Controllo. A dare il ‘la’ al fronte giudiziario è un servizio di controllo venatorio effettuato dai carabinieri: in quell’occasione viene rilevata la presenza di «un collare su cui erano applicati due elettrodi, privi dei prescritti tappi di copertura e posti a contatto diretto con la pelle del cane», mentre il padrone dell’animale ha in mano un telecomando.
Il quadro è chiaro, e così l’uomo finisce sotto processo perché «l’utilizzo del collare era produttivo di gravi sofferenze per l’animale». E di conseguenza il Tribunale lo ritiene colpevole per «avere detenuto il quadrupede in condizioni non compatibili con la sua natura e produttive di gravi sofferenze», condizioni frutto dell’utilizzo di un collare capace di infliggere al cane «scosse elettriche trasmesse tramite comando a distanza».
Irrilevante, chiariscono i giudici, il richiamo fatto dall’uomo alla finalità dell’uso del collare, cioè l’addestramento del cane.
Collare. Secondo l’uomo, però, la visione tracciata in Tribunale non è corretta. E in questa ottica egli osserva che «ad essere incriminato sarebbe l’utilizzo di un collare elettrico per l’addestramento del proprio cane», a fronte, però, della «assenza di una normativa precisa che consenta di conoscere quali siano le condotte illecite e quelle lecite».
A sostegno di questa tesi, poi, l’uomo richiama anche alcune ordinanze del Tar Lazio che, a suo parere, avrebbero fatto «venire meno il divieto dell’uso del collare elettrico», e aggiunge che non può essere trascurato il fatto che «l’immissione del collare elettrico sul mercato è ad oggi pacificamente consentita».
Per chiudere la propria linea difensiva, infine, l’uomo evidenzia che in questo caso «l’utilizzo del collare aveva una finalità educativa che non può essere confusa con la condotta punita, che deve essere generatrice di gravi sofferenze per l’animale».
Per i giudici della Cassazione, però, la condotta tenuta dall’uomo nei confronti del proprio cane non ha alcuna giustificazione e va punita severamente, poiché ha arrecato sofferenze evidenti all’animale.
In sostanza, «l’utilizzo del collare che produce scosse e impulsi elettrici» comporta inevitabilmente «la detenzione del cane in condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di gravi sofferenze», così come previsto dal Codice Penale.
Irrilevante, chiariscono i magistrati, è che «lo strumento venga usato per l’addestramento» dell’animale. Ciò che conta, invece, è che esso «produca gravi sofferenze» per il quadrupede.
Tirando le somme, va punita «una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psico-fisica dell’animale». E in questo caso si è potuto appurare che «sul collare vi erano applicati due elettrodi posti a diretto contatto con la pelle dell’animale, privi di tappi di copertura», con conseguente sicuro patimento fisico per il quadrupede, poiché «l’inflizione di scariche elettriche è produttiva di sofferenze e di conseguenze anche sul sistema nervoso dell’animale, in quanto volto ad addestrarlo attraverso lo spavento e il dolore».
A inchiodare l’uomo alle proprie responsabilità, poi, è anche il paletto fissato dalla ‘Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia’, secondo cui «nessun animale da compagnia deve essere addestrato con metodi che possono danneggiare la sua salute ed il suo benessere, in particolare costringendo l’animale ad oltrepassare le sue capacità o forza naturale, o utilizzando mezzi artificiali che causano ferite o dolori, sofferenze ed angosce inutili».
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