Se davvero si affermerà il principio per cui il rapporto con il medico ha natura extracontrattuale e sarà il paziente a dover dimostrare la colpa del professionista, così sovvertendo alcuni decenni di giurisprudenza, è ancora presto per dirlo. Certo è che dopo la sentenza del tribunale di Milano, datata 17 luglio 2014 (resa nota soltanto in queste ore), molti non esitano a parlare di "svolta". Così è per Roberto Carlo Rossi, presidente dell'Ordine dei medici del capoluogo lombardo: "È una sentenza storica".
La vicenda
La pronuncia dei giudici milanesi riguarda un processo intentato da un paziente al Policlinico di Milano e a un suo medico per un caso di paralisi delle corde vocali. La sentenza, interpretando la legge Balduzzi del 2012, ha stabilito che non è più il medico a dover provare la propria correttezza professionale, ma è il paziente che deve provare la colpa del medico. "Importante, inoltre – prosegue Rossi -, è anche il fatto che la sentenza, in base alla legge, riconosca che la presunta colpa si prescrive in 5 anni e non in 10 come in precedenza".
Balduzzi: una sollecitazione per la Cassazione
Per Renato Balduzzi, ex ministro della Salute e oggi nuovo componente del Csm, che da legislatore era intervenuto nel 2012 con un norma di 'alleggerimento' della colpa lieve del medico si tratta di una sentenza che "va letta come una sollecitazione a riconsiderare la giurisprudenza in materia". Per l'ex ministro però quella dei giudici di Milano "non è una pronuncia nuova, c'era già stato un tribunale di merito che aveva interpretato la norma in questa direzione ma la Cassazione aveva invece confermato l'orientamento tradizionale". "Per questo – ha proseguito - penso che la decisione sia da leggere come una sollecitazione alla Cassazione a riconsiderare la giurisprudenza".
La questione dell'articolo 2043 del c.c.
Da un punto di vista tecnico, secondo la sentenza, sia il tenore letterale dell'articolo 3 comma 1 della legge Balduzzi che l'intenzione del legislatore conducono a ritenere che la responsabilità del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie) per condotte che non costituiscono inadempimento di un contratto d'opera (diverso dal contratto concluso con la struttura) venga ricondotta dal legislatore del 2012 alla responsabilità da fatto illecito ex articolo 2043 c.c. e che, dunque, l'obbligazione risarcitoria del medico possa scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito aquiliano (che il danneggiato ha l'onere di provare).
Nulla cambia per le struttura sanitarie
Ogni caso l'alleggerimento della responsabilità (anche) civile del medico "ospedaliero", che deriva dall'applicazione del criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria indicato dalla legge Balduzzi (articolo 2043 c.c.), non ha alcuna incidenza sulla distinta responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata (sia essa parte del S.S.N. o una impresa privata non convenzionata), che è comunque di tipo "contrattuale" ex articolo 1218 c.c. (sia che si ritenga che l'obbligo di adempiere le prestazioni per la struttura sanitaria derivi dalla legge istitutiva del S.S.N. sia che si preferisca far derivare tale obbligo dalla conclusione del contratto atipico di "spedalità" o "assistenza sanitaria" con la sola accettazione del paziente presso la struttura).
Il diverso regime
Se dunque il paziente/danneggiato agisce in giudizio nei confronti del solo medico con il quale è venuto in "contatto" presso una struttura sanitaria, senza allegare la conclusione di un contratto con il convenuto, la responsabilità risarcitoria del medico va affermata soltanto in presenza degli elementi costitutivi dell'illecito ex articolo 2043 c.c. che l'attore ha l'onere di provare; se nel caso suddetto oltre al medico è convenuta dall'attore anche la struttura sanitaria presso la quale l'autore materiale del fatto illecito ha operato, la disciplina delle responsabilità andrà distinta (quella ex articolo 2043 c.c. per il medico e quella ex articolo 1218 c.c. per la struttura), con conseguente diverso atteggiarsi dell'onere probatorio e diverso termine di prescrizione del diritto al risarcimento; senza trascurare tuttavia che, essendo unico il "fatto dannoso" (seppur distinti i criteri di imputazione della responsabilità), qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti, essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell'articolo 2055 c.c.
Tutto uguale in caso di conclusione di un contratto d'opera.
