venerdì 15 maggio 2020

Massaggi non terapeutici, non è reato somministrarli senza titolo

Con la sentenza n. 12539/2020 la Corte di cassazione ha escluso la configurazione del reato di esercizio abusivo della professione medica nei confronti di una massaggiatrice cinese la quale era stata condannata in primo e in secondo grado per aver offerto ai bagnanti di una spiaggia la somministrazione di massaggi e di sostanze aventi proprietà curative.

Il fatto
In particolare la donna era stata osservata mentre, passeggiando su di una spiaggia con uno zaino sul quale erano appesi dei fogli volti a pubblicizzare vari tipi di massaggi, si avvicinava ai bagnanti per offrire loro massaggi e bottiglie contenenti canfora. Veniva quindi deferita per il reato di cui all'art. 348 c.p. (esercizio abusivo della professione), unitamente a quello di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, per non aver esibito nell'immediatezza il documento identificativo della propria identità, e condannata sia in primo grado sia in appello.
Senonchè con ricorso per cassazione per violazione di legge e vizio di motivazione, il P.G chiedeva l'annullamento della sentenza in realzione ad entrambi i reati: per il primo, evidenziando come non fosse possibile scambiare per medici o paramedici i massaggi praticati sulla spiaggia nè fosse possibile desumere la finalità terapeutica degli stessi dall'uso della canfora, sull'assunto secondo cui le generiche qualità terapeutiche di un prodotto non ne rendono di per sé professionale l'impiego; per il secondo, facendo leva sulla circostanza che il motivo addotto dalla ricorrente in ordine al mancato possesso del documento (l'averlo cioè dimenticato a casa) avesse solo ritardato l'ottemperanza dell'ordine di esibizione.
La sentenza
La Corte ha accolto interamente le censure del ricorrente.
Con riferimento al reato di esercizio abusivo dell'attività di massaggiatrice professionale, dopo aver ricordato le caratteristiche della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 348 c.p., ha specificato come l'esercizio abusivo della professione medica o paramedica possa configurarsi soltanto con riguardo a quelle manipolizioni rivolte ad una precipua finalità terapeutica (in quanto tese a dare sollievo a patologie vere e proprie) e che presuppongono un apposito titolo di studio e la relativa abilitazione professionale (di massofisioterapista della riabilitazione), ma non anche con riferimento alle operazioni che invece hanno una mera finalità di benessere o estetica (quali quelli antietà, anticellulite, antistress, ecc.), e in relazione alle quali non è invece necessario il conseguimento di alcun titolo rilasciato da parte dello Stato.
Sulla scorta di tale premessa e della ricostruzione fattuale della vicenda emergente dagli atti, la Corte ha escluso che nel caso di specie potesse configurarsi il reato, sia perchè il cartello appeso sullo zaino che l'imputata teneva sulle spalle assolveva ad una finalità meramente promozionale della propria attività e non era di per sè solo idoneo a mutare la natura oggettiva delle prestazioni manuali da ella erogate sia perchè per le modalità ed il contesto nel quale le manipolazioni venivano praticate (su di un asciugamano o un lettino su di una spiaggia pubblica affollata di turisti), le persone che vi si sottoponevano non potevano seriamente trarne il convincimento che si trattasse di massaggi praticati in modo professionale, da persona avente una specifica qualifica sanitaria e muniti di una reale valenza terapeutica.
Ha soggiunto la Corte che la natura terapeutica dei massaggi non poteva neanche desumersi dalla circostanza che l'imputata utilizzasse per le manipolazioni canfora o olio di lino, trattandosi di prodotti di libero acquisto senza necessità di alcuna prescrizione da parte di un medico.
La Corte ha del pari escluso la sussistenza del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3, osservando come l'interesse tutelato dalla contravvenzione de qua, consistente nell'accertamento e identificazione degli stranieri in Italia, non potesse ritenersi frustrato neppure laddove la prospettazione della dimenticanza a casa dei documenti non si ritenesse (come avevano fatto i giudici di merito) suscettibile di integrare il giustificato motivo previsto dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 6, comma 3: ciò in quanto l'imputata non aveva rifutato l'esibizione dei documenti ma li aveva comunque prodotti (sia pure solo presso la Caserma dove erano stati portati da altri) nell'ambito di un contesto accertativo da considerarsi unitario.
(fonte:www.altalex.com)
Sulla scorta di tali argomentazioni la Corte ha disposto l'annullamento senza rinvio in relazione ad entrambi i capi d'imputazione per insussistenza degli stessi.

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