Non ricorre l’ipotesi di bancarotta semplice, integrata da operazioni gravemente imprudenti poste in essere dall’imprenditore, bensì quella più grave della bancarotta fraudolenta, nel caso di sistematica e preordinata vendita sottocosto, o comunque in perdita, di beni aziendali. Lo afferma la Cassazione nella sentenza 29569/14.
Il caso
Il socio accomandatario di una sas veniva condannato dalla Corte d’appello di Reggio Calabria per bancarotta fraudolenta patrimoniale, aggravata dalla rilevante entità del danno cagionato, in quanto aveva distratto la somma ricavata dalla vendita della merce. L’imputato ricorreva in Cassazione, sostenendo di aver dovuto vendere la merce sottocosto per tentare di sanare delle passività determinate dalla scarsa esperienza patrimoniale. Di conseguenza, i fatti sarebbero dovuti ricadere nell'ipotesi prevista dall’art. 217, numero 3, l.f., che punisce il ricorso sistematico alle svendite per tacitare i creditori.
Tuttavia, la Corte di Cassazione rilevava che l’uomo aveva venduto la merce presente in magazzino per una somma rilevante, che poi non era stata rinvenuta nelle casse della società. Ciò bastava a giustificare l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, costituendo una valida presunzione di distrazione il fatto che un imprenditore non giustifichi in quale modo dei beni appartenenti al patrimonio della società, e non più rinvenuti, sarebbero stati utilizzati secondo l’interesse della stessa società. Inoltre, non ricorre l’ipotesi di bancarotta semplice, integrata da operazioni gravemente imprudenti poste in essere dall’imprenditore, bensì quella più grave della bancarotta fraudolenta, nel caso di sistematica e preordinata vendita sottocosto, o comunque in perdita, di beni aziendali.
Anche le operazioni manifestamente imprudenti, di cui all’art. 217, numero 3, l.f., devono presentare, in astratto, un elemento di razionalità nell’ottica delle esigenze dell’impresa, affinché il risultato negativo sia frutto di un mero e riscontrabile errore di valutazione. Nel caso di specie, veniva dimostrata l’incoerenza, rispetto alle finalità della società, delle vendite sottocosto dei beni aziendali, con la conseguente esclusione dell’errore di valutazione che solo avrebbe potuto giustificare l’inquadramento dei fatti a titolo colposo. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Vendita sottocosto: dannosa non solo commercialmente, ma anche penalmente
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venerdì 26 settembre 2014
Vendita sottocosto: dannosa non solo commercialmente, ma anche penalmente
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