Secondo il tribunale di Milano, dunque, l'articolo 3 comma 1 della legge Balduzzi non incide né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata) né su quello del medico che ha concluso con il paziente un contratto d'opera professionale (anche se nell'ambito della cd attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico): in tali casi sia la responsabilità della struttura sanitaria (contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria) sia la responsabilità del medico (contratto d'opera professionale) derivano da inadempimento e sono disciplinate dall'articolo1218 c.c., ed è indifferente che il creditore/danneggiato agisca per ottenere il risarcimento del danno nei confronti della sola struttura, del solo medico o di entrambi.
Il richiamo nella norma suddetta all'obbligo di cui all'articolo 2043 c.c. per l'esercente la professione sanitaria che non risponde penalmente (per essersi attenuto alle linee guida), ma la cui condotta evidenzia una colpa lieve, non ha nessun riflesso sulla responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, che ha concluso un contratto atipico con il paziente (o, se si preferisce, è comunque tenuta ex lege ad adempiere determinate prestazioni perché inserita nel S.S.N.) ed è chiamata a rispondere ex articolo1218 c.c. dell'inadempimento riferibile direttamente alla struttura anche quando derivi dall'operato dei suoi dipendenti e/o degli ausiliari di cui si è avvalsa (articolo 1228 c.c.).
Ordine di Milano, ora stop alla medicina difensiva.
In conclusione per l'ordine dei medici di Milano la sentenza è positiva anche perché fino ad ora a causa dei costi dei premi assicurativi "molti medici non si sono più limitati a praticare solo le linee guida e le buone pratiche accreditate dalle comunità scientifica, ma si sono 'difesi' richiedendo esami diagnostici non necessari per il paziente e particolarmente onerosi per il servizio sanitario, oppure si rifiutano di trattare i casi più complicati e a rischio denuncia".
Resta ora da comprendere – conclude una nota - la portata di questa sentenza, ovvero se farà giurisprudenza nei confronti di tutti i medici o se, con un'interpretazione restrittiva, avrà un'efficacia limitata al solo ambito ospedaliero".
fonte: www.ilsole24ore.com//Svolta sulla responsabilità medica, il paziente deve provare l'errore
Blog di attualità e informazione giuridica - Lo Studio Legale Mancino ha sede in Ferrara, Via J. F. Kennedy, 15 - L'Avv. Emiliano Mancino è abilitato alla difesa di fronte alla Corte di Cassazione
giovedì 16 ottobre 2014
Svolta sulla responsabilità medica, il paziente deve provare l'errore

mercoledì 15 ottobre 2014
Start up innovative, i consulenti a partita Iva non rientrano nella "forza lavoro"
I consulenti esterni della start up innovativa titolari di partita Iva - come pure gli stagisti non retribuiti - non possono essere annoverati tra i dipendenti e i collaboratori rilevanti ai fini del requisito (necessario per l'iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese e per la conseguente fruizione delle agevolazioni fiscali) richiesto in via alternativa dall’art. 25, comma 2, lettera h), n. 2, del D.L. n. 179/2012. Lo ha chiarito l'Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 87/E del 14 ottobre 2014.
Nel documento di prassi le Entrate rispondono all'interpello di una società che, intendendo ottenere la qualifica di start up innovativa tramite iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese (anche al fine di consentire agli investitori di fruire delle agevolazioni fiscali introdotte dal D.L. n. 179/2012), chiedeva chiarimenti interpretativi in relazione al requisito di cui al citato art. 25, comma 2, lettera h), n. 2, del D.L. n. 179/2012, che individua, quale requisito alternativo per richiedere l'iscrizione (oltre al possesso cumulativo dei requisiti di cui alle lettere da b) a g) del medesimo comma), l’“impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un'università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale”.
L'Agenzia chiarisce, in relazione ai quesiti specificamente posti dall'istante in merito al requisito richiesto dalla norma su indicata, che: come già chiarito dal Ministero dello Sviluppo economico, rientra nel novero del personale qualificato di cui al citato art. 25, comma 2, lettera h), n. 2, del D.L. n. 179/2012 anche il socio amministratore, purché - essendo il riferimento della norma alla "collaborazione" inscindibile dal riferimento alla locuzione "impiego" - sia anche un socio-lavoratore o comunque avente un "impiego" retribuito nella società “a qualunque titolo”, diverso da quello organico; gli stagisti possono essere considerati forza lavoro solo se retribuiti; i consulenti esterni titolari di partita Iva non possono essere annoverati tra i dipendenti e i collaboratori rilevanti ai fini del citato rapporto; il calcolo della percentuale di forza lavoro altamente qualificata deve essere necessariamente eseguito “per teste”, e non in base alla remunerazione.
