sabato 17 novembre 2018

Isis, carcere preventivo anche per chi ospita un terrorista islamico

Legittima la misura cautelare del carcere, per presunta partecipazione all'associazione terroristica di matrice islamica Isis, per chi abbia offerto ospitalità ad un membro dell'organizzazione, nel caso un terrorista ceceno poi arrestato. Mettendogli a disposizione anche la propria associazione culturale (“Al Dawa”) in cui si svolgeva attività di «propaganda e proselitismo», e ponendo in essere, attraverso Twitter, «attività di apologia dell'organizzazione». Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sentenza n. 51654 del 15 novembre 2018, respingendo il ricorso di un uomo nato al Cairo nel 1958 contro la decisione del Tribunale di Bari che aveva confermato la custodia cautelare disposta dal Gip. Per la Suprema corte l'effettiva partecipazione ad una associazione criminale non deve desumersi da regole «rigide» ed uguali per i diversi consessi ma deve considerare la «particolare natura del gruppo criminale». E, prosegue la decisione, «la spiccata pericolosità dell'Isis trova causa nella fluidità della sua struttura» che «non richiede forme particolari per l'assunzione del ruolo partecipativo» e «non si qualifica per articolazioni organizzative statiche ma, facendo leva sull'intensità della cifra ideologica, può reclutare adepti anche soltanto incitando alla jihad». Che, del resto, non si realizza «attraverso una pianificazione centralizzata di atti violenti ma per mezzo di scelte autonome del singolo quanto all'individuazione del luogo e degli strumenti».
In questo senso, continua la Corte, il Tribunale ha dato una adeguata motivazione «indicando la condivisione ideologica delle finalità dell'Isis nell'aver fornito assistenza ad uno degli associati, nell'aver svolto attività di apologia del terrorismo tramite profilo Twitter, aperto e seguito da 13 followers, nell'aver fatto attività di propaganda e proselitismo tramite Whatsapp e lezioni tenute nel centro culturale “Al Dawa”». A ciò deve aggiungersi l'essere in possesso di materiale reperibile soltanto nel dark web, fatto che di per sé – necessitando di chiavi di accesso criptate - fornisce la prova di un legame col gruppo associativo. Non è invece necessario verificare «se all'adesione abbia corrisposto un'accettazione ad opera dei vertici associativi», in quanto il presunto terrorista «ha aderito a una sorta di offerta pubblica lanciata dall'Isis attraverso canali mediatici di propaganda». Quanto poi all'attività di proselitismo e indottrinamento tramite l'associazione culturale, «non è meritevole di considerazione la tesi difensiva secondo cui la condivisione di idee integraliste, in assenza di propositi di violenza, è libera manifestazione del pensiero». Infatti, «l'invio di link e video relativi a Daesh sono atti che inequivocamente attestano la volontà di fare adepti in favore di un gruppo che ha tra suoi obiettivi quello di praticare atti di inaudita ed efferata violenza». Infine, non gioca a favore del ricorrente neppure il basso numero di followers atteso che il profilo era «aperto» e dunque «accessibile da chiunque». E che, comunque, «l'attività di esaltazione della violenza» ha per lo meno raggiunto tredici persone, in tal modo «concretizzando il profilo offensivo».

fonte:Cassa Forense - Dat Avvocato

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