Secondo le intenzioni del Governo, i fondi messi a disposizione per i lavori del 110% (circa 33,3 miliardi di euro) avrebbero dovuto esaurirsi nel 2027. Invece, stando agli ultimi dati Enea, gli italiani, già alla fine di maggio, avevano prenotato lavori per oltre 33,7 miliardi di euro, ovvero più di quelli stanziati. Di fatto quindi i fondi messi a disposizione nell'ambito del Superbonus 110% sono già esauriti.
Come se non bastasse diverse banche, tra cui colossi come Intesa San Paolo, hanno già dichiarato che non accetteranno più (almeno per il momento) cessioni del credito. Probabilmente la situazione potrebbe sbloccarsi con la conversione in legge del prossimo decreto Aiuti, ma ci sarà da vedere che misure verranno prese dal Governo e che effetto potrebbero avere su imprese, banche e cittadini.
Nel frattempo, tuttavia, ci si chiede che cosa succede adesso a chi ha già richiesto i fondi per le ristrutturazioni o addirittura a chi ha già praticamente le impalcature davanti a casa e teme di vedersi i lavori lasciati a metà. Vediamo quindi caso per caso come comportarsi sia quando i lavori sono già iniziati, sia se si ha già firmato il contratto e si è in attesa di una risposta dalla banca sulla cessione del credito.
Cosa succede se hai già iniziato i lavori
Per i lavori già iniziati che hanno ricevuto tutte le autorizzazioni dell’Enea e hanno concluso un accordo di cessione del credito con una banca, non dovrebbero esserci eccessivi problemi; da un lato le banche che già si sono impegnate con contratti di cessione del credito non si possono tirare indietro senza farsi carico dei danni che causerebbero a imprese e consumatori con il loro recesso, allo stesso modo il Governo dovrà intervenire con opportuni provvedimenti per finanziare in qualche modo le pratiche accettate.
Se il contratto è firmato ma sei in attesa della banca
Per coloro che hanno stipulato il contratto con l’impresa e attendono la risposta della banca per la cessione del credito, è ancora possibile bloccare tutto in attesa di sapere cosa deciderà il Governo. Se il contratto di appalto dei lavori prevede l’accettazione dei lavori o la partenza del cantiere solo una volta che la banca ha accettato la cessione del credito, i lavori non partono e si restituiscono eventuali caparre o anticipi sulla base di quanto stabilito dal contratto.
Anche nel caso in cui il contratto non prevedesse nulla, le parti possono accordarsi per rinegoziare le condizioni di contratto o anche decidere di risolverlo. In entrambi i casi, le parti si possono accordare per sospendere il contratto in attesa dei nuovi provvedimenti del Governo.
Se i lavori sono iniziati ma senza la concessione del credito
Se i lavori sono già iniziati ma manca la concessione del credito bancario, la questione è più complessa; nel caso in cui l’impresa abbia anticipato con risorse proprie l’inizio dei lavori, temendo ora di non riuscire a rientrare nei costi, potrebbe decidere di bloccare il cantiere.
In questa ipotesi bisognerà fare riferimento al contratto di appalto e vedere cosa prevede per l’ipotesi di ritardo nei lavori o per il "recesso" da parte dell'impresa: se l’amministratore è stato previdente il condominio avrà richiesto la sottoscrizione, a carico dell’impresa, di una polizza a copertura degli eventuali danni di questo tipo. Anche in questo caso, comunque, sia il cliente sia l'appaltatore, possono chiedere la revisione o risoluzione del contratto.
Se è stata finanziata solo una parte dei lavori
Nel caso in cui solo una parte dei lavori abbia già ricevuto il finanziamento, impresa e committente possono decidere di eliminare parte dei lavori deliberati, ma non ancora iniziati, e operare di comune accordo una riduzione del contratto.
Se non si trova un accordo e gli obblighi di una delle parti sono divenuti eccessivamente onerosi a causa di avvenimenti straordinari e imprevedibili, come avviene proprio in questi casi, la parte che deve eseguire la prestazione può domandare la risoluzione del contratto per "eccesiva onerosità sopravvenuta". Sia i condomini che dovessero trovarsi nell’impossibilità di affrontare le spese, sia l’impresa che non riesce a stare nei costi, possono fare ricorso al giudice.
Infine, tenendo conto anche di tutte le speculazioni sui prezzi alle quali abbiamo assistito in questi mesi, potrebbe essere interessante per il cliente, chiedere la cosiddetta "riduzione ad equità del contratto", ovvero, invece di chiedere il recesso, il cliente potrebbe proporre di riportare il valore economico delle prestazioni contrattuali ad un giusto valore di scambio.
Se mancano i requisiti per i benefici fiscali
Nel caso in cui venisse rilevata l'assenza dei requisiti per accedere ai benefici fiscali, il recupero dell'imposta dovuta e le conseguenti sanzioni sarebbero a carico del contribuente. Tuttavia, il contribuente potrà ottenere il risarcimento del danno subito, chiamando in causa, a seconda dei casi, l’impresa che non ha rispettato le regole o il professionista che ha predisposto l’asseverazione delle opere in maniera non conforme alla legge. Resta invece molto poco probabile il rischio di incorrere in sanzioni a causa di cambiamenti con effetti retroattivi della legge.
Se non si riesce a ottenere la cessione del credito
In alternativa alla cessione del credito, resta sempre la possibilità di utilizzare la detrazione delle spese fino al 110%. Ciò significa che i lavori dovranno essere pagati subito, ma poi si potrà ottenere una detrazione delle spese del 110%. A seconda dell’anno di sostenimento della spesa cambia la suddivisione della detrazione:
- per le spese sostenute nel 2020 e nel 2021 la detrazione va suddivisa in 5 rate di pari ammontare. Ad esempio, per una spesa di 10.000 euro, si ottengono 11.000 euro di detrazione pari a 2.200 euro annui da recuperare nelle 5 dichiarazioni dei redditi presentate a partire dall'anno di esecuzione dei lavori;
- per le spese effettuate dal 2022 in poi la detrazione deve essere ripartita in 4 rate di pari ammontare. Ad esempio, per una spesa di 10.000 euro gli 11.000 euro di detrazione si recuperano in rate da 2.750 euro dalla dichiarazione presentata nel 2023 e per i 3 anni successivi. Ricorda che fa fede il criterio di cassa dei pagamenti quindi le spese si considerano sostenute nell’anno in cui sono state pagate, a prescindere dalla data della fattura.
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