domenica 28 ottobre 2018

I benefici agli ebrei perseguitati dal fascismo non posso essere riconosciuti basandosi sulle leggi razziali

« I benefici riconosciuti dallo Stato agli ebrei perseguitati dal fascismo non possono essere accordati rifacendosi alle leggi razziali, essendo ratio della norma di compensare con attribuzioni economiche pregiudizi patiti da soggetti (cittadini italiani) per il fatto in sé di avere un'origine ebraica». Questo il principio espresso dal Consiglio di Stato con la sentenza 12 ottobre 2018 n. 5896.

Secondo i magistrati amministrativi la pretesa dell'Amministrazione di ancorare l'origine ebraica del richiedente il beneficio alla nozione di “razza ebraica” contenuta nell'articolo 8, lettera d), del Rdl n. 1728 del 17 novembre 1938 («è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, appartenga alla religione ebraica, o sia, comunque, iscritto ad una comunità israelitica, ovvero abbia fatto in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo. Non è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che alla data del 1º ottobre 1938, apparteneva a religione diversa da quella ebraica») «è operazione logico-giuridica scorretta per due concorrenti motivi: a) il primo motivo è di ordine esegetico: la norma posta dalla l. n. 17 del 1978 è chiara nella sua formulazione e perfettamente auto-applicativa, senza necessità di ulteriori o diverse specificazioni contenute in testi normativi diversi, tanto più se oggetto di intervenuta abrogazione; b) il secondo motivo è di ordine sostanziale: è irragionevole e sproporzionata la pretesa dell'Amministrazione di far dipendere (in senso sfavorevole al richiedente) il possesso di un requisito per l'accesso a un beneficio di legge, dall'applicazione di una norma razziale (l'art. 8, lett. d, dell'abrogato r.d.l. n. 1728 del 1938) lesiva dei diritti fondamentali della persona e, soprattutto, rispetto alla quale le leggi post razziali n. 336 del 1970, n. 541 del 1971 e n. 17 del 1998 hanno inteso porre rimedio. Viene tradito, nella sostanza, lo spirito stesso della nuova disciplina».
La ratio legis dell'attribuzione del beneficio, infatti, riposa sulla necessità di compensare con attribuzioni economiche pregiudizi patiti da soggetti (cittadini italiani) per il fatto in sé di avere un'origine ebraica e rispetto ai quali il torto subito (fisico, economico o morale) è dipeso dall'applicazione di una norma di legge o dall'adozione di un atto amministrativo. Sicché il pretendere, oggi, di far uso di concetti e di categorie giuridiche elaborate al tempo della vigenza delle leggi razziali, finirebbe inevitabilmente per implicare la perpetuazione, in senso sfavorevole all'interessato, dell'efficacia di definizioni giuridiche basate sul concetto di appartenenza alla razza e sorte all'unico scopo di discriminare tra di loro gli individui.
La Sezione richiama poi il proprio precedente n. 4580 del 2 agosto 2011 ove si affermato che l'iscrizione ad una comunità israelitica poteva ben essere apprezzata, sul piano probatorio, per qualificare come ebreo, tra gli altri, colui il quale fosse nato anche da un solo genitore appartenente alla razza ebraica, e non già al diverso scopo di elaborare un principio di diritto in base al quale inferire che l'origine ebraica dovesse ricostruirsi, sic et simpliciter, sulla base dell'abrogato decreto del 1938.

fonte:Cassa Forense - Dat Avvocato

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