sabato 9 maggio 2020

Vietata a scuola anche la violenza blanda sugli alunni: maestra condannata

Nuovo stop dai Giudici all’impiego a scuola dei vecchi metodi educativi, quelli cioè che contemplano, secondo una vecchia scuola di pensiero, anche l’utilizzo della violenza, seppure in forma blanda, sugli alunni.
Esemplare la condanna che ha colpito una maestra di scuola materna, ritenuta colpevole di maltrattamenti – e punita con 2 anni e 10 mesi di reclusione –, alla luce delle condotte tenute in classe nei confronti dei piccoli allievi, condotte caratterizzate non solo da violenze fisiche ma anche da violenze psicologiche, non annoverabili, di certo, secondo i Giudici, tra gli strumenti educativi o correttivi a disposizione dell’insegnante (Cassazione, sentenza n. 13709/2020, Sezione Sesta Penale, depositata il 6 maggio).

Sofferenze. Scenario della triste vicenda è una scuola materna in Puglia. A dare il ‘la’ al caso giudiziario sono le sofferenze manifestate da alcuni piccoli alunni, sofferenze che insospettiscono i genitori. Il passo successivo è l’identificazione della persona responsabile coi propri comportamenti dei malesseri psico-fisici che hanno colpito i bambini: sotto accusa finisce una insegnante. E il quadro probatorio, relativo a ben due annate scolastiche, viene ritenuto sufficiente, sia in primo che in secondo grado, per arrivare a una condanna: la maestra viene ritenuta colpevole di violenza privata e maltrattamenti.
Il difensore della donna prova però a ridimensionarne la condotta, mirando a vedere riconosciuta l’ipotesi del mero abuso dei mezzi di correzione.
Per il legale, innanzitutto, è in discussione «il requisito della abitualità delle condotte maltrattanti» che «sarebbero state solamente tre per ognuno dei due anni scolastici specificamente considerati, e perciò episodiche» e che inoltre «avrebbero riguardato soltanto alcuni alunni», non potendo, quindi, creare «una situazione di disagio generalizzato nella classe».
Violenza. Per i Giudici della Cassazione, però, la linea difensiva è fragile, poiché «si limita a prendere in considerazione soltanto le condotte espressive di violenza fisica nei confronti degli alunni, mentre «ai fini del reato di maltrattamenti assume rilevanza ogni comportamento prevaricatore e vessatorio, quali possono essere anche la grave ingiuria, l’umiliazione, la minaccia, le manifestazioni d’irosa aggressività verbale», tutti contegni reiteratamente tenuti dalla maestra nel corso della sua attività d’insegnamento all’indirizzo dei suoi alunni nel corso di 2 anni scolastici.
Per quanto concerne poi l’obiezione difensiva centrata sul fatto che le condotte in discussione «avrebbero riguardato soltanto alcuni bambini e non la generalità della classe», i magistrati tengono a rilevare innanzitutto che «la norma incriminatrice, pur quando si tratti di condotte poste in essere nei confronti non di familiare ma di persona affidata all’agente per ragioni di educazione od istruzione, non richiede necessariamente la pluralità dei soggetti passivi».
Ciò che conta, però, aggiungono i magistrati, è che non ci si può limitare a prendere in considerazione «le sole condotte espressive di vis physica», ma bisogna considerare anche «le ingiurie, le aggressioni verbali e le minacce, che invece risultano essere state rivolte alla generalità degli alunni». E merita di essere tenuta in conto anche la cosiddetta ‘violenza assistita’, «la cui incidenza ai fini dell’instaurazione di un diffuso e persistente clima di prevaricazione e di conseguenti sofferenza, prostrazione, malessere nei destinatari delle condotte è particolarmente rilevante, laddove questi ultimi siano dei bambini in età prescolare e sussista, perciò, un’evidente ed enorme asimmetria relazionale» rispetto alla figura dell’insegnante.
Si amplia, quindi, la platea dei soggetti passivi delle singole condotte maltrattanti compiute dalla maestra, condotte che, secondo i giudici, «non sono state episodiche ma, piuttosto, hanno rappresentato manifestazioni di uno sperimentato modo di agire, del metodo educativo, ossia, praticato dalla donna».
A rendere ancora meno difendibile la posizione della maestra è infine la constatazione delle «specifiche e non episodiche manifestazioni di disagio psicologico in alcuni dei bambini, connesse ai comportamenti tenuti nei loro confronti dalla maestra e sufficientemente dimostrative dell’avvenuta instaurazione di un clima di perdurante vessazione e correlata afflizione» che «certamente ha riguardato alcuni bambini» ma in sostanza ha coinvolto l’intera classe.
Respinta, quindi, la visione difensiva secondo cui sarebbe stato più logico sanzionare la maestra per semplice «abuso dei mezzi di correzione o di disciplina».
Per i Giudici della Cassazione «se si volesse seguire il ragionamento della difesa, dovrebbe ritenersi che condotte a componente violenta, fisica o psicologica, quantunque minima, rientrerebbero tra i mezzi di correzione o di disciplina consentiti, e che, soltanto qualora sia superato il coefficiente di aggressività permesso, la condotta» sarebbe punibile a livello penale. Ma questa impostazione è erronea poiché, tengono a sottolineare i magistrati, ««nessuna forma di violenza può farsi rientrare tra i mezzi correttivi legittimi». Di conseguenza, «non è possibile sostenere che l’impiego di violenza – fisica e psicologica –, seppur in forma blanda, sia annoverabile tra gli strumenti educativi o correttivi di cui l’insegnante od altre figure analoghe possano legittimamente avvalersi, incorrendo essi nella sanzione penale soltanto laddove ne facciano abuso».
Definitiva, quindi, la condanna per la maestra, che vede però assorbito il capitolo relativo alla violenza privata in quello riguardante i maltrattamenti, e viene ora sanzionata con una pena fissata in 2 anni e 10 mesi di reclusione.

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