata al loro diritto di auto-determinazione".

Per altro è d'uopo ricordare come sia considerazione condivisa in ambito psicogiuridico quella della scarsissima utilità di un "percorso di psicoterapia personale" che non muova dalla singola convinzione del richiedente, ma a questo venga imposta, l'elemento mancante risulterebbe essere proprio il più importante, ovvero la costituzione di un sano e genuino rapporto di fiducia tra il paziente ed il proprio terapeuta.

In tema la Sentenza milanese trova, con immediatezza, il punto di equilibrio tra il ricordato insegnamento del Supremo Collegio e la pienezza di una disposizione giurisdizionale, individuando correttamente come "il giudice mantiene il potere di disporre percorsi di supporto anche di tipo psicologico e terapeutico per il minore, quando ritenuti necessari a tutela del percorso di sana crescita del minore stesso...poichè il compito del Giudice del conflitto familiare è quello di adottare tutti i provvedimenti a tutela del figlio minore, se necessario, come spesso accade, anche in sostituzione dei genitori".

Mentre, per quanto riguarda i genitori, resta salva la facoltà di "segnalare alle parti la necessità di intraprendere determinati percorsi di supporto personale, anche di tipo terapeutico" ferma restando, per l'adulto, la libera scelta se sottoporvisi o meno, e per la giurisdizione la possibilità, ove il comportamento del genitore continui a non essere responsabile e sia, quindi, di danno al minore, di prendere tutti quei provvedimenti limitativi od ablativi dell'esercizio della responsabilità genitoriale.

Determinato con attenzione il tempo per godere di entrambe le figure genitoriali, assicurato al minore il sostegno di un percorso terapeutico, rimesso il controllo sull'efficacia di questo ai Servizi Sociali, la sentenza de quo afferma e ribadisce un ulteriore principio che appare di notevole interesse: quello della determinazione dell'assegno "perequativo" a carico del genitore collocatario ed in favore dell'altro genitore, quello con il quale il figlio, normalmente non vive.

La specifica giurisprudenza milanese citata in tema (in perfetta linea con all'arresto della Cassazione nr. 18538/13) ha infatti riconosciuto - laddove le condizioni economiche patrimoniali dei due genitori non siano eguali, ma si evidenzi una disparità economica in danno del "non collocatario" - come la mancata previsione in favore del genitore più povero del riconoscimento dell'assegno perequativo (da spendersi in favore del figlio) si risolverebbe in una "lesione della bigenitorialità" in quanto "il bambino, tendenzialmente sarebbe meno incoraggiato a frequentare il genitore debole e certamente identificherebbe il suo maggior benessere allorchè si trovi con il genitore, economicamente, più forte".

fonte: www.ilsole24ore.com//Il Tribunale di Milano sulle problematiche che costituiscono il terreno di scontro dei giudizi di separazione

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