Fonte: Fiscopiù - Giuffrè per i Commercialisti - www.fiscopiu.it/La Stampa - Start up innovative, i consulenti a partita Iva non rientrano nella "forza lavoro"
Nel documento di prassi le Entrate rispondono all'interpello di una società che, intendendo ottenere la qualifica di start up innovativa tramite iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese (anche al fine di consentire agli investitori di fruire delle agevolazioni fiscali introdotte dal D.L. n. 179/2012), chiedeva chiarimenti interpretativi in relazione al requisito di cui al citato art. 25, comma 2, lettera h), n. 2, del D.L. n. 179/2012, che individua, quale requisito alternativo per richiedere l'iscrizione (oltre al possesso cumulativo dei requisiti di cui alle lettere da b) a g) del medesimo comma), l’“impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un'università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale”.
L'Agenzia chiarisce, in relazione ai quesiti specificamente posti dall'istante in merito al requisito richiesto dalla norma su indicata, che: come già chiarito dal Ministero dello Sviluppo economico, rientra nel novero del personale qualificato di cui al citato art. 25, comma 2, lettera h), n. 2, del D.L. n. 179/2012 anche il socio amministratore, purché - essendo il riferimento della norma alla "collaborazione" inscindibile dal riferimento alla locuzione "impiego" - sia anche un socio-lavoratore o comunque avente un "impiego" retribuito nella società “a qualunque titolo”, diverso da quello organico; gli stagisti possono essere considerati forza lavoro solo se retribuiti; i consulenti esterni titolari di partita Iva non possono essere annoverati tra i dipendenti e i collaboratori rilevanti ai fini del citato rapporto; il calcolo della percentuale di forza lavoro altamente qualificata deve essere necessariamente eseguito “per teste”, e non in base alla remunerazione.
Fonte: Fiscopiù - Giuffrè per i Commercialisti - www.fiscopiu.it/La Stampa - Start up innovative, i consulenti a partita Iva non rientrano nella "forza lavoro"

martedì 14 ottobre 2014
Divieto di sosta: vale per tutti, nessuno escluso
Il titolare del pass invalidi, o per lui il conducente dell’autovettura, non è autorizzato a violare le disposizioni sulla circolazione dei veicoli finalizzate ad evitare intralcio o pericolo. Così ha deciso la Corte di Cassazione nell’ordinanza 16500/14.
Il caso
Avverso la sentenza di condanna per violazione del codice della strada, in riferimento al divieto di fermata e sosta dei veicoli (art. 158 c.d.s.), ricorreva per cassazione il soccombente deducendo violazione e falsa applicazione di norme penali. La notifica non era inesistente: l’atto aveva raggiunto il suo scopo. Il ricorrente deduceva l’inesistenza della notifica, e, quindi, la non sanabilità di tale vizio.
La Cassazione ricorda che «sussiste inesistenza, e non semplice nullità, sanabile ex art. 156 c.p.c. dalla costituzione in giudizio della parte destinataria della notificazione, solo quando manchi del tutto ogni relazione, di luogo o di persona, riferibile al destinatario, nelle modalità con le quali l’adempimento notificatorio sia stato in concreto eseguito» (Cass., n. 6470/2011).
Nel dettaglio, la notificazione è inesistente quando venga effettuata in un luogo o con riguardo ad una persona che non presentino alcun riferimento col destinatario dell’atto; invece, è nulla, perciò sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione del convenuto, oppure con la rinnovazione della notifica, quando la stessa notifica sia eseguita mediante consegna a persona o in luogo diversi da quello stabilito ex lege, ma sia comunque ravvisabile un collegamento con il destinatario, tale da rendere possibile che l’atto giunga a conoscenza dell’interessato.
Nel caso di specie, la busta contenente una copia del verbale, già preceduta da preavviso lasciato sul cruscotto dell’auto in sosta, era stata reperita dalla moglie del ricorrente nella cassetta postale, presso la residenza risultante dall’intestazione del veicolo, e perciò era pervenuta all’uomo, che aveva potuto impugnare tempestivamente l’atto. Correttamente i Giudici di merito avevano considerato raggiunto lo scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c., in riferimento ad una notifica non inesistente, ma al più nulla per incompletezza, avendo il ricorrente lamentato l’omissione di altri adempimenti, non precisati, relativi alla notifica.
