venerdì 27 settembre 2013

Avvocati “mediatori di diritto” ma con obbligo di formazione

Avvocati mediatori di diritto sì, ma con obbligo di formazione. In sede di conversione del decreto “del fare”, accogliendo il parere della Commissione giustizia, è rimasta per gli avvocati la qualifica di “mediatori di diritto”, ma anche per loro la formazione e l’aggiornamento rappresentano un obbligo per iscriversi e per mantenere l’iscrizione presso un organismo di mediazione.

Il decreto legge 69/2013 aveva reintrodotto nel nostro ordinamento la categoria dei “mediatori di diritto”, aggiungendo all’articolo 16 del decreto 28/2010 il comma 4-bis che prevedeva, appunto, che tutti gli avvocati iscritti all’albo fossero mediatori di diritto. Secondo la previsione poi modificata, dunque, gli avvocati iscritti all’albo avrebbero avuto diritto al titolo di mediatore a prescindere da qualsiasi formazione specifica in materia di mediazione, gestione dei conflitti e negoziazione. La scelta aveva suscitato numerose perplessità tra coloro che si occupano di mediazione anche in considerazione delle differenti scelte che il nostro Legislatore aveva operato in passato su questo stesso punto. Il riconoscimento di una categoria di mediatori di diritto era già stato sperimentato nel nostro ordinamento con l’introduzione della conciliazione societaria, ma era stato poi superato in favore di una formazione specifica come requisito caratterizzante l’esercizio della professione di mediatore.

Cosa cambia dopo la conversione del decreto "del fare" 69/2013

In sede di conversione del Dl 69/2013 la previsione è rimasta, ma si è arricchita di un nuovo contenuto, per cui ora la norma prevede che «Gli avvocati iscritti all’albo sono mediatori di diritto. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò focalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 55 del codice deontologico.» La scelta, dunque, è stata quella di affiancare a un titolo “di diritto” un obbligo di competenza e formazione: come questi due aspetti dovranno essere regolamentati non viene però precisato dalla norma stessa, il che non consente un’immediata e agevole interpretazione.

Per meglio comprendere il contenuto della norma e le perplessità che permangono, appare opportuno ripercorrere i diversi interventi legislativi che hanno via via disciplinato i requisiti di formazione dei mediatori.

La formazione dei mediatori: tutti gli interventi legislativi
Quando negli Anni ’90 si è cominciato a parlare di conciliazione in Italia (fino al decreto 28 si parlava, infatti, di “conciliazione” e non di “mediazione”), i futuri conciliatori, ai quali non era richiesto il possesso di un certo titolo di studio ovvero l’aver svolto un determinato percorso professionale, si formavano presso le Camere di commercio che istituivano percorsi formativi ad hoc, aventi a oggetto lo studio delle caratteristiche dei procedimenti Adr, le tecniche di comunicazione e gestione dei conflitti.

Con la riforma del diritto societario, che aveva introdotto appunto la conciliazione societaria - istituto poi abrogato - erano stati previsti criteri di accesso al ruolo di Conciliatore assai più rigidi e titolo di studio ed esperienza professionale diventarono addirittura alternativi rispetto alla formazione specifica.
Il Legislatore, preoccupandosi della possibile complessità delle situazioni giuridiche ed economiche che accompagnavano i conflitti societari, aveva stabilito requisiti rigidi ed elevati per chi avesse voluto ricoprire quel ruolo, privilegiando le competenze giuridiche ed economiche rispetto a quelle in materia di mediazione. Così il Dlgs 5/2003 aveva previsto che potessero svolgere l’attività di conciliatori:
- professori universitari in materie giuridiche o economiche;
- professionisti iscritti ad albi professionali nelle stesse materie da almeno 15 anni;
- magistrati in quiescenza.

In alternativa, potevano diventare conciliatori coloro che possedevano, oltre a una laurea in materia giuridico o economica, una formazione specifica acquisita partecipando a corsi di formazione tenuti da enti pubblici, università o enti privati accreditati in base ai requisiti previsti nello stesso decreto legislativo. L’indicazione alternativa di titoli e formazione specifica non mancò di sollevare perplessità, non essendo, in realtà, i due aspetti equivalenti.

Con il regolamento attuativo del decreto legislativo 28/2010 veniva fatta una scelta ancora differente. Scomparsa ogni qualifica di diritto legata alla pregressa esperienza professionale, acquisiva ampio spazio il requisito della formazione specifica. Questa scelta appariva in linea con la stessa direttiva 52/2008 che, all’articolo 4, prevede espressamente che gli Stati membri incoraggino la formazione iniziale e successiva dei mediatori. La normativa, tutt’ora in vigore, ha stabilito anzitutto che requisito minimo per accedere ai corsi, e ottenere la qualifica di mediatore, sia il possesso di una laurea triennale ovvero l’iscrizione a un albo o collegio professionale. Mentre il percorso formativo specifico e obbligatorio ha durata di almeno 50 ore, suddivise tra teoria e pratica, e termina con una valutazione teorico-pratica.
I corsi devono avere a oggetto, tra le altre, le seguenti materie:
- normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione;
- metodologie delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa, anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice;
- forma, contenuti ed effetti della domanda di mediazione e dell’accordo;
- compiti e responsabilità del mediatore.
Particolari competenze e requisiti di formazione specifici sono poi richiesti a coloro che desiderano iscriversi negli elenchi dei mediatori che si occupano di controversie nascenti da rapporti di consumo e da rapporti internazionali.


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