Cancellata in Cassazione la sorprendente assoluzione pronunciata dal Giudice di Pace. Per i Magistrati è evidente la valenza offensiva della frase con cui si paragona un bambino ad un animale. (Cassazione, sentenza n. 34145/19, sez. V Penale).
Oggi è evidente, soprattutto sui social media, la degradazione dei codici comunicativi. Altrettanto ovvio come sia scaduto il livello espressivo utilizzato dalla maggioranza delle persone. Ciò nonostante, determinati epiteti continuano ad essere chiaramente offensivi: ad esempio, è inaccettabile definire “animale” un ragazzino. Questa la visione tracciata dai Giudici della Cassazione, visione che rende vicina la condanna per un uomo che su WhatsApp nella chat condominiale ha indicato come “animale” un ragazzo che aveva ferito al volto la figlia.
Chat. Scenario della vicenda è un condominio nel leccese. A dare il ‘la’ al caso giudiziario è un incidente che coinvolge un ragazzino e una ragazzina: quest’ultima riporta una ferita al volto. Rabbiosa la reazione del padre che si sfoga su WhatsApp nella chat di gruppo del condominio. In quel contesto – che include anche il genitore del ragazzino – egli scrive una frase inequivocabile: «Volevo solo far sapere al proprietario dell’animale ciò che è stato procurato al volto di mia figlia. Domani, al rientro dal turno lavorativo, prenderò le dovute precauzioni».
Proprio quelle parole sono oggetto del processo a carico del genitore della ragazzina per il reato di diffamazione. A sorpresa, però, il Giudice di Pace di Lecce ritiene prive di fondamento le accuse nei confronti dell’uomo ed esclude «la portata offensiva del termine “animale”» utilizzato per indicare il ragazzino.
Offesa. La decisione del Giudice di Pace viene fortemente contestata dalla Procura di Lecce, che presenta ricorso in Cassazione, sottolineando che «il termine “animale” era stato utilizzato per indicare in maniera spregiativa il bambino». Questa osservazione è ritenuta corretta dai Giudici della Cassazione, i quali aggiungono che «la frase» incriminata «presenta un immediato contenuto offensivo, espresso dalla parola “animale” riferita a un bambino».
Lo sfogo su WhatsApp del padre della ragazzina va assolutamente censurato. Ciò perché è vero che in passato ci sono state delle «‘aperture’ verso un linguaggio più diretto e disinvolto», ma «talune espressioni presentano» comunque «un carattere insultante». E di sicuro «sono ingiuriose», spiegano i Giudici, «quelle espressioni con cui si disumanizza la vittima, assimilandola a cose o animali»: in questa vicenda, in particolare, «paragonare un bambino a un animale – inteso addirittura come oggetto, visto che il padre ne viene definito “proprietario” – è certamente locuzione» caratterizzata da «valenza offensiva».
fonte: www.lastampa.it
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