Il ricorrente lamentava, inoltre, la mancanza di prova del reato ascrittogli, confutando la valenza probatoria privilegiata del verbale. In sede di legittimità, è pacifico il principio per cui «il verbale di accertamento ha natura giuridica di atto ricognitivo, consistente in una dichiarazione della pubblica amministrazione caratterizzata da una particolare certezza legale privilegiata, cioè, dal fatto che il verbale fa piena prova dei fatti in esso attestati dal pubblico ufficiale fino a sentenza di falso a seguito di apposita querela».
La Corte specifica che nel caso in esame agli atti del processo vi era documentazione più che adeguata a dimostrare il presupposto della contestazione oggetto del giudizio. Infine, deduceva il ricorrente la violazione di norme a tutela degli utenti deboli, in quanto l’uomo era titolare del contrassegno per invalidi. Impensabile ritenere esente dal rispetto dei divieti imposti dall’art. 158 c.d.s. (divieto di fermata e di sosta dei veicoli), il veicolo utilizzato per il trasporto delle persone invalide, in possesso di specifico contrassegno. Il titolare del pass invalidi, o per lui il conducente dell’autovettura, non è autorizzato a violare le disposizioni sulla circolazione dei veicoli finalizzate ad evitare intralcio o pericolo. Sulla base di tali argomenti, la Cassazione rigetta il ricorso.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Divieto di sosta: vale per tutti, nessuno escluso
Il caso
Avverso la sentenza di condanna per violazione del codice della strada, in riferimento al divieto di fermata e sosta dei veicoli (art. 158 c.d.s.), ricorreva per cassazione il soccombente deducendo violazione e falsa applicazione di norme penali. La notifica non era inesistente: l’atto aveva raggiunto il suo scopo. Il ricorrente deduceva l’inesistenza della notifica, e, quindi, la non sanabilità di tale vizio.
La Cassazione ricorda che «sussiste inesistenza, e non semplice nullità, sanabile ex art. 156 c.p.c. dalla costituzione in giudizio della parte destinataria della notificazione, solo quando manchi del tutto ogni relazione, di luogo o di persona, riferibile al destinatario, nelle modalità con le quali l’adempimento notificatorio sia stato in concreto eseguito» (Cass., n. 6470/2011).
Nel dettaglio, la notificazione è inesistente quando venga effettuata in un luogo o con riguardo ad una persona che non presentino alcun riferimento col destinatario dell’atto; invece, è nulla, perciò sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione del convenuto, oppure con la rinnovazione della notifica, quando la stessa notifica sia eseguita mediante consegna a persona o in luogo diversi da quello stabilito ex lege, ma sia comunque ravvisabile un collegamento con il destinatario, tale da rendere possibile che l’atto giunga a conoscenza dell’interessato.
Nel caso di specie, la busta contenente una copia del verbale, già preceduta da preavviso lasciato sul cruscotto dell’auto in sosta, era stata reperita dalla moglie del ricorrente nella cassetta postale, presso la residenza risultante dall’intestazione del veicolo, e perciò era pervenuta all’uomo, che aveva potuto impugnare tempestivamente l’atto. Correttamente i Giudici di merito avevano considerato raggiunto lo scopo dell’atto ex art. 156 c.p.c., in riferimento ad una notifica non inesistente, ma al più nulla per incompletezza, avendo il ricorrente lamentato l’omissione di altri adempimenti, non precisati, relativi alla notifica.
Il ricorrente lamentava, inoltre, la mancanza di prova del reato ascrittogli, confutando la valenza probatoria privilegiata del verbale. In sede di legittimità, è pacifico il principio per cui «il verbale di accertamento ha natura giuridica di atto ricognitivo, consistente in una dichiarazione della pubblica amministrazione caratterizzata da una particolare certezza legale privilegiata, cioè, dal fatto che il verbale fa piena prova dei fatti in esso attestati dal pubblico ufficiale fino a sentenza di falso a seguito di apposita querela».
La Corte specifica che nel caso in esame agli atti del processo vi era documentazione più che adeguata a dimostrare il presupposto della contestazione oggetto del giudizio. Infine, deduceva il ricorrente la violazione di norme a tutela degli utenti deboli, in quanto l’uomo era titolare del contrassegno per invalidi. Impensabile ritenere esente dal rispetto dei divieti imposti dall’art. 158 c.d.s. (divieto di fermata e di sosta dei veicoli), il veicolo utilizzato per il trasporto delle persone invalide, in possesso di specifico contrassegno. Il titolare del pass invalidi, o per lui il conducente dell’autovettura, non è autorizzato a violare le disposizioni sulla circolazione dei veicoli finalizzate ad evitare intralcio o pericolo. Sulla base di tali argomenti, la Cassazione rigetta il ricorso.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it /La Stampa - Divieto di sosta: vale per tutti, nessuno escluso

Offese su un blog: non è applicabile la legge sulla stampa
Non è configurabile la responsabilità civile del titolare di un blog a seguito dell’accertamento della commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa-internet ai sensi dell’art. 57 C.P. in quanto il dato letterale della normativa sulla stampa non consente la sua riferibilità all’informazione via web caratterizzata da elementi ontologicamente diversi rispetto all’informazione classica né d’altro canto è consentita nel nostro ordinamento, in materia penale, l’interpretazione analogica in malam partem.
