Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva condannato un soggetto per il reato di furto in abitazione per aver rubato due portoni di altrettanti stabili condominiali, la Corte di Cassazione (sentenza 2 marzo 2020, n. 8421) – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui errata doveva ritenersi la qualificazione giuridica del fatto in relazione alla nozione di privata dimora, atteso che il portone di ingresso del condominio, insistendo su una pubblica via, è privo di qualsiasi carattere di riservatezza, stante la sua intrinseca funzione - ha, sul punto, affermato che rientra nel concetto di "pertinenza" di privata dimora il portone dell’edificio condominiale, atteso che il portone, ubicato all'ingresso dell’edificio condominiale, assolve con l'androne ad una funzione strumentale e complementare alle abitazioni dello stabile condominiale ed il dato secondo cui il portone, per la parte esterna, si trovi a delimitazione della pubblica via, non esclude la funzione dal portone assolta, nonché il fatto che per la sua asportazione occorre la necessaria introduzione nell’androne del palazzo.
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno qui ricordare che l’art. 624-bis, c.p., sotto la rubrica «Furto in abitazione e furto con strappo», punisce, per quanto di interesse in questa sede, con la reclusione da quattro a sette anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500 la condotta di chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante introduzione in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa.
Tale norma, posta a salvaguardia dei beni sottratti da edifici o luoghi destinati in tutto od in parte a privata dimora (concetto questo più ampio di quello di abitazione, rientrandovi i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale: Cass. pen. sez. U, n.26889 del 28/04/2016; Cass. pen. sez. V, n. 34475 del 21/06/2018, CED Cass. 273633), si estende anche ai beni sottratti dalle "pertinenze" della privata dimora ("...o nelle pertinenze di essa...."). Il riferimento contenuto nell'art. 624 bis c.p. "...o nelle pertinenze di essa...." (privata dimora), tenuto conto delle ragioni di maggior tutela apprestata per i beni collocati nei luoghi di privata dimora o in quelli "vicini", che di tale tutela estensivamente beneficiano, non ricomprende solo il luogo rientrante nella nozione civilistica di pertinenza ex art. 817 c.c., ma anche quello più ampio, avente un rapporto di strumentalità con l'abitazione (o le abitazioni) od anche solo di servizio, arrecando una "utilità" al bene principale (ovvero ai beni principali). È stato, all'uopo, evidenziato che la nozione di pertinenza, valevole ai fini dell'art. 624 bis c.p., non coincide con quella civilistica, non richiedendo essa l'uso esclusivo del bene da parte di un solo proprietario (Cass. pen. sez. IV, n. 4215 del 10/01/2013). Piuttosto, essa deve essere accostata alla nozione di "appartenenza", di cui all'art. 614 c.p., sicchè elemento caratterizzante è, dunque, quello della strumentalità, anche non continuativa e non esclusiva, del bene alle esigenze di vita domestica del proprietario (Cass. pen. sez. IV, n. 4215 del 10/01/2013). In proposito, è stato ritenuto rientrante nel concetto di "pertinenza" di privata dimora il pianerottolo condominiale, antistante la porta dell'abitazione di uno dei condomini, avente, come gli altri, diritto di escludere l'intruso (Cass. pen. sez. V, n. 12751 deI 20/10/1998, CED Cass. 213418), nonché l'androne del palazzo "per la sua natura pertinenziale delle abitazioni collocate nello stabile", sebbene pro quota, per tutti gli appartamenti dell'anzidetto complesso" (Cass. pen. sez. V, n. 28192 del 25/03/2008, T., CED Cass. 240442) e le aree condominiali in genere, ivi comprese quelle destinate a parcheggio che non siano nella disponibilità dei singoli condomini (Cass. pen. sez. IV, n.4215 del 10/01/2013, CED Cass. 255080). Nel concetto di edificio o altro luogo di abitazione sono stati ricompresi, ai fini dell'applicabilità dell'aggravante, anche locali che, pur non comunicando direttamente con l'abitazione, sono tuttavia destinati a soddisfare esigenze della vita