Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 14417/20 depositata l’11 maggio.
L’imputato ricorre per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte d’Appello ha confermato la sua condanna per il reato di maltrattamenti in danno alla moglie. In particolare, l’imputato lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al ritenuto requisito di abitualità della condotta, in quanto risultano accertati due soli episodi vessatori nell’arco di due mesi, in un contesto di reciproca conflittualità coniugale.
Con riferimento alla censura sulla ritenuta integrazione del delitto di maltrattamenti in famiglia, la Cassazione ricorda che il delitto di cui si discute «costituisce un reato necessariamente abituale, che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili ovvero non perseguibili». Tali fatti, dunque, «acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo».
Il delitto, prosegue la Corte, «si perfeziona allorché si realizza un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità e può formare oggetto anche di continuazione ex art. 81, comma 2, c.p., come nel caso in cui la serie reiterativa sia interrotta da una sentenza di condanna ovvero da un notevole intervallo di tempo tra una serie di episodi e l’altra».
Nel caso di specie, la Corte territoriale avrebbe dovuto illustrare le ragioni per cui un unico episodio violento indicato come commesso nell’intervallo temporale oggetto della contestazione possa ritenersi espressione di un comportamento reiterato e sistematico, idoneo a ingenerare un perdurante stato di prostrazione fisica e psichica della moglie.
Per tali motivi, la Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello per un rinnovato accertamento del requisito dell’abitualità delle condotte.
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