Con l’ordinanza n. 30859 del 26 novembre 2019, la Corte ha specificato che spetta al figlio maggiorenne il diritto alla pensione di reversibilità della dante causa nel caso di inabilità al lavoro. L’ accertamento del requisito della inabilità deve essere operato sulla base di un criterio concreto avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di Appello di Napoli ha riformato la sentenza impugnata e riconosciuto il diritto di P. C. alla reversibilità della pensione della dante causa, P. C., con decorrenza dal 1 marzo 1995 (primo giorno del mese successivo al decesso della P.);
2. la Corte di merito, premesso non essere in contestazione il requisito dell'inabilità dell'assistito, riteneva sussistente il requisito della vivenza a carico in considerazione del possesso, da parte del P., del solo reddito derivante dalla pensione di inabilità di cui godeva e delle condizioni reddituali per beneficiare di quest'ultimo beneficio;
3. avverso tale sentenza l'Inps ha proposto ricorso affidato ad un motivo, al quale ha opposto difese P. C., con controricorso;
Motivi della decisione
4. con il motivo di censura, deducendo violazione di legge (artt. 21, 22 legge n. 903 del 1965, art. 8 legge n. 222 del 1984), l'INPS assume che la questione del requisito dell'inabilità al momento del decesso della congiunta del P., tempestivamente introdotta nei gradi di merito, non era stata correttamente definita dalla Corte di merito, trattandosi di stabilire non solo se il soggetto avesse una generica capacità lavorativa) ma se potesse utilizzare proficuamente la residua efficienza psico-fisica e, quindi, se conservasse una pur minima capacità di guadagno;
5. il ricorso è da accogliere;
6. costituisce principio consolidato di questa Corte che l'accertamento del requisito della inabilità (di cui all'art. 8 della legge n. 222 del 1984), richiesto ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di riversibilità ai figli superstiti del lavoratore o del pensionato, deve essere operato secondo un criterio concreto, ossia avendo riguardo al possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità e alle generali attitudini del soggetto, in modo da verificare, anche nel caso del mancato raggiungimento di una riduzione del cento per cento della astratta capacità di lavoro, la permanenza di una capacità dello stesso di svolgere attività idonee nel quadro dell'art. 36 Cost. e tali da procurare una fonte di guadagno non simbolico (v., fra le altre, Cass. n. 26181 del 2016 che ha confermato la decisione di merito che aveva accolto la domanda di pensione di reversibilità, quale orfano maggiorenne inabile di entrambi i genitori, presentata da un invalido le cui residue capacità lavorative erano state riconosciute talmente esigue da consentire solo lo svolgimento di operazioni elementari, che dovevano comunque essere completate da un altro operatore e si risolvevano nello svolgimento di un'attività del tutto priva di produttività, oltre che in perdita economica, esercitata esclusivamente all'interno di strutture protette, con esclusione di qualsiasi apprezzabile fonte di guadagno; v., da ultimo, Cass. n. 682 del 2019 e i numerosi precedenti ivi richiamati);
7. va anche ribadito che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'inabilità al lavoro rappresenta un presupposto del diritto alla pensione di reversibilità del figlio maggiorenne e, quindi, un elemento costitutivo dell'azione diretta ad ottenerne il riconoscimento, con la conseguenza che la sussistenza di esso deve essere accertata anche d'ufficio dal giudice (v., fra le altre, Cass. n. 1367 del 1998 e successive conformi);
8. la Corte d'appello ha ricavato, in via inferenziale, una presunzione di inabilità dalla titolarità della pensione di inabilità senza espletare alcun accertamento sulle residue capacità lavorative e, dunque, senza compiere alcuna verifica, in concreto, sulla permanenza o meno di una residua capacità del soggetto maggiorenne, benché titolare della pensione di inabilità, di svolgere un'attività tale da procurargli una fonte di guadagno che non fosse meramente simbolica e da farlo ritenere non totalmente inabile al lavoro;
9. la sentenza impugnata va, pertanto, cassata e, per essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va rinviata alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame
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martedì 3 dicembre 2019
In caso di inabilità lavorativa il figlio maggiorenne ha diritto alla pensione di reversibilità
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