giovedì 26 marzo 2020

Affida il cane alla moglie che lo abbandona in strada: colpevole anche il marito

Evidenti per i Giudici le responsabilità dell’uomo, che si è assentato per quasi un mese e ha deciso di lasciare l’amato quadrupede alla consorte, pur consapevole dell’astio della donna verso l’animale. Responsabile penalmente anche lui, punito, come la moglie, con 800 euro di ammenda.

Cane abbandonato. Se la coppia scoppia, e i coniugi si dicono addio, a rimetterci può essere anche l’animale domestico, amato dall’uomo ed odiato dalla donna, che, ritrovatasi a doverlo gestire per quasi un mese a causa dell’assenza per ragioni di lavoro del marito, decide di portarlo lontano dalla loro casa.
Evidente la responsabilità della moglie per il reato di “abbandono di animale”. Ma colpevole è anche l’uomo, che non avrebbe mai dovuto lasciare l’adorato quadrupede alla consorte, proprio perché consapevole della malcelata antipatia da parte di lei verso l’animale (Cassazione, sentenza n. 6609/20, sez. III Penale).
Al palo. Scenario dell’assurda vicenda è l’isola di Ischia. Lì, in una giornata di ottobre del 2012, un cane – un bulldog, per la precisione – dotato di regolare microchip, viene ritrovato “legato a un palo, sito all’interno di un presidio sanitario”. E proprio grazie al piccolo circuito elettronico è facile risalire al padrone, Carlo – nome di fantasia – , anche se poi si scopre che quest’ultimo è assente da tempo per lavoro, e il quadrupede è stato affidato alla moglie, Federica – nome di fantasia –, nonostante tra i due coniugi la relazione abbia subito una rottura, almeno momentanea.
Quest’ultimo dettaglio viene ritenuto irrilevante, e così moglie e marito finiscono tutti e due sotto processo per “abbandono di animali”.
Il quadro probatorio è chiaro, secondo i giudici del Tribunale che condannano i coniugi alla “pena di 800 euro di ammenda ciascuno”
A non accettare questa decisione è però solo il marito. Ecco spiegato il suo ricorso in Cassazione, finalizzato a ridimensionare, se non addirittura a cancellare, la colpa addebitatagli in Tribunale.
Più precisamente, l’uomo richiama il principio secondo cui “il proprietario, che abbia affidato il cane a una terza persona, risponde dell’abbandono solo quando detto abbandono sia concretamente prevedibile” e osserva che in questa vicenda “l’abbandono” del suo bulldog non era prevedibile, poiché “il cane si trovava nella disponibilità della moglie da quasi due anni”.
Peraltro, sempre secondo l’uomo, è difficile anche sostenere la tesi dell’”abbandono di animale”, poiché “il cane è stato lasciato per due ore all’ingresso di un centro veterinario” e quindi “non si trovò sprovvisto di custodia e cura, né comunque esposto a pericoli per la propria incolumità”.
Rischio. Non ci sono però giustificazioni plausibili per l’uomo, almeno secondo i giudici della Cassazione, che ne confermano la condanna per “abbandono di animale”.
In premessa viene ricordato che “integra la contravvenzione” punita dal Codice Penale “la condotta di distacco volontario dall’animale, condotta che consiste nell’interruzione della relazione di custodia e di cura instaurata con l’animale precedentemente detenuto, lasciandolo in un luogo ove non riceverà alcuna cura, a prescindere dalla verificazione di eventi ulteriori conseguenti all’abbandono, quali le sofferenze o la morte dell’animale”.
Passando dalla teoria alla pratica, è evidente, per i giudici, in questa vicenda la concretizzazione del “reato di abbandono di animale”, poiché si è appurato che “il cane fu casualmente trovato legato a un palo nella zona del presidio sanitario da un dipendente”. Nessun dubbio, quindi, sul fatto che “il cane fu abbandonato, lasciato in balia di sé stesso per un apprezzabile lasso di tempo, legato a un palo e senza essere affidato alla custodia e alla cura di altro soggetto”.
Come detto, fu poi accertato che “il cane era nella materiale disponibilità della moglie di Carlo, risultato assente dall’isola per motivi di lavoro”. Allo stesso tempo, è stata anche verificata “l’inesistenza di accordi tra i coniugi, che avevano deciso di separarsi legalmente e di interrompere la coabitazione, riguardo a chi di loro due dovesse prendere in custodia ed accudire il cane in modo esclusivo”.
E a inchiodare l’uomo alle proprie responsabilità è, secondo i giudici, il fatto che egli “si sia chiaramente rappresentato la verificazione dell’abbandono dell’animale”. In sostanza, Carlo ha, secondo i giudici, “accettato che la moglie, cui aveva affidato la custodia del cane, abbandonasse l’animale”.
La decisione della donna era, sempre secondo i giudici, preventivabile, soprattutto tenendo presente che “era stato proprio il marito a portare in casa il cane, nonostante il dissenso della consorte” causato “sia dal costo dell’animale, che era stato pagato 1.400 euro benché le condizioni economiche della famiglia non fossero floride, sia dal fatto che la donna non amava gli animali, e, oltretutto, il cane in casa rompeva le sedie e sbavava continuamente, tanto che ella era esasperata da questa situazione”.
In sostanza, l’uomo “si è rappresentato la circostanza che la moglie, a cui aveva affidato il cane durante il suo periodo di assenza per motivi di lavoro, potesse concretamente abbandonare il quadrupede”, ma nonostante ciò egli non ha trovato una collocazione alternativa per il suo animale, assumendosi, in sostanza, il rischio “che si verificasse l’abbandono, come poi è avvenuto”. 
(Fonte: www.dirittoegiustizia.it)

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