giovedì 19 marzo 2020

Legittimo sequestrare la carta per il reddito di cittadinanza in caso di false dichiarazioni

Ai sensi dell'art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, il sequestro preventivo della carta reddito di cittadinanza, nel caso di false indicazioni od omissioni di informazioni dovute, anche parziali, da parte del richiedente, può essere disposto anche indipendentemente dall'accertamento dell'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio (Cassazione penale, sezione III, sentenza 10 febbraio 2020, n. 5290).

Il fatto
In sede di indagini veniva disposto un sequestro preventivo avente ad oggetto una "Carta Postamat RDC", nei confronti di un soggetto indagato, unitamente alla moglie, per il reato previsto dall'art. 7 dall’art. 7 della legge n. 26 del 2019, in base al quale “1. salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni. 2 L'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'art. 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni”. Nel caso di specie, l’accusa mossa ai due indagati di aver, in concorso tra loro, per ottenere il beneficio economico del "reddito di cittadinanza" dichiarato il falso, attestando lo stato di disoccupazione di entrambi, quando in realtà il marito svolgeva attività lavorativa di addetto al laboratorio di pasticceria e rosticceria in un locale percependo un compenso pari a euro 180,00 a settimana.
Il Tribunale ha ritenuto infondata la prospettazione difensiva, basata sull'assunto che l'ISEE necessario al fine di dimostrare di rientrare nei parametri reddituali indicati dalla legge sarebbe stato richiesto l'8 febbraio 2019 e rilasciato in data 12 febbraio 2019 in concomitanza con l'inizio dell'attività lavorativa dell’indagato, la cui retribuzione non avrebbe comportato il superamento del limite massimo di ISEE annuo per ottenere il beneficio economico e, dunque, l'obbligo di comunicare la variazione. Secondo il Tribunale l'autodichiarazione presentata ai fini della concessione del beneficio è dell'8 marzo 2019 e, perciò, riferita a un momento in cui l'indagato svolgeva attività lavorativa da oltre un mese; ha inoltre evidenziato l'anomalia della situazione, rappresentata dal fatto che - al momento del controllo da parte della polizia giudiziaria - risultava che l’indagato svolgesse lavoro senza regolare contratto; mentre, solo successivamente, era stata documentata l’esistenza di un contratto di lavoro semestrale.
Avverso l'ordinanza la difesa in sede di cassazione ha ribadito che la variazione di reddito ritenuta penalmente rilevante, legata alla nuova attività occupazionale da lui svolta, si sarebbe prodotta in un momento successivo al rilascio della documentazione ISEE necessaria per la domanda del reddito di cittadinanza. Inoltre, secondo la difesa, sarebbe dubbia l'esistenza di un obbligo di comunicare tale variazione di reddito non essendosi comunque verificato il superamento della soglia richiesta dalla legge - pari ad euro 9.360,00 annui (art. 3, comma 4, del d.l. n. 4 del 2019) - per la concessione del beneficio, dal momento che il reddito percepito sarebbe di 180,00 euro settimanali, per un contratto di durata semestrale.
La decisione
La Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso.
I due reati previsti dai due commi dell'art. 7 della legge n. 26 del 2019 sono reati di condotta e di pericolo – quello previsto dal primo comma connotato dal dolo specifico - in quanto dirette a tutelare l'amministrazione contro mendaci e omissioni circa l'effettiva situazione patrimoniale e reddituale da parte dei soggetti che intendono accedere o già hanno acceduto al "reddito di cittadinanza". Inoltre, oltre a garantire il rispetto del principio di capacità contributiva (Cass., sez. IV, 16 marzo 2017, n. 18107), la punizione di tali illeciti si rapporta, ben oltre il pericolo di profitto ingiusto, al dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni dalle quali riceve un beneficio economico.
Sulla scorta di tale qualificazione dei suddetti illeciti, la Cassazione afferma che le due fattispecie incriminatrici devono trovare applicazione indipendentemente dall'accertamento dell'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio e, in particolare, del superamento delle soglie di legge. La norma non richiede infatti un tale accertamento, riferendosi, al primo comma, «al fine di ottenere indebitamente il beneficio» e, al secondo comma, al complesso delle «informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio»: entrambi i riferimenti devono essere intesi come diretti a qualificare i dati che sono in sé rilevanti ai fini del controllo, da parte dell'amministrazione erogante, sulla sussistenza dei presupposti per la concessione e il mantenimento del beneficio e a differenziarli da quelli irrilevanti, senza che possa essere lasciata al cittadino beneficiario la scelta su cosa comunicare e cosa omettere e ciò in quanto il legislatore ha inteso creare un meccanismo di riequilibrio sociale, quale il reddito di cittadinanza, il cui funzionamento presuppone necessariamente una leale cooperazione fra cittadino e amministrazione, che sia ispirata alla massima trasparenza, come emerge anche dai successivi commi del richiamato art. 7, che disciplinano, non a caso, un'ampia casistica di fattispecie di revoca, decadenza e sanzioni amministrative.


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