domestica e familiare (Cass. pen. sez. V, 14/10/1992), come le autorimesse (Cass. pen. sez. II, 29/5/2012, n. 22937; Cass. pen. sez. V, 2/2/2001); così nel concetto devono ritenersi compresi i cortili i quali, pur non essendo adibiti a vera e propria abitazione, costituiscono parte integrante del luogo abitato per essere destinati, con carattere di indispensabile strumentalità, all'attuazione delle esigenze della vita abitativa (Cass. pen. sez. II, 29/10/1990); pertanto, per la configurabilità dell'aggravante, è stata ritenuta sufficiente l'introduzione in un cortile attraverso un cancello aperto, mentre è stato ravvisato il concorso con l'aggravante di cui al successivo n. 2 qualora il colpevole si sia introdotto con mezzo violento o fraudolento, avendo trovato il cancello chiuso (Cass. pen. sez. II, 28/10/1987). Lo stesso dicasi per gli androni (Cass. pen. sez. V, 31/10/2018-11/1/2019, n. 1278 Aggiornamento), le scale (Cass. pen. sez. II, 6/6/1988) e il negozio intercomunicante con alcuni vani adibiti ad abitazione (Cass. pen. sez. II, 25/11/1980), le imbarcazioni (Cass. pen. sez. V, 28/3/2019, n. 13687). Integra il reato di cui all'art. 624 bis colui che si introduce all'interno dell'appartamento o di un'area privata di pertinenza dell'abitazione detenuta, concessa in uso ovvero locata dallo stesso autore del fatto (Cass. pen. sez. V, 27/2/2019, n. 8540; Cass. pen. sez. II, 22/5/2012, n. 22909) ovvero in un edificio in ristrutturazione avvenuto in orario notturno (Cass. pen. sez. V, 1/10/2014, n. 2768). Il reato è configurabile se commesso all'interno di una farmacia quando l'introduzione clandestina avvenga nelle parti dell'immobile destinati, per l'uso che in concreto ne è fatto, a privata dimora (Cass. pen. sez. IV, 13/11/2014, n. 51749).
Nelle ipotesi descritte la giurisprudenza di legittimità ha, nella sostanza, posto l'accento sulla strumentalità del rapporto tra il luogo violato e di collocazione del bene asportato con la privata dimora, valorizzando appunto il collegamento o la relazione di accessorietà e comunque la contiguità, anche solo di servizio tra i luoghi, come appunto per le parti comuni di un edificio condominiale rispetto alle private dimore in tale edificio esistenti.
Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte d'Appello aveva confermato la sentenza del Tribunale, con la quale l’imputato era stato condannato per il reato di cui agli artt. 110, 624 bis, 625 n. 2 e 7 c.p., per aver sottratto in concorso con un complice due portoni di ingresso di altrettanti edifici condominiali. Ricorrendo in Cassazione, l'imputato sosteneva che errata doveva ritenersi la qualificazione giuridica del fatto in relazione alla nozione di privata dimora, atteso che il portone di ingresso del condominio, insistendo su una pubblica via, è privo di qualsiasi carattere di riservatezza, stante la sua intrinseca funzione, tanto che l'imputato aveva portato a compimento l'attività delittuosa senza dover fare ingresso all'interno dello stabile.
La Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha anzitutto osservato che i portoni asportati erano ubicati proprio all'ingresso - negli androni - degli edifici condominiali, a servizio e protezione anche delle private dimore in essi ubicate, oltre che degli spazi condominiali e, comunque, erano posti in un luogo di "appartenenza" di private dimore, sicchè gli stessi rientrano pienamente nella tutela apprestata dalla norma.
Facendo quindi applicazione della giurisprudenza di legittimità relativa al concetto di pertinenza, i Supremi Giudici hanno rilevato che, nella fattispecie in esame i portoni sottratti, ubicati all'ingresso degli edifici condominiali, assolvevano con l'androne la suddetta funzione strumentale e complementare alle abitazioni degli stabili condominiali, ed il dato secondo cui essi per la parte esterna si trovassero a delimitazione della pubblica via non escludeva, per la S.C., la funzione dagli stessi assolta, nonché il fatto che per la loro asportazione occorreva la necessaria introduzione negli androni dei palazzi.
Da qui, dunque, l’inammissibilità del ricorso.
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