Con la sentenza 3 ottobre 2014 il Tribunale di Lecco si pronuncia in tema di responsabilità del blogger nel caso di commenti diffamatori presenti sullo stesso sito.
Il caso di specie, difatti, vede il titolare di un blog citato in giudizio da diverse persone offese per i commenti ingiuriosi ed oltraggiosi presenti sulla piattaforma web e non filtrati o rimossi dal responsabile del sito. In particolare, quindi, viene richiesto dagli attori di concludere circa la responsabilità civile del convenuto “previo accertamento incidenter tantum della commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa-internet ai sensi dell’art. 57 C.P.”. Quest’ultimo accertamento però trova seri ostacoli nel nostro ordinamento.
L’organo giudicante, difatti, alla luce dell’attuale normativa vigente, giustamente respinge tale richiesta poiché la norma invocata dagli istanti prevede nel settore della carta stampata la responsabilità, per omesso controllo, in capo al direttore responsabile (obbligatoriamente presente in tutti i periodici a stampa) per i contenuti dal medesimo non direttamente prodotti. Tale norma, quindi, riguarda una realtà diversa da quella della rete e la stessa giurisprudenza nella maggior parte dei casi ha concluso negativamente circa la possibilità di applicare l'art. 57 c.p. al mondo della Rete.
La Suprema Corte, difatti, ha più volte sottolineato l’impossibilità di reperire all’interno dell’ordinamento una norma giuridica che consenta di estendere tout court, in via analogica o interpretativa, alle pubblicazioni su internet la disciplina prevista per la stampa (per tutte: Cass. Pen. sez. V, sentenza 1° ottobre 2010, n. 35511; Cass. Pen. sez. V, sentenza 29 novembre 2011, n. 44126).
La stessa Corte di legittimità ha sottolineato che il dato letterale della normativa sulla stampa non consente la sua riferibilità all’informazione via web caratterizzata da elementi ontologicamente diversi rispetto all’informazione classica, nonché foriera di forti problematiche in relazione alla esigibilità di analoghi poteri e possibilità di controllo da parte del gestore dell’informazione via internet.
D’altro canto, come giustamente sostiene il Tribunale di Lecco, nemmeno può sostenersi, di fronte all’evidente vuoto normativo, creatosi a seguito dell’inerzia del legislatore rispetto al progresso delle tecnologie informative, che tale carenza possa essere colmata dall’interprete, stante il chiaro divieto di interpretazione in malam partem che sorregge l’applicazione delle norme sanzionatorie, in particolar modo di quelle penali. Difatti, proprio in merito a questa problematica, diversi sono i disegni di legge che cercano di colmare questo vulnus normativo come il DDL n. 25 Costa-Verdini, già positivamente passato al vaglio della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e fortemente osteggiato dalla comunità del web per le evidenti pesanti ripercussioni di tali disposizioni nei confronti di quella classica libertà di manifestazione del pensiero che contraddistingue Internet ed in particolare gli strumenti del web 2.0.
La stessa Corte Costituzionale con l’Ordinanza n. 337/2011 ha rammentato come, in materia di comportamenti tipicamente omissivi (quale è quello del Direttore Responsabile nel settore della stampa tradizionale), anche la responsabilità civile per il risarcimento dei danni può essere contemplata solamente in presenza di un preciso obbligo giuridico, sancito da una norma esplicita.
Nel caso di specie, poi, c’è da puntualizzare che un blog è molto diverso da un giornale e di questa differenza l‘organo giudicante ne è ben consapevole. Difatti il titolare del blog non risulta essere editore, direttore responsabile o detentore di un sito destinato a gestire, seppure a mezzo internet, uno strumento di informazione equiparabile alla carta stampata (come, ad esempio, un giornale online). Il titolare di un blog è semplicemente il primo utilizzatore e promotore di uno spazio allocato su un sito internet detenuto da altro soggetto che fornisce questo servizio. Quindi anche per questi motivi la fattispecie in esame è assolutamente inaccostabile, anche in via di interpretazione analogica, a quella prevista dall'art. 57 C.P. e dalle disposizioni sulla stampa.
fonte: www.altalex.com//Offese su un blog: non è applicabile la legge sulla stampa
Con la sentenza 3 ottobre 2014 il Tribunale di Lecco si pronuncia in tema di responsabilità del blogger nel caso di commenti diffamatori presenti sullo stesso sito.
