Una moto e una macchina procedono sulla stessa strada in direzioni opposte, l’auto mette la freccia a sinistra e il motociclista, che sta sopraggiungendo ad elevata velocità, ravvisando una situazione di pericolo – in realtà insussistente – frena bruscamente e cade a terra.
Il centauro evoca in giudizio l’automobilista per ottenere il risarcimento del danno ma, in primo e secondo grado, gli viene attribuita la responsabilità esclusiva dell’incidente, venendo così superata la presunzione di pari responsabilità stabilita dalla legge (art. 2054 c.c.).
Il motociclista lamenta che i giudici di merito abbiano valutato erroneamente le prove e le testimonianze, ma la Suprema Corte, con l’ordinanza 8 settembre 2022, n. 26441, conferma la decisione gravata e ricorda che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”. Il ricorso dell’uomo viene dichiarato inammissibile ed egli è condannato al pagamento delle spese di lite per circa 13 mila euro oltre oneri.
La vicenda
Un motociclista agiva in giudizio contro il conducente di un’auto per ottenere il risarcimento del danno patito a seguito di un sinistro stradale. I due soggetti percorrevano la stessa strada in direzioni opposte:
- l’auto si trovava ferma con l’indicatore di direzione sinistro azionato, in attesa di svoltare,
- la moto, che sopraggiungeva ad elevata velocità, eseguiva una brusca frenata e cadeva a terra, senza urtare il veicolo antagonista.
In primo e secondo grado, la domanda attorea veniva rigettata, in quanto la responsabilità era ricondotta al centauro, il quale, procedendo ad una velocità elevata, a causa di «un’erronea ed esagerata percezione del pericolo» aveva eseguito una manovra brusca, non era riuscito a controllare il mezzo ed era caduto. Per tutte queste ragioni, i giudici di merito ascrivevano l’esclusiva responsabilità del sinistro al motociclista.
Si giunge così in Cassazione.
Premessa: la presunzione di pari responsabilità
Prima di analizzare il decisum, ricordiamo brevemente cosa prevedono i primi due commi dell’art. 2054 c.c.
Il primo comma dispone che il conducente sia obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, a meno che non dimostri di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. Si tratta di una forma di responsabilità aggravata in cui non spetta al soggetto danneggiato offrire la prova della colpa del danneggiante, atteso che questa si presume. Al contrario, grava sul danneggiante l’onere di fornire la cosiddetta “prova liberatoria” (A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, 2013, 874 ss.).
Il secondo comma si applica in caso di scontro tra veicoli e prevede una presunzione di pari responsabilità. Si tratta di una praesumptio iuris tantum che ammette prova contraria.
Secondo la giurisprudenza (Cass. 9528/2012; Cass. 21130/2013), la presunzione di corresponsabilità ha natura sussidiaria e trova applicazione:
- nel caso in cui non sia possibile stabilire il grado della colpa dei due conducenti,
- oppure risulti impossibile ricostruire la dinamica del sinistro.
Tale presunzione viene meno allorché sia accertato che la condotta di uno dei conducenti abbia avuto un’efficacia causale assorbente nella produzione dell’incidente (Cass. 11143/2003). L’accertamento della responsabilità esclusiva di uno dei conducenti – come nel caso di specie – e della regolare condotta di guida dell'altro, «libera quest’ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall'art. 2054, secondo comma, c.c., nonché dall’onere di provare di avere fatto il possibile per evitare il danno» (Cass. 648/1999; Cass. Ord. 13672/2019). Infatti, la prova che uno dei conducenti abbia osservato le norme sulla circolazione dei veicoli e le regole di comune prudenza non deve necessariamente essere fornita in via diretta, ossia dimostrando di non aver dato un apporto causale all’incidente, ma anche tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo dell’evento con il comportamento dell’altro conducente (Cass. 9550/2009; Cass. Ord. 13672/2019).
Per completezza espositiva, si segnala che, nella fattispecie oggetto di scrutinio, non si è verificata una collisione tra l’auto e la moto, mentre l’art. 2054 c. 2 c.c. fa espresso riferimento allo scontro tra veicoli. Di regola, la presunzione di pari responsabilità nella causazione di un sinistro è applicabile soltanto allorché tra i veicoli coinvolti vi sia stato un urto. Nondimeno, anche quando manchi una collisione diretta tra i mezzi, è consentita l’applicazione estensiva della suddetta norma «al fine di graduare il concorso di colpa tra i vari corresponsabili, sempre che sia stato accertato in concreto il nesso di causalitàtra la guida del veicolo non coinvolto e lo scontro» (Cass. 3704/2012, Cass. Ord. 19197/2018, Cass. Ord. 3764/2021). In buona sostanza, l’art. 2054 c. 2 c.c. è applicabile pur in assenza di collisione tra i veicoli a patto che l’evento sia riconducibile eziologicamente alla circolazione stradale anche del mezzo non direttamente coinvolto nello scontro, ad esempio, nel caso in cui lo stesso abbia determinato turbativa alla circolazione.
L’accertamento della responsabilità esclusiva del motociclista
Il centauro lamenta che la sentenza gravata abbia erroneamente superato la presunzione di colpa stabilita dall’art. 2054 c.c. In base alle difese svolte dal ricorrente, tale presunzione doveva fondare la corresponsabilità anche dell’automobilista, nondimeno, i giudici di merito l’hanno superata valorizzando alcuni elementi a scapito di altri.
La Suprema Corte considera la doglianza inammissibile nella parte in cui censura la presenza di una motivazione contraddittoria.
Infatti, il vizio di contraddittorietà della motivazione sussiste allorché la motivazione (Cass. SS. UU. 8053/2014): manchi del tutto, oppure sia incomprensibile.
Nel caso di specie, invece, l’iter argomentativo seguito dalla decisione gravata è perspicuo: la responsabilità viene ascritta al motociclista poiché, a causa della velocità troppo alta, interpretando erroneamente la situazione, ha frenato in modo brusco ed è caduto. Invero, non sussisteva alcuna situazione di pericolo e non era necessario operare la frenata che, poi, ha innescato la caduta.
La circostanza che la motivazione risulti (o meno) coerente con le prove raccolte è una questione di merito che, in quanto tale, risulta insindacabile in sede di legittimità.
No alla valutazione delle prove in modo difforme in sede di legittimità
Il motociclista contesta gli sia stata attribuita la responsabilità esclusiva del sinistro e ritiene che la fattispecie rientri nell’alveo del concorso di colpa. In particolare, si duole della valutazione delle prove operata in sede di merito.
Anche tale censura è inammissibile, infatti, la Suprema Corte non può fornire una diversa valutazione delle prove rispetto a quella effettuata in sede di merito. È del tutto irrilevante la circostanza che tali prove possano essere valutate in modo differente, dal momento che la giurisprudenza è granita nell’affermare che: «la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione»
In altre parole, è inammissibile il motivo di ricorso volto, in sostanza, ad ottenere la revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, quindi, che si risolva in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.
fonte: altalex.com
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