Manipolazioni ‘sospette’ per una donna che si è rivolta a un osteopata per risolvere alcuni problemi alla cervicale. Durante una seduta di terapia, difatti, si ritrova a subire toccamenti per nulla graditi – e non preannunciati – nella zona del seno e in quella pubica.
Inevitabile la condanna per il professionista, ritenuto colpevole di violenza sessuale non solo per i palpeggiamenti messi in atto ma anche per non avere comunque anticipato alla paziente, chiedendole preventivo consenso, che le successive manovre avrebbero riguardato zone erogene del suo corpo (Cassazione, sentenza n. 15219/20, sez. III Penale, depositata il 15 maggio).
Ricostruito l’episodio incriminato, e denunciato dalla donna – Paola, nome di fantasia –, i giudici di merito condannano l’osteopata per «violenza sessuale» poiché, viene chiarito, «egli, abusando dell’autorità derivante dal rapporto fiduciario medico-paziente, ha costretto Paola, che a lui si era rivolta per risolvere alcuni problemi alla cervicale, a subire atti sessuali consistiti in ripetuti palpeggiamenti del seno e del pube».
Inequivocabile e grave, quindi, secondo il GUP del Tribunale e secondo i giudici d’Appello, la condotta tenuta dall’osteopata.
Questa visione viene però contestata dall’uomo che, tramite il proprio legale, presenta ricorso in Cassazione, mirando a sostenere la tesi della «correttezza delle manipolazioni adottate» sulla persona di Paola, manipolazioni che «non possono avere finalità di carattere sessuale, trattandosi di atto terapeutico e pur avendo coinvolto zone erogene».
Allo stesso tempo, però, l’uomo sostiene di avere preventivamente «informato la paziente circa il tipo di terapia da praticare», e quindi, a suo dire, è impossibile escludere «il consenso della donna».
Le osservazioni proposte dal terapeuta non convincono però i giudici della Cassazione, che partono da un dato certo: l’uomo sotto accusa «praticò sulla paziente dei massaggi in corrispondenza del seno e del pube».
Ebbene, i ‘passaggi’ in quelle zone erogene non sono assolutamente connessi alle tecniche e ai massaggi richiamate dall’osteopata. Evidente, quindi, la violenza sessuale compiuta dall’uomo, poiché le manovre compiute sulla persona di Paola «esulano dalla pratica dell’osteopatia e sono chiaramente invasive dell’altrui sfera sessuale», sanciscono i giudici.
Tuttavia, dalla Cassazione tengono a fare ulteriore chiarezza, specificando che «anche a voler ammettere la correttezza delle manovre praticate dal terapeuta», va comunque tenuto presente che «la paziente non era stata preventivamente informata che i massaggi avrebbero interessato il seno e il pube e, conseguentemente, ella non aveva espresso il consenso a subire trattamenti invasivi della propria sfera sessuale».
Acclarato che non vi sono elementi per presumere che il terapeuta avesse informato Paola che le manipolazioni avrebbero attinto il seno e il pube, ulteriore conferma arriva dalla condotta da lei tenuta dopo la seduta incriminata: difatti, «avendo dei dubbi in ordine all’appropriatezza del trattamento che le era stato praticato, si era rivolta a un altro osteopata per verificare se le manipolazioni tattili subite fossero terapeuticamente corrette». E «quando ebbe conferma dall’osteopata a cui aveva chiesto consiglio dell’inappropriatezza delle manovre che aveva subito, la donna immediatamente diede disdetta dalle altre sedute già programmate» con quello che era il suo osteopata di fiducia.
A fronte di questo quadro è per i giudici della Cassazione ancora più evidente l’abuso compiuto dal terapeuta ai danni di Paola. E ciò spinge i magistrati a fissare un principio di diritto che riguardi specificatamente l’osteopatia: «trattandosi di terapia medica non convenzionale e dunque ordinariamente non conosciuta, il paziente deve essere previamente informato nel caso in cui il trattamento praticato sia invasivo della sua sfera sessuale al fine di prestarvi consenso, mancando il quale è ravvisabile il delitto di violenza sessuale».
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