venerdì 12 aprile 2019

Gli sposi cambiano idea sulla location: va risarcito il titolare

Confermato il diritto del proprietario di una villa utilizzata come location per ricevimenti di nozze a ottenere il pagamento dai promessi sposi. Legittima, e non vessatoria, la clausola che nel contratto di banqueting vincolava il diritto di recesso dei clienti al versamento di un corrispettivo in denaro.
Costa cara ai promessi sposi la decisione di non effettuare più il banchetto di nozze nella villa scelta in prima battuta. Legittimo, sia chiaro, il recesso da loro esercitato, ma sacrosanto anche il loro obbligo di “risarcire” il titolare della struttura, così come previsto nel contratto di banqueting. Impossibile, spiegano i giudici, parlare di clausola vessatoria (Cassazione Civile, ordinanza n. 9937/19).
Recesso. A dar ragione al titolare della villa, posizionata in Abruzzo e utilizzata come location per matrimoni, sono sia i giudici del Tribunale che quelli della Corte d’Appello. Preso atto del recesso esercitato dai promessi sposi, è legittima la richiesta dell’imprenditore di ottenere il pagamento di una penale, come da regolare «contratto di banqueting».
Per i Giudici, in sostanza, non si può parlare di «clausola vessatoria», né si può ipotizzare che la cifra da pagare in caso di recesso, prevista nell’accordo tra sposi e ristoratore, possa essere letta come «espressione di un significativo squilibrio contrattuale», anche perché «si tratta, in ogni caso, di una condizione regolata ad esito di una trattativa individuale».
Clausola. Identica linea di pensiero adotta anche la Cassazione, respingendo il ricorso proposto dai due promessi sposi e sancendo in via definitiva il diritto del titolare della villa ad essere tenuto indenne a fronte del recesso esercitato dai clienti.
Nessun dubbio, in sostanza, sul valore della clausola messa nero su bianco nel contratto di banqueting. Essa è assolutamente legittima, poiché costituisce «una consensuale previsione (ad esito di una puntuale trattativa condotta dalle parti) di una specifica facoltà assicurata al cliente (quella di recedere dal contratto già concluso) dietro pagamento di un corrispettivo, variamente determinato in funzione dell’epoca dell’eventuale recesso», osservano i Giudici.
Impossibile, invece, parlare di «clausola penale» o di «forma di coazione unilaterale all’adempimento, eventualmente foriera di possibili squilibri nei diritti e negli obblighi delle parti».

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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