Nel corso degli ultimi anni si sono registrati numerosi e frammentari interventi legislativi sulle in-novazioni in generale e specificamente sul tema della c.d. giustizia digitale. I primi interventi sono stati effettuati con riguardo alla posta elettronica certificata (PEC) obbligando i professionisti a co-municare la propria PEC all'Ordine di appartenenza, quindi i difensori ad indicare negli atti la PEC e modificando le norme del codice di procedura civile.
Riguardo alla PEC e alle comunicazioni di cancelleria, transitando prima dall'art. 4, comma 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, recante "Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario", convertito con modificazioni dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24 e poi dalle regole tecniche con il DM 21/2/2011, n. 44 (così come modificato dalla DM 15/10/2012, n. 209), si è approdati alle disposizioni seguenti:
•art. 16, comma 3, del decreto-legge 18/10/2012, n. 179, recante: "Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese", convertito dalla Legge 221/2012, che modifica l'art. 45 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie;
•art. 16, comma 4, del decreto-legge 18/10/2012, n. 179, recante: "Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese", convertito dalla Legge 221/2012, secondo cui «Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi …»;
Nel corso di un giudizio di appello, definito dalla Corte d'Appello di Milano, Sezione Lavoro, con sentenza n. 224/2014 del 3/3/2014, è stata sollevata una questione preliminare sulla inammissibilità del reclamo perché lo stesso sarebbe stato proposto oltre il termine di decadenza di 30 giorni dalla comunicazione di cancelleria, termine appunto previsto dall' art. 1, comma 58, della legge n. 92/2012. L'art. 1, comma 61, della medesima legge dispone che «In mancanza di comunicazione o notificazione della sentenza si applica l'articolo 327 del codice di procedura civile». In tale ultima ipotesi si applica il termine di sei mesi.
Nel caso di specie, ovviamente, la comunicazione di cancelleria è stata effettuata a mezzo PEC, ma la stessa non conteneva in allegato il provvedimento integrale e cioè la sentenza di primo grado. Il reclamante, pertanto, ha depositato il reclamo nel termine di sei mesi.
Il citato art. 45, comma 2, disp. att. c.p.c. è stato modificato in questi esatti termini: «Il biglietto contiene in ogni caso l'indicazione dell'ufficio giudiziario, della sezione alla quale la causa è asse-gnata, dell'istruttore se è nominato, del numero del ruolo generale sotto il quale l'affare è iscritto e del ruolo dell'istruttore il nome delle parti ed il testo integrale del provvedimento comunicato».
La Corte d'Appello di Milano, con un'interpretazione, ad avviso dello scrivente rigorosa e corretta, delle norme citate ed in particolare del novellato art. 45 disp. att. c.p.c. e dell'art. 327, come richia-mato dall'art. 1, comma 61, della L. 92/2012, ha dichiarato regolare il reclamo poiché proposto nel termine di sei mesi in assenza del provvedimento integrale allegato alla PEC con cui è stata eseguita la comunicazione di cancelleria. In buona sostanza, afferma la Corte, qualora il messaggio di PEC inviato dalla cancelleria non contenga il provvedimento integrale, la comunicazione non è «idonea a raggiungere lo scopo di una piena conoscenza della sentenza da parte dei destinatari, presupposto necessario per far decorrere il termine breve ed inderogabile di trenta giorni per la proposizione del reclamo (come previsto dalla legge 92/12, nel combinato disposto di cui ai commi 58 e comma 61 dell'art.1 citato)».
In virtù dell'applicazione del termine ordinario previsto dall'art. 327 c.p.c. ad avviso della Corte d'Appello di Milano è necessaria una domanda specifica diretta a far dichiarare la nullità della co-municazione di cancelleria «perché appunto l'effetto in qualche modo "sanzionatorio" della mancata comunicazione anche della sentenza è già automaticamente previsto dalla legge».
La vicenda che è stata definita con la citata sentenza della Corte d'Appello di Milano, evidenzia come sia rilevante, anche ai fini giuridici e non soltanto pratici e/o di maggiore utilità o comodità per gli operatori, porre attenzione ad un corretto utilizzo degli strumenti digitali nel settore della giustizia. Il PCT si avvia verso la generale obbligatorietà a decorrere dal prossimo 30 giugno, salvo proroghe, ed emergono profili specifici e criticità che devono essere risolti alla luce delle norme vigenti. Molto spesso, peraltro, si pensa alla digitalizzazione della giustizia in maniera limitativa, po-sto che non viene effettuata una interpretazione sistematica che tenga conto delle diverse norme presenti nel nostro ordinamento. Spesso si trascura di considerare l'intero impianto normativo con-tenuto nel codice dell'amministrazione digitale (CAD) che disciplina diversi istituti.
Pertanto, è evidente come l'introduzione dell'uso della PEC, posta elettronica certificata, nel processo civile non abbia affatto modificato le norme di rito che devono essere, pertanto, compiutamente rispettate. Gli strumenti informatici hanno lo scopo (primario?) di agevolare e migliorare le attività lavorative ed i processi. Le norme del codice di rito che, sebbene modificate per l'introduzione nel giudizio civile dell'uso della PEC, vanno sempre lette ed interpretate alla luce dei principi generali dell'ordinamento e le tecnologie non possono costituire norma e prevalere sulle disposizioni proces-suali vigenti.
Fonte: ilsole24ore.com/Comunicazioni di cancelleria a mezzo PEC: nulla se manca l'allegato integrale del provvedimento
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