Il caso di specie, difatti, vede il titolare di un blog citato in giudizio da diverse persone offese per i commenti ingiuriosi ed oltraggiosi presenti sulla piattaforma web e non filtrati o rimossi dal responsabile del sito. In particolare, quindi, viene richiesto dagli attori di concludere circa la responsabilità civile del convenuto “previo accertamento incidenter tantum della commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa-internet ai sensi dell’art. 57 C.P.”. Quest’ultimo accertamento però trova seri ostacoli nel nostro ordinamento.
L’organo giudicante, difatti, alla luce dell’attuale normativa vigente, giustamente respinge tale richiesta poiché la norma invocata dagli istanti prevede nel settore della carta stampata la responsabilità, per omesso controllo, in capo al direttore responsabile (obbligatoriamente presente in tutti i periodici a stampa) per i contenuti dal medesimo non direttamente prodotti. Tale norma, quindi, riguarda una realtà diversa da quella della rete e la stessa giurisprudenza nella maggior parte dei casi ha concluso negativamente circa la possibilità di applicare l'art. 57 c.p. al mondo della Rete.
La Suprema Corte, difatti, ha più volte sottolineato l’impossibilità di reperire all’interno dell’ordinamento una norma giuridica che consenta di estendere tout court, in via analogica o interpretativa, alle pubblicazioni su internet la disciplina prevista per la stampa (per tutte: Cass. Pen. sez. V, sentenza 1° ottobre 2010, n. 35511; Cass. Pen. sez. V, sentenza 29 novembre 2011, n. 44126).
La stessa Corte di legittimità ha sottolineato che il dato letterale della normativa sulla stampa non consente la sua riferibilità all’informazione via web caratterizzata da elementi ontologicamente diversi rispetto all’informazione classica, nonché foriera di forti problematiche in relazione alla esigibilità di analoghi poteri e possibilità di controllo da parte del gestore dell’informazione via internet.
D’altro canto, come giustamente sostiene il Tribunale di Lecco, nemmeno può sostenersi, di fronte all’evidente vuoto normativo, creatosi a seguito dell’inerzia del legislatore rispetto al progresso delle tecnologie informative, che tale carenza possa essere colmata dall’interprete, stante il chiaro divieto di interpretazione in malam partem che sorregge l’applicazione delle norme sanzionatorie, in particolar modo di quelle penali. Difatti, proprio in merito a questa problematica, diversi sono i disegni di legge che cercano di colmare questo vulnus normativo come il DDL n. 25 Costa-Verdini, già positivamente passato al vaglio della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e fortemente osteggiato dalla comunità del web per le evidenti pesanti ripercussioni di tali disposizioni nei confronti di quella classica libertà di manifestazione del pensiero che contraddistingue Internet ed in particolare gli strumenti del web 2.0.
La stessa Corte Costituzionale con l’Ordinanza n. 337/2011 ha rammentato come, in materia di comportamenti tipicamente omissivi (quale è quello del Direttore Responsabile nel settore della stampa tradizionale), anche la responsabilità civile per il risarcimento dei danni può essere contemplata solamente in presenza di un preciso obbligo giuridico, sancito da una norma esplicita.
Nel caso di specie, poi, c’è da puntualizzare che un blog è molto diverso da un giornale e di questa differenza l‘organo giudicante ne è ben consapevole. Difatti il titolare del blog non risulta essere editore, direttore responsabile o detentore di un sito destinato a gestire, seppure a mezzo internet, uno strumento di informazione equiparabile alla carta stampata (come, ad esempio, un giornale online). Il titolare di un blog è semplicemente il primo utilizzatore e promotore di uno spazio allocato su un sito internet detenuto da altro soggetto che fornisce questo servizio. Quindi anche per questi motivi la fattispecie in esame è assolutamente inaccostabile, anche in via di interpretazione analogica, a quella prevista dall'art. 57 C.P. e dalle disposizioni sulla stampa.
fonte: www.altalex.com//Offese su un blog: non è applicabile la legge sulla stampa

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