giovedì 23 aprile 2020

Videosorveglianza: i privati possono installare telecamere rivolte solo verso aree private

Possono inquadrare aree di pubblico transito solo previo accordo formale col Comune, unico autorizzato ad installarle per fini di polizia e pubblica sicurezza ex l. n. 38/09. È quanto stabilito dal TAR Lazio sez. II bis, con la sentenza n. 3316 depositata il 17 marzo. (TAR Lazio, sez. II bis, sentenza n. 3316/20; depositata il 17 marzo)

Il caso. Un Centro residenziale, interamente recintato, custodito da vigilantes interni e con soli due accessi sulla Via Flaminia aveva installato un impianto di videosorveglianza ed apposita cartellonistica in entrata ed uscita da questi due ingressi, siti in due distinti Comuni. Il Comune di Rignano Flaminio eccependo e dimostrando che le vie che lo attraversavano erano zone di pubblico passaggio, gli ingiunse la rimozione. Il Centro la impugnò per una pluralità di motivi, ma il TAR ne ha confermato la liceità.
Quando un privato può installare un sistema di videosorveglianza? Come evidenziato anche dal Garante della Privacy «l’installazione di impianti di videosorveglianza da parte di privati è consentita solo in rapporto all’area di stretta pertinenza della proprietà privata e con esclusione di aree pubbliche o soggette al pubblico transito, per le quali, invece, l’installazione di impianti del genere compete al Comune per le finalità di prevenzione e tutela della pubblica incolumità ai sensi dell’art. 6, comma 7, del DL 11/2009, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38» (Provvedimento del Garante della Privacy dell’8/4/10 e Cass. civ.1479/12).
Onere della prova. Orbene nella fattispecie questa prova non è stata fornita dal ricorrente, mentre il Comune convenuto ha dimostrato la natura delle aree interessate come zone a pubblico transito tanto che erano inserite nell’elenco delle pubbliche vie, stante le diverse delibere ed ordinanze che avevano previsto una serie di lavori di manutenzione, apposta la segnaletica, eseguito opere di urbanizzazione secondaria etc. che ne denotavano in maniera inequivocabile tale destinazione. In base alla prassi costante tale iscrizione comporta una presunzione di pubblicità di dette strade, salvo «la prova contraria della natura della strada e dell'inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un'azione negatoria di servitù» (Cons St. 5820/18). Nella fattispecie la funzione di raccordo di dette strade, la segnaletica, le opere di urbanizzazione, il servizio urbano di scuolabus etc. sono tutti elementi univoci «per il riconoscimento della qualità di strada comunale all'interno degli abitati ai sensi dell' art. 7, lett. c), l. n. 126 del 1958» e quindi dell’impossibilità di installare detta videosorveglianza. L’onere di provare il carattere privato spettava al ricorrente che non è stato, al contrario del Comune, in grado di assolverlo.
Dicatio ad patriam. Ad ulteriore conferma è stato invocato anche questo peculiare istituto giuridico. Esso è «notoriamente connotato da elementi di fatto che denotino un comportamento del proprietario di un bene che lo mette in modo univoco a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l'effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico ovvero attraverso l'uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all'usucapione». Il TAR, invero, nota come anche l’esistenza di sbarre, di una guardiola con un vigilante che consenta l’accesso solo ai residenti ed agli autorizzati non infici la validità di tale conclusione poiché anch’essa rappresenta «una comunità indifferenziata» (Cass. civ.4416/17 e Cons.St.97/17). Ergo l’impugnata ingiunzione era lecita e fondata.
Quale disciplina per la tutela dei dati personali? Stante la finalità di tutela della pubblica sicurezza, la gestione e la tutela dei dati personali raccolti dalle telecamere sarà disciplinata, come sopra detto, dalla Direttiva 2016/680/UE, anziché dal GDPR. Il Comune dovrà predisporre misure di sicurezza per prevenire l’accesso di persone non autorizzate (criptando i dati  etc.), la perdita e la distruzione degli stessi, ma anche che le riprese non autorizzate o che sono relative a dati “scaduti” o non più necessari siano cancellate (misure organizzative). Il Garante della Privacy è stato molto chiaro sul punto «l’illiceità delle riprese comporta non solo l’inutilizzabilità delle registrazioni, ma anche il provvedimento di blocco e divieto di trattamento dei dati», dunque era lecito l’ordine di rimozione ingiunto al ricorrente dal Comune convenuto.

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