domenica 7 settembre 2014

La prova nel danno da mobbing

Come noto, la nozione di mobbing individua un insieme di comportamenti vessatori e/o persecutori, perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso: il termine deriva dall'inglese "to mob", che significa una "folla grande e disordinata", soprattutto "dedita al vandalismo e alle sommosse". Il termine venne usato per la primo volta negli anni settanta dall'etologo Lorenz per descrivere un particolare comportamento di alcune specie animali che circondano in gruppo un proprio simile e lo assalgono rumorosamente per allontanarlo dal branco.

La pratica del mobbing sul posto di lavoro, consiste nel vessare il dipendente o il collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica, con il fine di indurre la vittima ad abbandonare il posto di lavoro, anziché ricorrere al licenziamento. Sono esempi di mobbing lo svuotamento delle mansioni tale da rendere umiliante il prosieguo del lavoro, i continui rimproveri e richiami espressi in privato ed in pubblico anche per banalità, l'esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo, oppure l'esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata o, l'interrompere o impedire il flusso di informazioni necessari per l'attività (chiusura della casella di posta elettronica, restrizioni sull'accesso a internet).

Evidentemente, il comportamento lesivo posto in essere dal datore di lavoro o da altri colleghi finisce con il determinare, a carico del dipendente che lo subisce, un danno non patrimoniale costituito tanto dal danno moral ed esistenziale, quanto da quello vero e proprio biologico connesso allo stress da lavoro correlato; infatti la patologia psichiatrica più frequentemente associata al mobbing è il disturbo dell'adattamento e fra le conseguenze rientrano la perdita d'autostima, depressione, insonnia, isolamento. Inoltre il mobbing è causa di cefalea, annebbiamenti della vista, tremore, tachicardia, sudorazione fredda, gastrite, dermatosi. Le conseguenze maggiori sono i disturbi della socialità: nevrosi, depressione, isolamento sociale e, suicidio in un numero non trascurabile di casi.

L'ordinamento italiano seppur non ha mai previsto una disciplina specifica per il mobbing ne garantisce comunque una tutela verso i lavoratori tramite tutte quelle norme che, indirettamente, sono legale al risarcimento per i danni non patrimoniali ed alla tutela della salute; un primo articolo, dunque, è sicuramente l'art. 32 della Costituzione sull'inviolabilità del diritto alla salute mentre, da un punto di vista codicistico, è l'art. 2087 c.c. ad imporre al datore di lavoro "di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori": tale obbligo, fa si che il datore di lavoro possa essere chiamato a risarcire il danno sia al patrimonio professionale (c.d. danno da dequalificazione), sia alla personalità morale e alla salute latamente intesa (cosiddetto danno biologico e neurobiologico) subito dal lavoratore.

Infine vanno ricordati i principi stabiliti dallo Statuto dei lavoratori (L.300/70):

i) art.9 tutela della salute e dell'integrità fisica;

ii) art.13 al dipendente non possono essere date mansioni di livello professionale inferiore a quello d'inquadramento;

iii) art.15 divieto di atti discriminatori per motivi politici o religiosi;

iv) art.18 reintegrazione nel posto di lavoro in caso di ingiusto licenziamento.

fonte: ilsole24ore.com//La prova nel danno da mobbing

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