La Corte di cassazione, nel solco della prevalente giurisprudenza, ha annullato con rinvio la sentenza con la quale la Corte d'appello di Venezia, confermando la sentenza di primo grado, aveva escluso l'ipotesi attenuata di violenza sessuale, a favore di un imputato, solo perché il rapporto sessuale non consensuale era stato portato a termine. I giudici censurano l'automatismo con il quale l'attenuante è stata negata, tralasciando di considerare la qualità dell'atto compiuto, il solo indice idoneo per concederla o escluderla.
Ai fini del riconoscimento dell'attenuante - che comporta una congrua riduzione della pena - non assume infatti rilievo determinante la qualità dell'atto compiuto, per cui il giudice ha l'obbligo di tenere in considerazione altri indici, oltre che quello “quantitativo”, anche solo per negare un trattamento meno afflittivo. La Corte individua, fra tali indici, «il grado di coartazione esercitato sulla vittima», le sue condizioni fisiche e mentali, «l'entità della compressione della libertà sessuale» e il danno anche psichico arrecato.
La «tipologia dell'atto», infatti, il solo indice utilizzato, è solo uno degli indicatori della gravità del fatto, ma non un elemento dirimente, qual è stato ritenuto dai giudici di merito, nella sentenza che, perciò, è stata annullata, rimettendo la questione al giudice del rinvio. Una rigida applicazione del solo criterio utilizzato vanificherebbe, infatti, conclude la Corte, la oramai superata distinzione fra atti di libidine, caratterizzanti l'atto sessuale non completo e la violenza carnale piena.
Il riferimento, ad avviso dei giudici meritevole di attenzione, allo stato di ubriachezza dell'imputato che avrebbe commesso, perciò, il reato sotto l'influenza dell'alcol, ha suscitato reazioni negative, comprensibili vista la delicata materia affrontata e la fin troppo tollerata violenza sulle donne. Ma la Suprema corte è giudice delle leggi e non dei comportamenti e si è limitata a censurare un errore di diritto, invitando il giudice del rinvio solo a valutare gli elementi aggiuntivi, il che non esclude affatto il diniego dell'attenuante, rendendosi necessaria solo una più adeguata motivazione. Dunque, non la manifestazione di una benevolenza particolare nei confronti di un presunto stupratore (tale è l'imputato fino a sentenza definitiva) ma l'affermazione di un principio diritto, che non esclude affatto la gravità della condotta e la necessità che venga sanzionata severamente. Di diverso avviso, peraltro, era stato il sostituto procuratore generale della Cassazione Pietro Gaeta, che nella sua requisitoria si era opposto al ricorso.
La decisione, tuttavia, ha scatenato come detto una ridda di reazioni, tutte negative. Così, ha avvertito l'avvocato Giulia Bongiorno - impegnata da lungo tempo nella difesa delle donne - si rischia «di derubricare il reato. Difficile immaginare un caso poco grave di violenza completa». Sulla stessa linea la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli (Pd): «Che possa esistere una minore gravità nel caso di una violenza sessuale è semplicemente inaccettabile» e la capogruppo Ncd alla Camera, Nunzia De Girolamo. La deputata di Forza Italia, Deborah Bergamini, ha poi ricordato che la decisione è «in totale contraddizione con l'impegno in Parlamento per contrastare la violenza di genere e con un'Italia che è tra i primi Paesi ad aver ratificato la Convenzione di Istanbul»
Infine, la presidente del “Telefono rosa”, Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, ha sottolinatao come il verdetto sminuisca la gravità «di un delitto così efferato come lo stupro» e come questo avvenga «in un momento particolarmente grave e violento per le donne, dove quasi ogni giorno una donna viene uccisa».
fonte: www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com// Stupro, quando scatta l'attenuante
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sabato 27 settembre 2014
Stupro, quando scatta l'attenuante
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