martedì 5 novembre 2013

«Questa è una rapina»! Ma prendere persone in ostaggio non configura lo scopo di estorsione

Il sequestro di persona a scopo di estorsione prevede che l’autore persegua e richieda un ingiusto profitto come prezzo della liberazione. Pertanto è da escludersi tale reato nei casi in cui venga attuato un sequestro di persona per mantenere un profitto già ottenuto, come nel caso di una rapina (Cassazione, sentenza 23937/13).

Il caso
Un uomo fa irruzione armata in una banca assieme ad un complice, sottrae una pistola alla guardia giurata, preleva 9mila euro, prende in ostaggio una donna e un ragazzo e, una volta datosi alla fuga, poco prima di essere catturato, esplode un colpo di pistola ad altezza uomo verso gli agenti di polizia. Visti i gravi indizi di colpevolezza e il pericolo di reiterazione del reato, vista la spiccata professionalità e la negativa personalità dell’indagato, il Gip prima, e il Tribunale poi, impongono la misura cautelare in carcere.Oggetto del ricorso per cassazione presentato dal Procuratore è la riqualifica effettuata dal Tribunale della condotta come sequestro di persona (art. 605 c.p.), anziché l’iniziale contestazione del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.), poiché il sequestro – afferma il PM - «era stato consumato allo scopo di conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione». Di diverso avviso la Cassazione, il quale sottolinea che il sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.) prevede che l’autore persegua e richieda un ingiusto profitto «come prezzo della liberazione». Il PM ricorrente equivoca tra il significato giuridico di prezzo e quello di profitto. In pratica, spiegano gli Ermellini, per la configurazione di tale reato deve essere corrisposta un’utilità in un momento successivo alla privazione della libertà dell’ostaggio, «libertà il cui ripristino è condizionato da tale pagamento». È da escludersi, quindi, tale reato nei casi in cui venga attuato un sequestro di persona per mantenere un profitto già ottenuto, proprio come nel caso di una rapina. Per quanto riguarda il ricorso presentato dall’imputato, invece, la questione verte sulla contestazione del reato di tentato omicidio. La S.C., sul punto, precisa che il tentato omicidio trova fondamento anche nel dolo alternativo, non solo il dolo intenzionale. Infatti, la Corte di legittimità ribadisce che si qualifica come dolo diretto, e non meramente eventuale, «quella particolare manifestazione di volontà dolosa definita dolo alternativo, che sussiste quando il soggetto attivo prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi (nella specie, morte o grave ferimento della vittima) causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, con la conseguenza che esso ha natura di dolo diretto ed è compatibile con il tentativo». Per tutte queste ragioni, entrambi i ricorsi vengono rigettati.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - «Questa è una rapina»! Ma prendere persone in ostaggio non configura lo scopo di estorsione

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