Omicidio colposo per il medico che prescrive una sostanza altamente tossica a una propria paziente che invece di farla dimagrire ne provoca il decesso. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 8086/18.
La vicenda. I Supremi giudici si sono trovati alle prese con una vicenda in cui una donna affetta da obesità si era recata da un dietologo che le aveva prescritto il farmaco fendimetrazina insieme ad altri farmaci. La paziente aveva seguito la cura, era dimagrita di 40 chili ma a caro prezzo. Era intervenuta una complicazione arteriosa e un peggioramento delle condizioni cardiache che l'avevano portata alla morte. Contro la decisione di colpa dei giudici di merito il medico ha esposto un unico e articolato motivo di ricorso secondo cui avrebbe adoperato la dovuta diligenza prescrivendo alla donna una dieta ed esercizio fisico al fine di far perdere peso. Aveva altresì fatto presente alla donna come l'obesità potesse causare malattie molto gravi quali cardiopatie ischemiche, tumori e ipertensioni. La difesa precisa, inoltre, che era la stessa perizia ad affermare che la donna non fosse affatto un soggetto in buona salute e che la prospettiva della morte non era per nulla estranea al suo orizzonte temporale nel medio periodo. Veniva evidenziato, inoltre, come per la fendimetrazina non ci fosse un divieto assoluto di somministrazione. Come se non bastasse la difesa aveva eccepito come nel paziente non era stato possibile accertare la presenza di altre patologie occulte che avessero decretato la morte. Di ben altro avviso i Supremi giudici. Hanno rilevato innanzitutto come per il farmaco in questione fosse vietata la somministrazione per più di tre mesi (condizione non rispettata nel caso de quo).
Il precedente grado di giudizio. Già la Corte d'Appello aveva concluso nel senso che la condotta dell'imputato consentiva di affermare che il decesso fosse imputabile al dietologo, essendo l'evento non solo evitabile ma addirittura prevedibile. Prevedibile perché il professionista aveva omesso di eseguire le analisi più comuni come l'esame del sangue e la misurazione della pressione. Misure queste che rappresentano l'abc per chi esercita la professione medica. La Cassazione non si è soffermata nemmeno sulla censura che il principio attivo non fosse vietato in altri Paesi. Nel caso – conclude la decisione - si è trattato di una serie di comportamenti omissivi così gravi da dover decretare la piena responsabilità penale del medico.
fonte: CassaForense-DatAvvocati
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