Prudenza, massima attenzione, quando in piscina ci sono i bambini: perché ogni piccola sbavatura può costare carissima... Può risultare fatale, tanto da provocare – indirettamente – la morte di un piccolo nuotatore, e può risultare decisiva, tanto da condurre alla condanna, in un’aula di giustizia, delle persone che avrebbero dovuto tenere sotto controllo la situazione (Cassazione, sentenza 24165/13). Tutto si svolge, paradossalmente quasi in silenzio, in pochissimi, tragici minuti. Ad occuparsi del controllo dei bambini sono l’educatrice, che li accompagna, e la bagnina, a cui è affidato il compito di monitorare la piscina, ma i loro occhi perdono di vista un bambino, e quella disattenzione è fatale. Perché le urla di alcuni adulti e di altri bambini segnalano la strana posizione assunta dal bambino, che «da qualche tempo galleggiava sul pelo dell’acqua, con la testa affondata». Ma l’allarme, purtroppo, scatta quando è oramai tardi... Neanche quindici giorni dopo il fattaccio avvenuto in piscina, difatti, il bambino muore, proprio «a causa del grave danno encefalico riportato». Per la giustizia – più precisamente, per i giudici di Tribunale e Corte d’Appello – non vi è alcun dubbio sulla responsabilità della bagnina e della educatrice: ecco spiegata la condanna per «aver causato per colpa la morte» del bambino. Omesso controllo. E la visione delineata in secondo grado viene, ora, condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, respingono, in maniera netta, le osservazioni delle due donne – osservazioni finalizzate a minimizzare le proprie responsabilità –, confermandone la condanna. Per quanto concerne la posizione della educatrice, ella, spiegano i giudici, «era venuta meno al dovere di vigilare costantemente sul minore che le era stato affidato, proprio al fine di far fronte a pronta valutazione di situazioni rischiose non percepite come tali dal bambino a causa della sua immaturità, come la necessità di uscire dall’acqua e chiedere immediato aiuto» in caso di «malore», e tale omissione si rivelava ancor più tragica proprio considerando che «lo stato di difficoltà del bambino si protrasse» per pochi minuti. E a rendere maggiormente grave il comportamento tenuto dalla educatrice, secondo i giudici, ci sono due ulteriori elementi: aver «lasciato incustodito» il minore, mentre la bagnina «era onerata del controllo di una zona vasta»; essersi affidata «al carattere docile e alle capacità natatorie della giovanissima vittima». Ma, concludono i giudici, se la educatrice «non si fosse allontanata e fosse stata attenta nella vigilanza», pur non potendo impedire il «malore» che colpì il bambino, sicuramente «ne avrebbe scongiurato la morte» con un soccorso tempestivo. E il quadro è altrettanto delicato anche per la bagnina, che, ricordano i giudici, ha il compito di «scongiurare, sul nascere, situazioni di pericolo», soprattutto quelle meno «percepibili», come nella ipotesi – quanto mai aderente alla vicenda in esame – in cui «il bagnante, vittima di un malore, manifestatosi in forma subdola, si abbandoni, inerte e silente, sull’acqua». Tale compito, pur complicato, difficile, delicato, è sicuramente fattibile: la donna, spiegano i giudici, «posizionandosi adeguatamente, era in condizione di avere una buona visuale di tutta l’area sottoposta alla sua vigilanza».
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Malore improvviso, annegamento fatale per il bambino: responsabili educatrice e bagnina
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lunedì 4 novembre 2013
Malore improvviso, annegamento fatale per il bambino: responsabili educatrice e bagnina
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