martedì 21 agosto 2018

Niente truffa per il debitore che rassicura il creditore e poi non paga

Le rassicurazioni fornite al creditore sulla regolarità dei pagamenti da parte di un debitore, già mostratosi insolvente, non integrano la condotta ingannatoria del delitto di truffa. Difatti, il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti dei tempi e delle modalità di pagamento, rispetto a quanto inizialmente concordato con l'altra parte, può configurare il reato di truffa soltanto se sussistano condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto. In mancanza di una condotta decettiva si configura, invece, solamente un inadempimento civilistico. Questo è quanto emerge dalla sentenza 93/2018 della Corte d'appello di Lecce.
Il caso - La vicenda penale sorge a seguito della querela presentata da un imprenditore nei confronti di un suo cliente, il quale aveva commissionato dei lavori di impiantistica presso un capannone industriale in corso di costruzione, senza però procedere al pagamento secondo le modalità concordate. In particolare, dopo il versamento di alcuni acconti, il committente non era più in grado di rispettare gli impegni presi, al punto da indurre l'impresa ad interrompere i lavori. Tuttavia, a seguito di ampie rassicurazioni sulla propria solvibilità e sulla possibilità di effettuare il regolare pagamento dei lavori, il committente convinceva l'imprenditore a completare le opere, senza però riuscire a mantenere le promesse di pagamento. Di qui la denuncia e il processo penale per truffa, che si concludeva però con assoluzione dell'imputato per l'insussistenza nella condotta del dolo iniziale, necessario per integrare l'ipotesi della truffa contrattuale.
La decisione - Tale verdetto viene poi confermato anche in appello, nonostante il tentativo dell'imprenditore, costituitosi parte civile, volto a mostrare l'intenzione iniziale del suo committente di non provvedere correttamente al pagamento concordato. La Corte d'appello non ha dubbi: si tratta di un semplice inadempimento civilistico, posto che il comportamento dell'imputato non è qualificabile come artificio o raggiro e, perciò, non rileva ai fini del reato previsto dall'articolo 640 c.p.. Nello specifico, precisano i giudici, il committente si è limitato a fornire rassicurazioni circa il corretto pagamento dei lavori e ciò non è sufficiente a integrare quella condotta decettiva volta a trarre in inganno l'imprenditore e idonea a generare un danno con correlativo ingiusto profitto. Ciò vale se si considera, a maggior ragione, che lo stesso committente già si era mostrato poco affidabile nel pagamento degli acconti previsti per la realizzazione delle stesse opere impiantistiche. In altri termini, chiarisce il Collegio, l'imprenditore aveva già sospeso i lavori in attesa di ricevere le somme pattuite per le opere già realizzate e, ciononostante, si era determinato a «riprendere e completare i lavori medesimi, a seguito delle richieste insistenti della parte committente, che assicurò di riuscire ad adempiere il proprio debito». E dunque, nel momento della ripresa dei lavori, l'imprenditore era già in credito con il committente e le rassicurazioni fornite da quest'ultimo non potevano di certo avere alcuna efficacia ingannatoria, posto che lo stesso imprenditore «era consapevole di operare con una controparte mostratasi già insolvente».

fonte: Cassa Forense - Dat Avvocato

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