venerdì 4 ottobre 2013

BULLISMO - Scuola responsabile se non attua "misure preventive"

Tribunale di Milano, Sezione Decima Civile, Sentenza 8081/13

Sussiste la responsabilità del Ministero, per culpa in vigilando, per le lesioni patite nella scuola da un minore.

Per superare la presunzione è necessaria la dimostrazione di aver adottato “misure preventive” atte a scongiurare situazioni antigiuridiche. Liquidato il danno per “supporto terapeutico di sostegno psicologico”.

Commento a cura di Giorgio Vaccaro, avvocato, esperto in mediazione familiare

La Sentenza in esame, che si colloca nella linea interpretativa maggioritaria della nostra giurisprudenza, presenta profili di interesse particolari perché tratta e risolve un caso specifico: quello della “violenza tra coetanei”, argomento molto dibattuto e per scongiurare il quale numerosi interventi sono stati immaginati nelle varie aree del nostro paese.

È evidente che con la appena iniziata ripresa della stagione scolastica “la compresenza” di più minori, tutti in una fase di età evolutiva preadolescenziale od adolescenziale, in un ambiente “stimolante” come quello scolastico, costringerà il corpo insegnanti ed in genere gli adulti preposti alla amministrazione del plesso scolastico a riattivare le necessarie attenzioni affinchè le “intemperanze” fisiologiche proprie della “utenza” non possano mai sfociare in “atti di violenza” che abbiano come conseguenza delle lesioni per un “allievo” affidato al sistema della scuola.

Da un lato quindi la Sentenza del Tribunale di Milano è lì a ricordare a tutti gli operatori della scuola come non sia affatto sufficiente il mero “vigilare sul comportamento” di una moltitudine di ragazzi, al fine di scongiurare episodi di violenza, perché il particolare rappporto che si crea con l’affidare alla scuola un minore, concretizza l’evento regolato dall’art. 2048 c.c. II co. in forza del quale “i precettori e coloro che insegnano un mestiere od una arte sono respsonsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi ed apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”.

La giurisprudenza costante della Cassazione (Cass. Sez.III n. 2657/03) ha poi specificato come “non sia sufficiente la sola dimostrazione di non essere stati in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo, ma è necessario anche dimostrare di aver adottato, in via preventiva tutte le misure disciplinari od organizzative idonee ad evitare il sorgere di situazioni pericolose.”

Partendo da tali premesse è quindi il caso di sottolineare come non possa trascurarsi il fatto che la Scuola costituisca, di per se, un ambiente “attivatore” tutte le potenzialità di confronto della personalità, sia pre che adolescenziale, tra coetanei e quindi costituisca un ambito di particolare delicatezza proprio per la compresenza di soggetti che per il mondo del diritto sono e restano dei minori, ma che per il mondo psicologico rappresentano “elementi che attraversano una fase evolutiva particolare ed importantissima” fase caratterizzata da “agiti” che spesso sono non facilmente preventivabili.

La preadolescenza e l’adolescenza, sono infatti caratterizzate da un minimo comune denominatore costituito dalla “sfida” che ogni ragazzo porta ai propri simili ed al mondo che lo circonda per “saggiare la propria personalità”.

E questa sfida, lungi dall’essere un elemento negativo, costituisce, al contrario un momento di formazione della personalità dell’individuo adulto determinante ed insostituibile.

Il confronto e lo scontro tra pari, e quello con la prima autorità  estranea alla famiglia (ed in molti casi quindi con la prima autorità in assoluto) costituiscono dei momenti di crescita che non possono essere sostituiti da “surrogati”.

Essere il luogo ove si rappresenta questa realtà, è il vero “valore” della scuola, al di là dell’elemento della didattica che, in un mondo dove il web si sviluppa con tanta velocità, potrà addirittura immaginarsi sostituita da altre forme di acquisizione del sapere.

Nulla potrà mai mutare, al contrario, la centralità del reale scambio di “interazioni” fra pari, della palestra per la costruzione della propria personalità, che viene garantita l’istituzione scolastica, nel suo quotidiano mettere a disposizione spazi e soggetti, in confronto controllato fra loro.

Una tale funzione, proprio alla luce della sentenza in commento, deve essere però svolta, da parte dell’amministrazione scolastica, con quella “attenzione” che consenta di dimostrare, ove accada un fatto “violento tra coetanei”, di “aver esercitato” sugli allievi una sorveglianza “idonea ad impedire il fatto”.

Lungi dal costituire una “prova diabolica” l’elemento che viene richiesto per superare la presunzione di responsabilità, che nasce dal contratto di “affidamento alla scuola degli allievi”,  è la dimostrazione della concreta adozione di “misure preventive” atte a contenere l’insorgere di situazioni pericolose.

Il punto centrale della Sentenza ribadisce, quindi,  il concetto cardine di tutti gli interventi che hanno come teatro quello del sociale : la prevenzione.

E mai come in un ambito come quello nel quale una moltitudine di giovani, tutti in una fase dell’età evolutiva di massima trasformazione, si trovino e si confrontino, la prevenzione deve costituire l’architrave di tutte le coordinate, successive, attività educative o repressive.

È evidente infatti come, al di là di tutte le considerazioni in merito alla crisi del sistema educativo familiare, con la conseguente inadeguatezza dell’intervento preventivo “interno”, la stessa esistenza di un ambito scolastico e l’esistenza di una Amministrazione scolastica, costituiscano i due elementi, sufficienti ed idonei, a far sorgere in capo al secondo, delle precise obbligazioni codicistiche in tema di responsabilità.

Con la conseguenza che ove si realizzi, nel “tempo” dell’affidamento dell’allievo al precettore, un evento che causi un danno al primo, la responsabilità risarcitoria sussisterà piena ogni volta, e possa essere esclusa, solo dalla dimostrazione dell’adozione di misure preventive tali da poter considerare l’evento dannoso come un elemento “straordinario” che ha superato la stessa “prevenzione”.

In tema di valutazione del danno, appare meritevole di annotazione, infine, il profilo risarcitorio specificamente dedicato dalla sentenza in commento all’aspetto psicologico del danno ed alla “determinazione” di un importo risarcitorio adeguato per la sua eliminazione.

Il Tribunale di Milano ha infatti riconosciuto, per il tramite di una CTU, l’esistenza di un “danno psicologico” costitito da una sindrome, causata dall’aggressione e dalle percosse subite sulla persona dell’attore, descrivibile come “disturbo dell’adattamento con ansia ed umore misti e sua progressione verso un disturbo depressivo minore, cronico, poco più che moderato; fobia sociale, disturbo del ritmo circadiano del sonno tipo, fase del sonno ritardata, in soggetto con caratteristiche dipendenti ed evitanti di personalità”.

Posta questa premessa lo stesso Ctu ha indicato al giudice come per “i postumi riportati ed i conseguenti problemi (disagi, ansia e paura) appare consigliabile un ciclo di sostegno terapeutico delle durata di anni due con un  ritmo settimanale di sedute”.

Da una tale indicazione il Tribunale ha tratto lo spunto per la liquidazione del danno connesso alla necessità di un “ciclo di sotegno” prevendendo, sulla base di un costo medio a Milano di una seduta psicolgica terapeutica, pari ad € 100,00, un importo complessivo “necessario per questa terapia di € 10.000,00 complessivi da liquidarsi anticipatamente e senza necessità di rivalutazione monetaria.”

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